BARBARA DA ROIT E STEFANIA SABATINELLI - Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato
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BARBARA DA ROIT E STEFANIA SABATINELLI Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 1. Il problema della cura in un sistema di welfare familista Il modello familista di welfare si caratterizza per la limitata offerta di servizi pubblici di cura e l’attribuzione di responsa- bilità (anche legali) alla famiglia, a fronte – paradossalmente – di uno scarso peso delle politiche familiari ed infine per la limitata importanza delle soluzioni di mercato (Liebfried 1992; Ferrera 1996; Millar e Warman 1996; Zanatta 1999; Naldini 2002; Saraceno 2003b). La cura dei soggetti non autosufficienti è tradizionalmente lasciata alla responsabilità della famiglia, nucleare od estesa (Saraceno 2003a; Micheli 2004; Taccani 1994), in relazione anche alla bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro1. I servizi sociali territoriali hanno raggiunto livelli di sviluppo contenuti rispetto al panorama europeo (Anttonen Sipila 1996) e con differenze geografiche molto rilevanti (Fargion 1997). Le tensioni connesse alla transizione demografica ed alla trasformazione dei modelli di vita mettono in discussione gli 1 Nei paesi del sud Europa i tassi di attività e di occupazione femminile, tra i più bassi in Europa (Eurostat 2000), aumentano lentamente. Questo fenomeno si accom- pagna a una forte divisione sessuale del lavoro e ad un’incidenza della doppia presenza femminile persistente e superiore alla media europea (Bimbi 1995; Trifiletti 1997; Zanatta 2002; ISTAT 2005). Si osserva così il paradosso di una limitata partecipazione femminile al mercato del lavoro in presenza di bassissimi tassi di natalità (Del Boca 2002). In realtà, le medie nazionali offrono una visione distorta del paese, caratterizzato da considerevoli disparità territoriali: i tassi di attività delle giovani donne nel centro-nord sono simili a quelli del centro e nord Europa, mentre restano molto bassi al sud (ISTAT 2004). L’ISTAT stima che 724.000 donne (il 3,8% delle donne tra i 15 e i 64 anni) sarebbero disponibili a passare dall’inattività alla ricerca di un’occupazione o, tra le occupate, da un’occupazione part-time ad una full time, in presenza di adeguati servizi alla famiglia (ISTAT 2005). STATO E MERCATO / n. 74, agosto 2005
268 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli equilibri raggiunti in passato dai modelli di welfare nella gestione della cura. In particolare, nell’Europa meridionale l’invecchia- mento della popolazione si manifesta a ritmi accelerati, in relazione sia all’allungamento della vita sia a tassi di natalità particolarmente bassi. La conseguente crescita della domanda di cura avviene contestualmente ad un indebolimento della famiglia quale agente di welfare ed a politiche generali di contenimento della spesa pubblica. Questo articolo intende fornire elementi a sostegno dell’ipo- tesi secondo la quale di fronte a una domanda crescente di sostegno ed a una diminuita capacità delle famiglie di farvi fronte, in assenza di una revisione strutturale del sistema pubblico, il modello familista stia orientandosi verso il crescente ricorso a soluzioni di mercato. Sulla tendenza negli anni ’90 allo sviluppo di mercati – più o meno pubblicamente regolati – si sono confrontate letture contrapposte. Alcuni vi hanno visto una spinta generalizzata verso la privatizzazione e lo smantellamento del welfare (cfr. il dibattito generato dai lavori di Pierson 1994, 1996). Una lettura alternativa è proposta dagli studi sui «mercati sociali», secondo cui la nuova generazione di politiche sociali finalizzate al sostegno della domanda e dell’offerta di servizi privati alla persona sarebbe la sola strategia in grado di «soddisfare quell’ampia domanda sociale potenziale lasciata insoddisfatta dall’intervento pubblico ed è in difficoltà a trovare soluzioni nell’ambito delle reti familiari o attraverso il ricorso al mercato privato» (Ranci 2001, p. 9). Dal punto di vista degli utilizzatori, la possibilità di accedere al mercato della cura è limitata da due fattori. Il primo è rappresentato dalla relazione tra reddito disponibile e uso di beni non essenziali (legge di Engel); il secondo è la malattia dei costi (Baumol 1967). Tali limiti si riflettono, oltre che sull’ac- cessibilità dei servizi, sulle caratteristiche del prodotto, ovvero sul contenuto e la qualità dei servizi, nonché sulle condizioni di lavoro dei caregiver. In proposito avanziamo due ipotesi. In primo luogo, al di là delle diverse giustificazioni ideologiche, lo spostamento verso soluzioni di mercato intende trasferire parte dei costi crescenti dei servizi dalle politiche pubbliche e dalle famiglie sui lavoratori di cura. In secondo luogo, l’introduzione di forme di mercato nel sistema familista assume caratteristiche particolari, in quanto avviene in un contesto caratterizzato da limitata offerta pubblica
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 269 di servizi, scarsa capacità di controllo pubblico sulla qualità delle prestazioni e del lavoro privato, forte segmentazione del mercato del lavoro (Reyneri 2002) e delle protezioni sociali (Ferrera 1993), forte presenza di economia sommersa (European Com- mission 1998; Schneider e Enste 2000). Poiché il contenimento dei costi è obiettivo sia della pubblica amministrazione sia delle famiglie, si osserverà la crescita di un settore economico secondario, con tendenza alla sottoretribuzione e sottotutela dei lavoratori, a discapito della qualità. 