SEMPLICI APPUNTI DI RELATIVITÀ RISTRETTA - a papà Rosario a mamma Maria - Aspetti cinematici e dinamici

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SEMPLICI APPUNTI DI
                                  RELATIVITÀ RISTRETTA

                             Aspetti cinematici e dinamici

                                                  a papà Rosario
                                                  a mamma Maria

                                           a cura di Pasquale Spiezia

                                                          [I]

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PREMESSA

       Fra i vari temi di Fisica Moderna, la Relatività Ristretta (o Speciale) è quello che più di altri è stato svilup-
       pato in funzione didattica e divulgativa in quanto i suoi contenuti risultano essere accessibili attraverso un
       percorso che fornisca gli elementi essenziali dello strumentario teorico e matematico, diversamente dalla
       Relatività Generale il cui formalismo matematico (calcolo tensoriale) costituisce un ostacolo non superabi-
       le per uno studente di scuola media superiore.
       In gran parte dei libri di testo di Fisica per le scuole secondarie di secondo grado si trovano degli elementi
       di Relatività Ristretta, più o meno sviluppati. Tuttavia, per la pochezza del numero di ore d’insegnamento
       della Fisica nei Licei Scientifici (solo due al terzo anno, tre al quarto e al quinto), questi argomenti vengono
       del tutto tralasciati o, talora, trattati in maniera estemporanea senza una cornice di sistematicità. Eppure
       la mancata trattazione di questo capitolo della Fisica, oltre a lasciare in ombra una delle più interessanti
       avventure del pensiero umano, priva gli studenti liceali dell’opportunità, forse unica per molti, di avvicinar-
       si alla conoscenza di argomenti specifici di Fisica che hanno fortemente influito sulla cultura del nostro
       tempo.
       In tale contesto, è stato di particolare interesse il progetto POF, “Un tuffo nella Fisica Moderna: aspetti
       cinematici e dinamici della Relatività Ristretta ” che il nostro Liceo ha voluto realizzare nel corrente an-
       no scolastico per gli allievi delle Quarte dello Scientifico.
       Con la realizzazione di questo progetto, il nostro Istituto, al fine di rispondere alle esigenze culturali di
       un’utenza scolastica alquanto variegata – portatrice di bisogni ed aspettative diverse sia sul piano forma-
       tivo che su quello umano – ha voluto compiere una scelta basilare e coerente con le linee programmatiche
       del POF: integrare l’insegnamento curricolare della Matematica e della Fisica con interventi progettuali mi-
       ranti ad ampliare i contenuti disciplinari per dare agli allievi una visione più completa delle stesse discipli-
       ne.
       Da sottolineare, infine, che una società sempre più articolata e complessa, come quella contemporanea,
       implica che nelle nostre aule ci siano sempre più ragazzi e ragazze iperattivi o, comunque, con un bisogno
       costante di nuovi stimoli in grado di catturare pienamente la loro attenzione e di guidarli verso un appren-
       dimento significativo (e non verso una mera acquisizione di nozioni, destinata quindi a lasciare ben poche
       tracce nella vicenda umana e scolastica dell’alunno).
       Questo progetto, articolato in quindici incontri pomeridiani, non ha pretese di completezza e vuole essere
       soltanto una semplice introduzione alla teoria della Relatività Ristretta.
       Il programma del corso prevede dapprima un’analisi storica che presenti l’opera di Einstein collocandola
       nel quadro delle grandi scoperte che nella prima metà del XX secolo rivoluzionarono le teorie della Fisica, e
       successivamente la presentazione dettagliata dei principi della Relatività Ristretta limitando lo studio delle
       sue conseguenze soltanto agli aspetti cinematici e dinamici.
       La principale finalità del corso è quella di permettere ai partecipanti di apprendere i principi fondanti della
       Relatività Ristretta, e la struttura matematica che genera da essi, per poi ripercorrere gli aspetti di crisi
       che dalla fisica classica hanno permesso alla nuova teoria di Einstein di emergere, giungendo ad esamina-
       re il dettaglio dei successi sperimentali che l’hanno validata.

                                                                                                      Pasquale Spiezia

                                                             [II]

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SOMMARIO

       1.    UN PO’ DI STORIA .............................................................................................................................................. 1
       2.    I NOSTRI LIMITI.................................................................................................................................................. 1
       3.    LA LEGGE È UGUALE PER TUTTI.......................................................................................................................... 3
       4.    REPETITA IUVANT .............................................................................................................................................. 4
       5.    TO BE OR NOT TO BE ......................................................................................................................................... 7
       6.    TUTTO È POSSIBILE ............................................................................................................................................ 8
       7.    TRANSFORMERS ...............................................................................................................................................12
       8.    FINCHÉ IL VASSELLO VA ....................................................................................................................................14
       9.    UNO SCOMODO INQUILINO .............................................................................................................................17

                                                                                      [III]

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1.      Un po’ di storia

       Nei primi anni del secolo scorso, precisamente il 30 giugno del 1905, sulla prestigiosa rivista tedesca di
       Fisica “Annalen der Physik”, Albert Einstein pubblicava un articolo scientifico, «Sull’elettrodinamica dei
       corpi in movimento», che trattava della interazione, vista da osservatori in diversi stati di moto, tra cariche
       elettriche mobili ed il campo elettromagnetico. Grazie a quest’articolo, vennero risolte le innumerevoli con-
       troversie che avevano caratterizzato la Fisica di fine ottocento per quel che riguardava l'esistenza o meno
       di un sistema di riferimento assoluto. La teoria che ne scaturì fu indicata come teoria della Relatività Ri-
       stretta (o Speciale).
       Questo famoso articolo marca l’inizio di una delle maggiori rivoluzioni scientifiche del ‘900 e rappresenta
       uno straordinario monumento all’ intelligenza umana. Einstein aveva all’epoca 26 anni e lavorava presso
       l’Ufficio Federale Brevetti di Berna. La giovane età, il relativo isolamento dal mondo scientifico e il fatto
       che nello stesso anno Einstein pubblicasse altri quattro lavori di eccezionale levatura (uno di questi, quello
       sull’interpretazione dell’«effetto fotoelettrico», che gli valse il Premio Nobel nel 1921, diede una grande
       spinta alla Meccanica Quantistica, la cui concezione stava formandosi proprio in quegli anni) danno la
       misura del suo genio. Un’ estensione della Relatività Ristretta, la teoria della Relatività Generale, vedeva
       la luce nel 1916, dopo una lunga gestazione durata la bellezza di undici anni.
       In questi pochi incontri pomeridiani, cercherò di presentare le idee che stanno alla base della Relatività Ri-
       stretta, senza ricorrere a pesanti formalismi matematici, ma cercando di illustrare i fatti ed i ragionamenti
       fisici che hanno portato alla sua formulazione.
       Ovviamente, visto lo spazio a disposizione e vista la vostra ignoranza delle leggi dell’elettromagnetismo (lo
       affronterete nel prossimo anno scolastico), illustrerò solo gli aspetti cinematici e dinamici della Relatività,
       e scegliendo fra questi quelli che si prestano ad una esposizione non troppo tecnica e che, d’altra parte,
       mettono in luce il carattere innovativo della teoria.

