Sebastião Salgado, Amazonia - Diatomea.net

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Sebastião Salgado, Amazonia
È sabato mattina ed è una assolata e calda giornata a Roma,
così, dopo due anni pressoché barricata dalla pandemia, mi
concedo una mostra fotografica. Il Maxxi è vicino casa, posso
evitare i blocchi del traffico legati al G20 che si sta
svolgendo presso la Nuvola di Fuksas e concedermi l’ultimo
progetto fotografico di Sebastião Salgado, Amazonia, unica
tappa italiana che potrà essere visionata fino al 13 febbraio
2022.

Dopo i controlli del green pass e della temperatura accedo al
primo piano attraverso una porta che immette subito in uno
spazio buio. L’idea, come ci spiega Lélia Wanick Salgado (sua
la curatela e il progetto di allestimento) è di mantenere
l’area della mostra quasi completamente al buio, puntando la
luce soltanto in direzione delle fotografie. Le pareti sono
grigio scuro mentre spazi che ricordano le ocas (tipiche
abitazioni indigene) sono dipinte con dell’ocra rossa.

Il contraccolpo è notevole, in sottofondo una traccia audio
composta appositamente da Jean-Michel Jarre, ispirata ai suoni
autentici della foresta, come il fruscìo degli alberi, i versi
degli animali, il canto degli uccelli o il fragore dell’acqua
che cade a picco dalle montagne.

Dopo il progetto Genesi, dedicato alle regioni più remote del
pianeta per testimoniarne la maestosa bellezza, Salgado ha
intrapreso una nuova serie di viaggi per catturare
l’incredibile ricchezza e varietà della foresta amazzonica
brasiliana e i modi di vita dei suoi popoli, stabilendosi nei
loro villaggi per settimane e fotografando i diversi gruppi
etnici.

La foresta dell’Amazzonia occupa infatti un terzo del
continente sudamericano, un’area più estesa dell’intera Unione
Europea. Questo progetto è durato sei anni durante i quali ha
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selezionato una troupe di studiosi, ricercatori, intermediari
con le tribù (lo stesso figlio di Salgado ha scelto questa
come missione), e ha optato per un’attrezzatura il più leggera
possibile: da anni è passato al digitale affiché nulla potesse
distoglierlo dall’obiettivo finale, che è testimoniare,
raccontare attraverso l’uso di un telone neutro avvolto nella
tela cerata per fotografare gli indigeni senza alcuna
prosopopea naturalistica ad interferire.

Sono esposte più di 200 fotografie che propongono
un’immersione totale nella foresta amazzonica, invitandoci a
riflettere sulla necessità di proteggerla.

La mostra è divisa in due parti. Nella prima le fotografie
sono organizzate per ambientazione paesaggistica, con le
sezioni che vanno dalla Panoramica della foresta in cui si
presenta al visitatore l’Amazzonia vista dall’alto, a I fiumi
volanti, una delle caratteristiche più straordinarie e allo
stesso tempo meno conosciute della foresta pluviale, ovvero la
grande quantità d’acqua che si innalza verso l’atmosfera.
Tutta la forza, a volte devastante, delle piogge è raccontata
in Tempeste tropicali, mentre Montagne presenta i rilievi
montuosi che definiscono la vita del bacino amazzonico. Si
prosegue con la sezione La foresta, un tempo definita “Inferno
Verde”, oggi da vedere come uno straordinario tesoro della
natura, per finire con Isole nel fiume, l’arcipelago che
emerge dalle acque del Rio Negro. La seconda parte è dedicata
alle diverse popolazioni indigene immortalate da Salgado nei
suoi numerosi viaggi, come gli Awá-Guajá, che contano solo 450
membri e sono considerati la tribù più minacciata del pianeta,
agli Yawanawá, che, sul punto di sparire, hanno ripreso il
controllo delle proprie terre e la diffusione della loro
cultura, prosperando, fino ai Korubo, fra le tribù con meno
contatti esterni: proprio la spedizione di Salgado nel 2017 è
stata la prima occasione in cui un team di documentaristi e
giornalisti ha trascorso del tempo con loro.

Attirando l’attenzione sulla bellezza incomparabile di questa
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regione, Salgado vuole accendere i riflettori sulla necessità
e l’urgenza di proteggerla insieme ai suoi abitanti.

La mostra mette in evidenza la fragilità di questo ecosistema,
mostrando che nelle aree protette dove vivono le comunità
indiane, guardiani ancestrali, la foresta non ha subito quasi
alcun danno e ci invita a vedere, ascoltare e a riflettere
sulla situazione ecologica e la relazione che gli uomini hanno
oggi con essa.

Mette    in   evidenza    Salgado:    “La   responsabilità
della distruzione dell’Amazzonia riguarda il pianeta intero,
perché quello è uno spazio minacciato da troppi anni –
aggiunge – complice un governo terribile che non rispetta
nulla. I problemi c’erano già prima del presidente Bolsonaro,
una persona orrenda che non rispetta l’ambiente né gli indios.
Quando è andato al potere, era stato già distrutto il 18% di
quello spazio naturale. Queste foto – continua – sono nate
perché ero convinto di essere in paradiso e avevo il dovere di
testimoniare tutta quella bellezza, ma tutte insieme vogliono
essere così la testimonianza di ciò che resta di quel
patrimonio immenso che rischia di scomparire. Spetta a ogni
singolo essere umano del pianeta prendere parte alla sua
tutela affinché la vita e la natura possano sottrarsi a
ulteriori episodi di distruzione e depredazione”

Questa progetto-manifesto ci ricorda che l’Amazzonia, la più
grande foresta pluviale del pianeta, rappresenta la maggiore
riserva di CO2 e la più ricca concentrazione di biodiversità
al mondo. Per questo è da considerarsi un bene di tutti, un
bene comune da preservare e difendere.

Vorrei chiudere invitandoVi a vedere questa magnifica mostra
ma anche ricordando che proprio oggi avrà inizio la Conferenza
delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2021,
conosciuta anche come COP (Conferenza delle Parti) 26. È
l’evento che tutto il mondo attende: a Glasgow, in Scozia, dal
31 ottobre al 12 novembre 2021, quasi tutti Paesi della Terra
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si riuniranno per rinnovare i loro obiettivi in materia di
clima e mettere un nuovo tassello alla battaglia più
importante che l’umanità oggi si trovi ad affrontare. E questa
volta, l’aspettativa è che le parti si impegnino per scopi più
ambiziosi di quelli stabiliti dalla COP21 con l’Accordo di
Parigi.

Molti l’hanno già definita “la migliore, nonché ultima,
opportunità del mondo per tenere sotto controllo le
conseguenze devastanti del climate change”. Solo per rendere
l’idea di quanto questo progetto di Salgado sia centrato ed
attuale, sembra che il presidente Bolsonaro si sia presentato
a questa Conferenza delle Nazioni sul Climate Change Unite con
una delegazione in cui non è figurato alcun indigeno.
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