RITRATTO DI GUIDO BERGAMO - Liceo Canova

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RITRATTO DI GUIDO BERGAMO
INTRODUZIONE

Guido Bertolini, assieme a Pietro Bertolini, è di gran lunga la figura politica montebellunese più
rilevante del Novecento locale. Se Bertolini, veneziano di nascita e montebellunese d’adozione, ha
ricoperto importanti funzioni di governo, Guido è stato il protagonista assoluto di una breve ma
intensissima stagione politica alla quale è approdato partendo da un’identità fortemente locale e
popolare. Non è la sola differenza. Se Bertolini è stato uno degli ultimi leader del liberalismo
storico (peraltro di caratura nazionale), Bergamo è invece stato uno dei primi leader della nuova
politica di massa, seppur in un partito, quello repubblicano, segnato in tutto il suo percorso da una
vocazione laica e minoritaria.
Ciò che entrambi hanno in comune è tuttavia un dato non nuovo per Montebelluna: la rimozione
memoriale. E con ciò si intende segnalare qualcosa di più complesso della dimenticanza. Sotto
questo profilo i loro nomi non sono stati dimenticati; è che, molto semplicemente, non è ben chiaro
a moltissimi che cosa siano stati o abbiano fatto. Questa è la rimozione, ed essa non viene affatto
surrogata dal segno anagrafico della mera conoscenza.
Nel caso di Bergamo un paio di iniziative editoriali, peraltro a grande distanza di tempo l’una
dall’altra, non sono mancate. Si tratta di opere e contributi scientifici che hanno avuto una
circolazione per lo più tra addetti ai lavori. Quel che è mancato è la sistematizzazione scientifica e
di ricerca attorno al nodo politico rappresentato da Bergamo. Un primo capitolo avrebbe potuto
essere il lavoro di Livio Vanzetto, ma esso uscì dalla tipografia quando la presenza politica del
partito repubblicano, partito che sulla memoria di Guido Bergamo aveva continuato a ottenere nel
territorio percentuali elettorali ben superiori a quelle nazionali, era ormai, di fatto, insignificante.
Nessuno riuscì a sostituirsi al traino di partito e le istituzioni culturali della città si accorsero a
malapena della stampa del libro. Nel decennio scorso attorno a Mario e Guido Bergamo si riaccese
l’attenzione e ad essi la città intitolò una scuola e l’auditorium della Biblioteca comunale. Ma il
tentativo di socializzare su vasta scala un bagaglio e una sedimentazione consapevole di memoria
allo scopo di produrre attorno a tali figure un autentico senso comune è stato solo abbozzato.
Dopo la recente ricerca sulla repubblica dei “bergamini” degli anni venti, è ora tempo di riprendere
il discorso. E di farlo ponendo in essere iniziative editoriali anche apparentemente “leggere” come
quella che si presenta. E, tuttavia, bisogna intendersi. Per “leggera” si intende uno strumento
divulgativo in grado di raggiungere chi non ha mai letto un rigo su Guido Bergamo, chi ne ha solo
sentito parlare dallo zio o dal nonno, chi avverte in questo cognome e nome qualcosa di familiare
ma che non sa a cosa ricondurre.
E’ questo lo scopo di questa micro-biografia. Quella di risvegliare l’attenzione e di ridestare ciò
che, a volte, dorme inavvertito nel nostro codice memoriale.
Guido Antonio Bergamo nasce a Montebelluna nella casa di Via Trevignano (ora Via Bergamo) il
26 dicembre 1893, terzo figlio di Luigi Vittorio Bergamo e Virginia Pasqua. Prima di lui erano nati
Rosa Antonia detta Lina (1890-1976), Mario Matteo (1892-1963) e poi l’ultimogenito, Gino Luigi
(1897-1992).
