SEMINARE LA PAROLA Sulle orme di Marco la nostra Chiesa educa alla fede adulta - Pietro M. FRAGNELLI
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Pietro M. FRAGNELLI SEMINARE LA PAROLA Sulle orme di Marco la nostra Chiesa educa alla fede adulta Linee programmatiche 2011-2012 Castellaneta 1
“Manda il tuo Santo Spirito Paraclito nelle nostre anime e facci comprendere le Scritture da lui ispirate; e concedi a me di interpretarle in maniera degna, perché i fedeli qui radunati ne traggano profitto”. (Prima dell‟omelia) “Dio salvatore, t‟imploriamo per questo popolo: manda su di esso lo Spirito Santo; il Signore Gesù venga a visitarlo, parli alle menti di tutti e disponga i cuori alla fede e conduca a te le nostre anime, Dio delle Misericordie”. (Dopo l‟omelia) (Preghiere di Serapione, citate dal Papa in Verbum Domini 16) 2
Introduzione Durante il Congresso eucaristico nazionale di Ancona (3-11 settembre 2011) mi ha affascinato la mostra «Alla mensa del Signore. Capolavori dell‟arte europea da Raffaello a Tiepolo». Artisti più o meno noti dicono con il pennello il mistero della presenza del Signore nell‟Eucarestia. Oltre cento opere (pittoriche e di oreficeria) ordinate in varie sezioni: le nozze di Cana, l‟istituzione dell‟Eucaristia, l‟Ultima Cena (con un omaggio all‟influsso di Leonardo), la Comunione degli Apostoli, la Cena di Emmaus, le Processioni eucaristiche, la Custodia dell‟Eucaristia, i Santi eucaristici, le Allegorie eucaristiche e l‟Eucaristia nell‟arte del Novecento. Ho pensato alle nostre celebrazioni domenicali e feriali, al culto eucaristico in Diocesi, alle prime comunioni e soprattutto al progetto pastorale di questi tre anni, che ci sta facendo verificare l‟iniziazione cristiana: come la nostra Chiesa genera i nuovi cristiani (2010-2011) e come li accompagna alla fede adulta (2011- 2012) fino a vivere l‟Eucaristia nella vita quotidiana (2012-2013). La guida della mostra ci ha fatto ripensare alla grande «Disputa del Sacramento», che Raffaello affresca nei Palazzi Apostolici in Vaticano proprio 500 anni fa (tra il 1508 e il 1511). L‟artista presenta su di una parete il mistero dell‟Incarnazione del Verbo culminante nell‟Eucaristia: è la notitia, cioè la notifica, la rivelazione della Verità da parte di Dio all‟uomo, libero di accettare o rifiutare; sulla parete opposta Raffaello colloca la «Scuola di Atene», rappresentata da uomini di ogni cultura e orientamento filosofico e religioso (Platone e Aristotele, Socrate e Alcibiade, Epicuro e Diogene, Pitagora e Averroè, Zoroastro e Tolomeo): è la cognitio, la sapienza umana. Mi chiedo: come ridire oggi la notitia, la Parola di Dio, senza trascurare la cognitio, la ricerca della sapienza umana? Quale aiuto può venire all‟annuncio della Parola di Dio dall‟arte, dalla letteratura e delle varie scienze umane? E quale orizzonte vasto può dare la Parola di Dio alla conoscenza umana? La nostra generazione ha le sue scelte da fare. Il Papa dice che non si educa per accumulo, “perché la libertà dell‟uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono essere semplicemente ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale” (citato in CEI, Educare alla vita buona del Vangelo. Orientamenti pastorali dell’Episcopato Italiano per il decennio 2010-2020, n. 30). In questo contesto di riflessioni, mi è venuta incontro un‟“Ultima cena” insolita, opera dell‟artista romano Ferruccio Ferrazzi (1891-1978): «La parola di Cristo (Cristo e gli Apostoli)». Fu realizzata tra il 1944 e il 1945, in anni di guerra, con l‟esplicita volontà di unire la contemporaneità e la parola di Cristo. Rappresenta una mensa: è priva, però, di ogni cibo. Unico cibo è Gesù che parla ai Dodici. È la mensa della Parola di Dio, che dà stabilità e luce all‟ambiente e alle persone. Fa eccezione Giuda, un personaggio oscuro collocato all‟estremo opposto del Maestro, mentre varca la porta del buio. La scena è pervasa di fiducia e di realismo, quasi a partire dalla parola di Gesù per ricostruire l‟umanità ferita dalla guerra: “Chi costruisce la propria vita sulla Parola edifica veramente in modo solido e duraturo. La Parola di Dio ci spinge a cambiare il nostro concetto di realismo: realista è chi riconosce nel Verbo di Dio il fondamento di tutto” (Benedetto XVI, Verbum Domini, 10). Ecco, un artista ci invita a ripartire dall‟ascolto di Gesù! 3
Invito alla lettura Nell‟anno 2010-2011 il vangelo di San Matteo ci ha ricordato che la casa va costruita sulla roccia della Parola di Dio, ascoltata e messa in pratica, e non sulla instabilità della sabbia (Mt 7,24). Quest‟anno il vangelo di San Marco ci guida nella scoperta della Parola di Dio come seme che porta frutto, rendendoci maturi nella fede, capaci di fiducia nonostante gli insuccessi (Mc 4, 1-20). Il brano del seminatore si presenta diviso in tre quadri: Gesù espone la parabola dalla barca ad una folla che si raduna presso il mare e sulla terra (versetti 1-9); il Maestro istruisce in privato i Dodici circa il suo parlare in parabole (versetti 10-12); infine Gesù stesso analizza le cause della “buona e cattiva sorte” del seme (versetti 13-20). Primo quadro – L‟attenzione va subito all‟azione del seminatore: “Ascoltate! Ecco, il seminatore uscì per seminare” (v. 3). Seminare equivale a predicare: Gesù, che semina-predica, domanda l‟ascolto. San Paolo dirà che la salvezza dipende dall‟azione del seminare-predicare: “La fede dipende dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo” (Rm 10,17). Continuando la lettura, nei versetti 4-8, troviamo un elenco schematico di quattro tipi di terreno: la strada, il terreno roccioso, le spine e la terra buona. All‟insuccesso è dedicato ampio spazio: siamo di fronte ad un triplice fallimento (vv. 4-7). Segue, in un solo versetto, il racconto del successo, davvero grande. Una triplice, crescente misura dà l‟idea dell‟ottimismo della parabola. Il seme fruttifica trenta, sessanta e cento volte tanto. Gesù si rivela sicuro della riuscita della sua missione ed esorta, in conclusione, all‟ascolto. Dal messaggio enigmatico dei quattro tipi di terreno passa all‟invito a prestare attenzione: “Chi ha orecchie per intendere, intenda” (v. 9). Secondo quadro - Segue una istruzione dei discepoli sul senso del linguaggio velato delle parabole (versetti 10-12). Gesù distingue: “A voi è dato il segreto del regno di Dio, a coloro che stanno fuori tutto avviene in parabole” (v. 11). Si entra nell‟intimità con Gesù, che parla al gruppo ristretto di quelli che sono con Lui, già noto da Mc 3,13-15: “chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni”. Il contrasto esasperato tra chi è fuori e chi è dentro pone in risalto la “cecità umana”. Marco non intende creare due fronti nettamente distinti tra chi non accetta la parola di Gesù e chi l‟accetta. Anche i discepoli, ricettori della rivelazione, sono qui rappresentati “in complesso come „testimoni ciechi‟” (J. Ernst). L‟accesso al “segreto del regno di Dio” non è un privilegio, ma un‟ulteriore chiamata a stare con Gesù e con lui entrare in quel disegno universale di amore che deve essere ancora portato a tutti gli uomini. San Paolo svilupperà il tema nel capitolo 9 della lettera ai Romani. Terzo quadro - Infine san Marco riferisce la spiegazione della parabola data da Gesù (versetti 13-20). Dal seminatore si passa subito al seme, cioè alla Parola di Dio: “Il seminatore semina la parola” (v. 14). Quale è l‟esito? La prima immagine è la strada: i semi non vi rimangono a lungo. Passano gli uccelli e li beccano: “subito viene Satana e toglie la parola, quella seminata in loro” (v. 15). L‟accento non va sui possibili errori della semina, ma sull‟opera di Satana, che toglie la parola dal cuore. L‟autore di tutto il male disturba l‟opera del seminatore. La seconda immagine ci presenta il terreno roccioso: “E questi sono come quei chicchi seminati su un terreno roccioso, che, quando sentono la parola, subito la accolgono con gioia, e non hanno radice in sé, ma sono incostanti; allora, se a causa della parola vengono tribolazione e persecuzione, subito si scandalizzano” (vv. 16-17). Qui il male viene dalla persona, dal suo cuore indurito (“terreno roccioso”), dal suo fragile entusiasmo, povero di radici e di costanza. Sono coloro che cambiano 4
bandiera ad ogni ostacolo. La psicologia pastorale trova in quest‟immagine una descrizione efficace dell‟animo umano. La terza immagine parla di semi seminati fra le spine: “Ed altri sono quelli seminati fra le spine. Questi sono quelli che hanno sentito la parola e le preoccupazioni del mondo e il miraggio ingannevole della ricchezza e le bramosie per altre cose si infiltrano e soffocano la parola. Ed essa diventa sterile” (vv. 18-19). Sembra la descrizione della vita quotidiana di ieri come di oggi: l‟esistenza nel mondo chiude la porta alla parola, la rende sterile. Infine l‟immagine della buona terra: “E quelli seminati sulla buona terra sono quelli che ascoltano la parola e la accettano e portano frutto: trenta volte, sessanta volte, cento volte tanto” (v. 20). Tutto il positivo è condensato in tre verbi: ascoltare, accettare, portare frutto. La quantità dei frutti – espressa in un crescendo straordinario - sembra cancellare anche l‟ombra del triplice fallimento contenuto nei tre terreni negativi: la strada, il terreno roccioso e le spine. Destinatari di questa conclusione non sono solo gli ascoltatori di Gesù, ma anche i predicatori cristiani primitivi. È chiaro l‟appello alla “vita buona”, l‟invito a chiederci se la parola ha ancora una chance presso di noi; ma è altrettanto chiara la parola di consolazione che la parabola offre, orientando lo sguardo ai frutti di Dio che si conosceranno in abbondanza nel suo Regno. 5
Invito alla riflessione 1. Il seme, la strada, il terreno roccioso, le spine, la terra buona: quale funzione comunicativa assolvono queste immagini? Secondo te è vero che “il parlare in immagini lega più di qualsiasi discorso diretto, proprio perché esige una certa disponibilità a lasciarsi introdurre in un rapporto con colui che parla”(E. Schweitzer)? Da quali immagini ti senti più toccato e “vincolato” a Gesù? 2. La parola seminare evoca nella Bibbia il legame tra il corso della natura e la storia delle generazioni umane, tra l‟atto creativo e quello redentore. Il ciclo è identico: semina, crescita, frutti e raccolto (la messe). Come vivere questo legame con speranza e realismo, con gratitudine verso il Creatore e invocazione di salvezza dal Redentore? Può essere utile approfondire la voce “Seminare” nel Dizionario di Teologia Biblica (Ed. Marietti), redatta da Xavier Léon-Dufour, dove tra l‟altro si legge: “Per insegnare ai discepoli il totale abbandono alla provvidenza del Padre celeste, Gesù porta loro ad esempio gli uccelli del cielo che non seminano né mietono (Mt 6,26). Questa speranza incoraggia a nascondere nel suolo il seme, a lasciarlo morire perché porti frutto (Gv 12,24)”. Nel medesimo Dizionario sono molto utili le voci “Parola di Dio” e “Parola umana” redatte da A. Feuillet e P. Grelot; in prospettiva vocazionale si può approfondire la voce “Parola di Dio” redatta da M. Tábet per il Dizionario Biblico della Vocazione (Ed. Rogate). 3. Perché leggere il Vangelo? Con quale spirito aprire la sacra Scrittura? Per evitare il rischio di leggerla come oggetto di curiosità storica, ricordati dell‟opera dello Spirito Santo che l‟ha ispirata nella redazione e la ispira nella comprensione. Il Papa ce lo fa comprendere con questa analogia: “Come il Verbo di Dio si è fatto carne per opera dello Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, così la sacra Scrittura nasce dal grembo della Chiesa per opera del medesimo Spirito. La sacra Scrittura è Parola di Dio in quanto scritta per ispirazione dello Spirito di Dio, per insegnare fermamente, fedelmente e senza errore la verità che Dio ha voluto consegnarci nelle sacre Lettere per la nostra salvezza” (Verbum Domini, 19). 4. Quali personaggi biblici possono accompagnarci nel corso dell‟anno alla scoperta della fede adulta? Sono molto utili le voci del Dizionario Biblico della Vocazione: Abramo, Davide, Geremia, Giobbe, Giovanni Battista, Giuseppe, Maria, Osé, Paolo, Pietro. 5. Quando e come hai sperimentato il fallimento del parlare di Dio nella tua vita? Puoi dire di avere sperimentato che “Dio parla anche per mezzo del suo silenzio” (Benedetto XVI, Verbum Domini, 20)? Gesù, Parola incarnata, ha vissuto la tappa decisiva abbandonato sulla croce: “Procedendo nell‟obbedienza fino all‟estremo alito di vita, nell‟oscurità della morte, Gesù ha invocato il Padre. A Lui si è affidato nel momento del passaggio, attraverso la morte, alla vita eterna: Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito (Lc 23,46)” (Ivi). Riconosci anche tu che, “nella dinamica della rivelazione cristiana, il silenzio appare come un‟espressione importante della Parola di Dio” (Ivi). 