Kosovo: sul treno della speranza

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Kosovo: sul treno della speranza
Ogni viaggio nell’ex Jugoslavia obbliga a fare i conti con la memoria e il
   passato. Dice Ljubisa Djordjevic, serbo di 72 anni: “Ho lavorato per una
   vita alla all’ufficio postale di Pristina, finché è stato possibile lavorare

  Kosovo: sul treno
  della speranza
IL VIAGGIO         di Emiliano Bos, foto di Livio Senigalliesi

   con gli albanesi”. Che da sette anni occupano la sua casa di Obilic, vi-
   cino alla futura capitale del Kosovo. Così, mentre il treno aspetta sui bi-
   nari della stazioncina di Lesak….

              okfritt” è scritto in svedese sulla    del Kosovo. “Adesso vivo a Ulcinj, in

   “R         carrozza blu di seconda classe e
              seconda mano. “Ambiente disin-
   tossicato dal fumo” recita il cartello delle
                                                     Montenegro. Mi è stato detto che posso tor-
                                                     nare qui ma che nessuno garantisce la mia
                                                     sicurezza. Vedremo”, dice senza rancore
   ferrovie di Stoccolma che hanno donato al         appoggiando con gesti lenti la mano sul vel-
   Kosovo i convogli. Questi scompartimenti          luto del sedile. Ogni viaggio nell’ex-
   dai sedili un po’ lisi sono forse l’unico ango-   Jugoslavia obbliga a fare i conti con la
   lo dei Balcani dove nessuno osa accendersi        memoria e il passato. Anche quello recente
   l’immancabile senza filtro. Mentre il treno       che qui sembra non passare mai. Mentre il
   attende sui binari della stazioncina di Lesak,    Kosovo si dirige a rilento verso l’indipen-
   nell’antistante caffè-bar “Rim” (Roma) l’aria     denza, il “treno della speranza” – che unisce
   è invece impregnata di fumo. Volute irrego-       serbi e albanesi – sbuffa in direzione sud. Si
   lari formano un mosaico che solo il fischio       lascia dietro il Monte Kopaonik e la città di
   del capostazione spazza via. Si parte. Accanto    Kragujevac, sulla stessa direttrice ferroviaria
   a un finestrino siede Ljubisa Djordjeviç,         un tempo non interrotta dai nuovi confini.
   serbo, 72 anni, profugo da sette, sul viso una    Ljubisa e le sue rughe scompaiono per tre
   mappa di rughe più marcate degli attuali          volte quando il convoglio s’infila in altret-
   confini dell’ex-Jugoslavia. Lesak è l’ultima      tante gallerie. Nessuna luce fende il buio del
   non-frontiera di questa terra. Separa Serbia      vagone “libero dal fumo”. La ferrovia
   e Kosovo. Una divisione amministrativa            abbraccia il fiume Ibar, lo coccola in una gola
   ibernata nel congelatore della Storia dopo il     stretta e lo respinge nell’ampia vallata suc-
   conflitto del 1999, mentre l’Onu da qualche       cessiva. I binari giocano a rimpiattino col
   mese si affanna per dar forma all’indipen-        serpentone d’acqua dai riflessi verdi, lo
   denza dell’ex-provincia serba a maggioranza       sovrastano una, due, tre volte sui ponti rico-
   albanese. “Ho lavorato per una vita all’uffi-     struiti nel dopoguerra. Quegli stessi ponti
   cio postale di Pristina”, scuote il capo          che gli aerei della Nato avevano abbattuto
   Ljubisa, “finché è stato possibile abitare con    durante l’ultimo conflitto del Secondo
   gli albanesi”. Che da sette anni occupano la      Millennio contro il satrapo Miloseviç e la
   sua casa di Obiliç, vicino alla futura capitale   sua longa manus militare in Kosovo.