Il padre, Luigi, diventa presto un autentico protagonista della vita pubblica. Personalità cordiale e di
grande intraprendenza, apre un’attività commerciale multiforme, un magazzino-ufficio (“mezzà”)
nel quale circolano merci e contratti, vendite all’ingrosso di prodotti alimentari e polizze
assicurative. Luigi accompagna la sua attività con un’autentica e autodidatta passione per i libri e la
letteratura. Celebrato dicitore e pregevole verseggiatore, trova anche il tempo per dedicarsi anima e
corpo alla comunità. Consigliere comunale dal 1889, membro della Congregazione di Carità (1891-
1898), membro del consiglio di amministrativo del Sindacato Agrario distrettuale, rappresentante
comunale nel Consorzio Brentella, revisore dei conti, delegato scolastico, assessore comunale e vice
sindaco nella straordinaria avventura della “Repubblica di Montebelluna”, l’amministrazione a
guida repubblicana del primo dopoguerra.
Guido e i fratelli crescono quindi tra le preghiere della madre e la passione per gli umili del padre,
tra letture risorgimentali e senso della giustizia sociale. Subito portato per gli studi e la cultura
(come Mario e la sorella Lina, sacrificata tuttavia sull’altare della mentalità del tempo), ha come
maestri i cugini di Augusto Serena (Giocondo, Leopoldo, ma anche Luigi Sernaglia), frequenta il
ginnasio dai Padri Cavanis di Possagno e a 16 anni compie gli studi liceali al Canova di Treviso,
con Bailo e lo stesso Augusto Serena.
A Treviso, assieme a Mario, scopre la politica, o meglio, la passione per le idee del fertile
movimento repubblicano cittadino, al quale entrambi aderiscono affascinati dal pensiero sociale
mazziniano. Sono gli anni della scoperta dell’ineguaglianza sociale, dello sfruttamento, della
necessità dell’intervento attivo e pedagogico:

Imberbe, tracagnotto, piccolotto, grosse spalle, testa quadra, gambe ben piantate, vestito stretto, capello
nero, cravatta levalière…Tale ce lo ricordiamo nei primi anni di studio al Ginnasio di Treviso.
Poteva averne quindici. E tanti ne sono passati da allora ad oggi.
Erano i giorni che stava rifiorendo in città la propaganda Mazziniana, dopo anni di lotte e di vicende varie
combattute da pochi e da fedeli per l’idealità Repubblicana.
Il Partito Ufficiale era rappresentato dal Circolo Mazzini (adulti), dal Circolo Operaio Fratti, dal Giovanile
Oberdan. Ma si sentiva il bisogno di un nuovo raggruppamento culturale che raccogliesse la gioventù
studentesca, che propagasse fra le masse della scuola media i principi etici sociali politici della Dottrina
Mazziniana.
Guido Bergamo fu il primo ed il migliore dei propagandisti. Fu compagno, milite, maestro, in mezzo ai molti
giovani che attorno a lui si strinsero sempre più numerosi, sempre più ardenti e buoni. Gli studenti fecero da
maestri ai giovani operai, seminarono il buon seme, crearono una scuola, divulgarono libri onesti, dettero
insegnamenti ad esempio di audacia, di fierezza; fecero sentire alle classi umili i primi palpiti di una santa
rivendicazione di principi per la emancipazione proletaria: principi che si ispiravano alla teoria del dovere
e del diritto, e non si scompagnavano alla esaltazione della Nazione Italiana, anche se per molti suoi
cittadini l’Italia non era Madre ma matrigna.

Così viene descritto ne La Riscossa del 5 aprile 1914, in una sorta di precocissima mitizzazione. Il
personaggio, giovanissimo, è, in effetti, già un leader. Si iscrive a medicina a Padova, dirige il
periodico La Minoranza edito dal circolo universitario padovano Guglielmo Oberdan, percorre la
Marca, fa comizi in osteria, salta sui tavoli e a vent’anni è il protagonista assoluto, con il compagno
di partito Giuseppe Chiostergi, marchigiano approdato all’ateneo veneziano, della straordinaria
vertenza del Canapificio Veneto di Crocetta Trevigiana: uno sciopero lungo, il più lungo della
Marca e il primo passo verso una conquista del diritto nelle condizioni del lavoro che ritornerà nel
primo dopoguerra. Le durissime e inaccettabili condizioni del lavoro nella fabbrica più grande del
trevigiano vengono, per l’appunto, denunciate per prime e sulla base delle informazioni fornite da
Guido dal periodico dei giovani repubblicani veneziani Il popolo Sovrano; nella gestione
dell’agitazione si aggiungeranno anche i socialisti trevigiani e la Camera del Lavoro guidata da
Napoleone Porro. I comizi di Crocetta sono, per Guido, il momento più alto della sua iniziazione
politica e sociale, come da lui ammesso:
Molto tempo è passato, più di trentatrè anni, ne avevo diciassette o diciotto, da quando lassù ai piedi del
Montello (Crocetta del Montello) scatenai uno dei più ricordati scioperi.