6. Se è vero che “l’uomo diventa la parola che ascolta e vive del pane che mangia” (S. Fausti), puoi domandarti cosa sei diventato oggi? Quale parola ti ha plasmato? Quale pane ti fa vivere? 7. Oggi quali fattori bloccano il successo della predicazione? “I tre fattori che bloccano il successo della predicazione – l‟influsso di Satana, l‟incostanza e la volubilità, soprattutto nelle situazioni penose, e l‟affaccendamento in problemi mondani di diverso tipo – devono essere intesi come esempio. Nonostante il suo significato permanente, il predicatore oggi dovrà analizzare in modo del tutto nuovo l‟insuccesso del Vangelo. I messaggi di salvezza 6
rivaleggianti, di diversa provenienza, la stanchezza degli ascoltatori, un‟ipersaturazione religiosa, ma anche l‟insufficienza del predicatore e della predicazione ecclesiale messi insieme hanno sicuramente un ruolo decisivo. Forse però si riflette anche poco sul fatto che l‟insuccesso appartiene al Vangelo stesso, anche la missione della Chiesa è sotto il segno della croce.” (Il vangelo secondo Marco, tradotto e commentato da Josef Ernst, I volume, Morcelliana, Brescia 1991, p. 216). 8. Qual è il posto di Gesù, il seminatore della parabola, nella tua vita? Conosci la tua dimensione creaturale e il tuo ruolo di protagonista nella storia della salvezza? La parola di Dio porti a contemplare la profonda unità tra creazione e nuova creazione in Cristo. Il Papa ce lo ricorda con l‟immagine musicale dell‟orchestra sinfonica e dell‟assolo: il cosmo è paragonabile all‟opera di “un Autore che si esprime mediante la „sinfonia‟ del creato. All‟interno di questa sinfonia si trova, a un certo punto, quello che si direbbe in linguaggio musicale un „assolo‟, un tema affidato ad un singolo strumento o ad una voce; è così importante che da esso dipende il significato dell‟intera opera. Questo ‘assolo’ è Gesù … Il Figlio dell‟uomo riassume in sé la terra e il cielo, il creato e il Creatore, la carne e lo Spirito. È il centro del cosmo e della storia, perché in Lui si uniscono senza confondersi l‟Autore e la sua opera” (Verbum Domini, 13). 9. Nella compieta del lunedì preghiamo così: “Donaci, o Padre, un sonno ristoratore e fa‟ che i germi di bene, seminati nei solchi di questa giornata, producano una messe abbondante”. Anche il nostro tempo, le nostre giornate sono campo di semina per Dio e per tutti coloro di cui egli si serve per farci avere i germi di bene, i semi della sua Parola. A lui chiediamo alla fine della giornata l’abbondanza dei frutti. A Lui la chiederemo alla fine della giornata terrena: lasceremo la famiglia, la società, la chiesa più ricca di frutti, di spighe? 10. “Il Signore è ricco di strade”, dice il protagonista dell‟opera teatrale Fratello del nostro Dio, composta da Karol Wojtyła nel 1950 per riproporre nella Polonia - occupata dal comunismo – un grande modello spirituale e sociale: Alberto Adam Chmielowski (1845-1916), patriota, pittore, monaco, fondatore delle case albertine per i poveri e i senza tetto. Giovanni Paolo II lo canonizzò nel 1989. Nell‟omelia disse che fratel Alberto, dopo l‟incontro con Cristo, non diede solo qualcosa ai poveri; diede loro la “fraternità” ricevuta da Cristo. Era quello il frutto più grande sulla terra e per il cielo. Il cento per uno. Quali frutti di santità mi affascinano di più in questo tempo di crisi? Per quali frutti penso che il Signore sta chiamando me, la mia famiglia, la mia comunità, la mia Chiesa? 7
Invito alla preghiera e all’azione Davanti al Signore la nostra comunità fa memoria delle meraviglie della Parola seminata nei nostri cuori, nella vita di ciascuno di noi e delle nostre famiglie. Lodiamo e ringraziamo il Signore insieme per quello che ci ha dato e continuerà a darci in questo anno ed in tutto il decennio dedicato all‟educare. Il Seminatore ci dona la Parola per la vita buona: Parola donata, diffusa, paziente, efficace, fedele. Una Parola donata Al cuore della parabola raccontata da Gesù si situa l‟azione generosa e fiduciosa del seminatore che sparge il seme con abbondanza, senza risparmio e senza selezionare alcun tipo di terreno. Con chiara evidenza il riferimento è all‟agire singolare di Dio che i testi sacri, sin dalle prime pagine, ci mostrano caratterizzato da un fitto dialogo intessuto con l‟uomo, in cui la Parola che giunge dall‟alto è fonte di vita, di benedizione, di grazia. L‟intera storia della salvezza può essere riletta come storia di una Parola che Dio non ha mai fatto mancare al suo popolo quale segno del suo amore gratuito, incondizionato, generoso. È una Parola che ha la consistenza di un agire concreto e che si realizza lì dove essa viene accolta compiendo quanto promette. Il mistero di Cristo, Parola fatta carne, costituisce il pieno compimento di questa storia che rivela come, nel “Verbo fattosi povero” - Verbum abbreviatum - dell‟incarnazione e del mistero pasquale, Dio ha parlato a noi attraverso l‟umanità del Figlio e, nella forza dello Spirito, ha raggiunto ogni uomo e ogni donna di ogni tempo. La comunità cristiana è essa stessa uno dei frutti più preziosi della Parola, germogliato sull‟albero pasquale del Crocifisso risorto, e cresciuto attraverso l‟annuncio su Gesù reso dai primi testimoni e credenti in lui. Da quel momento originario, la Chiesa non ha mai smesso di continuare a tessere la trama della propria vicenda nella storia attraverso l‟intreccio con la Parola che Dio continua a rivolgere al suo popolo e che la stessa comunità è chiamata a seminare nei solchi della vita del mondo. Si tratta di un grande dono e di un‟esigente responsabilità in ordine alla missione che la Chiesa ha ricevuto dal Risorto e che si sostanzia anzitutto in un impegno costante a far brillare la centralità della Parola nella vita della Chiesa e dei singoli credenti. Dal gesto sconsiderato e generoso del seminatore della parabola, abbiamo da imparare che la Parola di Dio, nella sua forza e debolezza, non può