1.1. Campo di indagine ed evidenza empirica L’articolo considera le tendenze alla mercificazione nella cura degli anziani non autosufficienti e dei bambini piccoli2, due aree di bisogno anche quantitativamente importanti. L’evidenza empirica utilizzata combina diverse fonti e metodi di indagine. Si farà uso di dati istituzionali ed altri dati aggregati relativi all’offerta ed all’uso dei servizi3. Si procederà, inoltre, all’analisi secondaria di dati provenienti da survey nazionali sulle tendenze in atto nello sviluppo della domanda di cura e nelle risposte a tale domanda4 e ad elaborazioni autonome a partire dai microdati5. Infine, per analizzare i meccanismi sottostanti ai processi di cambiamento, si farà uso di dati qualitativi raccolti mediante interviste a caregiver formali e informali e testimoni privilegiati6. 2 Ci riferiamo qui alla cura di bambini con meno di tre anni, la fascia d’età più problematica. Tra i tre e i cinque anni, infatti, la grande maggioranza dei bambini italiani (98,5%) frequenta la scuola materna, in genere per otto ore al giorno (ISTAT 2001), che è generalmente gratuita. 3 Ad esempio per quanto riguarda i servizi residenziali per gli anziani: Bonarini (2002), ISTAT (2002), ISTAT (2003). Per quanto riguarda i servizi per la prima infanzia: ISTAT (1995), Innocenti 2002. 4 Per quanto riguarda gli anziani: ISTAT (1994), ISTAT (2001), Sabbadini (2002). Per quanto riguarda i bambini: ISTAT, Indagine campionaria sulle nascite, secondo i dati pubblicati in Lo Conte et al. (2003). Inoltre, sia per gli anziani che per i bambini: Sabbadini (1999, 2002). 5 In particolare, sulla base dell’Indagine multiscopo ISTAT «Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari» 1994 e 1999-2000. 6 Per quanto riguarda gli anziani sono stati intervistati 35 caregiver di persone non autosufficienti, di cui 25 al domicilio e 10 in struttura residenziale. Inoltre si sono condotte interviste con 15 assistenti familiari retribuite e con numerosi interlocutori privilegiati. La ricerca ha avuto luogo a Milano nell’anno 2003. Riguardo i bambini, sono state intervistate 20 mamme con almeno un bambino di tre anni che nei tre anni
270 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli L’articolo discute le recenti trasformazioni dei bisogni e della domanda di cura, considerando in primo luogo le tendenze relative al sostegno informale, all’uso dei servizi pubblici ed allo sviluppo dei servizi privati. Si analizzeranno poi i processi sottostanti lo sviluppo dei mercati dei servizi alla persona e le conseguenze per gli addetti del settore e per le famiglie. Nella parte conclusiva si discuterà l’ipotesi formulata alla luce dell’evi- denza empirica a disposizione. 2. Cambiamenti recenti nella cura di anziani e bambini in Italia I dati relativi agli anni ’90 mostrano una crescita del bisogno di sostegno e/o della domanda sociale sia nel caso degli anziani sia nel caso dei bambini7. Nonostante la grande maggioranza degli anziani goda di buona salute e rappresenti una fonte di sostegno per le famiglie più giovani, una minoranza consistente ha una limitata autono- mia nello svolgimento delle attività quotidiane. Circa la metà delle persone anziane residenti al proprio domicilio presenta qualche limitazione, ma in meno di un quarto dei casi si tratta di limitazioni gravi8. Inoltre, malgrado il miglioramento delle condizioni di salute degli anziani, l’invecchiamento della popo- lazione fa sì che il rapporto tra popolazione anziana con bisogni assistenziali e popolazione adulta continui a crescere. Analogamente, nonostante il calo della natalità, le esigenze di cura per i bambini in età pre-scolare aumentano, in quanto cresce la partecipazione delle donne con figli al mercato del lavoro. Aumenta, inoltre, la domanda di servizi non legata a uno specifico bisogno di cura ma alla scelta di un modello educativo: in una quota maggioritaria e crescente dei casi, la motivazione precedenti hanno adottato diverse modalità di cura (genitori, nonni, nido o baby sitter). Sono state, poi, intervistate 10 educatrici di nido (pubblico e privato) e di servizi integrativi (pubblici e no profit), oltre a 15 testimoni privilegiati. La ricerca si è svolta a Monza (Milano) nel 2003. 7 Distinguere aumento dei bisogni ed aumento della domanda di sostegno è tutt’altro che semplice ed esula dagli obiettivi di questo articolo. 8 I dati, elaborazioni autonomamente a partire da dati ISTAT, Indagine multiscopo «Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari» 1994 e 1999-2000, considerano una persona anziana «disabile» quando, avendo 65 anni, presenta qualche difficoltà nello svolgimento di almeno una delle attività della vita quotidiana (come alzarsi, coricarsi, vestirsi, mangiare, provvedere all’igiene personale, camminare, fare le scale); e «disabile grave» quando è impossibilitata a svolgere nemmeno una delle suddette attività.
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 271 principale rimanda ad aspetti relativi alla socializzazione, anche in relazione al minor numero di pari presente nelle famiglie; inoltre, diminuisce la quota di bambini che vanno al nido che hanno la mamma occupata9 (Sabbadini 1999; ISTAT 2005). 2.1. Il sostegno informale Il sostegno informale ricevuto dai nuclei familiari10 con particolari bisogni di cura ha subito rilevanti trasformazioni negli ultimi venti anni. Tra il 1983 ed il 2003 si è verificata una considerevole diminuzione della quota di nuclei familiari che ricevono aiuti gratuiti dal network informale, passata dal 23,3% al 16,7% (ISTAT 1994, 2001; cfr. tab. 1). Tale diminuzione non è, però, ugualmente distribuita tra i diversi tipi di nuclei familiari. La percentuale di nuclei familiari con almeno un anziano che ricevono aiuti gratuiti dall’esterno si è ridotta considerevolmente tra il 1983 e il 2003 (dal 28,9 al 18,3%). Ancora più consistente è il calo del sostegno ricevuto dagli anziani soli (dal 48,6% nel 1983 al 24,2% nel 199811). Tra le famiglie con bambini la situazione appare invece assai differente. In presenza di un bambino con meno di 14 anni e madre casalinga le famiglie che ricevono aiuti passano dal 20,2% al 18% tra il 1983 ed il 2003. Al contrario, aumentano gli aiuti ricevuti dalle famiglie con almeno un bambino di 14 anni e madre che lavora (ibidem). L’assistenza ai bambini è l’attività di aiuto a persone non conviventi più significativa in termini di ore erogate sia dagli uomini che dalle donne, e nel 2003 rappresenta il 34,5% di tutti gli aiuti erogati (contro il 25% nel 1998; ISTAT 2005). Inoltre, per quanto riguarda gli anziani, si osserva la dimi- nuzione del sostegno gratuito soprattutto nelle attività di cura della persona e di assistenza sanitaria12. Quindi, il tipo di aiuto 9 Dal 79 al 70% tra il 1998 e il 2003. 