Presenza del lupo in Puglia
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Presenza del lupo in Puglia di Giampaolo Pennacchioni Nel periodo dei mesi di novembre e dicembre 1987, gennaio, febbraio, ottobre, novembre e dicembre 1988, gennaio e febbraio e dicembre 1989, gennaio, febbraio, marzo 1990, inverno 1991, dicembre gennaio 1992, gennaio, febbraio, novembre e dicembre 1993, Gennaio e febbraio 1994, si sono effettuate una serie di indagini volte a stabilire in primo luogo la presenza o meno del lupo in Puglia e, in secondo luogo, ove vi fossero stati risultati positivi, cercare di determinarne il numero. Lo stimolo all'operazione è stato dato da una serie di fatti estremamente significativi quali una lunga sequela di danni a bestiame domestico attribuiti di solito al lupo e le numerose segnalazioni di presunti avvistamenti da parte delle più disparate categorie di persone. Ad onor del vero, nel 1986, chi scrive era stato chiamato dalla stazione della Forestale di Orsara di Puglia per il recupero di un individuo immediatamente attribuito a lupo da contadini ed allevatori, nonché dal dirigente della Stazione forestale. L'esame effettuato con un zoologo, appositamente giunto dal Parco Nazionale d'Abruzzo, permise di stabilire che si trattava di un esemplare che aveva alcune spiccate caratteristiche lupine ma che, stante la taglia, il colore di fondo della pelliccia ed altri caratteri minori, era ragionevole definire come meticcio fra cane e lupo. A questa situazione si aggiungeva il fatto che in Puglia, oltre alle voci circolanti con la solita abbondanza, nulla si sapeva di concreto e verificabile sulla "situazione lupo" e che, forte di questo stato di cose, l'Amministrazione Regionale non pagava i risarcimenti dei danni al bestiame domestico, con la conseguente nefasta tendenza degli operatori zootecnici ad usare con troppa facilità i fucili. Occorrendo quindi mettere un punto fermo alla situazione, si varava un piano preliminare di ricerca per verificare l'attendibilità o meno 349
delle varie segnalazioni, che, per lo più sotto forma di lamentela, giungevano da parte di numerosi allevatori. Per questa fase preliminare si è optato per la tecnica del "Wolfhowling" sia per la sua attendibilità, che per la sua relativa facilità di uso, in un comprensorio dalla morfologia tutt'altro che semplice. Una prima fase ha avuto come obiettivo la conoscenza completa dei comprensori che, stante la presenza di un ambiente ancora vivibile per il lupo, potevano essere presi in considerazione per il controllo. In questa prima fase sono state individuate tre unità territoriali ove incentrare le ricerche. Queste unità possono essere definite come segue: la prima nella parte settentrionale del Subappennino Settentrionale nei territori dei comuni di Motta Montecorvino, Volturara Appula, S. Marco la Catola, Celenza Valfortore, Carlantino, Casalnuovo Monterotaro, Casalvecchio di Puglia, Castelnuovo della Daunia, Pietra Montecorvino; la seconda unità, individuabile a cavallo fra la porzione meridionale del Subappennino Settentrionale e la porzione settentrionale del Subappennino Meridionale e comprendente i territori dei Comuni di Biccari, Alberona, Roseto Valfortore, Faeto, Celle S. Vito, Castelluccio Valmaggiore, Orsara di Puglia; la terza unità, definibile nel territorio dei comuni di Bovino, Panni, Deliceto, Accadia, Monteleone di Puglia. Caratteristica comune alle tre unità territoriali è la morfologia piuttosto movimentata del territorio e la presenza di numerose zone boscate, anche di vasta estensione e poco frequentate dall'uomo. Un peso particolare è stato dato alla possibilità di comunicazione fra le varie aree naturali con buona potenzialità per il predatore, comunicazioni per lo più rappresentate da corsi di torrenti impervi e fortemente boscati. La seconda fase ha visto il coinvolgimento delle strutture amministrative mediante una richiesta di collaborazione, consistente nell'informazione agli abitanti, sulla ricerca in corso, al fine di evitare spiacevoli inconvenienti (sparatorie contro i ricercatori "ululanti") ed inutili allarmismi. Gli Enti interessati sono stati i Comuni, le due Comunità Montane, l'Assessorato Caccia della Provincia, la Prefettura, il Corpo Forestale dello Stato. La maggiore sensibilità è stata riscontrata nei Comuni, i quali hanno provveduto in gran parte ad avvisare la popolazione sia me 350
diante manifesti sia attraverso "avvisi a voce" diramati con altoparlanti e da parte delle Comunità Montane. Silenzio più assoluto invece da parte dell'Amministrazione Provinciale. La terza fase è consistita nell'esecuzione vera e propria della ricerca, con un gruppo di emissione dell'ululato di richiamo ed almeno due gruppi di ascolto, con collegamenti via radio per un migliore coordinamento. A questa fase ha collaborato anche un'Associazione ambientalista di Bovino, P.A.T.A. (protezione ambientale -tutela antincendio) che ha messo a disposizione, oltre a personale e mezzi, anche e soprattutto una profonda conoscenza del territorio. Sono stati effettuati in totale più di 600 lanci di richiami mediante trombetta esponenziale da 12 Watt impiegando complessivamente oltre 80 nottate di lavoro. Ogni lancio veniva registrato su scheda compilata a cura di un centro di coordinamento mobile che raccoglieva le informazioni via radio. Ogni ululato di risposta veniva verificato personalmente dal direttore della ricerca per l'individuazione della provenienza e per l'accertamento della risposta stessa (lupo o cane). A conclusione della ricerca sono stati identificati tre siti con sicura presenza di lupi, anche se con un numero di esemplari estremamente ridotto. Il primo nucleo è stato localizzato la prima volta nel Bosco Vetruscelli in agro di Roseto Valfortore. La risposta, nettissima, è stata individuata come proveniente dal fondo di un canalone che percorre il bosco in senso longitudinale ed è stata giudicata relativa a tre individui adulti. Nella zona, in realtà, durante altre emissioni in altro periodo, erano stati registrati altri ululati di risposta, ma ad un attento esame era stata scartata la possibilità che si trattasse di esemplari di lupo, in parte perché individuati provenire da casolari con cani ed in parte perché la tipologia dell'ululato pareva discostarsi nettamente da quella ritenuta tipica del lupo, con la tendenza più al latrato ed all'abbaiamento che all'ululato. Inoltre, a successive emissioni continuate, non corrispondevano costanti risposte con ululati, rarefacendosi questi nel corso dei richiami, per essere sostituiti da abbaiamenti e latrati. Questa discriminazione veniva poi confermata da successive indagini "a vista" che permettevano l'individuazione di numerosi cani nelle località ove si erano avute le risposte sospette. 351