essere costretta al silenzio. Sembra paradossale, ma è proprio così. Quella Parola che ha la stessa forza di Colui che la pronuncia è al contempo irrimediabilmente debole perché si affida alle nostre parole umane per essere detta. Quando queste vengono a mancare o quando si riducono gli spazi nei quali la Parola possa risuonare, la sua forza è drammaticamente indebolita, mentre prendono piede, al suo posto, la chiacchiera, la cronaca, il pettegolezzo, le opinioni e le tante altre forme nelle quali le vuote parole umane si dicono. Perché le nostre comunità non vengano corrose dal tarlo di parole senza senso, abbiamo bisogno di ricreare ampi spazi di gratuità, nei quali la Parola possa risuonare quale dono e segno dell‟assoluto di Dio e della precedenza necessaria della sua azione rispetto ad ogni possibile risposta umana. Alla luce di questa consapevolezza, è urgente per la nostra comunità diocesana rivolgere uno sguardo fiducioso e profondo alla sua vita, ai suoi programmi pastorali, alle sue iniziative, per verificare di fatto la loro relazione essenziale con la Parola da annunciare. Nel solco del piano triennale, che ci vede impegnati a ripensare l‟iniziazione cristiana e le sue forme di attuazione nell‟ambito delle nostre comunità ecclesiali, è quanto mai opportuno 8
considerare come, ancor prima di ogni esperienza dai contorni sacramentali, la vita cristiana è iniziata alla fede attraverso l‟articolazione di risposte esistenziali ad un annuncio ricevuto. Senza questo legame vitale con la Parola di Dio, del resto, è molto facile registrare deviazioni delle pratiche cristiane in forme che hanno il sapore del devozionalismo, del moralismo, di una spiritualità evanescente, di una fede che spesso si confonde con la magia e la superstizione, di una vita cristiana legata a forme sopravvissute di tradizionalismo. L‟elenco potrebbe continuare ancora a lungo perché molte altre potrebbero essere le scorciatoie di un‟esperienza di fede che prescinde dalla relazione fondamentale, personale e comunitaria, col Dio che in Cristo si è fatto Parola vivente per ogni uomo. Nel nuovo anno pastorale, dando seguito al cammino iniziato, vogliamo impegnarci a ricollocare, al cuore delle nostre comunità, la Parola di Dio quale sorgente dinamica dell‟esistenza dei singoli e del noi ecclesiale. Desidero con voi immaginare le nostre parrocchie, i santuari e tutti gli altri luoghi, nei quali la nostra fede viene celebrata e vissuta, come spazi nei quali risuona con abbondanza la Parola, condivisa ogni giorno, non solo la domenica, anzitutto nel convito eucaristico. Ma vorrei andare ancora oltre nel sognare insieme a voi che l‟Eucarestia, celebrata nel giorno del Signore, possa essere preparata attraverso un ascolto infrasettimanale della Parola liturgica della domenica, perché questa possa scandire davvero la vita della comunità e dei singoli. È proprio questa Parola che ci raduna, che ci fa Chiesa, non i nostri impegni personali e associativi, le nostre mansioni, le nostre relazioni. Alcune proposte concrete per dare seguito a queste riflessioni: Riconoscere e accogliere l‟assoluto di Dio che si fa Parola e presenza nella nostra vita chiede alle nostre comunità di dare forma ad occasioni di “feconda inoperosità” per lasciar emergere il primato dell‟azione divina. Mi riferisco alle iniziative di soste prolungate e programmate davanti all‟Eucarestia o di lettura orante della Parola di Dio. Nel solco del Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona, suggerisco: la lettura integrale del Vangelo di Marco in occasione dei primi venerdì di mese l‟adorazione eucaristica nei giovedì vocazionali con un‟attenzione ai testi biblici delle grandi figure di chiamati (Abramo, Mosè, Isaia, Maria, Pietro, Paolo …) l‟adorazione eucaristica mensile per le confraternite in un giorno definito l‟adorazione notturna per ammalati e anziani in casa la “tenda dell‟adorazione” per i giovani in qualche chiesa centrale delle nostre città la frequentazione del Monastero delle Clarisse per soste di ascolto orante della Parola, per tempi prolungati di ritiro spirituale … Una Parola diffusa Il gesto del seminatore della parabola non conosce limiti. Egli distende il suo braccio con generosità nell‟intento di coinvolgere con la sua semina tutti i tipi di terreni. Non teme lo spreco, non bada alla quantità. Anzi, semina senza misura, forte della fiducia che egli nutre nelle capacità del seme e nelle possibilità dei terreni, anche di quelli meno promettenti. La sua liberalità rivela la fecondità nascosta nella piccolezza del seme e la certezza che questo può cadere davvero dovunque. 9
Il racconto parabolico aiuta a leggere l’eccedenza dell’agire divino: da sempre Dio semina negli innumerevoli linguaggi con cui il parlare all‟uomo può essere comprensibile. E così Dio si rende parola udibile nelle parole della creazione, nei segni della natura, nella comune ricerca religiosa dell‟umanità, nell‟esperienza dell‟Israele credente, perfino nello spazio di vita di chi arriva a negare Dio. La stessa parabola ci conduce fino al cuore dell’esistenza di Gesù. Come un seme, la sua vita, Parola fatta evento, è caduta sul terreno del cuore di Pietro e degli altri discepoli, sul cuore duro e indifferente degli scribi e dei farisei, sul cuore guarito di Zaccheo e di Maria Maddalena, sul cuore soffocato dalle spine del giovane ricco, sul cuore vergine di Maria sua Madre. Come un seme, la sua vita è precipitata e marcita nel buio e nella tenebra della morte, rifiorendo come germoglio di vita e di resurrezione per tutti. La vicenda personale di Gesù interpella di conseguenza lo stile della comunità ecclesiale alla quale il Signore risorto ha affidato la cura e la responsabilità dei primi germogli venuti alla luce dalla sua Pasqua. La Chiesa, così, seguendo il suo Maestro, è chiamata a dare futuro al gesto generoso del seminatore, perché la Parola possa raggiungere davvero tutti, indipendentemente dall‟atteggiamento di interesse o di indifferenza e superficialità dei destinatari. La parabola marciana, del resto, ci fa capire una cosa fondamentale: che la grazia della semina precede ogni disponibilità o indisponibilità dei terreni. Proprio così: la fede cristiana è dell‟ordine di ciò che è sorprendente, è essa stessa