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Kosovo: sul treno della speranza
Livio Senigalliesi
    Fermata miniera, tra i fantasmi degli       della missione Onu (Unmik) che gestisce le
    altiforni                                   privatizzazioni insieme al governo locale –
Stazione di Zveçan, è già l’ultima fermata      ha nominato un manager internazionale. La
tra i serbi del Kosovo. La prossima, a          Serbia rivendica la piena proprietà della
Mitrovica, è già nella propaggine albanese      struttura estrattiva. Nella quale, afferma
della provincia. Oggi le due comunità vivo-     Belgrado, sono stati investiti miliardi di
no praticamente separate, ma non in passa-      dinari negli anni Novanta. Bajrush
to. Negli anni Ottanta migliaia di albanesi     Xhemajili, del Partito democratico del
lavoravano al complesso metallurgico di         Kosovo (Pdk), d'opposizione, sostiene inve-
Trepça. Che spunta all’improvviso dietro la     ce che quei fondi finanziarono gruppi para-
montagna con la sua ciminiera alta 305          militari di Miloseviç.
metri, quasi come la Torre Eiffel. Degli        “Questa era una centrifuga per la separa-
oltre 23.000 dipendenti, un terzo erano         zione del piombo delle batterie d’auto
albanesi. “Altri tempi”, sospira malinconico    usate”, indica il direttore tecnico. Usa l’im-
Stevo Bosoviç, direttore tecnico dell’im-       perfetto perché qui il futuro resta incerto.
pianto, camice blu da operaio e mani enor-      Nella penombra di un capannone una man-
mi come due carrelli elevatori. In queste       ciata di lavoratori saluta con cordialità. Loro
fornaci d’acciaio venivano prodotte ogni        malgrado, hanno ben poco da fare: qualche
anno migliaia di tonnellate di zinco e piom-    centinaio di persone per turno, in totale
bo: “Le miniere sono a una trentina di chi-     poche migliaia di dipendenti. Il resto delle
lometri da qui”, spiega il dirigente. Furono    maestranze d’un tempo è vittima dell’as-
gli inglesi che nel 1927 ottennero le prime     surdo limbo politico-istituzionale che mette
concessioni e deviarono il corso del fiume      in ginocchio l’intera economia del Kosovo.
Ibar per costruire i reparti di questa citta-   “Utilizziamo il 30% delle nostre potenziali-
della mineraria. Ora il complesso di Trepça     tà, in attesa di un investimento dalla
è un monumento alla desolazione e all’in-       Francia per riavviare a pieno regime la pro-
capacità di Belgrado e Pristina di trovare un   duzione di questo reparto”, aggiunge
accordo per il suo rilancio. Il Dipartimento    davanti a una montagna di scarti di silicio
legale della Kosovo Trust Agency – l'ufficio    l’altro responsabile, Radisa Jacoljeviç. I fasti