Si lavorava 12 ore al giorno, 2 lire al dì, in un immenso canapificio che era anche un immenso
tubercoloficio.
Proprio allora sbocciai alla vita per la mia battaglia, senza calcoli, s’intende, allora non di moda…
E la massa che sentiva la novella, gustava la fede del povero studente povero.
Toccai forse allora certe vette, con una mia rustica eloquenza spaesata, che forse non ho più raggiunte.

Alla fine di quell’estate esaltante si sposta a Parma, conosce De Ambris e gli ambienti del
sindacalismo rivoluzionario. Passa a Roma, poi a Bologna dove ritrova Mario che studia
Giurisprudenza, si lancia in comizi incendiari contro la monarchia e produce l’interesse degli organi
di controllo che aprono un fascicolo su di lui. A Bologna, nel 1915, dirige La Riscossa, organo del
fascio interventista di azione rivoluzionario, giornale che aveva fondato a Treviso l’anno prima.
Sono anni fertili, densi di contatti e di crescite.
Sono anche i mesi dell’intervento. Dopo l’iniziale pacifismo, in Guido (ma anche in Mario) matura,
problematicamente, la scelta dell’intervento in nome del principio della guerra alla guerra: “abbasso
la guerra sì, ma pure; abbasso il regno della guerra”. Solo la guerra, l’ultima guerra, avrebbe potuto
mettere fine ai regimi nazionalisti per realizzare la giustizia sociale e la pacificazione universale dei
popoli sovrani finalmente liberati nelle proprie piccole patrie.
Col senno di poi illusioni, certamente, come dimostrano le laceranti e autoanalitiche riflessioni
autobiografiche di Frammenti di vita, nei quali l’autocritica per la scelta arriva fino alla presa d’atto
dell’inutilità del conflitto: ma le promesse mancate delle guerra gli saranno subito chiarissime sin
dalle prime settimane del ’19.
Per il momento, tali autentiche ed ingenue visioni, lo portano il 3 giugno del ’15 ad arruolarsi
volontario con il grado di caporale presso il 7° Reggimento Alpino, Battaglione Feltre. Frequenta la
scuola Militare di Modena e diventa sottotenente di complemento assegnato all’8° Reggimento
Alpini, presso il quale comincia il servizio il 16 novembre inquadrato nel Battaglione Cividale.
Diventa Tenente di complemento nel ’16 e dopo un periodo di malattia parte per il fronte con il Val
Natisone. Promosso Capitano per merito di guerra dal 26 dicembre del ’16, nel corso del 1917 si
ricopre di gloria sul Grappa con il Cividale e il Pavione (7° Alpini). Guido Bergamo è infatti di gran
lungo il montebellunese più decorato della storia, con 3 Croci al Valor Militare (Isonzo, Monte
Nero e Monte Albiele) e 4 Medaglie d’Argento assegnatogli, queste ultime, per le azioni compiute a
Conca di Fonzaso (12.11.17), Col dell’Orso (25.11.17), a Porte di Salton (11.12.17) e nel Solarolo
(26.10.18).
Nel marzo ’18 approfitta di una licenza per sposare Maria Paleri, profuga a Firenze assieme alla
famiglia; e durante il pranzo verrà raggiunto da un dispaccio che gli ordinava l’immediato rientro al
fronte. Appena congedato si laurea a Bologna nel giugno ’19 e dà inizio a un percorso
professionale di grande rilevanza sperimentale nel campo della radiologia polmonare. Accanto alle
esperienze cliniche va ricordata l’apertura a Treviso di un Dispensario antitubercolare che arricchì
man mano delle più moderne attrezzature avvalendosi delle migliori consulenze della clinica
veneta.