10 Le indagini ISTAT forniscono informazioni unicamente sugli aiuti ricevuti dall’esterno dei nuclei familiari, mentre non sono disponibili dati relativi al lavoro di cura svolto all’interno dei nuclei familiari 11 Il dato relativo al 2003 non è disponibile. 12 Tra gli anziani che vivono soli – di particolare interesse perché non possono contare sul sostegno di altri componenti il nucleo familiare – tra il 1990-1991 ed il 1998 coloro che ricevono aiuto nella cura della casa scendono dal 25,3% al 18,9%; decisamente più rilevante è il calo di coloro che ricevono aiuto gratuito nelle cure
272 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli TAB. 1. Famiglie che hanno ricevuto aiuti gratuiti dall’esterno del nucleo familiare, per caratteristiche del nucleo familiare (%). Anni 1983, 1992, 1998, 2003 1983 1992 1998 2003 Tutte le famiglie 23,3 18,7 14,8 16,7 Famiglie con almeno un anziano (65 anni e più) 28,9 nd 15,8 18,3 Anziani soli 48,6 41,1 24,2 nd Coppia con almeno un bambino < 14 anni (madre casalinga) 20,2 nd 15,0 18,0 Coppia con almeno un bambino < 14 anni (madre occupata) 30,9 nd 30,2 33,0 Monogenitore con almeno un bambino < 14 anni 38,9 nd 24,9 29,7 Fonte: ISTAT (1994, pp. 285, 290); ISTAT (2001, p. 49); ISTAT (2005, p. 287). ricevuto tende a spostarsi da un sostegno più legato alla cura della persona, più «pesante», ad un sostegno legato alla cura della casa, più «leggero». Riguardo i bambini, diminuisce il potenziale di cura interno alla famiglia nucleare, per l’aumento dell’occupazione delle mamme, ma il peso della cura informale si sposta sempre più sulla famiglia estesa, ovvero sui nonni. La percentuale dei nonni che si occupano dei nipoti non coabitanti mentre i genitori lavorano è passata dal 22,3 al 24,4% tra il 1998 e il 2003 (ISTAT 2005). L’indagine campionaria ISTAT sulle nascite mostra, inoltre, che le neo-mamme con bambini tra i 18 e i 21 mesi sono occupate per il 51%: oltre la metà di questi bambini è affidato tutti i giorni ai nonni durante l’intero orario di lavoro dei genitori (Lo Conte et al. 2003). Il sistema non è, però, destinato a restare in equilibrio, in quanto i nonni tenderanno a lavorare più a lungo per effetto delle riforme previdenziali, e le nuove coorti di nonne lavoreranno di più rispetto alle precedenti (Saraceno 2003a). sanitarie (dal 17,9% al 7,4%) e nella cura della persona (dal 29,4% all’8,4%) (ISTAT 1994, p. 290; ISTAT 2001, p. 63; Sabbadini 2001, p. 344). Purtroppo, i dati a disposizione non consentono una stima dell’intensità dei sostegni ricevuti.
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 273 2.2. I servizi pubblici In entrambe le aree di intervento, lo sviluppo di servizi territoriali ha avuto inizio a partire dagli anni ’70, parallelamente all’attivazione delle regioni ed al conferimento agli enti locali della responsabilità in materia di servizi sociali. Sia per quanto riguarda la cura dei bambini che quella degli anziani, il livello dell’offerta pubblica o pubblicamente regolata e finanziata si è mantenuto basso, rispetto alla maggior parte dei paesi europei. Inoltre, negli anni ’90, in corrispondenza della crescita della domanda e dei bisogni di cura non si è verificata una sostanziale espansione dei servizi e della copertura pubblica dei bisogni. In Italia il tasso di istituzionalizzazione degli anziani, com- parativamente assai contenuto (Anttonen e Sipila 1996), è stabile intorno al 2% (Bonarini 2002)13. Inoltre, in Italia, l’offerta di posti in strutture residenziali non corrisponde interamente ad offerta «pubblica». Da un lato, infatti, il pagamento delle rette resta in buona parte in carico all’utenza14. D’altro canto l’oc- cupazione nelle strutture residenziali è solo parzialmente ricon- ducibile al settore pubblico, dati la natura giuridica delle strutture ed i processi di esternalizzazione dei servizi ad ope- ratori privati, soprattutto non profit15. I servizi domiciliari e territoriali sviluppatisi a partire dagli anni ’70 continuano a coprire una quota molto piccola della popolazione anziana. In Italia, le famiglie con almeno un anziano che ricevono servizi di assistenza domiciliare sono circa il 3% negli anni ’90 (elaborazioni su dati ISTAT 1994, 1999-2000). Nonostante i servizi sociali e sociosanitari siano limitatamente 13 Si osservano tuttavia grandi differenze territoriali, anche in relazione alle diverse politiche regionali di programmazione e finanziamento delle strutture residenziali: tassi più elevati nelle regioni del nord (3,24% a fine 1999); intermedi nelle regioni centrali (1,5%) e molto bassi nelle regioni del sud e nelle isole (0,9%-1%) (ISTAT 2002). 14 Il sistema di finanziamento delle strutture residenziali è assai diversificato nei contesti locali e recentemente sottoposto a revisioni. Generalmente una quota dei costi delle strutture è finanziata direttamente dai fondi sanitari regionali. La quota restante è posta a carico degli utenti (ed in certa misura dei loro familiari) o, nel caso questi non siano in grado di corrispondere per intero la retta, dei comuni di residenza. 15 Intendiamo per imprese for profit le aziende che operano a fine di lucro e possono distribuire gli utili. Di converso tra le imprese non for profit, che non possono distribuire gli utili, si annoverano svariati soggetti giuridici (cooperative, cooperative sociali, organizzazioni non lucrative di utilità sociale, fondazioni, associazioni ecc.). Per una discussione sulla definizione del settore non for profit vedi Borzaga 1991 e Barbetta 1996.
