PLANIFICACIÓN Y REGENERACIÓN URBANA: EL CAMINO HACIA LA "CIUDAD JUSTA" - aepda
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Gianluca Gardini PLANIFICACIÓN Y REGENERACIÓN URBANA: EL CAMINO HACIA LA “CIUDAD JUSTA” XV CONGRESO ASOCIACIÓN ESPAÑOLA DE PROFESORES DE DERECHO ADMINISTRATIVO (AEPDA) LA CIUDAD DEL SIGLO XXI: TRANSFORMACIONES Y RETOS Ibiza, 7 y 8 de febrero de 2020 SOMMARIO: 1. La città “giusta”. -2. Le città come specchio della società. Testimonianze autorevoli - 3. L’insostenibilità del modello dell’espansione. Verso l’integrazione degli interessi coinvolti dalle politiche urbane. -4. L’insostenibilità del modello dell’espansione. Dal consumo alla trasformazione degli spazi urbani. -5. Pianificazione urbanistica e riutilizzo dell’esistente. -6. La rigenerazione urbana: alla ricerca del proprium giuridico di una nozione ambigua. 6.1. La rigenerazione dall’alto (o macrorigenerazione). -6.2 La rigenerazione dal basso (o microrigenerazione). -7. Rigenerazione urbana, pianificazione pubblica e proprietà privata. 1. La città “giusta” La terza Conferenza delle Nazioni Unite sulle città sostenibili e gli insediamenti umani, “Habitat III”, si è tenuta a Quito in Ecuador dal 7 al 20 ottobre 2016, ed ha fatto registrare il più alto numero di presenze nella storia dell’ONU, con una partecipazione di oltre 45.000 persone. Il tema dell’incontro è sicuramente di grande richiamo, poiché mette al centro la qualità della vita dell’uomo, presente e futura, su questo pianeta, e ciò spiega in parte il numero eccezionale di adesioni. Del resto anche i "World Urban Forum" di Rio de Janeiro, Napoli e Medellin, sullo stesso tema, avevano registrato una partecipazione assai nutrita. La conferenza di Quito, tuttavia, è andata oltre il tradizionale incontro tra attori istituzionali, organizzazioni e associazioni professionali e della società civile, ed ha svolto la funzione di una vera e propria conferenza intergovernativa, poiché all’esito dell’incontro 193 stati membri dell’ONU hanno firmato un piano d'azione mondiale per il futuro sostenibile degli insediamenti umani, denominato "New Urban Agenda". La New Urban Agenda si propone di sfruttare il dinamismo urbano come motore dello sviluppo sostenibile e in questa prospettiva delinea una visione di città compatte, sviluppate lungo assi di trasporto pubblico sostenibile, tendando d’indirizzare il processo d'inurbamento lungo linee nuove, che possano evitare il 1
sovraffollamento selvaggio delle megalopoli1. Il documento ONU (d’ora in avanti NUA) prende avvio da una "visione condivisa" ("shared vision") della "città per tutti", i cui abitanti possano godere i vantaggi legati alla qualità dell’insediamento umano, dell’ambiente, dello sviluppo economico. Questa visione è espressione del cd. "diritto alla città", che nel documento di Quito assume i contorni di un nuovo paradigma urbanistico posto al cuore dell’ordine urbano, e si propone come modello alternativo per ripensare le città e l’urbanizzazione2. La NUA definisce il diritto alla città come il diritto di tutti gli abitanti, presenti e futuri, di occupare, utilizzare e creare città “giuste”, inclusive e sostenibili, considerate un bene comune essenziale alla qualità della vita, e richiama la responsabilità dei governi e delle persone nel rivendicare, difendere e promuovere tale diritto. Il diritto alla città, inserito nella New Urban Agenda non senza discussione e compromessi rispetto alla proposta iniziale, è riferito sia allo spazio urbano sia agli ambienti rurali o semi-rurali che fanno parte del suo territorio: «Condividiamo l’ideale di una città per tutti, riferendoci all’uguaglianza nell’uso e nella fruizione delle città e degli insediamenti umani e cercando di promuovere l’inclusività e garantire che tutti gli abitanti, sia delle generazioni presenti che di quelle future, senza discriminazioni di qualsiasi tipo, possano creare città e insediamenti umani giusti, sicuri, sani, accessibili, economici, resilienti e sostenibili e vivere in essi, al fine di promuovere la prosperità e la qualità della vita per tutti. Prendiamo atto degli sforzi di alcuni governi nazionali e locali per consacrare questo ideale, noto come “il diritto alla città”, nelle proprie leggi, dichiarazioni politiche e carte» (§11). Nella New Urban Agenda sono inoltre esplicitati altri principi fondamentali, quali la funzione sociale ed ecologica dei suoli come premessa al godimento del diritto alla casa, l'importanza dello spazio pubblico, l'impegno civico e la partecipazione dei cittadini come fondamenti del senso di appartenenza ad una comunità e a un territorio. In estrema sintesi, i principi e gli impegni del documento ONU ruotano attorno ai 1 Il processo Habitat ha preso il via dai rischi sempre più evidenti dell'urbanizzazione selvaggia: lanciato dalle Nazioni Unite nel 1976 per migliorare lo sviluppo sostenibile delle città e la qualità della vita dei loro abitanti, la prima conferenza Habitat, tenutasi a Vancouver, ha incoraggiato i governi ad adottare un approccio territoriale per le strategie nazionali di sviluppo e a coinvolgere le organizzazioni della società civile che si concentrano sui temi urbani. Da qui l'istituzione della prima agenzia delle Nazioni Unite basata in Africa: il Centro delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani - gestito da Nairobi - che ha costituito la base per il programma Onu sugli insediamenti umani, UN Habitat. La seconda conferenza, tenutasi a Istanbul nel 1996, ha prodotto la prima agenda urbana, da cui traspare la convinzione di poter ancora frenare il rapido processo di inurbamento. Oggi, dopo la terza conferenza, è ormai chiaro che l'inurbamento non può e non deve essere fermato, ma va incanalato con una migliore pianificazione. 2 «Il diritto alla città si presenta come forma superiore dei diritti, come diritto alla libertà, all'individualizzazione nella socializzazione, all'habitat e all'abitare. Il diritto all'opera (all'attività partecipante) e il diritto alla fruizione (ben diverso dal diritto alla proprietà) sono impliciti nel diritto alla città"». Così H. LEFEBVRE, Il diritto alla città, Ombre corte, 2014 (ried.). Nella prefazione al suo volume sulle Città ribelli, David Harvey riprende il Diritto alla città di Lefebvre e afferma che «Il nostro principale compito politico (…) consiste allora nell'immaginare e ricostituire un modello di città completamente diverso dall'orribile mostro che il capitale globale e urbano produce incessantemente. Ma tutto ciò non può accadere senza la creazione di un forte movimento anticapitalista il cui principale obiettivo consista nella trasformazione della vita quotidiana nella città». Cfr. D. HARVEY, Città ribelli. I movimenti urbani dalla comune di Parigi a Occupy Wall Street, Il Saggiatore, 2013. In riferimento al diritto alla città, nella prospettiva giuridica, cfr. J.B. AUBY, Droit de la ville. Du fonctionnement juridique des villes au droit de la Ville, LexisNexis, Paris, 2016 (II ed.), che definisce questo diritto come «droit à un accès minimal aux services reandus par les villes, qu’il s’agisse des prestations qu’elles offrent ou des protections qu’elles assurent» (p. 321). 2