La risposta proveniente dal bosco Vetruscelli, inoltre ha avuto il, successivo supporto di ulteriori conferme indirette consistenti nelle reazioni dei cani presenti nel territorio che hanno accentuato i latrati in concomitanza dell'ululato di risposta. La località, da tempo, era interessata da numerosi danni al bestiame domestico. In epoca successiva alla ricerca condotta con il metodo del wolfhowling, è stato compiuto un avvistamento di quattro esemplari di lupo in una zona poco distante dal luogo del primo accertamento. Questo avvistamento, oltre a confermare la presenza del lupo, conferma anche alcune ipotesi già fatte sulle direttrici di spostamento degli esemplari censiti al Bosco Vetruscelli e sulla zona di frequentazione dello stesso nucleo. Le successive ulteriori verifiche, negli anni successivi, hanno permesso di delineare con una certa attendibilità l'area di maggiore concentrazione del gruppo di lupi in esame. E’ purtroppo necessario, per motivi di tutela, tacere ulteriori particolari circa la zona di più intensa frequentazione, ma in linea di massima si può dire che tutta l'area comprendente i Comuni di Biccari, Alberona, Roseto Valfortore, Orsara di Puglia, Castelluccio Valmaggiore, Faeto e Celle S. Vito sono interessati alla presenza del predatore. Il secondo gruppo è stato localizzato per la prima volta in agro di Accadia, ai piedi del Monte Crispiniano, nel versante che guarda verso l'Avellinese. Qui è stato possibile registrare la presenza iniziale di tre esemplari adulti e di un giovane dell'anno precedente, individuabile dall'ululato non ancora maturo. Anche qui, all'atto della risposta si è avuta un'esaltazione delle reazioni dei cani del circondario. In questa zona, appartenente alla seconda unità territoriale esaminata, non si erano registrati ululati riferibili a cani. Una ulteriore indagine nel 1988-89 ha permesso di censire ancora una volta la presenza del predatore nello stesso comprensorio, molto probabilmente con gli stessi esemplari. Ulteriori conferme, in zone limitrofe e pertinenti allo stesso gruppo, sono state ottenute negli anni successivi, sino ad oggi. Gli ultimi censimenti hanno permesso di stabilire una consistenza numerica del gruppo non superiore ai 4 - 5 esemplari e non tutti gli anni si sono registrate riproduzioni. 352
Anche qui si sono potute fare alcune ipotesi circa le zone di frequentazione del branco, zone che sicuramente comprendono territori pugliesi e campani. In effetti, l'ambiente del comprensorio, almeno per quanto riguarda la porzione pugliese, non appare ideale allo sviluppo di una consistente popolazione di lupi in quanto le aree naturali boscate, possibile rifugio del predatore, appaiono troppo frammentate e talvolta prive di validi collegamenti fra di loro. Maggiore potenzialità è invece presente nella zona campana, ove l'ambiente potrebbe offrire qualche chance in più. E’ quindi ragionevole pensare ad un fenomeno di erratismo del gruppo con incursioni nelle due aree. La terza zona di presenza del lupo è stata definita nel comprensorio boscato che va da Monte Sambuco a Celenza, Carlantino, Casalnuovo, Castelnuovo della Daunía, Casalvecchio di Puglia, Pietra Montecorvino. t un'area piuttosto estesa, con una zona protetta corrispondente approssimativamente al Bosco di Celenza, per lo più difficilmente accessibile se non con mezzi adeguati. Il rilevamento della presenza degli esemplari nella zona è avvenuto in più fasi, con l'accertamento dell'esistenza iniziale di un nucleo di 5 esemplari e probabilmente di un ulteriore individuo isolato. Il lavoro si è presentato alquanto più complesso delle altre zone per le difficoltà di percorrenza a causa della morfologia del territorio, con notevoli problemi anche per quanto riguarda i collegamenti radio fra i vari operatori. Il nucleo iniziale, composto presumibilmente da 5 esemplari, è stato censito più volte, in giorni diversi, a distanze anche ragguardevoli dal punto di individuazione precedente. In ogni caso il territorio percorso dal branco risulta gravitare intorno al comprensorio boscato prima menzionato. La disponibilità di riserve di acqua relativamente abbondanti e distribuite in modo sufficientemente omogeneo permette al branco di potersi spostare per il territorio con una certa libertà. L'esemplare isolato è stato censito per due volte di seguito, la seconda volta a qualche chilometro di distanza dal punto di individuazione precedente. Successivamente, la sua presenza non è stata più rilevata. A questa ultima individuazione si riserva il beneficio del dubbio e non verrà calcolata nel computo complessivo delle presenze in zona. 353
Negli anni successivi al primo di indagine, si è assistito ad una crescita continua e regolare del branco, oltre che ad una stabilizzazione del territorio. In effetti, in tutto il territorio subappenninico, questo è il gruppo che più riveste interesse in quanto, nonostante si siano registrate alcune morti, sia accidentali (un esemplare è stato investito da una macchina nel novembre 1993), sia intenzionali (un altro esemplare adulto è stato rinvenuto nella boscaglia ucciso a fucilate), purtuttavia il branco ha continuato a crescere numericamente, con riproduzioni regolari tutti gli anni, sino a raggiungere una consistenza, nel gennaio 1994, di una diecina di esemplari. t su questo branco che, prossimamente, si accentreranno le maggiori attenzioni, costituendo, a tutt'oggi, il nucleo più numeroso di tutta la Puglia. Il lavoro condotto in tutte e tre le zone ha permesso inoltre di ottenere una ulteriore conferma della presenza approssimativa dei cani nel territorio, confermando, per alcune zone un'alta densità della popolazione canina. In conclusione si è potuta verificare l'esistenza di un numero iniziale stimabile in una diecina - dodici di esemplari di lupo, divisi in tre nuclei presumibilmente separati tra di loro, sino al raggiungimento di un numero stimabile, a gennaio -febbraio 1994, di una ventina di esemplari e forse più.. E’ da tener presente che fra le prime due zone interessate dalla presenza dei predatori vi è una notevole barriera ecologica costituita dalla esistenza, una a fianco all'altra, di una strada statale, del fiume Cervaro e della ferrovia Foggia- -Napoli, barriera difficilmente valicabile anche in relazione alle frequenti costruzioni abitate sorte in corrispondenza di queste strutture. Fra la terza zona ed il resto del comprensorio le barriere sono meno pesanti, intendendo con ciò la mancanza di grosse arterie di traffico e di strutture industriali. Esistono però delle interruzioni della fascia boscata costituite da coltivazioni intensive di cereali. Questo fatto, comunque, non può essere considerato assoluto. Esistono numerosi indizi, non del tutto verificati, che le abitudini del lupo stiano lentamente cambiando. ~ stato infatti talvolta accertato che i coltivi e le zone antropizzate non costituiscano una barriera insormontabile in senso assoluto e, in qualche raro caso, alcuni avvistamenti sono avvenuti proprio in aree intensamente coltivate (zone coltivate a grano, a mais, ecc.). 354