274 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli cresciuti negli anni, il ritmo di tale crescita non è stato sufficiente a compensare l’invecchiamento della popolazione. Inoltre, l’in- tensità e la continuità dei servizi offerti non è tale da garantire una valida alternativa né al ricovero, né alle cure informali in presenza di elevati bisogni di cura. L’estensione ed intensifica- zione delle attività risulterebbe troppo onerosa per i soggetti pubblici responsabili e, in caso di compartecipazione alla spesa da parte degli utenti, per i beneficiari stessi. Altre forme di intervento, quali i centri diurni, restano limitate anche nelle regioni che hanno maggiormente investito in questo tipo di offerta. Riguardo la cura dei bambini con meno di tre anni, il tasso di copertura dei servizi pubblici è tradizionalmente piuttosto basso in molti paesi europei. Supera il 10% solo in Francia, e raggiunge medie superiori solo nei paesi scandinavi (Leprince 2003; OECD 2001). In Italia, la copertura delle strutture collettive è sempre stata molto bassa: nel 2003 raggiungeva appena l’8,7% della popolazione in età (era il 6,2% nel 1998; ISTAT 2005). Inoltre, dopo l’iniezione degli anni ’7016, la crescita dell’offerta pubblica si è attestata su un ritmo piuttosto lento. Solo nella seconda parte degli anni ’90, sotto la pressione di una crescente domanda insoddisfatta, il numero di strutture create è tornato a un livello significativo (Innocenti 2002): tra il 1992 e il 2000 i nidi pubblici sono aumentati del 18%, ma con grandi differenze tra le diverse macro-regioni (cfr. tab. 2). Circa un quarto delle domande di iscrizione al nido pubblico resta insoddisfatto. Sia la comparazione territoriale, sia quella diacronica mostrano come l’aumento dell’offerta di servizi faccia ulteriormente emergere la domanda presente sul territorio (Innocenti 2002). Oltre ai nidi, l’offerta comprende i servizi integrativi (Tempi Famiglia, Spazi Gioco, Nidi Famiglia), svi- luppatisi in anni recenti17. Essi sono per la maggior parte pubblici (68,9%), ma più della metà sono dati in appalto (cfr. 4.1). 16 La legge sugli asili nido comunali (L. 1044/1971) ha riconosciuto la responsabilità dello stato nella cura dei bambini sotto i tre anni di età, da attuarsi tramite gli enti locali. La legge prevedeva la creazione di almeno 3.800 nidi entro il 1976, ma a distanza di un quarto di secolo si contavano solo 2.404 nidi comunali in tutto il paese (Innocenti 2002). 17 Soprattutto con l’implementazione della legge 285/1997 «Disposizioni per la promozione dei diritti dell’infanzia».
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 275 TAB. 2. Numero di nidi pubblici e privati. Anno 2000 e variazione 1992-2000. Italia e macroaree Macro-regioni Incidenza Incidenza Nr. totale ⌬ Peso posti nido domande nidi 2000 1992-2000 settore privato su pop < 3 insoddisfatte (V.A.) (%) su ⌬ (%) su pop < 3 (%) ’92-’00 (%) Nord Italia 10 5 1.769 34 69 Centro Italia 9 3 754 41 36 Sud Italia 4 1 485 50 47 Italia 8 3 3.008 38 56 N. 118.517 Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT 1995 e Innocenti 2001. 2.3. I servizi privati Per quanto riguarda la cura sia dei bambini che degli anziani, si è riscontrata, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ’90, una crescita considerevole di un fenomeno limitato fino a tempi recenti, ovvero l’acquisto di servizi privati direttamente dalle famiglie. Alla fine degli anni ’90, gli aiuti retribuiti ricevuti dalle famiglie con bambini e con anziani rappresentano la seconda più importante fonte di sostegno dopo quello informale (cfr. tab. 3). Per quanto riguarda gli anziani, in Italia, alla fine degli anni ’90, una quota considerevole di famiglie fa uso di servizi privati a pagamento per la cura della persona: il 3,9% di tutti i nuclei con almeno un anziano; il 7% dei nuclei con un anziano con qualche disabilità ed il 12,1% dei nuclei con un anziano gravemente disabile. Nonostante alcune variazioni territoriali, l’importanza dei servizi privati a pagamento per dare risposta ai bisogni di cura degli anziani è osservabile in tutte le aree territoriali. Ancora più diffuso è il ricorso a personale di servizio, che cresce considerevolmente in presenza di disabilità grave: fanno ricorso a servizi privati per la cura della casa l’11% di tutti i nuclei familiari con almeno un anziano; il 10,1% dei nuclei con almeno un anziano con disabilità lieve ed il 16,3% dei nuclei con un anziano con disabilità grave. Anche in questo caso le differenze territoriali sono piuttosto contenute. Com- plessivamente i servizi privati rappresentano una fonte di primaria importanza per la risposta ai bisogni di cura delle persone anziane: il 13,5% delle famiglie con almeno un anziano utilizza servizi privati a pagamento; la percentuale sale al 22,6%
276 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli TAB. 3. Famiglie che hanno ricevuto diverse forme di sostegno dall’esterno del nucleo familiare nelle 4 settimane precedenti l’intervista, per caratteristiche della famiglia e per tipo di aiuto ricevuto (%). Italia 1998 (e 2003) Tipo di nucleo Informale Pubblico Privato Nessun aiuto Almeno un anziano, nessun bambino 16,1 4,1 10,6 74,3 Almeno un bambino < 14, nessun anziano 24,1 2,2 10,4 68,0 Almeno un anziano e un bambino 24,1 2,2 10,4 81,4 Almeno un anziano 75+ 20,9 6,3 14,2 66,4 25,9* 9,9* 14,5* Almeno un anziano 80+ 26,5 7,1 16,9 59,7 31,4* 13,4* 18,4* Anziano solo 24,3 4,9 14,0 64,6 Almeno un componente con disabilità 27,3 9,7 13,4 61,0 Almeno un componente con disabilità grave 30,6 14,2 15,9 55,8 34,2* 21,7* 20,3* * Anno 2003. Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT 2001 e ISTAT 2005. in presenza di un anziano con una disabilità grave (ISTAT 1999- 2000). Questi dati trovano riscontro nell’emergere di una nuova figura di assistente per gli anziani, la «badante», che opera a domicilio, spesso nel mercato irregolare. Di tale esito si trova traccia unicamente in alcuni paesi del sud (Ramirez 1999; Vaiou 2002) e, in forme più leggere, in Austria e Germania (Hammer e Österle 2003). L’assistenza domiciliare privata agli anziani si è pertanto diffusa sottoforma di una relazione di lavoro diretta tra le famiglie ed i lavoratori, spesso stranieri e generalmente operanti nel mercato sommerso, mentre le imprese profit e non profit non sembrano occupare un ruolo rilevante nella gestione di servizi direttamente rivolti alle famiglie. Nei servizi per bambini, l’offerta privata comprende nidi privati, soprattutto di piccole-medie dimensioni, e l’offerta individuale di cura da parte di baby sitter, in grande maggioranza senza contratto18. In anni recenti si è sviluppata inoltre una forma intermedia di cura privata, il cosiddetto nido-famiglia. Diversamente dalla maggior parte dei paesi europei (Fraisse 18 Secondo i dati della Multiscopo, nel ’98 il 4,8% dei bambini sotto i tre anni di età era affidato quotidianamente a una baby sitter (Sabbadini 1999). L’indagine ISTAT sulle nascite stima che nel 2003 l’11% delle neo-mamme che lavorano affida il proprio bambino a una baby sitter (Lo Conte, Prati e Talucci 2003).