       2.      I nostri limiti

       Viviamo in un mondo dove le telecomunicazioni (comunicazioni su lunghe distanze) hanno assunto un
       ruolo di primaria importanza. Sembra quasi che sia impossibile vivere senza «telecomunicare».
       In questo settore della tecnologia moderna si usano le onde elettromagnetiche per veicolare segnali ed
       informazioni da un punto all’altro dello spazio. Il bello di queste onde è che esse viaggiano nello spazio ad
       un velocità pazzesca, enormemente grande rispetto alle velocità abituali di cui facciamo esperienza nel
       nostro vissuto quotidiano.
       Le onde elettromagnetiche viaggiano nel vuoto ad una velocità uguale a quella della luce che è c =
       3,00×108 m/s, ossia trecentomilioni di metri al secondo.
       In un secondo, dico 1 secondo, la luce percorre la ragguardevole distanza di trecento milioni di metri.
       È spaventosamente pazzesca! È una velocità spaventosamente al di fuori di ogni nostra esperienza!

                                                            [1]

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Facciamo un semplice esempio per meglio comprendere la spaventosità (si può dire?) di questo valore.
       La distanza media della Terra dal Sole è 1,5x1011 metri. Ne consegue che la luce solare impiega un tempo
           1,5x1011
        t=          =500 s =8,4 min per arrivare sul nostro pianeta.
           3,0x108
       Supponiamo ora muoverci verso il Sole con una navicella spaziale alla rispettabilissima velocità di 10.000
       m/s (36.000 km/h).
       In queste condizioni, per raggiungere la nostra stella bisogna navigare nello spazio per un tempo
          1,5x 1011
        t=      4
                    =1,5 x107s , ossia 15 milioni di secondi che corrispondono all’incirca ad un tempo di 6 mesi.
             10
       Stessa distanza da percorrere: per la luce bastano poco più di 8 minuti, mentre per noi, poveri terrestri
       mortali, quasi sei mesi pur viaggiando ad una velocità di 36.000 km/h, già di per se elevatissima e per
       niente normale per i nostri abituali mezzi di trasporto.
       Domanda: quanto tempo impiegheremmo, se viaggiassimo verso il Sole con un Boeing 737 dell’Alitalia ad
       una velocità di 600 km/h (≈ 167 m/s) ?
                      1,5x 1011
       Risposta: t=             ≈28,5 anni.
                         167
       Chi di voi ha piacere di cominciare un simile viaggio?
       Nel mondo macroscopico delle nostre esperienze quotidiane, quindi, la velocità v degli oggetti in movi-
       mento è enormemente inferiore a quella della luce c.
       Viviamo e ci muoviamo in un mondo caratterizzato dalla condizione v/c≪1.
       È proprio in questo ambiente macroscopico limitato che abbiamo sviluppato i concetti primitivi di spazio e
       di tempo. È proprio in questo mondo limitatissimo che Newton concepì e sviluppò la sua Dinamica per
       spiegare e descrivere i fenomeni di moto.
       Del tutto diverso è il mondo della fisica atomica e nucleare. Nella fisica delle alte energie (quella che fan-
       no al CERN di Ginevra, tanto per intenderci) si ha a che fare con particelle le cui velocità sono molte vicine
       a quella della luce. È questo un mondo caratterizzato dalla condizione v/c→1
       E non possiamo essere certi, senza una prova sperimentale diretta, che la meccanica newtoniana si possa
       con sicurezza estrapolare dalla ordinaria regione delle basse velocità (v/c≪1), in cui è stata sviluppata, al-
       la regione delle alte velocità (v/c→1). Gli esperimenti dimostrano, in effetti, che la meccanica newtoniana
       non fornisce previsioni corrette quando viene applicata a particelle così veloci. In altre parole essa fallisce
       completamente per v/c→1.
       Come abbiamo già detto, nel 1905 Albert Einstein pubblicò la sua teoria della Relatività Ristretta, mosso
       dal desiderio di raggiungere una più profonda comprensione della natura dell’elettromagnetismo. Questa
       sua teoria non solo condusse ad una rivoluzionaria revisione dei concetti di tempo e spazio, ma condusse
       pure ad una generalizzazione della meccanica newtoniana, la quale si rivelò essere solo un importante ca-
       so particolare di una teoria più generale.
       Nella meccanica classica di Newton la velocità della luce non gioca per niente un ruolo speciale giacché
       non c’è, in linea di principio, alcun limite alla velocità raggiungibile da una particella. Non è così nella Rela-

                                                              [2]

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tività Ristretta, dove la velocità della luce costituisce un limite superiore non superabile da alcun corpo in
       moto. Questa teoria, inoltre, viene costruita a partire da un’ipotesi sulla propagazione della luce in netta
       contraddizione con alcuni principi di Fisica classica, ossia che la velocità della luce sia costante in ogni
       riferimento. Ma sono cose che vedremo in seguito.
       Viviamo in un mondo limitato a basse velocità. È il nostro ambiente newtoniano in cui abbiamo costruito
       le nostre teorie sullo spazio euclideo e sul tempo assoluto. Einstein ci offre la possibilità di liberarci da
       questi ristretti limiti e di … volare in alto, molto in alto, beninteso con la ragione.