                                                                                             93
Kosovo: sul treno della speranza
KOSOVO: SUL TRENO DELLA SPERANZA

dell’era industriale sono cristallizzati nelle     orizzontali e verticali. Sopra l’officina – a
ombre metalliche degli altiforni spenti. Le        suggellare un’epoca seppellita dalle guerre
enormi bocche di fuoco che vomitavano              fratricide degli anni Novanta nei Balcani –
colate di piombo fuso sono gelide. In questo       una stella rossa della Jugoslavia che fu.
zoo dell’archeologia metallurgica hanno            Piombo e zinco ora sopravvivono come fan-
smesso di ruggire i cilindri rotanti delle         tasmi solo nell’aria e nelle falde acquifere
presse. Dalla “Old Rafinery”, la vecchia raf-      della zona, infestate di veleni accumulati
fineria in disuso, esce un’autostrada di tubi      nei decenni.
divorati dalla ruggine. Una squadra di ope-        Occorre affrettarsi, il treno della speranza
rai sta smontando un’enorme vasca circola-         riparte.
re usata fino a qualche settimana fa.
“Conteneva 280 tonnellate di metallo liqui-            Cesmin Lug, la vita a intermittenza dei
do”, indica Bosoviç: dall’enorme ingranag-             rom
gio, il piombo fluiva in una ruota dentata             Prima di entrare a Kosovska Mitrovica,
degna di Tempi moderni di Chaplin. Come            il convoglio sfiora le baracche del campo
impasto per i biscotti, il piombo fuso era         Rom di Cesmin Lug. Qui la vita s’inter-
poi forgiato in piccoli stampi. I due direttori    rompe puntuale alle 9.47 del mattino. Il
ora mostrano orgogliosi l’ultima produzio-
ne: cataste di lingotti con inciso il marchio
“Trepça”. Alle loro spalle, le finestrelle della                 _Negli anni Ottanta migliaia di albanesi lavoravano al
vecchia raffineria viste da lontano disegna-                     cmplesso metallurgico di Trepca, oggi ridotta a un monu-
no un enorme cruciverba, dove i vetri rotti                      mento della desolazione. Nella pagina a fianco il diretto-
sono quadrati neri tra lastre trasparenti                        re tecnico dell’impianto, Stevo Bosovic

                                                                                                                         Livio Senigalliesi
Kosovo: sul treno della speranza
IL VIAGGIO

La comunità serba e       muso metallico della locomotiva sbuca in
                          perfetto orario da dietro la curva portandosi
quella albanese vivono    appresso i soliti due vagoni blu. Quel
                          proiettile di ferro sparato sulla massicciata
praticamente separate.    accarezza le casupole di lamiera che non
                          crollano solo per miracolo. Un prodigio che
Non era così in passato   si ripete quattro volte al giorno, due all’an-
                          data e due al ritorno. “Ogni volta che passa
quando, nel complesso     il treno è un rischio per i nostri bambini”,
                          si lamenta Latif Masurica, il leader di que-
metallurgico di Trepca,   sto piccolo alverare di baracche: 42 famiglie,
                          175 persone. Dimenticate tra Mitrovica
degli oltre 23.000        Nord e Sud. Confinate da sette anni sul
                          bordo di una ferrovia. Respinte prima dagli
dipendenti, almeno un     albanesi e ora dai serbi. “Siamo in una
                          situazione disperata che tutti conoscono.
terzo erano albanesi      Aspettiamo da troppo tempo ma non accade
                          nulla”, brontola Latif. Fino al 1999 queste
                          famiglie vivevano insieme ad altri 8.000
                          rom nel quartiere Mahala, nella zona meri-
                          dionale della città a maggioranza albanese.
                          In quell’anno ci furono prima i paramilitari
                          serbi, poi le bombe della Nato. Quindi la

                                                                          Livio Senigalliesi
Kosovo: sul treno della speranza
KOSOVO: SUL TRENO DELLA SPERANZA