La capacità di tenere assieme la ricca vita professionale e l’impegno politico è, certamente, il tratto
fondamentale di questa fase. Si tratta di uno straordinario quinquennio (1919-1924) nel quale Guido
raggiunge l’apice della sua carriera politica e tocca livelli altissimi di popolarità.
Ripetutamente eletto in Parlamento, egli trascina il piccolo partito Repubblicano trevigiano a
conquistare le amministrazioni del distretto montebellunese e a raggiungere altissime percentuali in
città. E una fase in cui il partito repubblicano si identifica in sostanza con Guido Bergamo e i suoi
militanti diventano i “bergamini”, odiati dai Popolari e invisi ai socialisti. Tutto questo matura nel
’19, in un dopoguerra complesso e ricco di contraddizioni, nel quale la voglia di chiudere con i
monarchici liberali e con tutto quel mondo aveva prodotto nuovi e trascinanti protagonisti giovanili.
Guido e Mario. Come è noto, partecipano, nel marzo, alla celebre riunione mussoliniana dei fasci di
combattimento in Piazza S. Sepolcro a Milano. La loro adesione ai fasci non durerà molto e, anzi,
Guido sarà uno dei primi in Italia a riconoscere, tra ’20 e ’21, il pericolo, ancora potenziale, che il
nascente fascismo poteva rappresentare per la democrazia e per i giovani, attratti da segnali di
rottura con il sistema ma in direzione reazionaria. In effetti, a ripercorrere i giornali dell’epoca, lo
scontro politico fondamentale è solo quello tra liberali e socialisti (o popolari): il fascismo resta
infatti marginale e sullo sfondo, a dispetto dei tanti soloni che ora pontificano sulle coerenze e
accusano, col senno di poi, coloro che hanno cercato di capire dove avrebbe portato l’onda della
rivoluzione sociale.
Esauritosi l’onda dei fasci, i due fratelli si dedicano alla costruzione di un nuovo partito
repubblicano: Mario in sede nazionale, Guido in quella parlamentare e territoriale. Guido in
Parlamento c’era però già arrivato, nel novembre del ’19, eletto a soli ventisei anni nel “Blocco
democratico e combattenti”, un polo di repubblicani, democratici e socialisti interventisti. In tale
occasione sconfigge, clamorosamente, Pietro Bertolini, il ras liberale locale, ininterrottamente in
Parlamento dal 1891, più volte ministro e sottosegretario, numero due dei giolittiani almeno sino al
’15. Il suffragio allargato porta le masse a un voto di evidente protesta verso uno Stato che non
manteneva le promesse e la cui assenza viene particolarmente avvertita in una delle zone
maggiormente investite dalla catastrofe umana e sociale del conflitto. Una volontà elettorale che,
tuttavia, non va, come nel resto della Provincia, verso i cattolici del partito popolare, ma a un
giovane trascinatore repubblicano già ben conosciuto e che sapeva parlare ai contadini, alla piccola
borghesia, all’artigiano e al commerciante, sino al proletariato urbano. Guido Bergamo diventa
dunque un avversario pericolosissimo, sia per i Cattolici che per i socialisti, ai quali strappa
l’elettorato di riferimento.
Sempre nel novembre 1919 la Camera del lavoro autonoma aderente alla UIL apre una sede in
piazza delle Stoviglie, presso l’abitazione e la pasticceria Bernardi. E’ l’inizio della “Repubblica di
Montebelluna”. Sotto la spinta dell’azione di Guido, i repubblicani nell’autunno del 1920
conquistano le amministrazioni di Montebelluna, Caerano, Volpago, Cornuda e Crocetta, entrando
nelle giunte di Arcade e Pederobba.