       3.      La legge è uguale per tutti

       Nelle aule dei tribunali campeggia a caratteri cubitali la scritta “La legge è uguale per tutti”. Sarà poi
       vero che la legge è uguale per tutti ?
       C’è un mondo in cui davvero la “legge” è veramente uguale per tutti, ed è il mondo della Fisica. È chiaro
       che qui la parola «legge» non ha nulla a che vedere con una qualche norma del diritto civile, penale o
       quant’altro, ma sottintende l’aggettivo “fisica”. Qui si parla, è ovvio, di «legge fisica»
       Che cos’è, dunque, una legge fisica?
       Mettiamo da parte le elucubrazioni dei filosofi ed epistemologi perché con questi pensatori non si sa mai
       dove si va a parare e corriamo il rischio di fermarci, e “chi si ferma è perduto” come recita un vecchio a-
       dagio.
       Ma noi non abbiamo intenzione di fermarci, e alla domanda posta rispondiamo in modo semplice dicendo
       che una legge fisica è una relazione matematica tra le diverse grandezze fisiche caratterizzanti
       l’evolversi di un dato fenomeno.
       Ogni legge fisica, dunque, è la rappresentazione formale e matematica di un fenomeno naturale.
       Per completezza, poche parole anche a proposito delle grandezze fisiche.
       La misura di una grandezza dipende, in generale, dallo stato di moto dell’osservatore, ossia di chi effettua
       la misura.
       Esempio: consideriamo un viaggiatore che legge comodamente un libro su di una comoda poltrona di un
       veloce Eurostar della nostra Ferrovia di Stato.
       La grandezza «posizione» del libro rispetto al viaggiatore non cambia nel tempo, poiché entrambi parteci-
       pano del moto del treno. Il libro è fermo rispetto al viaggiatore, ma la sua posizione rispetto ad un osserva-
       tore posto a terra, che vede il treno sfilare davanti ai propri occhi, ovviamente cambia perché il libro par-
       tecipa del moto del treno. Dunque, il valore della grandezza fisica «posizione» è diverso per due osservatori
       differenti.
       Possiamo, dunque, affermare che generalmente i valori delle grandezze fisiche dipendono dallo stato
       dell’osservatore, o, come generalmente si dice, dal sistema di riferimento rispetto al quale le misure so-
       no effettuate.
       Attenzione! Questa proprietà non vale per tutte le grandezze fisiche.

                                                            [3]

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Ci sono grandezze la cui misura non dipende dal sistema di riferimento. Queste grandezze vengono dette
       «invarianti», e sono importanti, come vedremo, nella costruzione assiomatica della Relatività Ristretta.
       Una grandezza fisica dicesi invariante se il suo valore numerico è lo stesso in tutti i sistemi di rife-
       rimento.
       A questo punto nasce spontanea un’altra domanda: la forma di una legge fisica dipende anch’essa dal si-
       stema di riferimento, oppure rimane la stessa nonostante che i valori delle grandezze in gioco cambino?
       Una legge fisica la cui forma non dipende dal sistema di riferimento è detta «invariante in forma» o «cova-
       riante».
       Una legge fisica si dice covariante (o invariante in forma) se la relazione che lega le grandezze fisi-
       che non cambia, anche quando cambia il loro valore numerico.
       La Relatività Ristretta si occupa appunto di rispondere alla precedente domanda. Anzi dimostra che le leg-
       gi fisiche possono essere formulate in modo tale da dare alla domanda una risposta affermativa.
       La legge è uguale per tutti, almeno in Fisica.

       4.      Repetita iuvant

       “Repetitio est mater studiorum”: è una variante della più famosa massima latina “repetita iuvant”, e sotto-
       linea l’importanza di ripetere perché si possa meglio comprendere. Poiché abbiamo visto che la meccani-
       ca newtoniana fallisce quando viene applicata a corpi molto veloci (v/c→1), sembra quasi obbligatorio
       cominciare ricordando proprio i principi fondamentali della Dinamica classica.

       PRIMO PRINCIPIO
       Cerchiamo di enunciarlo bene questo primo principio della dinamica dovuto al nostro Galileo e noto anche
       come principio d’inerzia.
       Solitamente sui testi di Fisica per le scuole secondarie di secondo grado si enuncia questo principio di-
       cendo, più o meno, che:
       un punto materiale isolato, ossia non soggetto a forze, rimane nel suo stato di quiete o di moto ret-
       tilineo uniforme.
       Tutto ciò è vero, però c’è bisogno di qualche sostanziale aggiustamento.
       Anzitutto va ricordato che per punto materiale isolato s’intende un qualsiasi corpo materiale:
        di cui si considerino trascurabili ad ogni effetto le dimensioni e la cui posizione si possa quindi ritenere
         individuata mediante un semplice punto geometrico;
        così lontano da altri corpi da poter trascurare l’azione che questi esercitano su di esso.
       Va ricordato, inoltre, che un oggetto si muove quando la sua posizione cambia nel tempo. È necessario
       però specificare rispetto a chi o a che cosa cambia la sua posizione. Occorre, in altre parole, fissare un si-
       stema di riferimento in quanto la descrizione del moto varia a seconda del riferimento adottato.

                                                            [4]

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Poc’anzi abbiamo fatto l’esempio della posizione del libro nel treno: per un viaggiatore sul treno il libro è
       fermo; per un osservatore a terra, invece, il libro si muove con la stessa velocità del treno. La descrizio-
       ne del moto è sempre relativa, cioè dipende dal sistema di riferimento da cui lo si osserva.
       In Fisica per studiare il moto di un punto materiale nello spazio, si utilizzano i metodi della geometria anali-
       tica e dell’analisi matematica.
       In altre parole si fissa un riferimento cartesiano ortogonale Oxyz in cui la posizione del punto materiale P è
       univocamente individuata (Fig.1) dalla terna di coordinate cartesiane (x, y, z).

                                               Fig. 1 Riferimento spazio - temporale

       Se il punto si muove, ossia se cambia la sua posizione nel tempo, allora il moto viene descritto dalle tre
       funzioni x= x(t), y = y(t) e z = z(t) dove t rappresenta la grandezza «tempo» misurata da un orologio so-
       lidale al riferimento Oxyz.
       L’insieme S{Oxyz; t} costituito dal riferimento cartesiano e dalla variabile temporale è detto riferimento
       spazio–temporale.
       Da quanto detto, risulta chiaro che sostanzialmente è meglio enunciare il principio d’inerzia nel seguente
       modo:
       esiste almeno un riferimento rispetto al quale un corpo isolato o è in quiete o si muove di moto ret-
       tilineo uniforme.
       In questo enunciato si mette in evidenza l’esistenza di almeno un riferimento rispetto al quale un corpo
       isolato o è in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme.
       Un riferimento spazio-temporale rispetto al quale vale il principio d’inerzia viene detto riferimento inerzia-
       le.
       Sia S{Oxyz; t} un riferimento inerziale. Si può dimostrare che:
        i. sono inerziali tutti i riferimenti S’{O’x’y’z’; t’}che si muovono rispetto ad S di moto rettilineo uniforme;
       ii. sono non inerziali tutti i riferimenti S’{O’x’y’z’; t’}che si muovono rispetto ad S di moto accelerato.