tre profili universalmente accettati dello sviluppo sostenibile: sociale (non lasciare che nessuno rimanga indietro – "leaving no one behind"); economico (trarre vantaggio dalle economie di agglomerazione di insediamenti correttamente pianificati); e ambientale (garantire usi sostenibili del suolo e delle risorse naturali ed energia pulita). La parte più pregnante e innovativa del documento riguarda le scelte per garantire l’attuazione di questi principi. Tra esse compaiono la promozione dell'integrazione "verticale" dell’intervento pubblico a livello nazionale, regionale e locale, unitamente all’approvazione di leggi volte a favorire i processi di decentramento e rafforzare i governi locali, nonché l’integrazione "orizzontale" tra i vari settori di sviluppo. Molta attenzione, in particolare, viene dedicata al ruolo della pianificazione urbana e territoriale come strumento indispensabile per proteggere il paesaggio ed il territorio, oltre che per garantire il soddisfacimento di bisogni essenziali quali l'abitazione, i servizi, la mobilità e delle esigenze di giustizia, tra le quali spicca l’attenzione dedicata agli strati sociali più deboli ed alle questioni di genere. E' la pianificazione, in ogni caso, l'elemento qualificante dell'intero documento: per la prima volta, ed in maniera esplicita e puntuale, la comunità internazionale ha riconosciuto che senza una pianificazione equa, attenta e rigorosa sarà impossibile garantire la sostenibilità dei fortissimi processi di urbanizzazione che ancora ci attendono. Le città oggi ospitano oltre metà dell'umanità, producono il 70% del Pil globale e sono responsabili del 70% delle emissioni di gas serra, e soprattutto continuano a espandersi. I confini delle aree urbane si allargano, le città satellite crescono, la dispersione delle aree edificate aumenta. Quest'ultima è la modalità di sviluppo più dannosa per l'ambiente: la maggior parte degli insediamenti urbani, infatti, è nata su terreni agricoli collocati strategicamente lungo corsi d'acqua dolce, ricchi di vegetazione naturale. Pertanto edifici, coltivazioni, pascoli e boschi si sono sviluppati secondo uno schema ad anelli concentrici, intorno all’insediamento originario: di qui, l'espansione urbana non può far altro che invadere e inquinare le risorse preziose naturali che circondano il nucleo urbano storico. Tutte le città, dalle più piccole alle più grandi, seguono questo modello di crescita, senza sosta3. Entro il 2030 si prevede la formazione di 41 megalopoli con 10 milioni di abitanti o più, contro le attuali 28. Entro il 2050, l'homo civicus (inurbato) avrà superato i 6 miliardi di persone, ossia i due terzi dell'umanità presente sul pianeta, e genererà oltre 2 miliardi di tonnellate di rifiuti l'anno4. In questo contesto, l’obiettivo della NUA è spingere i governi locali verso una pianificazione che privilegi 3 Come ricorda E. COMELLI, Città compatte e policentriche, il nuovo documento uscito da Habitat III (ONU), ne Il Sole 24 Ore, 26 ottobre 2016 4 Per questo le Nazioni Unite si sono date l’obiettivo di allineare il consumo di suolo alla crescita demografica entro il 2030. La Conferenza del 2012 «Il futuro che vogliamo» (UN (2012), The future we want, A/RES/66/288, United Nations) esorta i governi nazionali ad intervenire per arrestare i processi di degrado del suolo, mentre l’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite del 2012 (UN (2015), Transforming our world: the 2030 Agenda of Sustainable Development, A/RES/70/1, United Nations) ha definito alcuni obiettivi per la conservazione del suolo, fra i quali si segnalano garantire l’accesso universale a spazi verdi e spazi pubblici e soprattutto assicurare che il consumo di suolo non superi la crescita demografica. A tali atti, privi di forza prescrittiva, ha fatto seguito l’impegno dei paesi sottoscrittori ad attivare un sistema di rilevazione statistica, tramiti appositi indicatori, del consumo di suolo a livello mondiale. 3
l’interesse collettivo su quello proprietario, il diritto alla città sul diritto a edificare, il pubblico sul privato. 2. Le città come specchio della società. Testimonianze autorevoli E’ interessante richiamare in questa sede alcune autorevoli opinioni, per ruolo e competenze degli autori, dalle quali possono trarsi preziose indicazioni e suggestioni per lo sviluppo futuro delle città e della vita urbana. In occasione della Conferenza Habitat III, sopra ricordata, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon afferma che «Trasformare il nostro mondo per il meglio vuol dire trasformare le nostre città. Più della metà della popolazione mondiale attualmente vive nelle città, dove circa un quarto dei residenti alloggia in baraccopoli o in insediamenti abusivi, spesso in condizioni precarie». Le città sono specchio della società contemporanea, in sostanza. Nell’Enciclica Laudato Sì, Papa Francesco rappresenta al mondo la sua idea di “ecologia integrale”, che ha come nucleo fondamentale la tutela dei beni comuni – per le generazioni presenti e future – e si realizza attraverso la cura e la custodia dell’ambiente, la costruzione della pace sociale e la solidarietà verso gli ultimi. A questo proposito Papa Francesco, da un lato, denuncia con preoccupazione la condizione attuale delle città, luoghi in cui si manifestano fenomeni di frammentazione sociale, disagi materiali e spirituali delle persone, abusi di ogni tipo, a causa della crescente e disordinata urbanizzazione; dall’altro, invita tutti a costruire la “città bella”, che ha il compito di ricreare la giusta armonia con l’ambiente, la giusta realizzazione dell’uomo, e la giusta accoglienza. «Come sono belle le città che superano la sfiducia malsana e integrano i differenti e che fanno di tale integrazione un nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro»5. Uno dei più attenti conoscitori della realtà urbana, il geografo e sociologo David Harvey, ci invita a riflettere sul fatto che «La questione su quale tipo di città vogliamo, non può essere separata da altre questioni: quale tipo di persone vogliamo essere, quali rapporti sociali cerchiamo, quali rapporti vogliamo coltivare con la natura, quale stile di vita desideriamo, quali valori estetici perseguiamo. Il diritto alla città è dunque molto più che un diritto di accesso, individuale o di gruppo, alle risorse che la città incarna: è il diritto di cambiare e reinventare la città in modo più conforme alle nostre esigenze. Inoltre, è un diritto più collettivo che individuale, dal momento che reinventare la città dipende inevitabilmente dall’esercizio di un potere collettivo sui processi di urbanizzazione». Per questo, ci dice Harvey, la libertà di creare le nostre città «è un diritto umano dei più preziosi, anche se il più trascurato»6. 