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 277 2004), in Italia si è assistito a un aumento significativo di strutture private, soprattutto negli ultimi dieci anni19. I nidi privati sono cresciuti di oltre il 300% tra il 1992 e il 2000, arrivando a rappresentare oltre il 20% delle strutture e oltre il 10% dei posti-nido20 (elaborazioni su Innocenti 2002). L’au- mento dei nidi privati rappresenta oltre la metà dell’aumento totale delle strutture esistenti avvenuto in quello stesso periodo. Negli ultimi cinque anni l’aumento delle strutture private dovrebbe aver conosciuto un’ulteriore impennata, se è vero che il 43,4% di tutti i bambini che vanno al nido frequentano una struttura privata (ISTAT 2005). L’esistenza di un bisogno sociale non soddisfatto ha stimolato l’emergere di un’offerta da parte di imprenditori privati. Il problema delle difficili condizioni di start-up21 è assorbito in Italia da un’importante presenza di franchising. Solo dalla fine degli anni ’90 si sono diffusi, tanto a livello locale che nazionale, incentivi pubblici alla costruzione o ristrut- turazione di nidi privati e aziendali. Tali iniziative rispondono alla logica di diminuire la pressione sui servizi pubblici, aumen- tando l’offerta totale a un costo contenuto22. Tuttavia – salvo un numero limitato di posti in convenzione – tali strutture sono gestite secondo logiche di mercato: solo le famiglie con reddito medio-alto possono accedervi (cfr. tab. 8). Anche lo sviluppo dei nidi famiglia, generalmente giustificato con l’esigenza di rispondere alla diversificazione dei bisogni23, segue logiche analoghe, peraltro in assenza di regolazione24. 19 Negli altri paesi europei l’offerta privata collettiva esiste, ma è piuttosto l’esito di iniziative associative delle famiglie (Francia, Svezia), o si configura in piccolissime dimensioni, più riconducibili ai nostri Nidi Famiglia (Spagna). 20 La rilevazione effettuata dall’Istituto degli Innocenti sottostima con tutta proba- bilità il numero dei nidi privati e dei servizi integrativi (Innocenti 2002). 21 Gli standard strutturali richiesti sono elevati, i controlli per ottenere le autoriz- zazioni severi (mentre tendono ad allentarsi in seguito), e i tempi di attesa lunghi. Inoltre, gli investimenti iniziali sono notevoli, mentre raggiungere la clientela non è un risultato immediato. 22 Soprattutto le leggi finanziarie 2002 e 2003 hanno destinato fondi ai nidi privati e aziendali. 23 In particolare gli orari di lavoro dei genitori, meno standardizzati, si scontrano spesso con quelli dei servizi collettivi. 24 Una sola persona, che non soddisfa particolari requisiti, può accudire fino a sette bambini tra zero e due anni, in uno spazio non pensato specificamente per questo.
278 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli 2.4. Il mercato del lavoro dei servizi alla persona La distribuzione dei compiti di cura tra famiglia, servizi pubblici e servizi privati si riflette sulla struttura occupazionale e sui tassi di occupazione in questo settore. I dati OECD mostrano come il tasso di occupazione nel settore dei servizi alla persona25 sia particolarmente basso in Italia ed in altri paesi dell’Europa meridionale, rispetto ai paesi scandinavi. In un posizione intermedia si collocano i paesi dell’Europa continen- tale come Francia e Germania e, a un livello superiore, la Gran Bretagna (cfr. tab. 4). In Italia, secondo il censimento generale dell’industria e dei servizi26, tra il 1991 ed il 2001 nel settore della sanità il numero degli addetti è cresciuto moderatamente (+12%), mentre è incrementato in modo più consistente il numero degli enti erogatori (+52%). Mentre il settore pubblico ha visto diminuire il numero di erogatori, con una stabilità degli addetti, gli incrementi più rilevanti si sono registrati tra le imprese non profit e profit. Il peso degli addetti del settore pubblico diminuisce, quindi (dal 70 al 63%) a favore del privato non profit (dal 27 al 32%) e profit (dal 3 al 6%) (cfr. tab. 5). Nel settore dell’assistenza sociale – che occupa un numero decisamente più modesto di addetti – si è registrata negli anni ’90 una crescita sia del numero di erogatori sia del numero di addetti. In questo settore il peso del comparto pubblico è decisamente limitato ed in calo (36,4% degli addetti nel 1991, contro 22,4% nel 2001), mentre la quota di addetti più significativa ed in crescita fa riferimento alle imprese private non profit (dal 55,2% al 68,1%). Le imprese private profit occupano una quota molto piccola (8,4% nel 1991 e 9,5% nel 2001)27 (cfr. tab. 5). Accanto agli occupati inseriti in contesti organizzati, vi è la presenza consistente dei collaboratori domestici impiegati diret- tamente presso le famiglie28 (si veda il numero monografico di 25 Si considera qui congiuntamente il settore «sanità e servizi sociali». 26 La classificazione in uso delle attività economiche non fornisce dati sulle attività di cura per anziani e bambini. Per i servizi di cura si può fare riferimento alle attività sanitarie e di assistenza sociale, che escludono, tuttavia, attività connesse quali le pulizie, manutenzioni, ecc. 27 All’interno di quest’area particolarmente rilevante è il peso del settore non profit nei servizi non residenziali, dove il settore pubblico occupa soltanto il 14,8% nel 2001. 28 Il gruppo dei lavoratori domestici non comprende unicamente lavoratori di cura in senso stretto, ma anche occupati in attività domestiche in assenza di particolari bisogni