Qualche considerazione Le ricerche si sono incentrate su un territorio che da tempo lamentava una serie di danni al bestiame domestico, danni che si verificavano essenzialmente nei periodi tardo autunnali, invernali e all'inizio della primavera, per poi rarefarsi negli altri periodi, senza però mai calare a zero. D'altra parte, da lungo tempo ormai si riteneva che il lupo si fosse estinto nel comprensorio e si imputava la totalità dei danni alla presenza di numerosi cani randagi. Mai però era stata condotta una seria indagine sull'effettiva scomparsa del nostro predatore nel comprensorio, né era stata mai condotta alcuna ricerca approfondita circa l'effettiva consistenza numerica del cane. Alcuni episodi, comunque, mantenevano sospesa la questione, almeno fino al 1986 quando un pastore della zona di Orsara uccideva a fucilate un esemplare che ad una approfondita analisi risultava essere attribuibile ad un meticcio fra cane e lupo. Veniva quindi a prendere corpo il sospetto che alcuni lupi fossero sopravvissuti nell'area o in qualche località ancora naturalmente integra ai confini della regione Puglia. Un avvistamento, da parte dello scrivente, su segnalazione di alcuni cacciatori di Roseto Valfortore, confermava questo sospetto nello stesso periodo del recupero dell'esemplare di Orsara di Puglia. Le attuali conferme, dopo la ricerca condotta con la tecnica del wolf howling, giustificano il sospetto che esistano alcuni corridoi che dalle zone Beneventane ed Avellinesi permettano incursioni del predatore nelle nostre zone. Per quanto riguarda l'origine dei tre nuclei individuati nel territorio pugliese è ragionevole pensare che possa esistere uno scambio fra la zona dell'Avellinese e la zona di Accaffia e fra la zona Beneventana e quella del Subappennino Dauno Settentrionale (nucleo della zona di Roseto) e fra il Subappennino ed il Molise (nucleo del bosco di Celenza). Questa ipotesi troverebbe una conferma nel fatto che l'esemplare ucciso ad Orsara di Puglia nel 1986 si trovava al confine con la regione Campania e che anche in quei territori erano da tempo stati segnalati danni al bestiame. E quindi ipotizzabile che gli esemplari attualmente censiti nel comprensorio del Subappennino Dauno non debbano essere conoide- 355
rati strettamente "residenti" nel territorio, ma che quest'ultimo faccia parte di una ben più vasta area familiare a cavallo fra le due regioni confinanti (Puglia e Campania). Per la zona del bosco di Celenza, invece, potrebbe essere ormai accreditata l'ipotesi di un nucleo residente, anche se occorrerà ampliare ed approfondire le ricerche prima di poter affermare con sicurezza la cosa. La possibilità di permanenza di un nucleo di predatori quali il lupo in un territorio è strettamente legata anche alla possibilità di rinvenire nell'area di frequentazione una adeguata riserva alimentare a cui attingere. Scomparsi dal comprensorio i grandi erbivori, il lupo ha visto estremamente ridotte le riserve trofiche. D'altra parte, un fenomeno sufficientemente diffuso di pastorizia potrebbe costituire un notevole stimolo alla predazione di domestici da parte del nostro selvatico. Nonostante le numerose segnalazioni di danni al bestiame allevato, però, si deve supporre che questo non costituisca se non una fonte alimentare secondaria, utilizzata esclusivamente in caso di stretto bisogno. A questo livello è significativo l'esame del contenuto stomacale degli esemplari uccisi e fin qui recuperati. Si sono rinvenute tracce evidenti di predazione su micromammiferi, essenzialmente ratti e topi, mentre sicuramente, in alcuni casi (soprattutto per l'esemplare di Orsara) l'animale si apprestava a predare alcuni ovini. La presenza nello stomaco di roditori selvatici ci porta a considerare questa categoria come una delle fonti di alimentazione del lupo, ciò in accordo con osservazioni effettuate in altre zone. Non è stato purtroppo possibile esaminare altri contenuti stomacali in quanto di alcune uccisioni si sono avute solo vaghe notizie e gli eventuali esemplari uccisi sono stati occultati per paura, causando quindi in questo modo la perdita di importantissime informazioni. Inoltre, spesso, quando si giunge a poter recuperare l'esemplare, è trascorso diverso tempo dalla morte e l'esame delle parti interne, soprattutto lo stomaco, risulta assolutamente impossibile. Non ostante questa scarsità di notizie sull'argomento, è ragionevole pensare che la maggiore fonte di alimentazione del lupo sul territorio in esame sia costituita da micromammiferi selvatici, seguita in ordine da selvaggina reintrodotta a scopo venatorio e, successivamente, da animali allevati. 356
Soprattutto ultimamente, sono state accertate predazioni sul cinghiale, anche se al momento sembra che oggetto dell'interesse del lupo siano soprattutto i piccoli. Anche questo, comunque può essere considerato, al momento, una ipotesi di lavoro, da verificare con maggiore accuratezza. E’ lecito quindi supporre che una migliore gestione del patrimonio faunistico selvatico ed una sua ricostituzione allontanerebbero il lupo dagli allevamenti, mantenendolo nelle zone più selvagge del territorio, restituendo al nostro predatore la sua funzione di controllore dell'ambiente. Un altro problema sollevato dall'indagine è quello dell'aumento, soprattutto nel comprensorio settentrionale del Subappennino, del numero di lupi. L'analisi fenotipica degli esemplari recuperati mostra alcuni dettagli che ci porterebbero ad ipotizzare, in alcuni casi, l'esistenza di meticci fra cani e lupi. In effetti occorre fare alcune considerazioni che in questo momento costituiscono, ancora una volta, solo una ipotesi di lavoro. La vitalità di una popolazione di animali è garantita, oltre che dalla disponibilità di un ambiente adatto e di cibo a sufficienza, da un numero minimo di animali e dalla possibilità di interscambio fra questa ed altre popolazioni. In mancanza di questo presupposto si va incontro al fenomeno dell'imbriding, ovvero del reincrocio fra consanguinei, con il conseguente indebolimento del patrimonio genetico. Questa situazione, a lungo andare, porta all'estinzione della popolazione, passando attraverso alcuni fenomeni anomali che possono portare, nei casi più frequenti, a malattie genetiche debilitanti e che, in molti casi, documentati soprattutto paleontologicamente, sono costituiti da fenomeni di gigantismo o di nanismo. All'atto del primo censimento era stata rilevata una popolazione totalmente insufficiente a soddisfare questa esigenza numerica, tanto che si era ipotizzato che ormai la popolazione di lupi del comprensorio fosse allo "stremo genetico". In periodo successivo, come già accennato, si è notato uno sviluppo notevole della stessa popolazione, con la comparsa, però, di caratteri che si discostavano dal fenotipo lupino conosciuto in altre zone. D'altro canto, come più avanti verrà affermato, un lupo che incontri una femmina di cane in calore è portato ad accoppiarsi piuttosto 357
