Piemonte. Rapporto immigrazione 2014

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Piemonte.
      Rapporto immigrazione 2014

                          L   a situazione socioeconomica piemontese ha conosciuto nel 2013
                      un ulteriore peggioramento. In particolare, sono i dati sull’occupazione (e
                      quindi sulla disoccupazione) a richiedere ancora un livello alto di attenzio-
                      ne. Alla preoccupazione per l’andamento del mercato del lavoro in sè se
                      ne aggiungono altre che da questo discendono e con questo si intreccia-
                      no: le ricadute sul welfare, le ripercussioni sui bilanci familiari, sui consu-
                      mi, sul mercato immobiliare. e ancora, il difficile ingresso dei giovani nel
                      mondo del lavoro, la faticosa ricollocazione degli adulti espulsi da settori
                      produttivi in profonda crisi, le famiglie spezzate, uomini e donne che
                      sempre più numerosi si rivolgono ai servizi socio-assistenziali e bussano
                      alle porte del privato sociale per essere aiutati a pagare affitto, utenze o ad
                      andare avanti, cercando di resistere all’idea di rientrare in patria, soprat-
                      tutto se in presenza di figli in età scolare. Il tutto all’interno di uno scena-
                      rio in cui il tema della mobilità, di stranieri e di italiani, di adulti e di giova-
                      ni, tiene banco, allarmando forse più che preoccupare.
                           In questo quadro, la popolazione straniera – che sino al 2012 aveva
                      registrato una certa tenuta sul versante occupazionale – vede peggiorare
                      la propria condizione nel 2013, con un tasso di disoccupazione che si col-
                      loca al 22,8% vs l’8,9% degli italiani. Particolarmente grave è la condizio-
                      ne dei giovani sino a 24 anni: sono senza lavoro il 52,7% di coloro che
                      non hanno la cittadinanza italiana vs il 37,8% dei coetanei italiani. Lo sce-
                      nario occupazionale ovviamente non esaurisce le numerose relazioni che i
                      residenti immigrati hanno con la regione subalpina, ma indubbiamente le
                      condizionano. finiscono così sullo sfondo i segnali di integrazione e i pro-
                      getti di cittadinanza attiva che coinvolgono cittadini d’altrove, che si sen-
                      tono – al di là del passaporto – parte del contesto piemontese in cui vivo-
                      no. L’ansia per il lavoro attenua anche quella per l’immigrazione: dal 2002
                      le migrazioni erano al terzo posto nelle preoccupazioni dei piemontesi,
                      dopo criminalità e lavoro; nel 2013 sono scese al quinto posto dopo cri-
                      minalità e tassazione, lavoro; ambiente e servizi pubblici (Bellezza S., a
                      cura di, Terzo rapporto sulla sicurezza integrata nella Regione Piemonte
                      2012/13, torino 2013, p. 35).

                          La presenza degli immigrati in regione
                          Anche durante la più grave recessione della storia italiana, i residenti
                      stranieri in Piemonte crescono. Dal 2012 al 2013, per effetto delle revisio-
                      ni post-censuarie, sono cresciuti di poco più del 10%, passando da
                      384.996 a 425.523. Sul totale dei residenti, i cittadini non italiani erano a