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 279 TAB. 4. Tassi di occupazione nei servizi socio-sanitari e domestici in alcuni paesi europei (1993-2002) 1993 2002 Servizi sanitari Servizi Servizi sanitari Servizi e sociali domestici e sociali domestici Italia 3,0 0,5 3,4 0,5 Svezia n.d. n.d. 13,7 0,0 Francia 5,2 0,7 5,7 1,1 Germania 5,5 0,2 6,9 0,3 Gran Bretagna 7,1 0,5 8,0 0,3 Fonte: Elaborazioni su dati OECD (2003). Polis 1/2004 sul lavoro domestico). In Italia il settore dell’im- piego regolare presso le famiglie raggruppa un numero di addetti solo leggermente inferiore a quelli nell’area dell’assistenza so- ciale: circa 224.000 posizioni registrate presso l’INPS nell’anno 2002 (Osservatorio sui lavoratori domestici29). I dati sull’occupazione sono tuttavia inficiati dalla conside- revole presenza di lavoro sommerso nel settore dei servizi alla persona. L’ISTAT stima, infatti, che nell’ambito dei servizi sanitari e sociali e dei servizi domestici le unità di lavoro equivalente superino complessivamente i due milioni. Le unità di lavoro non regolari rappresenterebbero ben il 34,8% del totale. Inoltre mentre nel settore della «sanità ed altri servizi sociali» i tassi di irregolarità stimati sono piuttosto contenuti, questi raggiungono livelli impressionanti nei «servizi domestici presso famiglie e convivenze» (82,6%). Tra il 1992 ed il 2001 l’incidenza del lavoro irregolare sul lavoro complessivo sarebbe ulteriormente cresciuta di 3,2 punti percentuali, in particolare nei servizi domestici (cfr. tab. 6). In sintesi si registra una limitata crescita dell’occupazione nei servizi alla persona, che restano scarsamente sviluppati in termini comparati. Tuttavia, si osserva una crescita consistente dell’oc- cupazione nel settore privato che assorbe la diminuzione nel assistenziali del nucleo familiare. Praticamente assenti in Svezia, i servizi prestati direttamente alle famiglie sono presenti in modo abbastanza omogeneo in Italia, Gran Bretagna e Germania (tra lo 0,3 e lo 0,5%), più diffusi ed in crescita in Francia (cfr. tab. 4). 29 http://www.inps.it/doc/sas_stat/domestici/domestici.html.
280 TAB. 5. Numero di enti e numero di addetti in enti pubblici, non profit e for profit nel settore della sanità e dell’assistenza sociale, 1991-2001 Settore Tipo di Enti Enti Addetti Addetti Aumento Aumento % % imprese 1991 2001 1991 2001 % enti % addetti addetti addetti 1991-2001 1991-2001 1991 2001 Sanità pubblico 709 345 695.006 697.689 –51 0 70 63 non profit 978 6.126 26.402 69.105 526 162 3 6 profit 114.078 169.927 264.408 343.933 49 30 27 31 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli Totale 115.765 176.398 985.816 1.110.727 52 13 100 100 Assistenza pubblico 895 2.395 44.404 62.769 168 41 36 22 sociale non profit 5.512 20.812 67.421 190.762 278 183 55 69 profit 1.010 2.129 10.217 26.632 111 161 8 9 Totale 7.417 25.336 122.042 280.163 242 130 100 100 ISTAT, 8° censimento generale dell’industria e dei servizi; http://dwcis.istat.it/cis/index.htm.
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 281 TAB. 6. Unità di lavoro equivalente regolari ed irregolari nei servizi alla persona; 1992- 2001 1992 2001 Sanità e altri regolari 1.152,9 1.240,5 servizi sociali irregolari 72,3 95,3 (5,9%) (7,1%) Servizi domestici regolari 141,7 134,7 presso famiglie irregolari 525,7 638,8 (78,8%) (82,6%) Totale regolari 1.294,6 1.375,20 irregolari 598,0 734,1 (31,6%) (34,8%) Fonte: ISTAT 2003c. settore pubblico. Inoltre la tradizionale importanza del mercato irregolare risulta rafforzata. 3. Meccanismi di sviluppo della cura privata in Italia Lo sviluppo della cura privata emerge in relazione a tre processi: l’esternalizzazione da parte dei servizi pubblici, l’ester- nalizzazione da parte delle famiglie e la monetizzazione degli interventi di cura. Per ognuno metteremo in evidenza le specificità degli esiti in rapporto al contesto italiano. 3.1. L’esternalizzazione della gestione dei servizi pubblici L’esternalizzazione, che rappresenta uno dei più importanti meccanismi di privatizzazione dei servizi, ha riguardato quasi tutti i paesi occidentali (Young 2000). Se in letteratura vi è un certo consenso sul fatto che questo processo abbia prodotto risparmi per la pubblica amministrazione (Domberger e Jensen 1997), resta controverso se la fonte di tali risparmi sia la minore protezione e remunerazione della forza lavoro o la maggiore flessibilità (Bach 2000, p. 20). Nel caso italiano ciò che sembra rilevare sono le caratteristiche del contesto: segmentazione del mercato del lavoro e delle tutele connesse, presenza di lavoro irregolare, scarsa capacità di regolazione delle amministrazioni pubbliche. Il processo di
282 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli esternalizzazione si è collegato e ha favorito la crescita della cooperazione sociale. Nel caso dei servizi all’infanzia, ad esem- pio, le cooperative sono titolari solo di un terzo dei servizi privati, mentre gestiscono quasi il 90% dei servizi pubblici dati in appalto30 (Innocenti 2002). Anche nel caso dei servizi per gli anziani, le imprese non profit non si sono finora sviluppate nel mercato dei servizi diretti alle famiglie31. Le forniture pubbliche, infatti, permettono la stabilizzazione della domanda per le cooperative. Le tariffe corrisposte dalla pubblica amministrazione agli enti appaltatori non sono necessariamente più basse degli oneri orari sostenuti per l’assunzione di personale dipendente (cfr. tab. 7). Il vantaggio per la pubblica amministrazione è rappresentato piuttosto dalla maggiore flessibilità offerta dalle imprese esterne. Se le prestazioni dovessero essere interamente gestite attraverso personale interno si dovrebbe assumere personale in eccedenza per garantirne la continuità anche in caso di assenza per malattie, maternità, permessi e trasferimenti. Inoltre, le tutele contrattuali dei dipendenti pubblici rendono difficile aprire i servizi in orari e giorni tradizionalmente non coperti. Gli enti erogatori riescono a mantenere prezzi relativamente bassi sia grazie al contenimento dei salari diretti, sia per il ricorso a rapporti di lavoro e modalità di organizzazione dei tempi di lavoro flessibili (operatori «a chiamata»; collaboratori continua- tivi e a progetto). Peraltro il peso del volontariato, che secondo alcuni potrebbe costituire una modalità di riduzione dei costi «eticamente» fondata (Paci 2004, p. 365) appare molto limitato, soprattutto per quanto riguarda attività di cura routinarie, prolungate nel tempo e ad elevata intensità di lavoro. Ciò è vero sia nell’ambito delle organizzazioni che operano per la pubblica amministrazione, sia per quelle che si rivolgono direttamente alle famiglie (cfr. 3.2). Nonostante spesso si vincolino gli enti erogatori al rispetto delle norme contrattuali ed alla formazione del personale, la 30 L’esternalizzazione riguarda soprattutto i servizi integrativi. Si stima che nel 2000 fosse gestito in appalto solo il 23,6% dei nidi e ben il 55,6% dei servizi integrativi (Innocenti 2002). 31 Nel caso dei servizi per l’infanzia si osservano solo di recente iniziative in tal senso, come il Progetto Asili Nido (PAN), che intende finanziare in modo agevolato soggetti del terzo settore per la creazione di servizi di qualità, attraverso la formazione di un consorzio tra una grande banca (Banca Intesa) e due grandi gruppi di imprese sociali (CGM e FIS).