che ad attaccare, attuando, con questo atto, una sorta di rinnovamento del patrimonio genetico. Poiché il genotipo selvatico è dominante su quello domestico, i frutti dell'accoppiamento mostreranno la maggioranza dei caratteri selvatici, cioè lupini, mentre dell'apporto genetico domestico, spesso, non rimangono che labili tracce (nel nostro caso, aumento della taglia, pelame più rossiccio che nel selvatico, ecc.). Paradossalmente, ma qui siamo nel campo delle ipotesi di lavoro tutte da verificare, molto probabilmente la salvezza del lupo nel Subappennino è da attribuire proprio ad un elemento negativo, vale a dire la presenza del cane vagante. L'accoppiamento con esemplari di cani avrebbe, infatti, avuto la funzione di rinnovare il patrimonio genetico evitando quindi l'estinzione del lupo per i motivi su accennati. Tutela: interazione fra cani e lupi Sia il cane che il lupo sono predatori e, sotto un certo aspetto, a livello ecologico, possono essere considerati uno sostitutivo dell'altro. Anche a livello tassonomico le due forme devono essere considerate appartenenti alla stessa specie (Canis lupus), essendo fra essi interfecondi e, soprattutto, dando origine ad una prole a sua volta fertile Sarebbe quindi pienamente rispettata una delle condizioni che la scienza pone per poter attribuire due esseri viventi alla stessa specie. Il problema della convivenza delle due forme, lupo e cane, nasce ed esplode in tutta la sua importanza nel momento in cui si va a considerare l'impatto che le due forme hanno nei confronti dell'ambiente. Già in precedenza, in questo stesso lavoro, si è accennato alla questione. Vi sono infatti delle fondamentali differenze sia a livello comportamentale che a livello di impatto sull'ambiente che portano a dover fare una netta distinzione fra cani e lupi e a dover giungere ad una serie di conclusioni a tutto sfavore della presenza incontrollata del cane in natura. Per rendere comprensibili le conclusioni ovvie a cui si giungerà in questo lavoro, ma che comunque traspaiono nettamente sin dalle prime righe, occorre premettere una serie di considerazioni, forse 358
altrettanto ovvie, ma che per lo più sfuggono durante l'analisi del problema. In primo luogo, il lupo, dopo millenni di selezione naturale, si è perfettamente adattato all'ambiente, sviluppando una serie di tecniche di predazione altamente specializzate e "costruite" sulle prede tradizionalmente presenti sul territorio. Questo adattamento manca nel cane, la cui presenza sul territorio è da imputarsi a sconsideratezza umana. Il cane, infatti, si presenta con centinaia di forme estremamente diversificate, ognuna con una sua caratteristica peculiare, con una sua specializzazione non già frutto di selezione naturale e quindi di adattamento all'ambiente, ma bensì frutto di selezioni artificiali operate dall'uomo in relazione a sue ben specifiche necessità. In molti casi, quindi il cane si trova in un ambiente a lui estraneo o comunque ostile, soprattutto per quanto riguarda i primi tempi. Se l'animale non soccombe, sopravviene una specie di adattamento, il più delle volte consistente nella frequentazione degli immondezzai che forniscono una buona fonte di alimentazione. Per lo più in prossimità di questi, i cani vanno a partorire, aumentando considerevolmente di numero. Anche in questo caso, la riproduzione, si evidenziano grosse differenze nei confronti del lupo. In quest'ultimo, infatti, la riproduzione è affidata a due esemplari dominanti, maschio e femmina, una sola volta l'anno. Il resto del branco non si riproduce. Nel cane invece, tutti i maschi si accoppiano con tutte le femmine, due volte l'anno. E’ evidente quindi come il potenziale riproduttivo del cane sia enormemente maggiore di quello del lupo. Tale fatto porta già di per sé ad una conseguenza negativa consistente essenzialmente in una maggiore potenzialità infestante, a livello sanitario, del cane per ben due aspetti. Questo infatti, frequentando elettivamente discariche, sta a contatto con materiali anche infetti, oltre che con animali (principalmente ratti e topi) che in situazioni tipiche quali quelle esistenti nelle discariche divengono portatori di numerose malattie. Il cane può contrarre queste malattie e trasmetterle anche a distanza notevole. A questo si aggiunge il suo notevole potenziale riproduttivo. Nel lupo, i riproduttori sono i due individui dominanti, due individui, cioè, che sono al momento i più forti del branco. Generalmente 359
questo fatto si traduce nella produzione di prole altrettanto forte. Nel cane, il fatto che si riproducano tutti gli individui, ivi compresi quelli portatori di tare, fa sì che anche la prole possa portare tali tare, producendo individui che a lungo andare daranno origine a popolazioni non sane, facili ad essere preda di infestazioni e potenzialmente capaci di trasmetterle. Il tutto va considerato, inoltre, alla luce di una densità di popolazione che nel cane è estremamente maggiore rispetto al lupo, con conseguenti maggiori scambi di contatti, oltre che di individui. Qui infatti entra in gioco l'esistenza di un più o meno marcato stimolo alla coesione, stimolo che, si è visto, nel cane è minimo rispetto al lupo. In una siffatta situazione è facile che si verifichi che individui di cane, passando da un branco all'altro, divengano efficacissimi veicoli di trasmissione di infestazioni. L'altro problema dovuto alla presenza di un numero elevato di cani vaganti in un ambiente popolato anche dal lupo, prende le mosse dalla situazione anomala delle risorse alimentari disponibili sul territorio. Nella zona in esame queste, se si fa astrazione dalle discariche, sono scarse, essendo numericamente esigue le popolazioni delle possibili prede. In tale contesto la competizione alimentare diviene estremamente pesante, a tutto danno del lupo, numericamente più esiguo. Ciò costringe il nostro predatore ad un maggiore erratismo e, come ultima risorsa per la sopravvivenza ad avvicinarsi sempre più spesso agli allevamenti. Da ciò, prendono origine i consistenti danni al bestiame causati dal lupo. Il ricorso alla discarica come fonte alimentare alternativa porterebbe anche per il lupo alla esposizione a possibili infestazioni, oltre che ad un progressivo eccessivo avvicinamento dell'animale ai centri abitati. In una situazione "ambientalmente sana", cani e lupi di solito non interferiscono in modo pesante fra di loro, se non a livello di competizione per il territorio o per le citate risorse alimentari. In situazioni anomale, come quelle che attualmente si presentano su quasi tutto il territorio italiano e, particolarmente nell'area del Subappennino Dauno, ove il lupo è estremamente rarefatto ed i branchi sono ridotti a pochi individui e dove sempre più frequentemente ci si trova di fronte a lupi solitari, le interazioni, soprattutto a livello riproduttivo, divengono più pesanti con conseguenze nefaste, a lungo 360