5 Lettera Enciclica “Laudato Sì”, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2015, §1 6 D. HARVEY, The right to the city, New Left Rewiew, 2008. L’affermazione è ripresa e analizzata anche da M A. CICLISTA, La città e l’urbanizzazione di oggi, in Oikonomia, 1/2018, p. 36 e ss 4
Bernardo Secchi, urbanista di fama internazionale, nell’analizzare il rapporto che lega urbanistica, etica e politica, afferma che non esiste una neutralità né degli spazi né di chi li progetta, e segnala come «l’urbanistica abbia forti e precise responsabilità nell’aggravarsi delle disuguaglianze e che il progetto della città debba essere uno dei punti di partenza di ogni politica tesa alla loro eliminazione o contrasto»7. Luciano Vandelli, eminente studioso del diritto pubblico e dell’ordinamento locale, durante la Lectio Magistralis pronunciata in occasione del premio Nettuno d’oro, conferitogli nel 2019 dalla città di Bologna, dichiara, riferendosi alla sua città: «Vivo in una Città diversa. L’ho capito da bambino, conoscendo le altre città. (…). Questa è la Città in cui, grazie al dialogo tra Dossetti e Dozza, sono nati i Quartieri; qui si sono sperimentate nuove soluzioni istituzionali, dall’autonomia statutaria alla distinzione del ruolo della dirigenza in rapporto a quello della politica; qui, si è perseguito un nuovo dialogo e una nuova coesione tra il Capoluogo e i territori che lo circondano, in una prospettiva metropolitana. Qui, da ultimo, si sono intraprese nuove vie di sussidiarietà, approvando un regolamento - poi ripreso da numerosi Comuni in tutto il Paese -, avviando l’esperienza dei patti di collaborazione con i cittadini per la gestione dei beni comuni»8. Qual è il nucleo comune di queste affermazioni, provenienti da personalità apparentemente così distanti? Quale sintesi possiamo ricavare da queste testimonianze che sembrano riguardare problematiche slegate e autonome? In primo luogo, emerge chiaramente dalle opinioni sopra riportate che le città sono specchio della nostra società, e solo trasformando i luoghi in cui trascorre prevalentemente il proprio tempo di vita l’uomo può sperare di modificare la società, l’umanità, e se stesso. La città si pone come manifestazione autentica del rapporto tra l’uomo e la realtà circostante: il miglioramento delle condizioni di vita, in qualunque parte del mondo, passa necessariamente per il miglioramento delle città, perché la maggior parte dell’umanità vive all’interno di esse. In secondo luogo, si ricava da queste testimonianze che la nozione di città non coincide con quella di comune o municipio, poiché le città non sono fatte solamente di istituzioni amministrative e forme urbanistiche, ma sono luoghi di vita, in cui l’essere umano si realizza, individualmente e socialmente, soddisfa le sue esigenze, dà forma alla propria esistenza. La città è uno “spazio globale” dove bisogni individuali, esigenze collettive, tecniche di regolazione e pianificazione si fondono insieme per realizzare il più importante degli habitat umani. Alcune voci, pertanto, sottolineano le fondamentali connessioni tra qualità della città e condizioni della comunità che in essa risiede (Ban Ki-Moon), altri evidenziano il rapporto stretto che lega urbanizzazione e solidarietà umana (Papa Francesco), altri pongono in relazione il diritto alla città e i luoghi fisici dove si instaurano le relazioni sociali (Harvey), altri ancora sottolineano come la produzione dei diversi spazi di vita incida direttamente sulla formazione di ingiustizie sociali (Secchi), altri 7 B. SECCHI, La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Roma-Bari, 2017, p. 30. 8 L. VANDELLI, Lectio magistralis del 13 maggio 2019, reperibile su http://www.spisa.unibo.it/avvisi/ricordo-del-prof.- luciano-vandelli 5
infine segnalano l’indissolubile legame tra organizzazione istituzionale e qualità della vita dei cittadini (Vandelli). L’essenza di tutto questo è che nella nozione di città si interseca una pluralità di valori: estetici, normativi, ambientali, economici e sociali. Al di sotto di questi valori pulsano bisogni reali, tangibili, tutti ugualmente importanti. La “città bella” o “giusta” è quella in cui le persone vivono in abitazioni dignitose, collocate all’interno di spazi urbani sicuri e realizzati in armonia con l’ambiente; in cui esse possono esprimere liberamente la propria socialità, senza differenziazioni o comunque senza avvertire eccessive discriminazioni economiche o sociali rispetto ad altri concittadini; in cui, anche per questo, le persone si sentono parte di una collettività, coesa e solidale, che partecipa attivamente alle scelte riguardanti il proprio territorio grazie ad un sistema di democrazia locale che si configura come un «modo di collegare la società con lo Stato»9. Alla realizzazione della “città bella” o “giusta” concorre il godimento e la fruizione collettiva di beni molto diversi – salute, ambiente, mobilità, energia, paesaggio, sviluppo, cultura, bellezza, identità, partecipazione –, ma intimamente collegati. Le testimonianze sopra riportate servono dunque a farci capire che la costruzione della città ideale non può essere affidata a una singola tecnica né a conoscenze settoriali, ma è il frutto della collaborazione tra valori, saperi e strategie complementari. In questo senso la città va vista come uno “spazio globale”, in cui sono racchiusi interessi differenziati e, al tempo stesso, integrati. La città, in altri termini, rappresenta un vero e proprio “sistema” di vita10. Questa impostazione segna il passaggio da un modello superato di Welfare State ad una nuova concezione di «Stato del well-being o della good life»11, in relazione al quale si aprono spazi inediti per l’intervento pubblico. Intervenendo sulle città, sulla loro forma e sui principi che le governano, si può cercare di riportare la persona al centro dell’arena valoriale che fa da sfondo alla gestione del territorio. Perché, come recita uno dei passaggi fondamentali della New Urban Agenda, «Le città sono per la gente, non per il profitto». 