vendetta dei kosovari-albanesi che accusa-      di metri quadrati che di notte accolgono
rono i rom di collaborazionismo col regime      l’intera famiglia su materassi incastrati
di Miloseviç e bruciarono le loro case.         come tessere d’un puzzle. Ma non basta la
“Oggi ne hanno ricostruite alcune decine,       miseria. Qui i bambini si ammalano pure: a
ma non bastano”, insiste il capo-villaggio.     meno di un chilometro sorge l’impianto
Un progetto di cooperazione internazionale      minerario di Trepca. Per anni le ciminiere
ha restituito per ora un’abitazione dignitosa   hanno rigurgitato nell’aria i loro miasmi
a 25 famiglie, circa 150 persone. Gli altri     velenosi. “Persino l’acqua è contaminata.
Rom di Mitrovica continuano a vivere pro-       Gli esami del sangue dei nostri figli dimo-
fughi in Serbia, Montenegro o semplice-         strano che qui non si può vivere”, denuncia
mente nel nord della città, dall’altra parte    il capo-villaggio Latif. Nel 2004, analisi
del fiume che la divide. Come nei campi di      condotte dall’Organizzazione mondiale
Îitkovac e Cablare, poco distanti da qui, che   della sanità (Oms) hanno confermato che il
ospitano anche comunità di askhali ed egizi.    40% dei prelievi conteneva elevati livelli di
Passato il treno, il ritmo riprende normal-     piombo nel sangue; gli esperti hanno rile-
mente nell’accampamento di Cesmin Lug.          vato la presenza del metallo non solo nel-
Lungo la rete che separa i binari dalla fave-   l’acqua, ma anche nell’aria e nel terreno.
la, Seidju Fitje siede accovacciata accanto
alla brace per cuocere il pane; intorno, un
drappello di monelli scalzi. Ha 39 anni e 8                   _Il “treno della speranza” costa poco, indipendentemen-
figli. Gli ultimi due sono gemelli: Saim e                    te dal tragitto: 50 centesimi per gli albanesi, che pagano
Siam, 4 mesi. Li mostra con orgoglio nel-                     in euro, e 35 dinari per i serbi, che ancora usano la vec-
l’unica stanza della sua casetta, una dozzina                 chia valuta di Belgrado

                                                                                                                      Livio Senigalliesi
Kosovo: sul treno della speranza
IL VIAGGIO

                              “Abbiamo incontrato funzionari dell’Onu,
Ogni viaggio nell’ex          dell’Alto commissariato per i rifugiati e di
                              numerose organizzazioni internazionali.
Jugoslavia obbliga a fare i   Tutti spariti nel nulla e noi siamo ancora
                              qui”.
conti con la memoria e il     I rom li incontri anche a bordo del treno
                              insieme a serbi e albanesi. Shamira, 17
passato. Anche quello         anni, due occhi scuri e un groviglio di ciuffi
                              corvini, parla con il cronista straniero in
recente, che qui sembra       spagnolo. “L’ho imparato dalle telenovelas
                              latino-americane alla tivù”, quasi si scher-
non passare mai. E            misce. In nessuna abitazione rom può man-
                              care il Moloch catodico, che anzi fa sempre
mentre il Kosovo si dirige    bella mostra di sé. Per lo stesso motivo
                              migliaia di albanesi all’inizio degli anni
verso l’indipendenza, il      Novanta arrivarono in Italia pensando di
                              trovare la cuccagna raccontata da Raffaella
“treno della speranza”        Carrà, che regalava milioni alla televisione
                              pubblica a chi azzeccava il numero di fagioli
unisce serbi e albanesi       in un vaso di vetro. “Abitiamo al campo
                              rom di Plementina, ma in una vera casa”,
                              puntualizza Shamira, quasi per allontanare
                              il dubbio che lì si viva solo in baracche fati-

                                                                               Livio Senigalliesi
Kosovo: sul treno della speranza
KOSOVO: SUL TRENO DELLA SPERANZA

scenti. Plementina è il più grande agglome-
rato rom del Kosovo, “dove però mancano
acqua corrente e scuole”, interviene Shaa,
la nonna della ragazza, i capelli raccolti in
un foulard dalle tinte pastello. Prende il
“treno della speranza” per Pristina “perché
costa poco”. È vero: indipendentemente dal
tragitto, il prezzo è 50 centesimi per gli
albanesi, che pagano in euro. E 35 dinari
per i serbi, che ancora usano la vecchia
valuta di Belgrado. I freni della locomotiva
stridono, nuvole di vapore come in un flim
Western. Ecco Kosovska Mitrovica.