andare, per la stessa sopravvivenza del lupo. Si assiste cioè alla produzione di meticci, risultato dell'accoppiamento fra cani e lupi, con una prima gravissima conseguenza a livello ereditario, costituita essenzialmente dall’ "inquinamento" del patrimonio genetico del lupo. Nella zona in esame, in effetti, la maggior parte dei lupi" recuperati morti, presentava, a livello fenotipico, caratteri morfologici alterati rispetto a quelli tradizionalmente presenti in popolazioni lupine più pure: aumento della taglia, alterazione del colore del mantello, scomparsa o diminuzione di caratteri cromatici tipicamente lupini (barre nere sulle zampe anteriori, alterazione della mascherina cromatica facciale, ecc.), alterazioni morfologiche a carico della forma, dimensione e posizione delle orecchie, a carico della coda (risulta sovente alterato il rapporto lunghezza totale dell'animale/lunghezza della coda), ecc. Questi dati rilevati a livello fenotipico sono indice di sicure modificazioni genotipiche, quindi di inquinamento del patrimonio genetico. Tali caratteri "canini", in caso di ulteriore riaccoppiamento del meticcio con altri cani, verranno trasmessi alla prole e, soprattutto in caso di continuo accoppiamento della prole con altri cani, verranno successivamente rafforzati man mano che procederanno le generazioni sino a far scomparire il genotipo lupo e a dar vita infine a popolazioni esclusivamente canine, sia pure con una componente genetica di tipo lupino. In quel momento si sarà perso definitivamente il predatore selvatico. Ciò, anche se, come evidenziato in precedenza, molto probabilmente, in assenza di cani vaganti, avremmo già perso il lupo per “esaurimento genetico”. Il problema risulta quindi particolarmente complesso per l’ aspetto conservazionistico, come appresso maggiormente evidenziato. Un altro problema legato alla protezione del lupo, e imputabile ancora alla presenza di un elevato numero di cani vaganti, è costituito dalle reazioni di difesa degli operatori agricoli, zootecnici e forestali impegnati quasi quotidianamente sul nostro territorio. Più volte, infatti, sono stati registrati attacchi a persone da parte di cani, attacchi per lo più imputati al lupo. Più volte, infatti, si è sparsa la voce di lupi uccisi per legittima difesa e che, ad una analisi delle carcasse, sono risultati essere cani. Il problema della sicurezza delle persone è un aspetto da non sottovalutare. La cultura tradizionale vuole il cane buono, amico 361
dell'uomo, mentre il ruolo di cattivo è attribuito costantemente al lupo. Si genera così una sorta di psicosi che porta come conseguenza a girare per le campagne e per i boschi armati e a sparare al minimo sospetto di aggressione od anche al solo avvistamento di un "qualche cosa che potrebbe essere un lupo". Sono stati eliminati, in questo modo, diversi cani, ma ugualmente sono caduti sotto il fuoco dei fucili anche alcuni lupi. L'uomo in definitiva è portato a sparare prima ancora che l'animale mostri un qualsiasi atteggiamento di aggressività, con la scusa che "prima o poi, tanto, attacca". Questi fatti, testimoniati da più di una persona, costituiscono un reale pericolo per la sopravvivenza del lupo, costantemente scambiato con il cane (e viceversa con cani costantemente scambiati per lupi). A livello conservazionistico i risultati della ricerca dovranno servire a permettere alla Regione Puglia di prevedere interventi di risarcimento dei danni al bestiame domestico (attualmente la Regione riconosce il risarcimento anche per il lupo, ma a tutt'oggi non risulta effettuato alcun rimborso), ma nello stesso tempo aprono nuovi interrogativi ai quali sarà doveroso rispondere con ulteriori fasi di indagine. Uno di questi, legato strettamente al problema conservazionistico, è costituito dalla possibilità di ulteriore incrocio con i cani che, si evince dai risultati dello studio condotto, sono piuttosto numerosi in zona Facendo astrazione dal discorso se sono cani rinselvatichiti, randagi o padronali, il fatto importante resta che questi animali sono liberi di vagare per il territorio, di accoppiarsi, partorire indisturbati ed invadere sempre di più l'areale del lupo. D'altro canto il numero estremamente esiguo di questi ultimi ci induce a pensare che esista una forte tendenza all'incrocio con i cani, a causa della scomparsa, proprio per effetto dell'esiguità numerica, dell'effetto branco che porterebbe piuttosto ad una competizione che ad una coabitazione con possibilità di accoppiamento. L'affermazione fatta circa la presenza di una ventina di esemplari di lupo nel territorio in esame, alla luce di quanto detto, potrebbe opportunamente essere corretta, fino a nuove e più conclusive indagini, con l'affermazione che si tratta di esemplari di lupo o di meticci fra cane e lupo, propendendo per quest'ultima conclusione fino a prova contraria. 362
Come già in precedenza accennato, infatti, il progressivo "inquinamento" del patrimonio genetico del lupo con elementi "canini" potrebbe portare, nel giro di pochi anni, alla sostituzione del predatore selvatico puro con una popolazione di meticci che tenderebbero sempre più ad evolversi verso una forma canina con la conseguenza di ritrovarci un territorio popolato da un buon numero di cani selvatici a tutti gli effetti, con conseguenze non facilmente prevedibili. L'unico effetto sicuramente individuabile, infatti, sarebbe quello, già accennato, della perdita di un patrimonio faunistico unico al mondo e di una conseguente ulteriore squalificazione del comprensorio. A questi problemi di tutela genetica si sovrappongono inoltre quelli di conservazione delle popolazioni attualmente esistenti sul territorio. La presenza del lupo ha infatti innescato una serie di reazioni da parte degli operatori zootecnici, e non solo di questi, consistenti in definitiva in una attività serrata di caccia al predatore, forse per un risveglio di ataviche paure o, talvolta, di semplici bravate consistenti nel far vedere a qualche amico che si è ancora capaci di uccidere lupi. Si sono persi, in questo modo, da alcuni anni a questa parte, un buon numero di esemplari, mettendo in serio pericolo la sopravvivenza della specie, a livello immediato. Il rinvenimento dei citati esemplari di lupo nel territorio pugliese, messo a confronto con la mentalità corrente, ha posto quindi un primo immediato problema pratico riguardante la loro effettiva tutela. L'Amministrazione regionale infatti, finora non ha mai pagato i danni attribuiti al lupo, verosimilmente per la mancanza di "dati certi" sulla sua presenza sul territorio. L'attribuzione dei danni ai cani vaganti ha quindi provocato una serie di reazioni di autodifesa degli operatori zootecnici, reazioni generalmente consistenti nel l'abbattimento, quando possibile, dei cani randagi, aiutati in ciò da numerosi cacciatori che non fanno mistero del fatto di essere coinvolti in questo genere di "bonifica". Questo atteggiamento di autodifesa, virtualmente indotto dall'atteggiamento di noncuranza dell'Amministrazione, mette quindi in serio pericolo l'effettiva sopravvivenza del lupo in quanto ben poche persone, per quanto esperte, e per quanto intenzionalmente vogliano impattare sul cane, possono avere la sicurezza, soprattutto di notte, di riconoscere un cane dal predatore selvatico. D'altra parte, l'atteggiamento delle Amministrazioni sollecita il 363