3. L’insostenibilità del modello dell’espansione. Verso l’integrazione degli interessi coinvolti dalle politiche urbane 9 «Un modo de conectar la sociedad con el Estado», come spiega L. PAREJO ALFONSO, La autonomia local en la Constitucion, in Tratado de Derecho Municipal, Madrid, 2003, pag. 26. 10 Fa riferimento alla città come “sistema” anche il Tribunal Supremo spagnolo, STS 19 luglio 1988 (Ar. 6084). Sul punto la dottrina segnala che «la existencia de áreas urbanas enfermas no es un problema que pueda circunscribirse territorialmente, conectarse con una clase de personas marginales y ser olvidado. Desde la perspectiva de las ciudades como un todo interconectado, las áreas urbanas enfermas también enferman al resto de la ciudad». Cfr. J. JACOBS, Muerte y vida de las grandes ciudades, Península, Madrid, 1967. Il concetto è ripreso più recentemente da J. PONCE SOLE’, Politìcas pùblicas para afrontar la regeneraciòn urbana de barrios degradatos. Una visiòn integrata desde el derecho, in Revista Aragonesa de Administraciòn Pùblica, 2013, p. 37 11 Così M.A. CABIDDU, Governare il territorio, pubblicato in www.amministrazioneincammino.luiss.it, 2008, p. 4 6
Il consumo di suolo è in cima alle preoccupazioni di tutti gli studiosi del fenomeno urbano, a partire dai giuristi, passando per gli architetti, gli urbanisti, gli ambientalisti, i sociologi e gli economisti. L’espansione progressiva e selvaggia dei grandi centri urbani, di fatto, ha cancellato la linea di confine, un tempo netta, tra città, campagna, centri abitati, borghi, aree verdi circostanti. Com’è stato opportunamente segnalato «Negli ultimi 70 anni si è avuta la progressiva erosione della campagna e la saldatura dei centri abitati tra loro. Sono nate megalopoli, nelle quali i vecchi nuclei e centri urbani sono ormai uniti in un tessuto continuo e ininterrotto di quartieri, di case popolari, di edilizia intensiva, di capannoni industriali, in cui l’elemento dominate, il vero collante interstiziale, è lo sprawl urbano, nel suo tipico, ma anonimo e insignificante scadimento di qualità architettonica»12. Nel corso dell’ultimo decennio la superficie agricola utilizzata è diminuita del 12% e il numero di aziende agricole si è ridotto del 14%. Grazie anche all’impulso della legislazione europea è cresciuta una nuova consapevolezza sulla necessità di tutelare le fasce periurbane ed integrare le funzioni agricole nelle relazioni urbane, evitando la costante predazione della città sulla campagna e cercando antidoti all'enorme differenziale tra la rendita fondiaria e il valore dei terreni urbanizzabili. Il contenimento del consumo del suolo, soprattutto di quello agricolo e naturale, costituisce la premessa logica per lo sviluppo sostenibile dei territori, che si realizza attraverso la promozione del capitale naturale e del paesaggio, l’edilizia di qualità, la riqualificazione e la rigenerazione urbana, il riuso delle aree contaminate o dismesse. In assenza di politiche efficaci per contrastare il consumo di suolo agricolo e naturale, o comunque non impermeabilizzato, l’incessante incremento delle attività umane (specialmente insediative) condurrà nei prossimi decenni a un degrado insostenibile per l’ambiente, e di riflesso per l’uomo. Per questo il contrasto al consumo e all’impermeabilizzazione del suolo rappresentano obiettivi centrali di tutte le nuove politiche e pratiche urbane, nazionali e sovranazionali, indipendentemente dagli strumenti tecnici di cui esse si avvalgono. L’idea di partenza, ampiamente condivisa in dottrina, è che sia ormai giunta a termine l’epoca 12 P. CARPENTERI, Il “consumo” del territorio e le sue limitazioni. La “rigenerazione urbana”, Relazione al XXXV Convegno di Varenna, 19 settembre 2019, pubblicato in www.giustizia-amministrativa.it. La situazione della Spagna, da questo punto di vista, non è molto diversa da quella italiana: come sottolinea la dottrina «En España la acción pública y privada sobre la ciudad se ha orientado habitualmente a la expansión urbana, al ensanche, primando la edificación de nueva planta sobre la intervención en la ciudad y la edificación existente. La regulación del deber de conservación, estrechamente conectada con la ruina de los edificios, que constituye su límite, ha sido insuficiente para lograr el mantenimiento de la ciudad histórica en adecuado estado de conservación. (…) La rehabilitación, en el amplio sentido apuntado comprensivo de ciudad y edificación, ha sido la gran ausente de la normativa urbanística hasta fechas recientes». Cfr. J. TEJEDOR BIELSA, Nuevos instrumentos de planificaciòn y gestiòn de la rehabilitaciòn y la rigeneraciòn urbana, Monografia del la Revista Aragonesa de Administraciòn Pùblica, Zaragoza, 2013, p. 27. Va però detto che in Spagna, a differenza del nostro paese, esiste da tempo una legge specifica sul consumo di suolo e nel 2015 è stato approvato un “Testo unico” della legislazione nazionale sul consumo dei suoli e sulla rigenerazione urbana. Si tratta del Real Decreto Legislativo 7/2015 del 30 ottobre 2015, una normativa che integra, attualizza e coordina la Ley de Suelo, approvata con il Real Decreto Legislativo 2/2008, del 20 giugno 2008, e la Ley 8/2013, del 26 giugno 2013, concernente la riabilitazione, rigenerazione e rinnovazione urbana. Il Testo unico del 2015 si pone come modello generale e standard normativo per i legislatori regionali (comunidades autonomas) e per la pianificazione locale, in cui sovente la rigenerazione urbana non è considerato elemento essenziale della regolazione urbanistica. 7