    Fermata Mitrovica, ultima frontiera del
    Kosovo
    “Finchè i prezzi resteranno così bassi,
non riusciremo mai a risanare le nostre
ferrovie senza l’aiuto internazionale”,
impreca parlando in serbo Shanasi Beciri,
albanese, capostazione di Mitrovica, dove il
convoglio è appena arrivato. Berretto rosso
in testa e paletta in mano, smista con cenni

                                                                                             Livio Senigalliesi
rapidi i viaggiatori. “Il costo del biglietto è
una vera catastrofe”, bercia con un mezzo
sorriso il capostazione, nato a Belgrado,
oltre vent’anni di servizio sui binari. Qui
di solito i passeggeri prendono direzioni
opposte: sul treno diretto a sud, come ora,
salgono albanesi. In senso contrario, verso       Nella storiografia balcanica degli ultimi
il nord del Kosovo a maggioranza serba,           anni questà città è tratteggiata come l’epi-
questi scendono e di norma salgono “gli           centro dell’odio. Mitrovica Nord, propag-
altri”. Anche il personale di bordo albane-       gine di Belgrado: banconote in dinari e
se segue la stessa regola non scritta: si         giornali in cirillico. Mitrovica Sud, perife-
ferma qui a Mitrovica e non prosegue.             ria di Tirana: si paga in euro e si legge in
Come Bezmet Islami, un controllore                albanese. Ma poi ci s’incontra alla rosticce-
dinoccolato originario della Valle della          ria “Palma”, nella zona serba, seduti fianco
Drenica, nel Kosovo centrale, teatro di vio-      a fianco. “Il nostro pollo arrosto è il
lente battaglie durante il conflitto. Adesso      migliore della città”, racconta Iva
monta a bordo diretto verso Pristina su un        Davidoviç, 27 anni e 120 euro al mese di
treno che comunque costituisce un inco-           stipendio. Anche le frequenze 99.0 Fm di
raggiante segnale di dialogo. Dove non ci         “Radio TeleMitrovica” varcano i confini
sono scompartimenti per gli uni e per gli         naturali e soprattutto quelli politici. “Dal
altri. Si viaggia insieme. Ma a Mitrovica si      2000 siamo stati uno strumento di pacifi-
vive separati.                                    cazione, ospitando spesso politici e espo-
Il piano sul futuro “status” del Kosovo           nenti serbi”, spiega il direttore dell’emit-
dell’inviato Onu Martti Ahtisaari – sul           tente Nexhmedin Spahiu, giornalista e
quale dopo 13 mesi di negoziato il governo        docente universitario, che si avvale anche
di Pristina e la Serbia non si sono messi         di collaboratori bosniaci e turchi per dar
d’accordo – prevede una sorta di “indipen-        spazio alle altre minoranze. L’Osce lo ha
denza sorvegliata”: una missione europea          definito una “voce della tolleranza”. Una
prenderà il posto dell’Unmik, l’elefantiaca       delle poche, a dire il vero. Le sue prove
amministrazione Onu che gestice la pro-           tecniche di riconciliazione nell’etere hanno
vincia dal 1999. Il nuovo “confine” passerà       travalicato le barriere dell’ultima città
per Mitrovica, divisa in due dal fiume Ibar.      divisa d’Europa. Che non sa mettersi d’ac-