                                                               [5]

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Dunque, in fisica ci troviamo nella necessità di dividere i sistemi di riferimento in due categorie: quelli i-
       nerziali, e quelli non inerziali che sono quelli in cui non vale il principio d’inerzia.
       I riferimenti inerziali sono dei riferimenti privilegiati nel senso in essi la legge del moto di un corpo materia-
       le è particolarmente semplice. Non così in quelli non inerziali.

       SECONDO PRINCIPIO
       In un riferimento inerziale un corpo isolato conserva il suo stato di moto: se è fermo, continua ad essere
       fermo; se si muove di moto rettilineo uniforme, continua a muoversi di moto rettilineo uniforme con la
       stessa velocità.
       L’aspetto più importante di questo principio consiste nell’affermare che il moto rettilineo uniforme può esi-
       stere indipendentemente da ogni causa. Un’affermazione, questa, davvero rivoluzionaria ai tempi di Galileo
       perché rompeva con la cultura di allora fortemente impregnata di aristotelismo!
       Che succede se il corpo cessa di essere isolato e ad esso viene applicata una forza?
       A questa domanda risponde il secondo principio della dinamica che può essere enunciato nel seguente
       modo:
                                                                      
       in riferimento inerziale una forza F provoca una accelerazione a e risulta essere:
                                                      
                                                  F =ma                                               (1)
       ove la costante m è la massa inerziale del corpo.
       Il principio suddetto è noto anche come legge fondamentale della dinamica (o legge di Newton) ed af-
       ferma la diretta proporzionalità tra forza ed accelerazione in ogni riferimento inerziale.
       L’aggettivo «fondamentale» non è un semplice abbellimento linguistico. Fondamentale perché conoscendo
       la dipendenza della forza dalle variabili in gioco, cioè la funzione F(x, y, z ,t) e le condizioni iniziali del moto
       è possibile determinare, a parte le difficoltà matematiche, la traiettoria del punto e, quindi, la sua posizione
       in ogni istante (determinismo meccanicistico).
                                                                                                   
       Nei riferimenti non inerziali le cose si complicano notevolmente: oltre alla forza F occorre tener conto
       anche della presenza di altre forze, le cosiddette forze apparenti, dovute proprio al moto non uniforme del
       riferimento; ma non possiamo addentrarci in questi argomenti perché vanno oltre i limiti imposti dalla fi-
       nalità di questo corso.
       Conclusione: i riferimenti inerziali sono quei particolari riferimenti nei quali il legame tra forza e accelera-
       zione assume la forma più semplice possibile e viene espressa analiticamente dalla legge (1).
       Notiamo, inoltre, che la (1) può essere utilizzata come una formula di definizione della grandezza “forza” e
       contiene come caso particolare il principio d’inerzia. Infatti:
                                                                
                                             F = 0  a = 0  v = costante
       Questo significa che in assenza di forze, il corpo (isolato) si muove con velocità costante: se è fermo, re-
       sta fermo; se si muove, si muove di moto rettilineo uniforme.

                                                               [6]

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5.      To be or not to be

       Abbiamo parlato di punti materiali isolati e di riferimenti inerziali. Ma esistono in natura punti materiali? È
       possibile fissare nello spazio riferimenti inerziali per analizzare e studiare fenomeni di moto?
       To be or not to be! That is the question.

       PUNTI MATERIALI

       Come abbiamo già detto, dicesi punto materiale un qualsiasi corpo naturale di cui si considerino trascura-
       bili le dimensioni lineari rispetto a quelle delle regioni di spazio in cui esso si muove e la cui posizione si
       possa ritenere individuata mediante un unico punto geometrico.
       Esempio: una grossa petroliera che naviga nell’oceano può essere assimilata ad un punto materiale, tanto
       è vero che la sua posizione è individuata dando solo due coordinate: longitudine e latitudine; questa ap-
       prossimazione cessa di valere se la petroliera si muove nel porto, dato che in questo caso le sue dimen-
       sioni lineari non sono più trascurabili rispetto a quelle del porto in cui si sta movendo.
       Un punto materiale è isolato se esso è talmente lontano da altri corpi da poter trascurare l’azione che que-
       sti esercitano su di esso; trattasi, dunque, di un corpo il cui comportamento non è diverso da quello che
       avrebbe se fosse solo in tutto l’universo.
       Bisogna notare che questa è una grossa astrazione rispetto alla concreta esperienza delle cose. Innanzitut-
       to in natura non esistono corpi puntiformi perché ogni corpo, piccolo o grande che sia, ha comunque
       un’estensione. Ma, peggio, l’idea stessa di corpo puntiforme è un assurdo teorico: un tale corpo avrebbe
       densità infinita. In secondo luogo sulla Terra non esistono punti isolati, perché tutti i corpi terrestri sono
       sottoposti all’attrazione gravitazionale della Terra stessa. E, visto che l’attrazione gravitazionale coinvolge
       tutti i corpi, in tutto l’universo non esiste nessun punto isolato.
       Allora in cosa consiste l’utilità di tale nozione? Intanto, va detto che la meccanica newtoniana compie nei
       confronti dell’esperienza concreta del movimento un processo di astrazione analogo a quello compiuto da
       Euclide nei confronti delle proprietà spaziali delle figure geometriche.
       Per Euclide punti, rette, figure piane e solide non sono oggetti di esperienza, ma oggetti teorici le cui reci-
       proche relazioni sono definite da specifici postulati e teoremi. Analogamente, il concetto di punto libero è
       un concetto teorico limite approssimato, più o meno bene, dalle situazioni reali. Il suo interesse risiede so-
       prattutto nel fatto che esso permette di semplificare lo studio del moto, definendo le proprietà delle gran-
       dezze fisiche necessarie per una sua descrizione univoca e completa; ma ha anche interesse di per sé, po-
       tendosi in molti problemi concreti ritenere sufficientemente individuata la posizione di un oggetto mobile
       mediante quella di un solo suo punto.