dell’urbanistica e dell’edilizia di espansione e, al suo posto, sia cominciata quella del riuso e del recupero dell’esistente13. Utilizzando l’efficace metafora dell’economista Kenneth Boulding, si è passati dalla “cowboy economy” caratterizzata da sconfinate praterie di risorse inesauribili, alla “spaceship economy”, l’economia dell’astronave, nella quale la terra è vista come un’astronave in orbita nello spazio e i suoi abitanti come astronauti che devono razionare le risorse disponibili, conservando e riutilizzando materie prime e energia14. Il suolo è tra le risorse più scarse, ormai in via di esaurimento: l’uomo/astronauta deve apprendere come utilizzare il suolo con parsimonia, se non vuole perdere la sua principale fonte alimentare e compromettere l’intero ecosistema. A livello domestico, i rapporti annuali dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sul consumo di suolo forniscono un quadro aggiornato dei processi di trasformazione del territorio italiano, rivelando la continua perdita di questa risorsa fondamentale, con le relative funzioni e servizi ecosistemici. I dati ISPRA mostrano che, a partire dal dopoguerra, si sono consumati mediamente 7 mq al secondo per quasi 50 anni, con un picco di 10 mq al secondo negli anni Novanta. Questo dato preoccupante non è spiegabile con la sola crescita demografica (basti pensare che nel 1950 l’occupazione del suolo era pari a 178 mq ad abitante, mentre nel 2012 il dato lievita a 369 mq per abitante)15, ma è probabilmente legato ad una visione prevalentemente edificatoria e predatoria dell’urbanistica. Per altro verso, il rapporto ISPRA 2018 mostra come negli ultimi anni il consumo e l’impermeabilizzazione del suolo abbia subìto un sensibile rallentamento, attestandosi intorno ai 2 mq al secondo circa, pur rimanendo costantemente in attivo (54 nuovi Kmq nel 2017): questo dato induce a ritenere che il “rallentamento” sia forse da attribuire più alla crisi economica in atto, che non a virtuose politiche territoriali attuate dai decisori pubblici16. Nondimeno, «I dati di quest’anno mostrano ancora la criticità del consumo di suolo nelle zone periurbane e urbane a bassa densità, in cui si rileva un continuo e significativo incremento delle superfici artificiali, con un aumento della densità del costruito a scapito delle aree agricole e naturali, unitamente alla criticità delle aree nell’intorno del sistema infrastrutturale, più frammentate e oggetto di interventi di artificializzazione a causa della maggiore accessibilità. I dati confermano l’avanzare di fenomeni quali la diffusione, la dispersione, la decentralizzazione urbana da un lato e la densificazione di aree urbane dall’altro. Tali processi riguardano soprattutto le aree costiere mediterranee e le aree di 13 P. STELLA RICHTER (a cura di), La generazione dei piani senza espansione, Atti del XVII Convegno dell’AIDU (Associazione Italiana di Diritto Urbanistico), 26-27 settembre 2014, Giuffré, Milano, 2015; 14 K. E. BOULDING, The economics of the coming spaceship earth, in H. Jarrett (ed.), Environmental quality in a growing economy, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1966, p. 3-14. 15 P. BONORA, Fermiamo il consumo di suolo. Il territorio tra speculazione, incuria e degrado, il Mulino, Bologna, 2015, p. 14. 16 Non a caso, negli anni più difficili della crisi il Consiglio Nazionale del Notariato evidenzia un aumento degli atti unilaterali di rinuncia alla proprietà immobiliare a causa dell’incremento della tassazione sui beni immobili e, soprattutto, della concreta difficoltà di rivendita degli stessi (Cfr. il Rapporto La rinunzia alla proprietà e ai diritti reali di godimento, 21 marzo 2014). In argomento v. anche MINGANTI, Il contenimento del consumo di suolo. Un confronto fra le risposte del legislatore nazionale e di quelli regionali di Veneto ed Emilia-Romagna, in corso di pubblicazione su Istituzioni del federalismo, 1/2020. 8
pianura, mentre al contempo, soprattutto in aree marginali, si assiste all’abbandono delle terre e alla frammentazione delle aree naturali» (Rapporto ISPRA 2018). A causa della mancanza di leggi e strumenti di pianificazione adeguati, nel nostro paese il consumo di suolo non si è praticamente mai fermato, e nemmeno la crisi economica sembra essere riuscita a arrestare del tutto questo preoccupante fattore di degrado del pianeta. Non solo, ma gli esperti della materia segnalano con preoccupazione, in certe aree del Paese, «un disaccoppiamento tra la crescita economica e la trasformazione del suolo naturale in assenza di interventi strutturali e di un quadro di indirizzo omogeneo a livello nazionale» (Rapporto ISPRA 2018). Oppure, dato non meno allarmante, evidenziano un collegamento diretto tra la crisi economica e il rarefarsi delle iniziative di rigenerazione urbana, ossia quelle attività che negli ultimi venti anni hanno rappresentato il principale strumento di contrasto, su scala globale, al consumo di suolo17. A livello europeo, la Strategia tematica per la protezione del suolo del 2006 ha fissato l’obiettivo di azzeramento del consumo di suolo entro il 2050, obiettivo poi ribadito nel 2011 con la Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse. Il progressivo incremento del suolo impermeabilizzato ha dimostrato, a livello globale, l’insostenibilità del tradizionale modello urbanistico, essenzialmente declinato per rispondere a esigenze di regolazione dell’“espansione”, mentre ha assunto importanza la gestione coordinata del territorio nella sua integralità. Negli ultimi decenni sono emersi con forza interessi estranei all’espansione edilizia e abitativa, tutti parimenti incidenti sull’uso del territorio: basti pensare alla tutela dei cd. interessi differenziati, diversi da quelli abitualmente coinvolti dalle scelte urbanistiche (ad esempio, quelli concernenti il paesaggio, l’igiene, l’industria, il commercio, etc.), la cui gestione e tutela sono di regola demandate ad autorità di settore; all’attenzione crescente verso la qualità della vita delle persone; all’esigenza di preservare gli spazi pubblici; alla necessità di ridurre le diseguaglianze prodotte dalla città diffusa; alla preoccupazione ecologica. La dottrina giuridica evidenzia come la nozione stessa di urbanistica abbia subito una profonda metamorfosi a partire dalla legge urbanistica n. 1150 del 1942, in cui viene definita come «l’assetto e l’incremento edilizio dei centri abitati e lo sviluppo urbanistico in genere del territorio»18. Oggi l’urbanistica è una disciplina avente ad oggetto l’intero territorio, non più «limitata dal riferimento alla città ed al centro abitato»19: al punto che, con la riforma del Titolo V della Costituzione avvenuta nel 2001, la vecchia materia «urbanistica» risulta assorbita dal nuovo sintagma «governo del territorio»20, che - rileva il Consiglio di 17 Secondo PONCE SOLE’ «la crisis económica en que estamos inmersos desde 2008 muestra como también se está frenando la actividad de rehabilitación, de acuerdo con los datos proporcionados por el Observatorio de Vivienda y Suelo del Ministerio de Fomento». Cfr. J. PONCE SOLE’, Politìcas pùblicas para afrontar la regeneraciòn urbana de barrios degradatos. cit., p. 15 18 In questo senso G. F. CARTEI, Rigenerazione urbana e governo del territorio, in istituzioni del federalismo, 2017, p. 605 19 G. TORREGROSSA, Introduzione al diritto urbanistico Milano, 1987, p. 54 20 Nella lettura della Corte costituzionale «la parola “urbanistica” non compare nel nuovo testo dell’art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell’elenco del terzo comma: essa fa parte del 9