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_A Mitrovica (Kosovo), il capostazione Shanai Beciri smi-        come una sede di partito: in una stanza per
sta con cenni rapidi i passeggeri del “treno della speran-       la focopiatrice sono accatastati striscioni e
za”, che è diventato ormai il punto di incontro privilegia-      bandiere con slogan battaglieri: “Serbian
to di varie etnie                                                army in Serbian Kosovo” recita uno slo-
                                                                 gan in inglese, “esercito serbo nel Kosovo
                                                                 serbo”. “Gli albanesi sono separatisti e
                  cordo nemmeno sulle targhe delle auto.         militarizzati, nel loro territorio circolano
                  Nella parte Nord – dove da sempre vive         400.000 tra armi e fucili”, rampogna il
                  comunque una minoranza di bosniaci,            dottor Ivanoviç, sulla scrivania un piccolo
                  croati, turchi e gli stessi albanesi – molte   drappo della Serbia. Più diplomatico il suo
                  vetture in circolazione ne sono del tutto      omonimo Ivanoviç, che di nome fa Oliver
                  prive. “I kosovari albanesi le tolgono per     ed è il principale esponente dei serbi
                  non farsi riconoscere, i serbi non le metto-   moderati del Kosovo: “Questo paradosso
                  no per evitare di pagare l’immatricolazio-     istituzionale non può durare. Non c’è una
                  ne”, spiega con una smorfia di disappunto      soluzione facile e l’Onu ha capito che
                  Giulio Torresi, 34 anni, l’italiano che da     anche noi siamo come la Palestina o Cipro,
                  febbraio comanda la polizia locale e inter-    cioè occorre tempo e pazienza”, argomenta
                  nazionale della regione di Mitrovica.          il politico, che ha una somiglianza non
                  “Salvate il Kosovo, anima della Serbia” si     comune con l’attore George Clooney. “C’è
                  legge su un manifesto all’ingresso della       qualcuno”, osserva preoccupato, “che non
                  direzione sanitaria dell’ospedale di           vuole la stabilità del Kosovo: veterani di
                  Mitrovica Nord. “La nostra priorità è l’in-    guerra esclusi dalla politica e dal business
                  tegrità territoriale”, scandisce con sugardo   o nuovi politici”. O persino – lascia inten-
                  cupo il direttore Milan Ivanoviç, uomo-        dere Ivanoviç – le forze radicali di
                  ombra di Belgrado e portavoce dei nazio-       Belgrado. Ponti e muri davvero strani
                  nalisti di queste parti. Adopera l’ufficio     quelli tra le due comunità di Mitrovica. A