       SISTEMI INERZIALI

       Il principio di inerzia stabilisce l’esistenza di riferimenti inerziali, ma non fornisce alcun metodo per costrui-
       re un riferimento inerziale in situazioni concrete. In altre parole, sebbene basandosi sul principio di inerzia
       si possa costruire una teoria della Meccanica completamente coerente, rimane discutibile la sua applica-
       bilità pratica per la difficoltà di stabilire un riferimento inerziale. Ciò non toglie però che la Meccanica Clas-

                                                              [7]

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sica sia una teoria di enorme utilità perché in grado di schematizzare correttamente i fenomeni
       dell’esperienza comune.
       Per comprendere come ciò sia possibile, occorre reinterpretare la nozione di riferimento inerziale come un
       concetto limite che corrisponde ad una idealizzazione di situazioni concrete. In altri termini, mentre non
       sappiamo costruire riferimenti esattamente inerziali, in molte circostanze possiamo affermare che uno
       specifico riferimento è approssimativamente inerziale, con accuratezza sufficiente per le misure che si in-
       tende effettuare e nelle scale di tempo dei fenomeni cui siamo interessati.
       Ad esempio, si consideri un riferimento con l’origine nel centro della Terra ed assi diretti verso tre stelle
       fisse. Un tale riferimento può considerarsi sufficientemente inerziale quando si osservino fenomeni su sca-
       le di tempo dell’ordine del giorno e non si effettuino misure di grandissima accuratezza. Tuttavia, se i fe-
       nomeni cui siamo interessati avvengono su tempi dell’ ordine del mese o dell’anno, il moto di rivoluzione
       della Terra intorno al Sole diviene rilevante e non è più corretto considerare tale riferimento come una
       buona approssimazione di un riferimento inerziale. Si potrà sostituire un tale riferimento con un altro aven-
       te origine nel Sole ed assi diretti verso le solite tre stelle fisse. Tale sistema sarà molto più adatto a de-
       scrivere fenomeni su scale di tempo dell’ordine degli anni o anche dei secoli, come avviene per la maggior
       parte dei fenomeni astronomici relativi al sistema solare. Tuttavia, se i periodi di osservazione divengono
       confrontabili con il periodo di rivoluzione del Sole attorno al centro della galassia, anche tale riferimento
       andrà in crisi come riferimento inerziale ed occorrerà trovarne uno migliore.
       Tale esempio mostra che in concreto, sebbene non siamo in grado di costruire il riferimento inerziale assi-
       curato dal principio d’inerzia, è sempre possibile costruire empiricamente un riferimento che può conside-
       rarsi inerziale nella situazione in esame. Questa considerazione rende la Meccanica classica una teoria
       applicabile in situazioni concrete.

       6.      Tutto è possibile

       È possibile fissare nello spazio un riferimento che possa considerarsi inerziale nei limiti degli errori delle
       misure eseguibili? Tutto è possibile.
       La difficoltà maggiore, implicita nell’enunciato del primo principio della dinamica, è quella di provare spe-
       rimentalmente che esiste almeno un riferimento che si possa considerare inerziale nei limiti di precisione
       delle misure realizzabili. Se riusciamo a provare che un siffatto riferimento esiste, allora possiamo conclu-
       dere che ne esistono infiniti: sono inerziali tutti e soli quelli che si muovono di moto traslatorio uniforme
       rispetto al primo, come osservato in precedenza.
       L’osservazione della volta celeste ha portato gli antichi ad immaginare che la Terra fosse immobile nello
       spazio. Si dedusse che le stelle fossero fissate su una grande sfera cristallina che nel corso del giorno
       compiva un giro completo attorno alla Terra. Per questo motivo esse furono chiamate “stelle fisse”. Solo
       dalla fine del 400 all’800, secoli in cui vissero Copernico, Galilei, Keplero e Newton, si comprese che la
       terra si muove attorno al Sole e che le stelle non sono distribuite su una sfera, ma poste a distanze molto
       diverse. L’apparente fissità delle stelle è dovuta al fatto che la loro distanza dalla Terra è così grande ri-

                                                            [8]

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spetto ai loro spostamenti che, chi osserva non può scorgere nessun cambiamento notevole nelle loro po-
       sizioni.
       Prendiamo allora in considerazione un sistema di riferimento avente l’origine nel centro del Sole e gli assi
       tra loro ortogonali costantemente rivolti verso tre stelle fisse (fig. 2) in modo da formare una terna de-
       strorsa.
       Questo riferimento spaziale, detto copernicano (o eliocentrico), viene utilizzato nella Meccanica Celeste
       Planetaria la quale si occupa dei fenomeni di moto che avvengono nel Sistema Planetario (Sole e pianeti).
       Se, però, si esce dal sistema planetario per entrare nel campo della Dinamica Stellare, allora conviene fis-
       sare come terna di riferimento una qualunque terna avente origine nel baricentro del Sistema Galattico o
       Via Lattea (cioè di quell’immenso ammasso di stelle avente forma di un ellissoide fortemente schiacciato
       a cui appartiene anche la nostra stella) e gli assi puntati verso tre nebulose extragalattiche.
       Lasciamo perdere il Sistema Galattico – già la Terra da sola ci complica la vita, figuriamoci la Via Lattea! –
       e chiediamoci se il riferimento copernicano possa essere considerato o non un riferimento inerziale.

                                         Fig. 2 Riferimento copernicano (o eliocentrico)

       È ovvio che l’inerzialità di questo riferimento non deve essere provata mediante sofisticate elaborazioni di
       concetti filosofici, ma analizzando unicamente dati sperimentali relativi alla questione in oggetto (moto nel
       Sistema Planetario), poiché in Fisica ogni legge nasce da un’attenta analisi delle misure quantitative delle
       grandezze in gioco in un fenomeno.
       Ebbene, ricordiamo che l’astronomo Giovanni Keplero, contemporaneo di Galileo, enunciò tre famose leg-
       gi riguardanti il moto dei pianeti attorno al Sole, e che queste leggi furono dedotte elaborando i dati speri-

                                                              [9]

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mentali raccolti dal suo maestro danese Tycho Brahe e fissando come riferimento per il moto dei pianeti
       proprio quello copernicano.
       Queste tre leggi, tutte di carattere cinematico, affermano che:
       1ª ogni pianeta si muove lungo una traiettoria ellittica di cui il Sole occupa uno dei fuochi;
       2ª il moto di ogni pianeta avviene con velocità areolare costante, cioè il raggio che congiunge il Sole al
          pianeta spazza aree proporzionali ai tempi impiegati a spazzarle;
       3ª per ogni pianeta il rapporto tra il quadrato del periodo di rivoluzione e il cubo del semiasse maggiore
          dell’orbita è sempre costante.
       Da queste leggi si deduce che le accelerazioni centripete dei pianeti variano in ragione inversa del
       quadrato della loro distanza media dal Sole, ossia:
                                                             ac  1 Dmedia
                                                                     2
                                                                                                                       (2)

       Quest’asserto può essere facilmente dimostrato facendo delle opportune approssimazioni.