La vittoria è il frutto della straordinaria alacrità del movimento sindacale e cooperativo bergamino
che produce nel montebellunese ben 43 cooperative e 3000 iscritti nelle leghe. Tra il ’20 e il ’22
sorgono infatti il Consorzio delle cooperative autonome, il Consorzio dei Consumi dei Comuni
dell’Alto Trevigiano e l’Istituto consorziale autonomo per le case popolari e rurali dell’Alto
Trevigiano. Il movimento promuove e coordina inoltre l’istituzione di numerose cooperative di
consumo per la vendita dei beni di prima necessità. La giunta repubblicana diventa così lo
strumento di attuazione degli indirizzi sociali dei soggetti politici e sindacali attraverso
provvedimenti ad hoc e soprattutto mettendo in atto le progettualità consorziali e di rete pienamente
coerenti con tali indirizzi. Ciò che emerge soprattutto in tutto l’agire amministrativo è la piena
consapevolezza degli enormi problemi del dopoguerra (ricostruzione, danni di guerra,
disoccupazione) affrontati con determinazione e attraverso l’intervento di una serie di figure che
Bergamo aveva incrociato nel suo peregrinare studentesco e di lotta; uomini provenienti dall’Emilia
e dalla Lombardia e che costituiranno parte prevalente dei quadri organizzativi e sindacali del
movimento.
Mentre a Montebelluna si amministra, a Treviso, La Riscossa, organo dei repubblicani sociali, porta
in prima pagina tutte le battaglie di Guido, a tal punto che la Questura lo definisce organo personale
dell’onorevole Bergamo che vi scrive spessissimo. Le sue 12.000 copie di tiratura arrivano
dovunque e denunciano la corruzione e il malgoverno dominanti, promuovendo autentiche battaglie
come quella contro l’Ispettorato Generale di Castelfranco del Ministero delle Terre Liberate
incaricato di distribuire i generi di prima necessità alle popolazioni e accusato, giustamente, di
peculato; lo scandalo dei materiali di guerra svenduta ad aziende costituite da ex ufficiali, la
richiesta dell’urgente liquidazione dei danni di guerra alle popolazioni colpite dal conflitto. Ma i
temi sono molteplici: su tutti il rinnovo dei patti colonici, coraggioso strappo rispetto alle miopi
politiche sindacali bianche e rosse, il conflitto, aspro e feroce, con il Partito Popolare, la denuncia
del fascismo e della sua violenza che si presenta in tutta la sua ferocia nel cosiddetto “assalto a
Treviso” da parte di 2000 fascisti nell’estate del ’21 con l’obiettivo dichiarato di liquidare
soprattutto i primi concorrenti, vale a dire i repubblicani; ma, su tutti, la fortissima richiesta di
autonomia locale e regionale che emerge con grande forza dalle pagine del giornale. Il federalismo
repubblicano in “salsa veneta” riprende le battaglie dell’ultimo decennio del Novecento promosse
dai sindaci e da alcuni parlamentari veneti (Bertolini) per il decentramento e le autonomie locali.
Ora, però, i toni e i contenuti diventano “urlati” e durissimi: e alla campagna giornalistica
contribuisce dalla Camera dei deputati in prima battuta il deputato Bergamo, i cui interventi
vengono spesso riproposti in versione integrale. Il partito sul territorio invece si fa promotore della
costituzione di un Comitato di studio delle autonomie, al quale aderisce con entusiasmo anche
Silvio Trentin. Ed è persino superfluo aggiungere come anche questa battaglia verrà totalmente
soffocata sin dal primo governo di coalizione guidato da Mussolini e da subito di chiara foggia
rigidamente centralista.
Guido viene riconfermato deputato nel ’21, ma la giunta non convalida l’elezione di coloro che non
avevano trent’anni al momento dell’elezione. E così, nell’estate del ’22, il giovane politico,
sacrificato sull’altare della pacificazione, viene persino “bandito” da Treviso con l’accusa di essere
il responsabile del clima di violenza politica cittadina.