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 283 TAB. 7. Costo delle prestazioni per la cura di anziani a domicilio e retribuzione netta dei lavoratori; Milano 2003 Costo orario Costo mensile per prestazioni continuative 24/7 Costo del Retribuzione Costo del Retribuzione lavoro netta lavoro netta Dipendente pubblico 12-14 8-9 Lavoratore di cooperativa* 14-17 7-8 3000 1500 Lavoratore di impresa for profit* 16-19 8-9 3400 1700 Lavoratore domestico regolare* 8-9 7-8 3000 2500 Lavoratore domestico irregolare 7-8 7-8 700-800 700-800 * Nel caso delle prestazioni continuative 24/7 il costo del lavoro e la retribuzione netta sono da ripartire su più lavoratori. Fonte: Interviste con testimoni privilegiati; contratti collettivi nazionali di lavoro. capacità di controllo dei soggetti appaltanti è limitata. Inoltre, la coesistenza di pubblici dipendenti e lavoratori precari addetti alla stessa mansione genera evidenti disuguaglianze. L’esterna- lizzazione si configura quindi come una strategia di riduzione dei costi, a detrimento delle condizioni di lavoro. 3.2. L’esternalizzazione della cura da parte delle famiglie Nei paesi europei l’esternalizzazione della cura da parte delle famiglie è avvenuta attraverso lo sviluppo dei servizi pubblici; più raro, e limitato alle classi superiori, è il ricorso al mercato. In Italia, il ricorso a servizi privati è recentemente divenuto un fenomeno di massa per quanto riguarda la cura degli anziani. Laddove in passato la solidarietà familiare si esprimeva unica- mente attraverso l’erogazione diretta di sostegno non retribuito, ora la ricerca di un lavoratore, e la supervisione della sua attività, oltre che la parziale copertura dei relativi costi, rappresentano modalità alternative di sostegno. Tale soluzione è accessibile ad un’ampia quota della popolazione grazie ad un mercato della cura sottoretribuito ed irregolare. Il costo del lavoro di una badante, soprattutto se irregolare, ma non solo, beneficia della mancata o parziale corresponsione degli oneri fiscali e contributivi, ma anche di un’incompleta valorizzazione del tempo di lavoro. Diversamente, riguardo la cura dei bambini piccoli il ricorso al mercato non è un fenomeno di massa (concerne l’11% delle
284 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli TAB. 8. Costo mensile della cura per un bambino
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 285 dunque, in entrambe le aree, come una strategia di sostituzione del lavoro informale con lavoro retribuito a basso costo. 3.3. La monetizzazione della cura: l’istituzionalizzazione della cura di mercato a basso costo Uno dei più importanti sviluppi nelle politiche della cura in Europa negli anni ’90 è stata l’introduzione di forme di monetizzazione dei servizi, in particolare a sostegno degli anziani e dei disabili: agli utenti sono attribuite risorse monetarie finalizzate ad acquistare prestazioni nel mercato privato, o a retribuire caregiver informali (Weekers e Pijl 1998; Pacolet 2000)34. In Italia, la tradizionale forma di sostegno ai bisogni di cura degli anziani è rappresentata dall’indennità di accompagnamen- to, un’erogazione monetaria non sottoposta alla prova dei mezzi, il cui utilizzo è interamente discrezionale35. Inoltre, negli anni ’90, numerose regioni ed enti locali hanno introdotto forme di sostegno economico, i cosiddetti assegni di cura, generalmente means tested ma ugualmente senza vincoli d’uso. Riguardo la cura dei bambini la monetizzazione è stata avviata solo di recente, a partire dall’implementazione della legge sul riordino dei servizi sociali (328/00); i comuni possono riservare buoni sociali per l’acquisto di cura nel mercato regolare a famiglie con reddito sotto una certa soglia rimaste escluse dai nidi comunali. Anche nelle recenti iniziative di inserimento delle badanti e delle baby sitter nella rete dei servizi, sperimentate in numerosi 34 Gli strumenti utilizzati, che nel dibattito vengono spesso assimilati, divergono considerevolmente in relazione all’ammontare dei benefici, alle modalità di accesso, ai vincoli posti all’utilizzo delle risorse erogate, alla possibilità o meno di utilizzare i fondi per compensare il coniuge o altri parenti che prestano cure informali. Mentre nei Paesi scandinavi, parallelamente all’introduzione di misure di monetizzazione, si sono ulte- riormente sviluppati i servizi pubblici e si sono previste ampie tutele per i caregiver informali, nella maggior parte dei paesi dell’Europa continentale ed in Gran Bretagna le politiche si sono orientate verso la promozione della cura informale a basso costo. Il caso italiano è uno dei più deregolati. 35 Questa misura – introdotta prima della generalizzazione di tali misure in Europa – era originariamente pensata per i portatori di handicap adulti, finalizzata a compensare economicamente il sostegno informale ricevuto e a sostenere le spese straordinarie connesse alla disabilità. Ciononostante, essa è nel tempo divenuta la principale forma di sostegno alle persone anziane non autosufficienti: circa il 6,5% della popolazione ultra 65enne beneficia di un ammontare fisso pari a circa 440 euro mensili nel 2005 (INPS).