risveglio e la sopravvivenza ancora, in zona, dell'idea che le attività umane e la conservazione del patrimonio naturale non possano assolutamente andare d'accordo. È necessario quindi un deciso e tempestivo intervento dell'Amministrazione regionale a livello legislativo, con l'adozione di una normativa che permetta il risarcimento dei danni da fauna protetta e nel contempo preveda l'elaborazione urgente di un piano, basato su seri presupposti scientifici ed affidato a personale competente, per il risanamento del territorio dal randagismo canino, soprattutto tenendo ben presente che gli interventi degli "accalappiacani" non possono essere assolutamente considerati una soluzione al problema anche perché la loro azione si svolge prevalentemente in ambiente urbano, trascurando quasi del tutto i nuclei di cani che gravitano nelle campagne e nei boschi e che, come abbiamo visto, costituiscono il grosso del fenomeno dei cani vaganti. Esiste inoltre un ulteriore problema costituito dalla legislazione attuale che impedisce l'eliminazione dei cani vaganti e obbliga le Amministrazioni al loro mantenimento in strutture comprensoriali che rappresenterebbero, allorché fossero realizzate, un impegno di spesa notevolissimo sia in strutture, sia in persone (custodi, inservienti, veterinari) sia, da ultimo nello stretto mantenimento delle popolazioni ospiti. A dir la verità, comunque, negli ultimissimi anni, per merito di una azione capillare svolta da più persone sensibili, si è notato un leggero cambiamento di atteggiamento almeno da parte degli operatori agricoli e zootecnici più illuminati che non parlano più del lupo come una calamità naturale ma, spesso, ne accettano la presenza, aumentando si le precauzioni a protezione del bestiame, ma non riuscendo a nascondere del tutto una punta di orgoglio per il fatto che nel loro territorio esista ancora questo comunque leggendario predatore. Le ricerche di cui qui si accennano i primi risultati non devono e non possono comunque essere considerate definitive. Sono necessari interventi di finanziamento di ulteriori fasi da attuare quanto prima e tese ad accertare con maggiore precisione le zone di presenza del lupo, eventuali ulteriori incrementi dei tre piccoli nuclei e soprattutto la dinamica degli spostamenti dei branchi. Occorre, inoltre, a questo punto, studiare le dinamiche delle popolazioni oltre che un effettivo piano di salvaguardia della specie che, 364
al di là di ogni interpretazione, rimane comunque un elemento estremamente qualificante per il territorio. Questo piano di conservazione, naturalmente non può passare attraverso la sola tutela dell'animale con il divieto di uccisione, ma deve forzatamente comprendere una ben più vasta gamma di interventi, con miglioramento della situazione ambientale, controllo dell'azione dell'uomo sul territorio, miglioramento delle presenze faunistiche con adeguati e studiati interventi di ricostituzione delle eventuali prede del lupo, ecc. Non è infatti possibile proteggere la singola entità, facendo astrazione dal contesto che permette alla stessa entità di sopravvivere. Così, alla luce delle ricerche sulle dinamiche di spostamento degli esemplari, ad esempio, dovranno essere adottati particolari accorgimenti nella effettuazione del periodico taglio degli alberi per la ceduazione, soprattutto quando tale attività va ad impattare nelle zone ove si svolge l'attività riproduttiva del predatore, magari tutelando quel sito e non permettendovi l'accesso all'uomo. Sono in effetti piccoli interventi concordabili con gli esperti del settore, interventi che non costano assolutamente nulla e che, al contrario servono a qualificare ancora di più il territorio. Danni agli allevamenti Come già accennato nel corso del lavoro, il fenomeno più vistoso della situazione analizzata è costituito dai danni agli allevamenti. t lecito pensare, anzi, che se non fossero state registrate predazioni a carico di animali domestici, molto probabilmente il fenomeno “lupo” ed il problema "cane vagante" sarebbero stati notati soltanto dagli specialisti del settore. La situazione attuale è facilmente sintetizzabile: l'allevatore sistematicamente perde alcuni capi di bestiame, si rivolge alle autorità senza ottenere soddisfazione in quanto "ufficialmente" la presenza del lupo non è accertata con sicurezza, ci sono in giro dei cani ed il danno potrebbe essere imputato a loro. Inoltre, i veterinari che vengono interpellati in caso di danno non possono distinguere la causa della morte degli animali "in quanto non si è in grado di distinguere se l'aggressore è stato il lupo od il cane" (entrambi mordono nello stesso modo e per lo più la tecnica di caccia 365
è la stessa). Risultato: l'allevatore rimane insoddisfatto e, una volta tornato a casa, controlla la grana del piombo per vedere di farsi giustizia da solo. Questo è, né più né meno, il quadro che è venuto fuori dai colloqui con decine di allevatori che hanno subito danni al bestiame. In una situazione del genere, l'allevatore vede solo un fatto: perde animali, quindi soldi e nessuno risulta disposto a rimborsarlo della perdita. Si imposta a questo punto una reazione, eticamente riprovevole, ma comprensibile, visto e considerato che chi alleva animali non lo fa per sport ma per guadagnare e nutrire la famiglia. Una reazione che consiste nel difendere il proprio patrimonio zootecnico con i mezzi a disposizione, siano essi fucili, bocconi avvelenati o tagliole. Il problema si complica in quanto, tutte le volte che viene denunciato un danno, per l'Amministrazione pubblica la competenza a periziare il danno stesso è del veterinario che, il più delle volte, non ha mai visto un lupo nemmeno da lontano. Onestamente, quindi, il professionista, per non sbagliare, o non emette verdetto, oppure genericamente attribuisce il danno a canidi, comprendendo quindi il lupo ed il cane. D'altra parte, dall'esame del solo animale predato e delle tracce che porta su di sé, non è assolutamente possibile distinguere se il predatore che lo ha assalito sia lupo o cane, in quanto entrambi hanno le stesse modalità di assalto, e, essenzialmente, entrambi hanno un apparato masticatorio uguale per cui la traccia del morso è identica. È evidente, quindi, come sia necessario conoscere la situazione faunistica del territorio per poter definire, almeno come minima possibilità se, nel danno, possa essere coinvolto il lupo. Ragione vorrebbe che, coesistendo sia il predatore selvatico che i cani, l'Amministrazione pagasse i danni sia dell'uno che dell'altro, come in effetti fanno alcune Regioni italiane. Ciò, almeno, in attesa di realizzare una bonifica del territorio dal randagismo canino. Che i danni al bestiame domestico, infatti, siano da imputare sia al lupo che al cane è ormai cosa certa. Sono stati documentati casi in cui gli stessi cani del pastore hanno assalito di notte pecore del proprio gregge facendo vere e proprie stragi. 366