In realtà, il politico montebellunese dà fastidio a tutti, a liberali, fascisti, popolari; il suo successo
politico e professionale produce odio e invidia, anche all’interno del partito. Nel frattempo, la presa
del potere da parte del fascismo produce, anche nella Marca, i suoi effetti. Nel marzo del ’23 la
giunta montebellunese, stretta tra le defezioni di alcuni e il boicottaggio istituzionale dell’ostilità
sfacciata del prefetto Massara, si dimette. E con la giunta si sfaldano, progressivamente, le
organizzazioni cooperativistiche che ne costituivano il tessuto connettivo sociale. Ciò nonostante,
nelle elezioni del ’24, Bergamo ottiene un successo senza precedenti, finendo per diventare l’unico
eletto trevigiano non appartenente al listone nazionale dei liberal fascisti. Ma è significativo
constatare che il partito arretra in provincia e sale in città. Un chiaro segnale che rivela come il
successo elettorale sia stato più politico che sociale: la prima battuta d’arresto di quello
straordinario percorsi di sintesi tra città e campagna, lavoratori urbani e contadini, masse popolari e
fasce borghesi intrapreso da Guido sin dai suoi esordi politici.
Comunque, è ormai evidente che la partita sta diventando un’altra; una partita nella quale scende in
campo non tanto la violenza in sé, prerogativa comune di un dopoguerra lacerante e ferrigno,
quanto le sopraffazioni e le coercizioni di uno stato sempre più regime. Agli insulti e alle
provocazioni seguono la devastazione della clinica nella quale Guido curava gratuitamente i poveri,
le minacce di morte, l’ordine di lasciare Treviso. Siamo agli inizi del ’26.
Costretto all’esilio, ritorna dall’Egitto (da lui richiesto) e si stabilisce a Mestre trovando un accordo
con i vertici del fascismo: rinuncia alla vita politica in cambio dell’incolumità e della libertà
professionale. Mussolini, in realtà, vuole evitare assolutamente un nuovo caso Matteotti e, in nome
delle frequentazioni giovanili e di un’autentica stima per l’uomo, frena e inibisce la furia omicida
dei ras locali. Mario invece sceglie il volontario esilio in Francia, nel quale darà vita alla duplice
critica al fascismo e all’antifascismo in nome di un’opposizione diversa, di un superamento del
fascismo non perché è inaccettabile, ma perché porta il paese allo sfascio. Per Guido la scelta è
quella del rifugio nella professione e nella sua coraggiosa e sacrificale ricerca.

La fine del fascismo produce, invece, una reazione contraria: Mario rimane a Parigi a coltivare la
sua ostilità per l’antifascismo parolaio e rifiutando il salto sul carro, Guido ritorna in sella, ma a
modo suo. All’indomani dell’8 settembre è lui, assieme a pochi altri, a costituire, a Bavaria, le
prime formazioni partigiane nelle montagne del nord est, salvo poi defilarsi nei confronti dei
“parolai” che non accettano il suo progetto di esercito partigiano da spedire al sud per affiancare
l’avanzata degli Alleati. Preferisce, a quel punto, dedicarsi alle attività delle brigate partigiane
mestrine e, subito dopo la Liberazione, ritorna assoluto protagonista, sia pur per una breve
stagione. Riprende quindi i comizi, ripropone intatte le sue idee, la sua sintesi social-repubblicana
(Marx e Mazzini) arricchita da una vena spirituale e cristiana. Nel ’46 sfiora di poco l’elezione alla
Costituente, ma, sempre più isolato dalla nuova classe dirigente repubblicana, lascia il partito nel
1947 per fondare, assieme ai fedelissimi come Ronfini, il PRIS, il partito repubblicano sociale.
Aderisce al Fronte Popolare nelle elezioni dell’aprile ’48 ma non viene eletto. Il tentativo di
nazionalizzazione democratica e sociale delle masse giunge al termine e coincide con l’aggravarsi
delle sue condizioni di salute.
In quegli anni la progressiva penetrazione del radium stava producendo infatti lesioni sempre più
gravi e che diventeranno rapidamente devastanti.
Solo l’evoluzione inesorabile di un patologia terribile avrebbe potuto ridurre al silenzio Guido
Bergamo. E così fu: il 26 giugno 1953.
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