Stato italiano nella nota pronuncia sul Comune di Cortina - esprime un concetto olistico, concernente «lo sviluppo complessivo ed armonico dello stesso», alla luce «sia delle potenzialità edificatorie dei luoghi in relazione alle effettive esigenze di abitazione della comunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi, sia di valori ambientali e paesaggistici, sia di esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti, sia delle esigenze economico-sociali della comunità radicata sul territorio [...]»21. Questa visione olistica del territorio ritorna anche in ambito europeo: la Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili del 2007 fa espresso riferimento allo “sviluppo urbano integrato”, per affermare la necessità che gli interessi e le decisioni delle politiche urbane non vengano più considerati in modo isolato, ma come sistema22. La stessa Agenda Urbana Europea, adottata dall’Unione in attuazione dei principi, impegni e azioni previsti dalla New Urban Agenda delle Nazioni Unite, è rivolta ad una migliore armonizzazione e integrazione delle politiche settoriali nello sviluppo urbano europeo23. L’ approccio integrato i diversi tra interessi/valori che gravitano intorno al territorio, in generale, e alla città, in particolare, è ben sintetizzato da una recente pronuncia della Corte Costituzionale, secondo la quale l’urbanistica «da un lato, traguarda le più recenti concezioni di territorio, considerato non più solo come uno spazio topografico suscettibile di occupazione edificatoria, ma rivalutato come una risorsa complessa che incarna molteplici vocazioni (ambientali, culturali, produttive, storiche) e, dall’altro, è avvertita sul fatto che il consumo di suolo rappresenta una delle variabili più gravi del problema della pressione antropica sulle risorse naturali»24. 4. L’insostenibilità del modello dell’espansione. Dal consumo alla trasformazione degli spazi urbani La normativa sovranazionale in tema di consumo del suolo appare particolarmente esigua, ed è formata principalmente da norme programmatiche che dettano obiettivi di medio-lungo periodo, piuttosto che regole e vincoli stringenti. “governo del territorio”». (Corte cost., sent. 303 del 2003). Un allargamento di campo visivo che, secondo una parte della dottrina, non sarebbe ancora sufficiente per superare la visione antropocentrica che caratterizza «l’intero sistema della territorialità»: osserva a questo proposito Portaluri che «A distanza di oltre quindici anni da quella pronuncia credo sia sempre meno appagante, per la sua insufficienza, risolvere il novum della riforma costituzionale in un semplice allargamento dell’oggetto della materia/interesse attribuito alla potestà ripartita: dalla città, cioè, al territorio. Non basta». Cfr. G. PORTALURI, Dal diritto alle costruzioni nelle città al governo del territorio, in Federalismi.it, ottobre 2019, p. 11 21 Cons. Stato, sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710 22 V. Dichiarazione n. 7 23 L’Agenda Urbana Europea, altrimenti nota come Patto di Amsterdam, è stata sottoscritta in una riunione informale tra i ministri europei delle politiche urbane, svoltasi il 30 maggio 2016 a Amsterdam. Con l’Agenda Urbana Europea si formalizza l’adesione agli obiettivi, agli strumenti, e più in generale alla visione complessiva dei contesti urbani espressa a livello internazionale dalla NUA, al fine di uno sviluppo equilibrato, sostenibile e integrato delle città. V. Comunicazione della Commissione europea “La dimensione urbana delle politiche dell’ UE – Elementi fondativi di un’Agenda urbana UE, Bruxelles 18.7.2014 (COM) 2014, 490 passim. 24 Corte cost. sent. del 16 luglio 2019, n. 179 10
Nel diritto internazionale occupa un posto di primario interesse la Carta Europea del Suolo, approvata dal Consiglio d’Europa nel giugno 1972. Per la prima volta con questo documento l’intera area europea manifesta interesse per la tutela del suolo, tematica che negli anni seguenti sarà sempre più valorizzata sul piano internazionale. La Carta contiene una definizione di suolo molto ampia, e dopo averlo definito, in apertura, «uno dei beni preziosi dell’umanità», lo connota in rapporto all’uomo («è essenziale alla vita dell’uomo quale mezzo produttore di nutrimento e di materie prime») e in rapporto a elementi ambientali («è un elemento fondamentale della biosfera e contribuisce, assieme alla vegetazione e al clima, a regolare il ciclo idrogeologico e a influenzare la qualità delle acque», art. 1), mettendone in particolare risalto la caratteristica di limitatezza («il suolo è una risorsa limitata e si distrugge facilmente», art. 2). Ma, lasciando da parte queste affermazioni generali e di principio, l’importanza fondamentale della Carta Europea del Suolo risiede nell’aver promosso la protezione del suolo e il suo utilizzo razionale al rango di interessi pubblici da garantire in tutta la regione europea25. Nel diritto dell’Unione Europea in senso stretto, invece, la tematica della tutela del suolo e le limitazioni al suo uso sono più recenti. A questo proposito va sottolineato che, per disciplinare questa materia, l’Unione europea, contrariamente ad altri settori di intervento, ha preferito non servirsi di norme vincolanti in via diretta o indiretta, ed ha invece optato per l’uso di strumenti di soft law, finalizzati a orientare gradualmente le politiche nazionali verso un sempre maggiore contenimento del consumo di suolo fino ad auspicarne, nel lungo periodo, la cessazione. Ciò premesso, nel diritto primario dell’Unione (e, segnatamente, nel Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) è possibile rintracciare disposizioni riconducibili al contenimento di consumo del suolo sotto il duplice profilo di interesse pubblico ambientale e di obiettivo delle politiche territoriali26. Sotto il primo profilo, ai sensi dell’art. 191, par. 1 TFUE, l’utilizzazione razionale e accorta delle risorse naturali, nonché la salvaguardia e il miglioramento della qualità dell’ambiente, sono obiettivi imprescindibili 25 A livello internazionale, la tutela del suolo non è prevista soltanto nella Carta Europea del Suolo, ma «la cooperazione per un uso razionale del suolo è stata promossa dalla World Soil Charter (FAO 1982) e dalla World Soil