una sorpresa. Ha un carattere di eccedenza, un «di più» gratis che coglie di sorpresa sia chi è disposto ad accogliere, sia chi non lo è. Il regno di Dio è per tutti e per tutti è sempre un dono. In tal senso, le nostre comunità, chiamate a vivere in un mondo che si va facendo sempre più plurale, proprio in nome di una Parola che per loro tramite deve poter essere rivolta a tutti, hanno il compito di riconoscere la pluralità delle storie che segnano la vita delle persone, perché l‟annuncio possa raggiungere il cuore delle loro domande, del loro bisogno di vita e mostrare il volto generoso del vangelo per una vita buona in tutte le sue vicende. Non può più bastare, dunque, un annuncio della Parola uguale per tutti. Né può rasserenarci una serie di proposte che continuano ad intercettare soltanto e ancora i soliti credenti, che hanno già ricevuto la grazia dell‟annuncio e che già vivono la comunione ecclesiale. Ci sono tante altre situazioni di vita che chiedono alle nostre comunità di saper abitare la soglia, in modo da poter incrociare storie e volti portatori di domande tra le quali, in alcuni casi, può sorgere anche quella della fede. La terza nota CEI sull‟iniziazione cristiana ci offre un ampio elenco di queste situazioni, di fronte alle quali le nostre comunità non possono restare indifferenti: battezzati che hanno avviato la loro ricerca di senso in altre religioni o esperienze religiose; sollecitazioni provenienti da avvenimenti casuali, quali la lettura di un libro, una celebrazione liturgica, una conversazione; esperienze di volontariato e di solidarietà; la ricerca di lavoro, l‟avvio della vita affettiva e la prospettiva di costruire una famiglia; l‟esperienza traumatica della solitudine, della sofferenza e della morte; la domanda dei sacramenti per i figli, la decisione di celebrare il matrimonio in chiesa; una serie di passaggi problematici: una malattia personale o di un familiare, difficoltà a livello professionale, una crisi coniugale, un improvviso trasferimento che muta radicalmente la vita e le relazioni, momenti di fatica esistenziale, la morte di una persona cara (cfr. Orientamenti per il risveglio della fede e il completamento dell’iniziazione cristiana in età adulta, nn. 10-13). Sono solo alcune delle situazioni che oggi interpellano le comunità in ordine all‟annuncio di parole di Vangelo che siano capaci di illuminare gli interrogativi profondi che si agitano nel cuore delle persone e che toccano le strutture portanti della loro esistenza. Di fronte a queste 10
domande, fuori dalla logica di risposte preconfezionate, c‟è bisogno di esibire la sovrabbondanza di un amore che ha l‟origine in Dio e che, nella forza della Parola, ha la capacità di raggiungere ogni storia e situazione di vita, anche le più disperate, quelle per le quali ogni parola umana ha ceduto il posto al silenzio dell‟irrimediabile e del finito. Penso all‟handicap e alle nuove lebbre, alla guerra e (alle violenze subite) alla morte. Alcune proposte concrete per dare seguito a queste riflessioni: Perché le nostre comunità non disattendano questo compito di evangelizzazione, c‟è bisogno di quel coraggio evangelico necessario per uscire dalla strettoia di pratiche abitudinarie e ormai ripetitive. Perché, magari in seno al Consiglio Pastorale, non disegnare una mappa sulla situazione reale della parrocchia, in modo da rendersi conto dei contesti dove collochiamo tradizionalmente la proposta del Vangelo e dove da tempo siamo del tutto assenti? Potremo accorgerci, ad esempio, che le nostre parrocchie lasciano aperta spesso una sola porticina: quella dell‟iniziazione cristiana dei figli. Su tutto il resto, la comunità resta spesso muta. La Parola diffusa che Dio affida alla sua Chiesa chiede di abitare la pluralità di situazioni della gente di oggi, tutte degne del Vangelo perché per tutte il Vangelo mantiene la sua forza di grazia. Prendere sul serio l‟annuncio della Parola come rivolto a tutti chiede il coraggio di piccoli passi che permettano al vangelo di varcare la soglia del tempio per incontrare le domande degli uomini e delle donne di oggi. In particolare è chiesto uno stile di Chiesa capace di ospitare esperienze di ascolto e di confronto, oltre quelle che assumono forme istituzionalizzate. In particolare proporrei di cercare insieme: forme di coinvolgimento delle famiglie nei percorsi di iniziazione alla fede dei propri figli percorsi interparrocchiali e diocesani di ascolto della Parola per ricomincianti, per chi vive situazioni di crisi matrimoniali, per i divorziati risposati, per chi vive nello stato di vedovanza, … occasioni culturali di confronto e di dialogo sui temi della fede, sui valori umani, sulla dignità di ogni persona e di ogni popolo, … iniziative di ascolto comune della Parola in contesti di carattere ecumenico. Una Parola paziente Caduto nella terra, comincia per il seme il suo travaglio. Deve fare i conti con un terreno che non sempre gli è favorevole. Deve misurarsi con l‟ostilità della sua nuova dimora, lasciandosi marcire per generare vita nuova. La vicenda del seme rimanda direttamente a quella del seminatore. Anch‟egli vive il dramma del seme e la sua fiduciosa certezza conosce il passaggio stretto e angusto della pazienza che è antidoto contro ogni forma di insuccesso o di resistenza del terreno alla semina. Ancora una volta la parabola ci consegna un‟istantanea sulle virtù del seminatore la cui pazienza riecheggia un tratto singolare dell‟agire di Dio che Gesù stesso ha portato al più grande svelamento nel mistero pasquale. La pazienza di Dio è, in tal senso, uno dei segni più evidenti del suo amore, più forte di ogni rifiuto, più tenace di ogni dolore. A differenza di un Dio impassibile che la ragione umana ha spesso tentato di descrivere, il Dio di Gesù Cristo conosce il pathos di un 11