                                                                                               semiasse minore            
       Le orbite dei pianeti si possono ritenere circolari in quanto la loro eccentricità ε                    = 1 – 2 
                                                                                               semiasse maggiore          
       è molto piccola (Tab. 1). Quindi approssimativamente ogni pianeta Pi è soggetto in ogni punto dell’orbita ad
       una accelerazione centripeta diretta verso il Sole di modulo:
                                                            ac i = v i2 R i                         (a)
       dove vi è il modulo della velocità e Ri il raggio, pressoché costante, dell’orbita. Nei limiti in cui l’eccentricità
       orbitale è trascurabile, dalla seconda legge si ricava che il moto dei pianeti è circolare uniforme per cui:
                                                            vi = 2R i T i                          (b)
       con Ti = periodo di rivoluzione del generico pianeta Pi. Infine, dalla terza legge, e sempre nei limiti delle
       approssimazioni fatte, si ricava che:
                                                             R i3 T i2 = K                           (c)
       dove K è una costante, la stessa per tutti i pianeti. Sostituendo la (b) nella (a) si ha ac = 42 R i T i2 . Ma
                                                                                                   i
                       2     3                                           2   2
       per la (c) è T i = R i K per cui risulta in definitiva ac = 4  K R i , e quindi l’asserto.
                                                                  i

       Allontanandosi dal Sole, le accelerazioni planetarie divengono rapidamente sempre più piccole e la traiet-
       toria dei pianeti tende a diventare sempre più rettilinea (in geometria la curvatura di una circonferenza di
       raggio R è 1/ R per cui circonferenze con raggio maggiore hanno una curvatura minore; un circonferenza
       con raggio infinito, ossia con curvatura nulla, s’identifica con retta), ossia:
                                     a  0
                            R     c
                                      moto circolare uniforme  moto rettilineo uniforme

       Per fissare bene i concetti che abbiamo esposto, facciamo qualche esempio numerico considerando il
       primo e l’ultimo pianeta del Sistema Solare, cioè Mercurio e Plutone.

                                                                [10]

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Tabella 1. Alcuni dati sul sistema solare

       Per questi pianeti, applicando la (2), si ha aP        aM  = RM RP   10 –4 da cui segue che l’ accele-
                                                                                2

                                                            c          c
       razione di Plutone è 10.000 volte più piccola di quella di Mercurio che già di per sé è molto piccola essen-
       do ≈ 0,004 m/s2. Inoltre, se si considera un intervallo di tempo relativamente lungo, si verifica che le de-
       viazioni del moto di Plutone da un moto rigorosamente rettilineo uniforme sono trascurabili, mentre lo
       stesso non si può dire per Mercurio.
       Infatti, sempre supponendo circolari le orbite planetarie, sia ∆s la lunghezza dell’arco di circonferenza che
       percorre     Plutone   nel    tempo       ∆t=1g.       Riferendosi      alla   figura    a      lato, risulta
       che s=2πRP TP  400.000 km. Lo scostamento di Plutone dalla tangente per A (traiettoria del pianeta
       se il moto fosse rettilineo uniforme) è rappresentato dalla lunghezza del
       segmento BT. Si ha:                                                                         B
                                                                                                                     T
         =s R  0,7×10 –4 rad  0,004°
          P         P
         
         BT = SA – HA = R 1 – cos    14 km                                                             s
                         P           P

       Per il pianeta Mercurio, invece, a parità di percorso ∆s, si ottiene:
         =s R  0,7×10 –2 rad  0,4°                                                     
          M         M
                                                                                         S                              A
         BT = SA – HA = R 1 – cos    1.400 km                                               H
                         M           M

       A parità di percorso, dunque, il pianeta Mercurio si allontana dalla tangente
       di circa 1.400 km con una deviazione angolare di circa 0,4°, contro gli
       0,004° di Plutone. C’è una bella differenza tra i due moti!
       È quindi vero che, rispetto al riferimento copernicano, i pianeti tanto più sono lontani dal Sole, tanto più il
       loro moto approssima quello rettilineo uniforme e tanto più si approssima la condizione di corpo isolato
       (l’assunto fondamentale della Dinamica è che le azioni esplicatesi su un corpo, sempre dovute alla presen-
       za di altri corpi, sono tanto più deboli quanto più questi distano dal corpo).

                                                                [11]

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Possiamo, dunque, concludere affermando che il riferimento copernicano è un riferimento inerziale
       perché rispetto ad esso un corpo, se isolato, si muove di moto rettilineo uniforme.
       Nella Meccanica Terrestre, la quale si occupa dei fenomeni di moto svolgentisi sulla Terra & Dintorni, è
       per lo più lecito considerare praticamente come terna inerziale ogni terna solidale alla Terra, cioè ogni ter-
       na rigidamente collegata alla Terra e che si muove insieme con essa.
       In linea di principio queste terne di riferimento non sono inerziali a causa dei moti di rivoluzione della Terra
       attorno a Sole e di rotazione attorno al suo asse. Tuttavia le due accelerazioni sono troppo piccole per es-
       sere avvertite nei fenomeni quotidiani che si svolgono in intervalli di tempo e di spazio molto piccoli rispet-
       to ai tempi e agli spazi in gioco nei moti terrestri. Per analizzare fenomeni di questo tipo, come la caduta di
       un sasso o l’ oscillazione di un pendolo, possiamo utilizzare un modello semplificato che considera inerziale
       ogni riferimento terrestre, a meno che non si eseguano misure di grande precisione o non si osservino si-
       stemi molto estesi come, ad esempio, masse d’aria nei fenomeni meteorologici.
       Mamma mia che fatica! Finalmente abbiamo completato quest’ importantissimo capitolo sui riferimenti
       inerziali. Chiudiamo in bellezza con il seguente semplice problemino:
       supponendo circolare l’orbita della Terra attorno al Sole, determinare le deviazioni di questo moto di rivo-
       luzione da un moto rettilineo uniforme nel tempo ∆t=1g.
       Sia ∆s la lunghezza dell’arco percorso dalla terra nel tempo ∆t = 1g. Risul-
       ta essere: s = 2R 365 = 6, 28×1, 5×108 365  2, 5×10 –6 km. Riferen-                    B       
                                                                                                              T
       dosi alla figura sottostante, risulta che la deviazione della Terra dalla tan-
       gente per A (traiettoria del pianeta se il moto fosse rettilineo uniforme) è                     s
       rappresentata dall’ ampiezza dell’ angolo ∆α e dalla lunghezza del seg-
       mento BT. Si ha:
                                                                                            