Policy (UNEP 1982). Secondo le linee guida ambientali dell’UNEP, la formulazione delle politiche nazionali in materia di suolo devono necessariamente tener conto delle esigenze legate ad un uso sostenibile dei suoli. Sempre in campo internazionale, va ricordata la presenza di molteplici forme di cooperazione a carattere tecnico-scientifico con il comune obiettivo di promuovere azioni preordinate alla gestione sostenibile e alla promozione di politiche di protezione attiva dei suoli: Global Soil Partnership (GSP), associazione volontaria costituita all’interno della FAO nel 2010; Global Soil Biodiversity Initiative (GSBI), associazione volontaria promossa nel 2011 per la promozione delle conoscenze sulla biodiversità dei suoli nelle politiche ambientali e la gestione sostenibile del territorio per finalità di tutela e di valorizzazione dei servizi ecosistemici; Global Soil Map, consorzio costituito nel febbraio 2009 con lo scopo di definire una mappa dei suoli nel mondo; International Union of Soil Sciences (IUSS), unione scientifica internazionale costituita nel 1993 preordinata alla promozione dei diversi rami della scienza del suolo; European Land and Soil Alliance (ELSA), associazione di città, centri urbani e distretti rurali costituita nel 2001 che ha come obiettivo l’uso sostenibile della risorsa suolo; European Network on Soil Awareness (ENSA), network costituito nel 2009 con l’obiettivo di promuovere le conoscenze del suolo; Global Soil Forum (GSF), forum costituito da un gruppo di esperti sul suolo promosso dallo Institute for Advanced Sustainability Studies di Postdam e sostenuto da istituzioni governative e scientifiche tedesche». Cfr. W. GASPARRI, Suolo, bene comune? Contenimento del consumo del suolo e funzione sociale della proprietà privata, in Diritto Pubblico, fasc. 1, gennaio-aprile 2016, p. 85, nota n. 27. 26 Così, ancora,W. GASPARRI, Suolo, bene comune? op. cit., p. 85. 11
nella politica dell’Unione Europea. La disposizione appena citata dev’essere letta in combinato disposto con l’art. 11 TFUE, nel quale si afferma che le politiche e le azioni dell’Unione tese allo sviluppo sostenibile non possono prescindere dall’esigenza di tutela dell’ambiente. Il perseguimento di questi obiettivi “ecologici” non può ovviamente andare disgiunto dalla tutela del suolo, quale risorsa scarsa e da preservare, che deve essere realizzata attraverso un suo uso razionale e improntato al contenimento di nuove impermeabilizzazioni. Sotto il secondo profilo, concernente le politiche territoriali, l’art. 192 TFUE riconosce al Parlamento europeo e al Consiglio, in via congiunta, il potere di adottare gli atti finalizzati a perseguire gli obiettivi di tutela ambientale di cui all’art. 191, tramite la procedura legislativa ordinaria, cd. procedura di co-decisione. In sostanza, il Parlamento e il Consiglio deliberano secondo la procedura legislativa ordinaria, previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, misure a tutela dell’ambiente: la ratio di questa scelta può essere rintracciata nella volontà di trovare un bilanciamento tra le due istituzioni, l’una espressione degli interessi dei singoli Stati membri, l’altra rappresentativa della volontà dei cittadini europei. Tuttavia, il par. 2 dello stesso articolo riserva al Consiglio - che delibera all'unanimità secondo una procedura legislativa speciale, previa consultazione del Parlamento europeo, del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni - la facoltà di adottare misure incidenti su «l’assetto del territorio»27, le quali, inevitabilmente, riverberano i propri effetti sul governo del territorio. Pur essendo innegabile che i Trattati dell’Unione Europea rivelino un «interesse pubblico primario al corretto utilizzo del suolo»28, le disposizioni ora citate si limitano a fissare obiettivi generali, di principio, cui deve ispirarsi l’azione della politica europea e, di riflesso, degli Stati membri, connotata da ampia discrezionalità. La vera peculiarità della disciplina in materia di contenimento di consumo di suolo nel diritto europeo, come si accennava, consiste nell’assenza di atti normativi, quali regolamenti o direttive, a fronte del ricorso frequente ad atti di soft law (per lo più comunicazioni della Commissione). Nei primi anni Duemila si è iniziato a dare rilievo al tema della compromissione dello sviluppo sostenibile connesso alla impermeabilizzazione di nuovo suolo con la comunicazione n. 179/2002 della Commissione Europea. In questo documento il suolo assume una connotazione “universale”, poiché ad esso viene riconosciuta una funzione fondamentale dal punto di vista ambientale, paesaggistico, della memoria storica, delle risorse naturali ed energetiche, nonché dal punto di vista della vivibilità del pianeta nel suo complesso. Il contrasto al degrado e all’impermeabilizzazione divengono le due direttrici fondamentale per la salvaguardia del suolo, congiuntamente allo sviluppo di un sistema europeo di monitoraggio che permetta una maggiore sinergia e uniformità tra gli Stati membri. Con la comunicazione del 2002, la Commissione dà il via ad una Strategia Tematica per la Difesa del Suolo (STS – Soil Thematic Strategy), nell’ambito della quale il consumo 27 Art. 192, par. 2, lett. b) TFUE. 28 Così Gasparri W. Suolo, bene comune? op. cit., p. 86. 12
di suolo mediante nuove impermeabilizzazioni è considerato una forma di degrado, associata allo sviluppo delle attività umane (specialmente insediative), non più sostenibile per l’ambiente. Partendo proprio da quest’ultimo punto, nel 2007, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva quadro sulla protezione del suolo, che pone l’accento sul problema della impermeabilizzazione del suolo e prevede forme di contenimento del consumo di suolo tramite il recupero e la rigenerazione urbana. Purtroppo, l’iter di adozione della direttiva quadro non è giunto a termine e il progetto non è stato presentato una seconda volta. Nonostante il fallimento della direttiva quadro, il contenimento del consumo di nuovo suolo non ha cessato di rappresentare un fine per l’Unione europea: con la comunicazione n. 571/2011, la Commissione ha indicato come obiettivo di medio-lungo periodo quello di portare il consumo di suolo «a quota zero entro il 2050», raccomandando agli Stati membri, medio tempore, di predisporre le misure più idonee per ridurre la costante perdita di suolo e incentivare la rigenerazione dell’esistente. L’anno successivo, la Commissione, in un documento di analisi recante “Orientamenti in materia di buone pratiche per limitare, mitigare