amore che è negazione di ogni possibile indifferenza, capace della più radicale fedeltà anche di fronte al più drammatico tradimento. Non si può, a tal proposito, tralasciare una formidabile riflessione sul nostro tema che Benedetto XVI consegnò alla Chiesa nell‟omelia di inizio del ministero petrino, il 24 aprile 2005. In quell‟occasione egli ebbe a dire: «Non è il potere che redime, ma l‟amore! Questo è il segno di Dio: Egli stesso è amore. Quante volte noi desidereremmo che Dio si mostrasse più forte. Che Egli colpisse duramente, sconfiggesse il male e creasse un mondo migliore. […] Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori. Il mondo è redento dalla pazienza di Dio e distrutto dall‟impazienza degli uomini». Il seminatore della parabola pazientemente sa dare tempo al seme e ai terreni, ha messo in conto anche un possibile fallimento, non è precipitoso. Sa proiettarsi su tempi lunghi, non si lascia sopraffare dalla logica del “tutto e subito”. La sua pazienza è sinonimo di magnanimità, caratteristica, questa, che contraddistingue l‟agire del Signore il quale – ci avverte Pietro nella seconda lettera - è «magnanimo con voi, perché non vuole che alcuno si perda, ma che tutti abbiano modo di pentirsi» (3,9). Nella storia di questo contadino, dunque, sono descritti i tratti dell‟agire di Dio, ma è anche indicato uno stile tutto evangelico di essere Chiesa. Se essa, del resto, ha il compito di portare avanti nella vicenda del mondo la faticosa semina della Parola, deve opportunamente fare proprie quelle virtù che caratterizzano l‟operato del seminatore della parabola. La pazienza e la magnanimità di Dio che dona con abbondanza e diffusamente il seme della sua Parola, esponendosi al rischio del rifiuto e a processi di crescita che richiedono tempi lunghi, devono poter essere virtù coltivate anche dalla comunità ecclesiale. A tal proposito, le immagini del seminatore che attende e del seme che vive il travaglio della crescita portano il mio pensiero ai cammini di formazione che nella nostra Chiesa diocesana abbiamo attivato in questi ultimi anni, e particolarmente l‟anno appena trascorso. Riflettendo sulle caratteristiche che devono avere i nostri processi formativi, ci siamo detti che non possiamo accontentarci di una prospettiva solo di carattere informativo. In altri termini, non possiamo ritenere come formazione quella che è tutt‟al più solo informazione. Puntiamo, piuttosto, a cammini formativi che siano in grado di innescare processi di trasformazione, di conversione, di cambiamento. Su questa linea siamo confortati quest‟anno dalla parola evangelica che ci porta a scommettere ulteriormente su proposte formative che non risparmiano la fatica e il travaglio di un ripensamento, di un rinnovamento della vita nelle nostre comunità, nei gruppi ecclesiali, nei singoli credenti. La pazienza e la magnanimità del seminatore mi fanno pensare che la formazione, più che una collezione di iniziative pur lodevoli, deve poter rappresentare uno stato permanente che tiene desta la nostra attenzione e la nostra cura sui germogli nuovi che possono maturare nelle comunità, nei gruppi, nei singoli. Sul solco di questa convinzione condivisa, desidero che nella nostra comunità diocesana si attivino percorsi differenziati di formazione che tengano in conto la maturazione della vita personale di ciascuno unitamente allo sviluppo delle competenze in ordine ad un servizio ecclesiale di qualità. Penso, in primo luogo, ai presbiteri, pastori e guide delle nostre comunità parrocchiali. Dal loro desiderio di vivere il ministero in stato di formazione permanente dipende sovente la qualità formativa e di vita cristiana del popolo di Dio affidato alle loro cure pastorali. Nello specifico, penso a come il rapporto costante e profondo con la Parola di Dio possa dare forma (formare) alla nostra vita di credenti e di pastori. In questo anno, condotti per mano dal 12
tema “Seminare la Parola”, potremo donarci itinerari formativi nei quali verificare e ripensare il modo con cui frequentiamo e utilizziamo la Scrittura per la nostra vita spirituale, soprattutto nell‟esercizio del ministero. La preparazione rigorosa dell‟omelia, soprattutto quella domenicale, la lectio divina personale e comunitaria, le catechesi su temi biblici nei tempi forti dell‟anno liturgico restano non solo compiti ministeriali ma anche e soprattutto occasioni formative per gli stessi presbiteri. Accanto ai presbiteri, penso agli itinerari formativi dei religiosi e delle religiose, degli operatori pastorali e di quanti, da semplici battezzati, desiderano dare una forma credente alla loro esistenza. Sentiamoci tutti coinvolti nel portare avanti le intuizioni formative che già nella lettera La sabbia e la roccia l‟anno scorso ho avuto modo di consegnare all‟intera Chiesa diocesana. Sulla formazione condivisa tra presbiteri, religiosi e laici, sugli itinerari specifici di formazione per i catechisti, gli animatori della liturgia, gli operatori della Caritas avremo ancora modo di ritornare e di lavorare insieme. Alcune proposte concrete per dare seguito a queste riflessioni: Desidero richiamare all‟attenzione dei presbiteri, dei religiosi e delle religiose, degli operatori pastorali e dei laici della nostra Chiesa diocesana alcune opportunità formative da non trascurare nel nostro cammino ecclesiale e personale. In particolare proporrei: ritiri spirituali per i Laici – oltre che per il Clero e per le Religiose - che scandiscano i passi dell‟anno liturgico appuntamenti di formazione diocesana che ci aiutino a maturare sempre meglio un comune sentire ecclesiale la verifica e la continuazione della scuola di formazione per operatori pastorali altre iniziative dei singoli uffici pastorali utili a riproporre la “Parola paziente di Dio”. Una Parola efficace Il seme caduto sulla terra buona produce un frutto sorprendente, esorbitante, superiore ad ogni possibile aspettativa: il trenta, il sessanta, il cento per uno. Quasi un‟esagerazione si direbbe. Una sproporzione del genere non può che appartenere all‟agire di Dio, lui che dal nulla ha creato tutto e sa trarre dalla morte la vita. La parabola, a questo punto, ci rimanda alla potenza della Parola che ha in sé la forza di creare e di realizzare quanto promette. Riecheggiano le parole che Dio pronuncia per bocca del profeta Isaia: «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l‟ho mandata» (55,10-11). Cristo ha realizzato in pienezza nella sua esistenza tutte le potenzialità della Parola annunciate dalle pagine bibliche e in particolare dalla profezia isaiana: il suo mistero pasquale è la testimonianza compiuta dell‟efficacia di una parola-evento che Dio pronuncia attraverso la vita crocifissa e risorta del suo unico Figlio, nella quale si attua il dono della grazia e della salvezza per ogni uomo. 13