         = s R 1, 7 ×10–2 rad  0, 95°                                              S                         A
                                                                                                 H
        BT = = SA – HA = R 1 – cos   20 km
       In un giorno il moto della Terra può approssimativamente considerarsi retti-
       lineo uniforme perché essa devia dalla sua posizione iniziale di un angolo
       piccolissimo (≈ 1°)

       7.      Transf ormers

       Consideriamo due riferimenti spazio-temporali S{Oxyz; t} e S’{O’x’y’z’; t’} aventi gli assi corrispondenti
       paralleli e concordi (fig.3) in moto rettilineo uniforme l’uno rispetto all’ altro.
       Per semplicità possiamo supporre che:
                                                                                                                      
       i. S sia il riferimento fisso e che S’ si muova rispetto ad S di moto rettilineo uniforme con velocità u lun-
                                                              
          go la direzione positiva dell’asse Ox coincidente con O 'x ';
       ii. gli orologi di entrambi i riferimenti siano sincronizzati, cioè segnino entrambi “0” nell’istante in cui le
           origini O e O’ sono sovrapposte (t=t’=0 quando O=O’).

                                                             [12]

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Queste ipotesi semplificatrici non limitano la validità dei principi fisici interessati, che possono poi essere
       generalizzati ad arbitrarie orientazioni e velocità relative dei due riferimenti.

                                        Fig. 3 Riferimenti spazio-temporali in moto relativo

       Consideriamo ora un evento fisico che avviene ad un certo istante in un generico punto P dello spazio,
       come ad esempio l’urto tra due particelle, l’accensione di una lampada, la partenza di un’automobile o
       l’arrivo di un ciclista. Nel sistema di riferimento S l’evento viene identificato assegnando le coordinate car-
       tesiane x, y e z del punto P e la coordinata temporale t ad indicare l’istante in cui esso è avvenuto. Analo-
       gamente nel riferimento mobile S’ lo stesso evento viene identificato con la quaterna (x’, y’, z’; t’).
       Qual è il legame tra le variabili di S e quelle di S’? Si può dimostrare che valgono le seguenti relazioni, no-
       te come trasformazioni galileiane:
                                                             x ' = x – ut
                                                             
                                                              y ' = y
                                                                                                              (3)
                                                               z ' = z
                                                                
                                                                  t ' = t

       Le prime tre relazioni si possono dimostrare in modo abbastanza agevole perché sono una conseguenza
       diretta delle formule della Geometria Analitica relative alla trasformazione delle coordinate nel passaggio
       da un riferimento cartesiano ad un altro. L’ultima, che riguarda la variabile temporale, non può essere di-
       mostrata in alcun modo perché è la formulazione matematica di un postulato fondamentale della Mecca-
       nica classica che afferma che l’andamento di un orologio è indipendente dal suo moto.
       In Meccanica classica si assume che due orologi sincronizzati quando sono fermi, continuano ad esserlo
       anche quando uno dei due si muove rispetto all’altro, e ciò permette di poter definire il tempo indipenden-
       temente dal sistema di riferimento (tempo assoluto) in quanto esso scorre nello stesso modo per tutti gli
       osservatori. Questo principio fu contestato da Einstein, ed è proprio sulla questione della dipendenza del
       tempo dal moto dell’ osservatore che si ha un primo e fondamentale divario tra Meccanica classica e
       Meccanica relativistica.
                                                                                               
       Le trasformazioni (3) valgono nel passaggio S → S’ (S fisso e S’ mobile con velocità u ).

                                                               [13]

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
       Nel passaggio S’ → S (S’ fisso e S mobile con velocità – u ) si hanno le formule inverse:
                                                              x = x '+ut
                                                              
                                                               y = y '
                                                                                                                       (4)
                                                                z = z '
                                                                 
                                                                   t = t'

       Ovviamente, nel caso in cui la velocità relativa dei riferimenti S e S’ ha componenti lungo tutti e tre gli assi
       cartesiani, si otterranno le formule più generali:
              x ' = x – u x t                                               x = x '+u x t
                                                                             
                y ' = y – uy t                                                 y = y '+uy t
                                nel passaggio S → S’                                         nel passaggio S’ → S
                 z ' = z – uz t                                                z = z '+u z t
                                                                                
                   t ' = t                                                      t = t'

       8.      Finché il vassello va

       È tempo di lettura. Dal Dialogo sui Massimi Sistemi del Mondo di Galileo Galilei, Giornata Seconda:
       « Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e quivi fate
       d'aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d'acqua, e dentrovi de' pescetti; so-
       spendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell'acqua in un altro vaso di
       angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti
       volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferente-
       mente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e voi, gettando all'amico alcuna co-
       sa, non piú gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che verso questa, quando le lontananze sieno
       eguali; e saltando voi, come si dice, a piè giunti, eguali spazii passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete
       diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succe-
       der cosí, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante
       in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli
       potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii
       che prima né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua,
       benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro salto; e
       gettando alcuna cosa al compagno, non con piú forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli sarà verso la prua
       e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l'opposito; le gocciole cadranno come prima nel vaso inferiore,
       senza caderne pur una verso poppa, benché, mentre la gocciola è per aria, la nave scorra molti palmi; i pesci
       nella lor acqua non con piú fatica noteranno verso la precedente che verso la sussequente parte del vaso, ma
       con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell'orlo del vaso; e finalmente le farfalle e le
       mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le parti, né mai accaderà che si riduchino verso la
       parete che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche in tener dietro al veloce corso della nave, dalla quale
       per lungo tempo, trattenendosi per aria, saranno state separate... »

                                                               [14]