e compensare l’impermeabilizzazione del suolo”, ha fornito un quadro ricognitivo del livello di impermeabilizzazione nei Stati dell’Unione Europea, invitandoli a limitare il nuovo consumo di suolo e incentivare politiche di rigenerazione urbana. Da questo documento si evince chiaramente la tendenza delle politiche europee, nell’affrontare il tema della tutela di suolo, a concentrarsi prioritariamente sui profili legati all’urbanistica e alla pianificazione. Le strategie di contrasto al consumo del suolo tuttavia non esauriscono il tema della tutela del suolo, declinabile anche in ulteriori versanti, tra cui quello legato, a monte, al mutamento di destinazione di aree agricolo-forestali in aree urbanizzate (cd. land take)29. La Commissione, in proposito, sembra però volersi concentrare sull’esigenza di contenere, a valle, l’impermeabilizzazione di nuovo suolo (cd. soil sealing) nella fase della pianificazione territoriale e edilizia: mediante il dialogo tra gli enti territoriali, l’integrazione di piani territoriali e piani urbanistici, la collaborazione tra pubblico e privati, punta a ottenere una sintesi degli interessi che ruotano intorno al territorio, ispirata alla riduzione di nuove impermeabilizzazioni, al contenimento del consumo di suolo e alla riutilizzazione di ciò che già esiste. Nelle strategie di rigenerazione urbana sono ricompresi, a buon diritto, anche gli interventi a protezione dell’ambiente e dell’ecosistema in generale: a questo riguardo, la Direttiva 2010/31/UE, del Parlamento e del Consiglio del 19 maggio 2010, riguardante l’efficienza energetica egli edifici, fissa l’obbiettivo di ridurre il consumo di energia del 20 per cento entro l’anno 2020, e muove dalla necessità di assumere iniziative concrete per sfruttare il potenziale di risparmio energetico degli edifici, dal momento che il 40 per cento del consumo complessivo di energia dell’Unione europea deriva dal settore edilizio. Tra le forme di tutela aspecifica del suolo si evidenzia anche L’Agenda Urbana Europea, sopra ricordata, che mira a realizzare un percorso condiviso tra istituzioni europee, Stati membri, amministrazioni regionali e 29 Sui diversi metodi per la riduzione del consumo di suolo, si veda P. BONORA, Fermiamo il consumo di suolo. Il territorio tra speculazione, incuria e degrado, il Mulino, Bologna, 2015, passim. 13
locali, società civile e forze economiche, seguendo la logica partenariale e il metodo di coordinamento aperto, al fine di costruire una politica urbana comune all’ intera area europea30. Agli obiettivi della crescita sostenibile, indicati dall’ Agenda Urbana, si è ispirata tutta la programmazione europea di questi anni, e a questa iniziativa europea ha fatto seguito l’adozione di speculari Agende Urbane nazionali, che – nonostante non siano ancora state introdotte in molti paesi membri - definiscono gli obiettivi, gli strumenti e le risorse messi in campo per l’attuazione a livello domestico delle politiche urbane dell’Unione europea. Per concludere, e a prescindere dagli strumenti messi in campo, ciò che importa qui evidenziare è che al centro della strategia europea – come anche di quella mondiale, espressa dalla New Urban Agenda dell’ONU - si colloca la pianificazione territoriale ed urbanistica e, con essa, il decisore pubblico. In Italia e in altri paesi europei, al contrario, negli ultimi decenni si è assistito ad uno “scivolamento” graduale verso tecniche di “governo del territorio” che riconoscono sempre maggiore peso al ruolo dei privati, o comunque alla collaborazione tra pubblico e privati, nelle scelte pianificatorie31. Una ripresa del modello pubblicistico di trasformazione urbana, basato sulla pianificazione delle scelte urbanistiche nel loro insieme, si è avuta solo nell’ultimo decennio, con l’affacciarsi del metodo della rigenerazione urbana sulla scena delle politiche per contenimento del consumo di suolo32. Nell’approcciare il tema dei “decisori delle politiche urbane” va anzitutto evidenziato, richiamando una attenta dottrina, che la tutela del suolo si muove tanto «all’interno di una logica limitativa (nel senso di cosa non si può fare)», quanto all’interno di una logica positiva, «tesa ad incentivare attività che valorizzino il tessuto urbanistico esistente come alternativa al consumo di nuove aree». Esiste infatti una tutela del suolo realizzata attraverso azioni positive, oltre che mediante divieti: «Contenimento del consumo di suolo e valorizzazione dell’esistente sono due facce della stessa medaglia, aspetti connessi e complementari; per mezzo del fare (riutilizzo e riqualificazione dell’esistente) si conserva l’esistente evitando appunto utilizzo di nuove aree»33. Nel nostro paese l’attività di recupero e di (ri)utilizzo dell’esistente nasce con l’esaurirsi della seconda generazione urbanistica34, ancora fortemente incentrata sull’espansione edilizia (seppur razionalizzata), 30 In argomento si veda l’approfondita analisi di M.G. DELLA SCALA (Lo sviluppo urbano sostenibile e gli strumenti del governo territoriale tra prospettive di coesione e tutela dei diritti fondamentali, in Diritto amministrativo, 4/2018, p. 816) che individua tre principali strumenti dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile dei contesti urbani: il miglioramento del quadro normativo europeo, dal punto di vista dell’effettività; l’affinamento delle tecniche di finanziamento delle aree urbane; l’approfondimento delle problematiche locali e delle best practices ai fini della sostenibilità. 31 Cfr. F. F. GUZZI, Il contenimento del consumo di suolo alla luce della recente legislazione nazionale e regionale, in Rivista giuridica di urbanistica, fasc. 4/2016, p. 26. 32 In argomento, ex multis, G. GUZZARDO, La regolazione multilivello del consumo di suolo e del riuso dell'abitato, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2018, p. 119 e ss.; E. BOSCOLO, Beni comuni e consumo di suolo. Alla ricerca di una disciplina legislativa, in P. URBANI (a cura di), Politiche urbanistiche e gestione del territorio : tra esigenze del mercato e coesione sociale,Torino, Giappichelli, 2015, p. 69 e ss.; P. CHIRULLI, La pianificazione urbanistica tra esigenze di sviluppo e riduzione del consumo di suolo: la riqualificazione dell'esistente, in Rivista giuridica di urbanistica, 2015, p. 592 e ss. 33 F. F. GUZZI, Rigenerazione urbana e valorizzazione dell’esistente, in Federalismi.it, 16 novembre 2016, p. 3 34 G. CAMPOS VENUTI, La terza generazione dell'urbanistica, Franco Angeli, 1987 14
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