La Chiesa nasce dall’efficacia di quella Parola che si fa, nell‟oggi della storia, annuncio e celebrazione dell‟opera di salvezza che Dio continua a realizzare nel mondo. Quella parola-evento assume la forma del sacramento, gesto e dono che realizza le promesse di vita buona e di grazia. Siamo così condotti al cuore della vita della Chiesa, la quale nei santi segni sacramentali rende presente ed attuale l‟efficacia della Parola eterna di Dio, che vuole raggiungere, accompagnare e sostenere la vita dei credenti. Nel cammino triennale della nostra Chiesa diocesana ci stiamo interrogando circa le pratiche di iniziazione cristiana in uso e i percorsi che le preparano oltre che gli itinerari che ne derivano. Si potrebbe sempre essere tentati di pensare che l‟efficacia sacramentale non dipenda in fondo dai nostri cammini di preparazione; per tale ragione verrebbe da dire che non è il caso di impegnarsi in processi di ripensamento degli stessi. L‟azione della grazia, del resto, non muta in rapporto al rinnovamento degli itinerari preparatori. Senza dubbio il primato dell‟azione di Dio non conosce condizionamenti umani. Tuttavia, sarebbe un grave inganno sottovalutare tutti i passi previ che la comunità cristiana può e deve compiere per preparare l‟incontro sacramentale come un appuntamento che rappresenta, per chi lo celebra, un passaggio fondamentale della vita. Alla luce del cammino compiuto dalla Chiesa italiana in questi ultimi anni a proposito dell‟iniziazione cristiana, abbiamo bisogno nella nostra comunità diocesana di riscoprire il valore ecclesiale di queste pratiche, grazie alle quali il tessuto vitale delle nostre parrocchie può essere rigenerato. Nei piani pastorali per questo decennio, Educare alla vita buona del Vangelo, a tal proposito i vescovi italiani scrivono: «L‟iniziazione cristiana mette in luce la forza formatrice dei sacramenti per la vita cristiana, realizza l’unità e l’integrazione fra annuncio, celebrazione e carità, e favorisce alleanze educative. Occorre confrontare le esperienze di iniziazione cristiana di bambini e adulti nelle Chiese locali, al fine di promuovere la responsabilità primaria della comunità cristiana, le forme del primo annuncio, gli itinerari di preparazione al battesimo e la conseguente mistagogia per i fanciulli, i ragazzi e i giovani, il coinvolgimento della famiglia, la centralità del giorno del Signore e dell‟Eucaristia, l‟attenzione alle persone disabili, la catechesi degli adulti quale impegno di formazione permanente» (n. 54). Dopo l‟anno dedicato al Battesimo, in questo nuovo anno ci impegneremo a rivisitare il sacramento della Confermazione, verificando i percorsi di catechesi che precedono la sua celebrazione, interrogandoci circa i tempi e le modalità di accesso allo stesso, pensando insieme il post Cresima. È sotto gli occhi di tutti che si avverte un disagio diffuso per i non pochi insuccessi registrati con i ragazzi preparati per il sacramento della Confermazione. Una situazione simile si rileva anche con gli adulti, molti dei quali si accostano al sacramento solo perché invitati al compito di padrini e madrine o perché cominciano a pensare al loro matrimonio. Lo slogan che lo presenterebbe come il “sacramento dell‟addio”, dunque, non si discosta troppo dalla realtà dal momento che fotografa una prassi purtroppo abbastanza consolidata. Le ragioni da valutare sono diverse e non sono a disposizione soluzioni precostituite. Solo un cammino condiviso potrà aiutarci a intravedere vie praticabili per rinnovare gli itinerari di preparazione al sacramento e per individuare percorsi che, nel post Cresima, accompagnino a maturare attraverso scelte di vita la grazia ricevuta. Alcune proposte concrete per dare seguito a queste riflessioni: Continuando il lavoro avviato sull‟iniziazione cristiana, in questo anno presteremo una particolare attenzione ai nodi problematici che nelle nostre comunità parrocchiali rileviamo in rapporto al sacramento della Confermazione. Sarebbe auspicabile che in ogni parrocchia della 14
diocesi si potesse compiere una verifica sui diversi aspetti che riguardano la preparazione e la celebrazione della Cresima, per portare all‟evidenza gli snodi sui quali lavorare per un eventuale rinnovamento della prassi. Sarebbe opportuno che: - l‟ufficio catechistico, il centro diocesano vocazioni, il servizio di pastorale giovanile e l‟ufficio di pastorale familiare potessero lavorare insieme su una traccia tematica che riguardi gli itinerari di preparazione alla Confermazione, in modo da poterla consegnare a tutte le parrocchie quale percorso orientativo per la catechesi. - questi uffici, accanto ai percorsi classici di catechesi, elaborino un itinerario alternativo che, in via sperimentale, provi ad affrontare, a livello vicariale, con soluzioni possibili, i nodi problematici della prassi attuale. Una Parola fedele Il seminatore non semina in una sola stagione, ma sempre. La sua è una fedeltà al seme e alla terra che non conosce soste o momenti di riposo. È consapevole che i terreni potranno far germogliare i frutti solo se raggiunti dalla potenza di vita nascosta nella piccolezza del seme. Per questa ragione egli continua con generosità a coltivare la terra, a disporla per la semina, a ricoprirla di un‟abbondante quantità di semi. La sollecitudine del contadino della parabola rievoca uno dei tratti peculiari con cui le pagine bibliche, fin dalle prime battute, hanno sempre descritto il Dio d‟Israele il cui volto ci è stato svelato compiutamente nella persona di Gesù, nella sua parola e nelle sue azioni. Questo aspetto è sicuramente la fedeltà di Dio alla creazione, alla sorte di un popolo, alla storia del mondo, alla vicenda di ogni uomo. A voler rileggere da questa prospettiva tutta la rivelazione biblica che in Cristo ha conosciuto il momento più alto della sua manifestazione, potremmo dire che altro non è se non la storia della fedeltà di Dio alle sue promesse. Come un seme caduto nei solchi della storia dell‟umanità, questa fedeltà ha generato e ancora oggi genera germogli di fedeltà nella vicenda degli uomini. Solo da questa fedeltà di Dio, resistente come una roccia e feconda