Nell'area di Orsara di Puglia sono stati osservati cani da pastore fare comunella con branchi di randagi che di giorno seguivano a distanza le greggi e successivamente, di notte, si avvicinavano e con la complicità e l'aiuto dei cani "da guardia" assalivano le pecore riuscendo a portar via alcuni esemplari. Il fatto, a prima vista inspiegabile, può benissimo essere compreso se si considera che in moltissimi casi i cani che vengono posti a guardia degli armenti non sono assolutamente addestrati, sono di dubbia origine e quindi risultano inadatti al compito che si vuole venga espletato. Causa di tutto ciò un errato concetto di risparmio, visto che un cane addestrato per la guida del gregge viene a costare considerevolmente. Ciò spiega anche l'atteggiamento dei cani in occasione di assalti di lupi. Più di un allevatore, la mattina dopo l'assalto, ha trovato i cani ancora impauriti e nascosti nei posti più impensati. Cani la cui taglia superava abbondantemente quella del lupo e che, a prima vista, avrebbero spaventato chiunque. La mancanza di addestramento li portava a non reagire, ma anzi, a nascondersi al sopraggiungere dei predatori. Un dato di fatto ci conforta in queste affermazioni: i pochi pastori che hanno cani di razza e convenientemente addestrati, non hanno subito considerevoli danni e, comunque, hanno assistito a reazioni positive nei cani, reazioni che hanno permesso l'intervento dell'uomo che ha potuto così contribuire a mettere in fuga il predatore. Un altro aspetto negativo della questione è nascosto dietro alla già più volte citata mancanza di rimborso dei danni da lupo. Il lupo è un animale protetto e definito "patrimonio indisponibile dello Stato". La protezione di un carnivoro passa anche attraverso la possibilità che questo abbia a disposizione prede con cui sostentarsi. Scomparse quasi totalmente le prede tradizionali del lupo, questo si rivolge anche al bestiame domestico. Compito dello Stato, quindi, è quello di rimborsare i pastori del danno subito. In effetti, per l'allevatore, vendere la pecora al mercato o venderla allo Stato è la stessa cosa. L'essenziale è che possa ricavarne un utile. Il risarcimento del danno, soprattutto in tempi brevi, porterebbe, come prima conseguenza, alla sospensione delle ostilità da parte degli allevatori nei confronti del lupo. Si imposterebbe quindi il primo passo per la sua effettiva tutela. 367
Una successiva bonifica del territorio dal randagismo porterebbe ad una sicura diminuzione di rimborsi, con un notevole risparmio e con la sicurezza di rimborsare solo danni effettivi da lupo. L'eliminazione del randagismo avrebbe inoltre come conseguenza positiva l'eliminazione di competitori territoriali e alimentari del lupo, ponendo quindi a sua disposizione ulteriori riserve trofiche e allontanandolo ulteriormente dagli allevamenti. Una prospettiva questa del risanamento dal randagismo da considerare a medio-lungo termine, ma non come impossibile, insieme al risarcimento dei danni, come unico rimedio ai danni stessi ed unica strada da percorrere per la tutela del lupo. Intervento sul randagismo canino Intervenire su un grosso fenomeno di randagismo canino come quello presente nel territorio in esame e soprattutto su un comprensorio così vasto potrebbe sembrare un'impresa disperata, senza possibilità di riuscita. Molto probabilmente così finirebbe per essere se l'operazione venisse programmata e condotta con le tecniche attualmente operanti sul territorio: accalappiacani e fucilate da parte di pastori e cacciatori. Il cane, universalmente riconosciuto come animale dal comportamento complesso e dai processi mentali piuttosto evoluti, apprende queste tecniche a suo danno e ogni giorno diviene più difficile perseguirlo. Come risultato si ottiene una popolazione di cani elusiva, “furba”, difficile ad avvicinarsi: dal punto di vista umano, quindi, un completo fallimento. Si tratta, in effetti di evitare di cadere nell'assurdo di quel famoso indovinello che dice: “se su un albero vi sono tre merli ed il cacciatore spara e ne uccide uno, quanti ne rimangono?” La risposta che viene spontanea, complice la matematica, è: “due”!. La risposta vera, invece, è: "nessuno!", considerato che gli altri due fuggono. Lo stesso succede nei cani. Metodi di cattura traumatici non possono fare altro che aumentare il timore nei confronti dell'uomo e rendere l'animale più diffidente e quindi più difficilmente avvicinabile. 368
I sistemi di cattura dei vari esemplari di cani vaganti nel territorio, appartengano essi alla categoria dei cani inselvatichiti o di quelli randagi o comunque di quelli padronali senza temporaneo controllo, devono basarsi su principi tali da non spaventare o comunque mettere in allarme gli altri esemplari eventualmente presenti in zona. Si tratta in definitiva di organizzare le catture, e non solo nei centri abitati, in modo tale che la "trappola" diventi un punto di attrazione nel quale il cane entri senza particolari timori e, una volta scattata, stimoli un comportamento non solo rassicurante nei confronti della residua popolazione eventualmente presente, ma ne stimoli la competizione per accedere alla trappola stessa. Una attrazione basata principalmente su stimoli di tipo alimentare consistenti in esche gradite al cane o, comunque a cui il cane sia abituato. Ciò si ottiene mediante una struttura a gabbia sufficientemente grande provvista di acqua e cibo, in modo che nell'animale catturato si inneschi un comportamento aggressivo a difesa della "sua conquista", atteggiamento che, una volta vuotata la gabbia, convinca gli altri cani ad entrarvi senza esitazione. Sono stati da tempo effettuati studi sull'argomento con la creazione di una struttura quale quella accennata, coperta da brevetto, che è stata adottata in più parti con notevole successo. È evidente che la buona riuscita delle operazioni dipende da una serie di fattori per lo più derivanti dalla correttezza dell'applicazione delle varie metodologie nelle molteplici fasi del processo. La trappola, infatti, non deve divenire un elemento estraneo all'ambiente e tale da suscitare sospetti, deve essere piazzata in opportuna posizione ed avere un odore gradito all'olfatto del cane. Attirato dall'odore e dall'esca, l'animale entra nella gabbia e, addentando l'esca, fa scattare il congegno di chiusura. Una volta imprigionato, l'animale si trova a proprio agio in relazione alla presenza di acqua e di cibo. In tale situazione, l'avvicinarsi di un altro cane provoca una reazione di aggressività a difesa del cibo, reazione che non fa che innescare una ulteriore reazione di competizione per cui, la prima volta che il cane libero trova la gabbia vuota ne prende possesso rimanendovi imprigionato. A seconda della densità dei cani vaganti nel territorio, il controllo periodico ed il periodico svuotamento delle gabbie da parte del personale addetto dovrà avvenire una o due volte al giorno, considerando 369