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Morale della favola: sul vassello in movimento, finché il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là,
       ogni fenomeno di moto avviene allo stesso modo di come avverrebbe se la nave fosse ferma (voi non ri-
       conoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti).
       Il nostro Galileo asserisce che nessuna esperienza di tipo meccanico permette di distinguere se il sistema
       di riferimento in cui essa viene eseguita, sia in quiete o in moto rettilineo uniforme (né da alcuno di quelli
       potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma), ovvero che tutti i sistemi inerziali sono equiva-
       lenti per la descrizione dei fenomeni meccanici e che nessuna esperienza meccanica permette di distin-
       guere un particolare sistema inerziale tra gli infiniti sistemi simili. È questo il contenuto del principio di re-
       latività galileiana (o della Meccanica classica). Esso riguarda, è bene ricordarlo, unicamente fenomeni
       meccanici e verrà generalizzato poi da Einstein ad ogni fenomeno fisico nella sua teoria della Relatività Ri-
       stretta.
       Vogliamo ora tradurre in formula matematica questo principio ed enunciarlo in maniera diversa.
       A tale scopo fissiamo nello spazio due riferimenti inerziali S{Oxyz; t} e S’{O’x’y’z’; t’} in moto l’uno rispet-
       to all’altro e aventi, per semplicità di calcolo, le stesse caratteristiche elencate nel precedente paragrafo
       (assi omonimi paralleli e concordi; S fisso e S’ mobile con velocità costante lungo la direzione positiva
                                    
       dell’asse Ox coincidente con O'x ' ).

       Consideriamo un punto materiale mobile di massa m e
       siano P1 e P2 due diverse posizioni sulla traiettoria,
       come mostrato nella figura a lato. I passaggi del punto
       per P1 e P2 negli istanti t1 e t2 (t2>t1) sono due eventi
       descritti rispettivamente dalle quaterne (x1, y1, z1, t1) e
       (x2, y2, z2, t2) in S, e dalle quaterne (x’1, y’1, z’1; t’1) e
       (x’2, y’2, z’2; t’2) in S’.
                                                                   
       Se v è la velocità del punto mobile misurata in S e v ' quella misurata in S’, applicando le trasformazioni
       galileiane (3) e (4) si ottengono le formule di trasformazione delle velocità:
                                        
                                         v' = x' = x'2 – x'1 =  x2 – x1 – u  t2 – t1 = v – u
                                           x t' t'2 – t'1                      t2 – t1      x
                                           
                                                    y' y'2 – y'1 y2 – y1
                                             v'y =       =            =          = vy                             (3)
                                                    t' t'2 – t'1       t2 – t1
                                              
                                               v' = z' = z'2 – z'1 = z2 – z1 = v
                                                 z t' t' – t'        t2 – t1      z
                                                            2     1
                                                                                                       
       Queste relazioni, ovviamente, sono generali e valgono anche quando la velocità relativa u dei riferimenti
       ha componenti lungo ogni asse cartesiano, per cui più in generale risulta:
                                                           v' =v – u
                                                             x x x
                                                             v' =v – u                                          (6)
                                                               y y y
                                                               v'z =v z – uz
                                                                

                                                              [15]

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Nel passaggio S’ → S si ha:
                                        
                                         v x  x = v' x + u
                                                    t            v =v' + u
                                                                    x x            x
                                                      y              v =v' + u
                                            v y        = v' y e                                                (7)
                                                    t                y y          y
                                                                      v z =v'z + uz
                                              v z  z = v'z           
                                                    t

       Le formule di trasformazione della velocità di una particella possono essere scritte anche in forma più
       compatta, che è quella vettoriale, ovvero:
                                             
                                           v' = v – u      nel passaggio S → S’
                                              
                                            v = v' + u     nel passaggio S’→ S
                                                                           
       Dalle formule precedenti, per la costanza della velocità relativa u , si ricava facilmente che:
                                           a' =a
                                             x       x       
                                             a' =a       [ a' = a in forma vettoriale]                       (8)
                                                 y   y
                                               a'z =az
                                                
                                                   
       Notiamo che mentre le velocità v e v ' del punto mobile differiscono per la velocità relativa dei riferimenti
       S e S’, l’ accelerazione è sempre la stessa nei due riferimenti (è invariante rispetto alle trasformazioni gali-
       leiane).
       Ma nella fisica classica anche la massa m del punto è una grandezza invariante, cioè non influenzata dal
                                                               
       moto del sistema di riferimento, per cui m' a' = ma , ossia :
                                                              
                                                            F' = F                                             (9)
       Questa uguaglianza afferma:
                                                       
       i. che la forza, definita dal prodotto ma , è una grandezza invariante rispetto alle trasformazione galileia-
           ne;
       ii. che il secondo principio della Dinamica è covariante (invariante in forma), cioè esprimibile nella stes-
           sa forma in tutti i riferimenti inerziali.
       L’uguaglianza (9) rappresenta la formulazione matematica del principio di relatività galileiana poiché si può
       dimostrare (con metodi matematici che non è possibile riportare perche vanno oltre i limiti imposti dalla
       semplicità di questi appunti) che da essa consegue lo stesso principio, ossia che due osservatori inerziali,
       eseguendo gli stessi esperimenti in S e S’, trovano a parità di condizioni iniziali gli stessi risultati, per cui
       non è possibile distinguere tra due riferimenti inerziali con misure “meccaniche” eseguite all’in-terno dei
       due riferimenti.
       Poiché tutte le leggi della meccanica sono una conseguenza diretta del secondo principio della Dinamica
             
       F = ma , la proprietà di covarianza, espressa dalla uguaglianza (9), può essere estesa a tutta la Meccanica
       classica.

                                                             [16]

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Questo fatto ci dà la possibilità di enunciare il principio di relatività galileiana anche nella seguente manie-
       ra: le leggi della dinamica sono invarianti in forma nel passaggio da un riferimento inerziale S ad
       un altro S’, anch’esso inerziale.
       Sintetizziamo quanto detto in questo paragrafo:
       a) nessun esperimento meccanico eseguito in un riferimento inerziale può dare informazioni sul moto di
          quel riferimento rispetto a un qualsiasi altro riferimento (un giocatore di biliardo in un vagone chiuso di
          un treno che si muove uniformemente lungo un tratto rettilineo non può dedurre dal comportamento
          delle biglie quale sia il moto del treno rispetto alla terra);
       b) nessun riferimento inerziale è privilegiato rispetto ad altri poiché le leggi della meccanica sono le stes-
          se in tutti i riferimenti per cui tutti i riferimenti inerziali sono equivalenti per quanto concerne la Mecca-
          nica.
       A proposito di relatività, la figura sottostante rappresenta una bella ragazza o una brutta vecchia?
       Tutto è relativo.

       9.      Uno scomodo inquilino

       Da completare

                                                             [17]

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