come una terra buona, possono fiorire frutti di fedeltà nella vita dei credenti. L‟immagine del seminatore fedele ci fa compiere un ultimo passo nella nostra riflessione in riferimento alla vita della nostra Chiesa diocesana. In questo anno saremo chiamati ad interrogarci sul senso di una «fede adulta» verso la quale tutti tendiamo. In fondo è adulta quella fede che si radica nella fedeltà di Dio e da questa si lascia modellare per scelte di fedeltà nella vita. Risuonano ricche di suggestioni, a tal riguardo, alcune parole dell‟omelia pronunciata dall‟allora cardinale Joseph Ratzinger nella Messa Pro eligendo Pontifice, celebrata nella Basilica Vaticana il 18 aprile 2005: «“Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l‟ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell‟amicizia con Cristo. È quest‟amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede - solo la fede - che crea unità e si realizza nella carità». Se l‟amicizia di Cristo è il dono della sua fedeltà a noi, il corrispondervi con la vita, per quanto sia possibile, è il cammino da percorrere perché la nostra fede proceda verso la maturità. In questo dialogo è scritto il programma di vita che deve scandire l‟esistenza di tutti i credenti perché la fede possa diventare davvero il centro organizzatore dell‟esistenza. A nulla servirebbe, del resto, 15
una fede relegata ai margini della vita, come qualcosa di giustapposto al resto o come relegato in qualche angolo di condotta o di emotività. La fede adulta è tale perché capace di vivere la fedeltà a Dio con «sapienza», esercitandosi cioè nella capacità di giudicare, discernere, orientarsi nella vita secondo Dio. Penso ai Ministri ordinati, per i quali il sacramento dell‟Ordine ricevuto è stato solo l‟inizio di un intreccio di fedeltà tra Dio e la vita di ciascuno di noi. A quell‟inizio occorre dare seguito ogni giorno, avendo cura di coltivare l‟amicizia con Cristo come quell‟unico seme che è capace di far crescere nella nostra esistenza ministeriale germogli di fedeltà a Dio, al suo popolo, alla storia. Il mio pensiero va pure a coloro che vivono una singolare esperienza di fedeltà attraverso la scelta coraggiosa di condividere la vita nel matrimonio. Il vostro amore, cari coniugi, è stato reso da Cristo segno sacramentale della sua fedeltà a voi. Abbiate cura di custodire gelosamente il seme forte e al contempo debole dell‟amore di Dio per voi, difendendolo dai rovi e dai sassi della vita che potrebbero soffocare quella sorgente inesauribile di fedeltà dalla quale riceve nutrimento il vostro amore fedele. Ai consacrati, Religiosi e Religiose, che testimoniano la fedeltà irrevocabile di Dio alle sue promesse, chiediamo di mostrarci con la loro scelta di vita l‟orizzonte ultimo e glorioso verso il quale la vita dei credenti e del mondo è orientata. Penso a quanti sperimentano la prova del dolore, fisico e spirituale, la sofferenza di fronte a forme di abbandono, la fatica di continuare a credere nella fedeltà nonostante tutto, la debolezza di una vita che non ha voglia di ricominciare. La storia del seminatore, narrata da Gesù nella parabola, invoca la fiducia da parte di ogni terreno a lasciarsi raggiungere dal seme, qualunque sia la propria condizione. Nell‟energia presente in ogni piccolo seme è raccontata l‟eccedenza e l‟irrevocabilità della fedeltà di Dio ad ogni storia di vita. Solo contando su questa fedeltà è possibile far rifiorire la propria esistenza. Ai giovani, infine, direi di non scoraggiarsi di fronte alla cultura attuale, soprattutto mediatica, che propone modelli di vita ispirati alle “fedeltà temporanee”, preoccupati solo di soddisfare il presente, senza memoria e senza progetto. La parabola del seminatore chiama voi giovani alla fiducia nella graduale conquista di una fedeltà fatta di tenerezza e di misericordia, di tenace fiducia nella Parola di Colui che, gettando il seme nelle nostre vite, si fa nostro primo Educatore; Lui non ci lascia mai soli nei percorsi di crescita e di raggiungimento della meta. In particolare vorrei anche incoraggiarvi a coltivare sentieri di comunione e di servizio: solo così, rendendovi disponibili ai fratelli più fragili e poveri, gusterete l‟esperienza del Dio fedele, capace di trasformare ogni debolezza in percorsi di appagamento e di felicità; conoscerete che Gesù è la via della bellezza e della pace, il solo che può fare della vostra vita un capolavoro di umanità e di santità. Solo Cristo, l‟amico fedele, tira fuori da voi il meglio di voi e vi rende “seminatori della Parola” in mezzo ai giovani. Tutto questo lo dico in particolare a voi ragazzi e adulti che vi preparate alla Cresima. Affido a tutti voi questa preghiera, ricevuta dai giovani del Congresso Eucaristico Nazionale, affinché ispiri la vostra ricerca di identità e di servizio. Signore, anche oggi Tu ci hai affidato la tua Parola, grande dono di un sorprendente Donatore. Aiutaci a dare vita alla tua Parola abbondante e a diffonderla come seme di nuova speranza 16
nelle nostre azioni, dentro il nostro lavoro, tra le nostre amicizie, perché tutti siamo arricchiti e salvati. Signore, la tua Parola paziente ed efficace sia Parola di futuro per chi si chiude nel suo presente e lo banalizza; Parola di speranza per chi non attende più nulla dalla sua vita e da quella degli altri; Parola di perdono per chi ha sbagliato e più non crede alla tua misericordia. Rendici, o Signore, come Maria, responsabili della tua Parola fedele! Amen. (libero adattamento da Spazio giovani, XXV Congresso Eucaristico Nazionale, Ancona 2011, p. 165) 17
Conclusioni L‟intuizione dell‟artista Ferruccio Ferrazzi ci invita a vivere il nuovo anno nell‟appassionato ascolto della Parola di Cristo che ci raggiunge anche in questo tempo di grande difficoltà a livello mondiale, nazionale e locale. Gesù, Parola donata da Dio, abbondante e paziente, efficace e fedele, ci apre alla speranza e alla responsabilità. La vicinanza di Maria ci aiuti ad ascoltare ogni sua Parola, ad accoglierla e a farla fruttificare nei vari campi della convivenza ecclesiale e civile, della missione educativa e sociale della nostra Chiesa. Castellaneta, 14 settembre 2011 Esaltazione della Santa Croce Pietro M. FRAGNELLI 18
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