anche che quanto più la posizione della gabbia è protetta dalle intemperie, tanto più il cane potrà sostarvi in attesa di essere prelevato. In considerazione che le principali ore di attività dei randagi coincidono con l'imbrunire e con le prime ore del mattino, lo svuotamento giornaliero dovrà comunque essere attuato entro la mattinata, con un ulteriore controllo la sera. È evidente che anche il piazzamento delle trappole deve essere posto in relazione con le zone di regolare frequentazione da parte dei cani (discariche, punti di abbeverata, luoghi accertati di sosta, ecc.) e comunque in posizione tale da non rendere arduo e difficoltoso il recupero delle gabbie piene. Dall'operazione di "trappolaggio" dovrebbero essere invece escluse le aree ove la presenza del lupo sia accertata come costante, o almeno, il controllo delle trappole dovrebbe essere effettuato da personale in grado di riconoscere il predatore che dovrà essere immediatamente liberato. Ciò, in via prudenziale in quanto è stato accertato che il lupo raramente si lascia convincere ad avvicinarsi ad una struttura estranea al suo ambiente ed alla quale non si sia abituato. Se quello del trappolaggio e della bonifica del territorio dal randagismo è un intervento che cerca di mettere riparo ad una situazione già esistente, quindi un intervento "repressivo", il problema vero da affrontare sta a monte del fenomeno stesso ed è un problema di cultura e di civiltà da parte dell'uomo. Il fenomeno dei cani vaganti nasce dal poco controllo che l'uomo esercita sui propri animali, volontariamente o involontariamente, permettendo loro di allontanarsi dall'abitazione, consentendo una riproduzione incontrollata e, infine, rilasciando i cani in natura quando il loro possesso diventa scomodo o ci si è stancati della loro presenza. Il problema del rapporto uomo-cane, quindi, è alla base della piaga del randagismo. Impedire che l'uomo abbandoni al loro destino i propri cani, può significare estinguere un fenomeno i cui risvolti negativi sono incalcolabili. Impedire che l'uomo abbandoni il cane significa in primo luogo esercitare un controllo, che attualmente esiste solo sulla carta, creando quella struttura che da anni si auspica, ma che fino ad ora nessuno si è sentito di proporre a livello politico: l'anagrafe canina obbligatoria per tutti i cani. 370
Questa anagrafe permetterebbe di censire tutti i cani padronali del territorio e di seguirne poi gli eventi (parti, decessi, cambiamento di proprietario, ecc.). Tutto ciò avverrebbe sia attraverso il censimento individuale dei cani, sia attraverso il loro tatuaggio (realizzato all'interno della coscia, ad esempio) per permetterne la precisa individuazione. Trovare un cane vagante tatuato (e quando il tatuaggio è effettuato all'interno della coscia risulta difficilmente asportabile) senza controllo per le campagne od anche in città, porterebbe immediatamente all'individuazione del proprietario attraverso la sigla tatuata, cosa che permetterebbe di porre lo stesso padrone di fronte alle sue responsabilità e, magari, di fronte ad un robusta contravvenzione. Tutti i cani non tatuati, a questo punto, dovrebbero essere trattati alla stregua di randagi o inselvatichiti e quindi prelevati dall'ambiente. Le attività umane: la ceduazione Nell'area interessata dalla presenza del lupo sono presenti numerosi centri abitati e tutto il comprensorio è occupato da attività produttive a vario livello, ma con una prevalenza netta di imprese agrosilvo-pastorali. Alcuni aspetti più deteriori di tali attività potrebbero entrare in conflitto con la presenza e la sopravvivenza del lupo nella zona. Sono, in effetti, aspetti che possono tranquillamente essere abbandonati o riconvertiti o, comunque, resi compatibili con le esigenza di tutela ambientale. È bene, in questa sede, analizzare con un certo approfondimento alcuni di questi aspetti evidenziando alcune possibili soluzioni. La maggior parte dei boschi del comprensorio è governata a ceduo ed è soggetta al cosiddetto uso civico. In pratica, all'incirca ogni venti anni, particelle di bosco vengono messe a disposizione per il taglio con destinazione del prodotto per uso domestico (legna da ardere). Prevalentemente il taglio viene effettuato durante i periodi tardo primaverile - estivo, con l'ingresso nel bosco di mezzi meccanici pesanti, apertura di strade, presenza massiccia di uomini e mezzi, disturbo attraverso l'uso delle motoseghe, ecc. 371
Ciò avviene in concomitanza con il periodo più delicato del ciclo annuale del lupo: la riproduzione. Il susseguirsi dei turni di ceduazione porterà, ad un certo momento, inesorabilmente, a interessare le aree ove sono situate le tane riproduttive, con la distruzione delle stesse o, nella migliore delle ipotesi, con un disturbo tale da obbligare le madri ad abbandonare i cuccioli appena nati, con le conseguenze che si possono immaginare. Né è da prevedere solo l'impatto negativo per l'anno della turnazione, in quanto, per la manomissione dell'ambiente che ne risulta, l'area non sarà utilizzabile più per numerosi anni, costringendo i predatori ad un rischioso erratismo in cerca di nuovi luoghi idonei. In una situazione ambientale diversa (grandi estensioni di boschi, scarsa antropizzazione, abbondanza di prede, ecc.) una siffatta evenienza non sarebbe poi così tragica, ma nel caso in questione, la limitatezza degli ambienti idonei porterebbe i nostri animali a dover sconfinare in aree non adatte ove le possibilità di sopravvivenza risulterebbero estremamente ridotte, in pratica solo teoriche. È evidente che le possibilità di compatibilizzazione dell'attività di ceduazione con quella di tutela delle popolazioni di lupo sono numerose, ma la soluzione del problema dovrebbe prima di tutto passare attraverso la presa di coscienza delle Amministrazioni interessate dell'esistenza del lupo, con una successiva accettazione di questo fatto e, in ultimo, con una serie di provvedimenti volti a mantenere questa attività lontano dalle aree di riproduzione del predatore. È da tenere presente che, ai ricercatori che da anni si interessano al problema, queste aree son note e che quindi non esisterebbero problemi nella loro individuazione e successiva tutela. D'altro canto, una riduzione della superficie boschiva da destinare all'uso civico, riduzione peraltro irrisoria, sull'ordine di 5-6 ettari per ogni zona di presenza del lupo (15-18 ettari per tutto il Subappennino), non comporterebbe grossi sacrifici per le popolazioni residenti che di anno in anno, con il progredire della metanizzazione e delle tecnologie di riscaldamento, dipendono sempre di meno dalla legna per la climatizzazione invernale delle abitazioni. La bruciatura delle stoppie Tradizionalmente, nel comprensorio, e più in generale in tutta la 372
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