                                                                                                           99
KOSOVO: SUL TRENO DELLA SPERANZA

Nord nessun negozio è gestito da albanesi.       express” prosegue verso la periferia della
In compenso ci sono già cinque negozi            capitale di un Paese che attende di nascere
cinesi nella centralissima via Kralja Petra.     ufficialmente.
Poco distante, il “famoso” ponte sul fiume
Ibar, un tempo presidiato dai carri armati.          Kosovo Polje, fine corsa alle porte di
“L’Onu l’ha voluto trasformare in un sim-            Pristina
bolo dell’odio tra serbi e albanesi per giu-         Gli studenti di liceo saliti all’ultima fer-
stificare con ipocrisia i costi della sua mis-   mata ridacchiano perchè non hanno sborsa-
sione”, si sfoga Dragana, studentessa serba      to nemmeno gli spiccioli: Aidram, 17 anni e
iscritta a giurisprudenza. Frequentava l’u-      brufoli da adolescente, fa il bullo più degli
niversità a Pristina quando l’Occidente          altri perché parla bene inglese. Il convoglio
bombardò il Kosovo. Vive a Mitrovica             rallenta sulla spianata del “Campo dei
Nord da sette anni: “Là c’era una grande         Merli”. Fine corsa, ecco la stazione di
biblioteca, qui non una libreria e nemme-        Kosovo Polje, Fushë Kosovë secondo la
no un cinema”. I soldati francesi chiama-        toponomastica albanese. Luogo del mito e
rono quel ponte “Austerlitz”, dimentican-        della leggenda per la storiografia sciovinista
do che Miloseviç – gradito a Parigi – non        di Belgrado. Qui le truppe serbe sconfissero
era Napoleone. La gente, in realtà, usa          i turchi nel 1389. E seicento anni più tardi
anche altri due passaggi sul fiume, com-         Miloseviç, parlando a un milione di serbi,
preso quello pedonale che permette agli          impresse un’accelerata alla sua allora inar-
albanesi di Mitrovica Nord – ce ne sono          restabile ascesa. Che finì poi con un attacco
alcune centinaia – di recarsi tutti i giorni a   cardiaco nel marzo 2006 durante la deten-
Mitrovica Sud. Dove per i cellulari si usa       zione nel carcere del Tribunale penale inter-
un altro prefisso telefonico, di una società     nazionale dell’Aja, lasciando in sospeso i
a capitale misto con sede nel principato di      processi per crimini di guerra. Nelle stesse
Monaco per via di una privatizzazione            celle olandesi ora si trova anche l’ex-primo
poco trasparente sotto l’egida Onu.              ministro del Kosovo Ramush Haradinaj, in
Nei Balcani, fiumi e ponti diventano sim-        attesa della giustizia internazionale per cri-
boli. Quello di Mitrovica non si è sottratto     mini analoghi. Intanto chiede aiuto econo-
alla mistificazione, anche a causa di un         mico ai suoi connazionali albanesi con una
maldestro intervento di ristrutturazione         vera e propria sottoscrizione. A Pristina,
internazionale. Enormi arcate di cemento         lungo viale Bill Clinton (in onore del “libe-
affusolate e illuminazione da palcoscenico       ratore” americano) sono disseminati centi-
hanno trasformato il ponte principale.           naia di manifesti rossi dell’ex-premier con
Dove oggi intanto il filo spinato è stato        la scritta “Me Ramushin”, “con Ramush”.
finalmente riavvolto. Resta solo qualche         Il quale aveva creato una fondazione per
cavallo di frisia e un paio di pattuglie a       raccogliere i contributi necessari a pagare le
presidio, mentre sono scomparsi i “guar-         spese legali all’Aja, dotata persino di un
diani del ponte” serbi, formazioni di auto-      numero telefonico verde. Poi è stata scoper-
difesa pronte a reagire in caso di attacco       ta una gigantesca truffa. Pristina resta il
albanese. A Mitrovica Nord, il quartiere di      capoluogo delle contraddizioni del Kosovo e
“Mala Bosna” (“Piccola Bosnia”), ospita          dei suoi umori.
un pugno di case in zona serba dove abita-       In un’azzurra mattina di primavera, al
no albanesi, croati e bosniaci. Qualcuno         cimitero si scavano nuove distanze tra serbi
vende casa, altri restano: “Viviamo qui con      e albanesi. “Ai tempi di Tito si stava meglio:
i serbi da sempre e senza problemi”, dice        il mio capo-ufficio era albanese e andavamo
Najm Saiti, 26 anni, disoccupato. La man-        d’accordo. Per 44 anni ho vissuto qui, ma
canza di lavoro supera il 60%. E supera i        non tornerò mai più”: Krulislav Kostiç, un
confini veri e quelli finti. Secondo un          serbo di 73 anni, si porta via dal Kosovo
recente rapporto dell’Istituto internaziona-     l’ultimo frammento di memoria, le spoglie
le per il Medio Oriente e i Balcani, il red-     di sua moglie, morta otto anni fa dopo
dito pro-capite in Kosovo è di 1.200 euro.       quattro decenni di matrimonio. “Ormai
Arrivando dal nord, Mitrovica è la porta         abito con i miei tre figli in Serbia, perchè
d’ingresso in direzione di Pristina, distante    dovrei lasciarla sola in questo pezzo di
una quarantina di chilometri. Il “Kosovo-        terra?” si chiede. Due addetti del servizio