286 Barbara Da Roit e Stefania Sabatinelli contesti locali, il livello di regolazione pubblica resta basso rispetto ad analoghe esperienze estere. La monetizzazione della cura rappresenta il punto di contatto tra i due precedenti meccanismi di sviluppo del mercato. Da un lato gli enti pubblici sostengono economicamente le famiglie nella loro propensione ad esternalizzare i servizi di cura ridu- cendo i costi di mercato. Dall’altro favoriscono la crescita di servizi privati. Coprendo, però, solo una quota dei costi dei servizi, tali interventi alimentano un mercato della cura a basso costo, sottoprotetto ed irregolare, con una capacità di controllo persino inferiore rispetto all’esternalizzazione dei servizi tramite appalto. 4. Conclusioni L’articolo individua alcuni elementi a sostegno dell’ipotesi che il modello familista si stia orientando verso sviluppi di mercato, e solleva nuovi interrogativi. I dati disponibili evidenziano, a fronte dell’aumentata pres- sione dei bisogni di cura sia per gli anziani non autosufficienti sia per i bambini, una diminuita importanza del sostegno informale (soprattutto per gli anziani) ed il mancato sviluppo di servizi pubblici. Parallelamente si riscontra la crescente importanza di soluzioni di mercato. Le politiche pubbliche hanno incentivato lo sviluppo di mercati, sia attraverso processi di esternalizzazione dei servizi, sia attraverso il finanziamento alle famiglie per rendere solvibile la domanda di cura. Inoltre, soprattutto riguardo gli anziani, si assiste ad una forte spinta delle famiglie verso l’esternalizzazione di servizi di cura tradi- zionalmente svolti all’interno delle famiglie allargate. Nonostante alcune differenze, le tendenze comuni osservate nelle due aree sostengono l’ipotesi di partenza relativa alla mercificazione del modello familista, confermando che le tra- sformazioni in atto sono fortemente legate alle caratteristiche del modello di welfare, più che alle caratteristiche dell’area di bisogno sociale. Lo sviluppo del mercato nei servizi alla persona, avendo tra gli obiettivi quello della riduzione dei costi delle prestazioni a carico del settore pubblico e delle famiglie, si appoggia sulle caratteristiche strutturali del mercato del lavoro italiano: il forte dualismo tra settori fortemente protetti e scarsamente protetti
Il modello mediterraneo di welfare tra famiglia e mercato 287 ed il peso considerevole delle attività irregolari. Lo sviluppo del settore dei servizi alla persona è caratterizzato dalla compres- sione del costo del lavoro e dalla sua scarsa protezione in tutti gli ambiti ad esclusione dell’impiego pubblico – che infatti è l’unico stagnante. La (parziale) defamilizzazione della cura avviene non attra- verso lo sviluppo di servizi sociali (ovvero attraverso la sfera della redistribuzione), ma soprattutto attraverso la sfera del mercato, anche sulla base di incentivi pubblici. Ne consegue che le responsabilità restano in seno alle famiglie, che continuano ad accollarsi in parte i costi della gestione diretta delle cure o, in alternativa, i costi economici ed organizzativi della loro ester- nalizzazione. Questo tipo di sviluppo comporta la riproduzione di iniquità nell’accesso ai servizi, in relazione al livello di reddito delle famiglie ed alla presenza di asimmetrie informative. Le tensioni tradizionalmente assorbite dalle famiglie relative alla cura dei bambini e degli anziani sono, così, in parte trasferite sul mercato del lavoro. Ciò comporta sia scarse garanzie di qualità, oltre che tensioni economiche, per chi domanda cura, sia bassi livelli di tutela e remunerazione per chi offre profes- sionalmente cura – tratti tipici dei regimi di welfare liberali. La cura o è internalizzata perché troppo costosa e/o per vincoli istituzionali e normativi (soprattutto nel caso dei bambini) o è di mercato, cioè spesso dequalificata, svolta in nero e prevalen- temente da stranieri e poco costosa (soprattutto per gli anziani). Al tempo stesso il carattere continuativo, intenso, ripetitivo dei servizi alla persona non sembra conciliarsi con le logiche del volontariato, che, ove presente, privilegia attività più creative o più spacializzate, meno ripetitive ed in ogni caso con un minore coinvolgimento di tempo. Il modello di welfare familista tende pertanto a cambiare ed al tempo stesso a riprodursi. Gli elementi emersi sottolineano, a nostro avviso, la necessità di riflettere sulle traiettorie del sistema di welfare mediterraneo a fronte delle tensioni in atto e delle risposte che le politiche stanno mettendo in campo, che sembrano favorire una maggiore tendenza alla defamilizzazione della cura prevalentemente attraverso un maggior peso del mercato nella gestione dei rischi sociali.
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