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IL VIAGGIO

                                                                   burocratica non semplicissima. Il businees
                                                                   del “caro estinto” non conosce frontiere. A
                                                                   Pec/Peja, sono gli albanesi che organizzano
                                                                   il trasporto delle salme dei serbi: Haxhi
                                                                   Zeqiri gestisce l’impresa “Dardania”, l’anti-
                                      LESAK
                                                                   co nome di questa terra che ora il governo
                                                                   di Pristina vorrebbe scrivere sulla bandiera
              miniera di Trepca
                                                                   del Kosovo indipendente.
                                    Kosovska Mitrovica             Belgrado non ha nessuna intenzione di
                                                                   cedere l’ex-provincia, come ha confermato
                                                                   qualche giorno fa il presidente filo-occiden-
                         Kosovo Polje                PRISTINA      tale Boris Tadic. La Serbia offre “ampia
                                                                   autonomia”. Gli albanesi kosovari traduco-
                                                                   no “indipendenza”, ormai convinti che
                                                                   l’Onu confermerà l’addio definitivo. Sta già
                                                                   scritto anche sotto la gigantografia del
                                                                   defunto presidente Ibrahim Rugova, “padre
                                                                   dell’indipendenza del Kosovo”, appesa su
                                                                   un palazzo di quattro piani nella centralissi-
                                                                   ma piazza Madre Teresa. “Se solo la Serbia
_Il treno che unisce serbi e albanesi, il Kosovo Express,          chiedesse scusa in termini istituzionali, poi
va da Lesak a Kosovo Polje (Fushë Kosovë secondo la to-            potremmo farlo anche noi come Uck, che
ponomastica albanese), periferia della capitale di un              però eravamo una guerriglia e non la forza
Paese che attende ancora di nascere ufficialmente                  armata di uno Stato”, afferma Bajram
                                                                   Rexhepi, che fu il primo capo di governo
                                                                   del Kosovo post-conflitto e oggi è numero
                                                                   due del principale partito d’opposizione
                    funebre stanno riesumando i resti di Stana (Tdk). “L’Onu ci ha aiutato a ricostruire
                    Kostiç, morta d’infarto nel marzo 1999         regole e infrastrutture: siamo pronti per
                    pochi giorni prima dell’inizio della guerra.   l’indipendenza”, spiega Shkelzen Maliqi,
                    Il marito fuggì dal Kosovo qualche mese        scrittore e analista politico, ai tavolini dello
                    dopo insieme a decine di migliaia di altri     “Strip Depot”, caffè tra i più frequentati
                    serbi. “Dopo una vita in Kosovo”, racconta, dagli intellettuali di Pristina. “Siamo anche,
                    “mi restano una pensione di 310 euro al        aggiunge, “il Paese più giovane d’Europa”,
                    mese e un album di fotografie che sfoglio      con mezzo milione di emigrati all’estero. E
                    tutte le sere prima di dormire. Così ritorno con oltre duemila missing, i kosovari alba-
                    qui almeno con i ricordi”. L’ex-Jugoslavia è nesi scomparsi nella guerra del 1999. Di
                    sbiadita come quelle vecchie immagini.         loro, restano 297 foto ormai ormai scolorate
                    Nostalgia di un passato che non può torna- appese alla cancellata della presidenza della
                    re. E paura di un domani che sarà presto       repubblica. Vittime con o senza volto. Come
                    deciso dal Consiglio di sicuezza Onu, dove     Sokol Berisha, di Giakovo, che avrebbe
                    la Russia minaccia di ricorrere al diritto di  compiuto 50 anni a giugno: la pioggia ha
                    veto per aiutare gli amici di Belgrado in      lasciato solo i contorni incerti del viso e un
                    nome dell’ortodossia che li lega. Nel 2006,    cardigan chiaro. Mentre i serbi portano via
                    sei famiglie serbe hanno traslato dal cimite- i morti dai cimiteri, gli albanesi attendono
                    ro di Pristina i propri cari. Quest’anno sono ancora di seppellirli.
                    già tre. Altri dieci morti sono stati riesuma-
                    ti a Pec/Peja. Diciotto a Kosovo Polje/Fushë
                    Kosovë. Dopo l’esodo dei vivi, ora quello
                    dei morti. L’ultima è la signora Stana, che
                    viaggia in una bara di zinco verso la Serbia
                    su un Ford Transit rosso dell’agenzia
                    “Skorpjon” di Zoran Radosaljeviç. Per reci-
                    dere definitivamente i legami con il Kosovo
                    ci vogliono circa 400-500 euro e una trafila

                                                                                                               101
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