        di Roberta Ricucci, redazione regionale IDOS e Università degli studi di Torino

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fine 2013 il 9,3%, valore leggermente al di sopra della media nazionale (8,1%). La distri-
buzione per province continua a delineare zone di maggiore incidenza (Alessandria, Asti,
Cuneo e Novara) e zone dove la presenza di immigrati rispetto all’insieme dei residenti
non solo è al di sotto della media regionale, ma anche di quella nazionale (Biella e
Verbania-Cusio-Ossola).
     Si consolida ormai un trend decennale che vede la popolazione straniera addensarsi in
alcune aree della regione, dove le opportunità di lavoro e le catene migratorie sono state
sino a qualche anno fa gli elementi di attrazione principali, tanto da definire delle vere e
proprie concentrazioni etniche in alcune aree subprovinciali: dai macedoni nelle Langhe ai
croati nel Monferrato, dai senegalesi nel novarese ai romeni nel torinese. Anche in termini
numerici, le provenienze principali rivelano storie che affondano le radici negli anni
Ottanta (come per marocchini, cinesi e peruviani) o agli inizi degli anni Novanta (quando
in Piemonte arrivarono i primi albanesi, ad oggi la terza collettività dopo romeni e maroc-
chini). Più recenti, ma rapidamente irrobustitisi, i flussi dall’est europa (moldavi, ucraini,
oltre ai già citati romeni).
     Nonostante gli arrivi e i progressivi spostamenti da aree di primo approdo o a forte
concentrazione di connazionali o immigrati, la mappa delle presenze continua a delineare
una presenza che, seppur diffusa, appare significativa solo in alcuni comuni e aree territo-
riali. Così, anche in tempo di crisi, le aree più periferiche nella galassia dell’immigrazione
rimangono tali, mentre le altre – un tempo sotto osservazione per l’evolversi dei processi di
integrazione – diventano il terreno dove indagare se e come tali percorsi si modifichino a
fronte dei problemi economici.
     Difficile quantificare quanti decidano di tornare indietro o di avviare una nuova migra-
zione per fronteggiare la perdurante crisi economica, che, come si vedrà nei prossimi para-
grafi, mette a dura prova le famiglie straniere. Due dati però permettono di leggere con
cautela le affermazioni relative alle “partenze”, alla “fuga” o ai “ritorni” in patria di chi ha
scommesso anni or sono sul futuro in Italia e in Piemonte. Da un lato le acquisizioni di cit-
tadinanza, che nel 2013 in Piemonte hanno interessato 24 cittadini ogni 1.000 residenti
stranieri. Dall’altro le nascite: 1 nato su 5 in Piemonte è straniero (7.030 nel 2013, il 19,7%
del totale). Aumentano le seconde generazioni. e se scegliere di diventare cittadino italiano
può essere – in parte – una scelta strategica (ad esempio, la cittadinanza italiana apre le
porte alla cittadinanza europea, ai suoi diritti – e doveri; e consente di accedere a una serie
di previsioni di welfare), decidere di diventare genitori in un paese in cui non vige lo jus soli
è un progetto che si inserisce in un quadro di stabilizzazione e di permanenza definitiva al
di fuori del paese d’origine.
     Quanto al gruppo dei soggiornanti non comunitari, i dati Istat aggiornati alla fine del
2013 ne conteggiano 276.953 (il 7,1% del totale nazionale), per la metà donne (50,2%) e
per poco più di un quarto minori (25,5%). Continuano ad aumentare i soggiornanti di
lungo periodo, titolari di un permesso a tempo indeterminato: 155.619 (il 56,2% del tota-
le), mentre i restanti 121.334 detengono un permesso a scadenza, in quasi 9 casi su 10
per motivi di famiglia (45,8%) o di lavoro (41,7%). Di rilievo anche la quota dei soggior-
nanti per motivi di studio (5,0%) e per asilo/motivi umanitari (5,2%).

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PARTE V   I contesti regionali |

               Quadro economico e inserimento occupazionale
               In una regione che registra segnali molto negativi sul versante dell’occupazione, il rap-
          porto fra immigrazione e lavoro si presenta in chiaroscuro. Sul versante delle note positive,
          vi è il trend della “nuova” imprenditoria. In controtendenza rispetto alle imprese avviate da
          italiani, quelle degli immigrati hanno registrato nel periodo 2011-2013 una variazione
          positiva (+4,5% contro il -3,4% delle imprese di italiani), per cui alla fine dell’anno se ne
          contano 38.704. fra le varie collettività, nelle province di torino, Biella, Novara, Cuneo e
          Alessandria si ritrovano ai primi quatto posti, tra i titolari di imprese individuali nati all’este-
          ro, albanesi, cinesi, marocchini e romeni (in ordine differente a seconda dei contesti territo-
          riali), mentre nel Verbano senegalesi e svizzeri scalzano albanesi e cinesi, quest’ultimi fuori
          dalle prime quattro posizioni anche a Asti, dove invece entrano i macedoni. Puzzle di pro-
          venienze che non stupiscono e che riflettono la composizione demografica delle province
          così come la loro vocazione produttiva: ad Asti e a Cuneo, ad esempio, le imprese nasco-
          no, oltre che nei settori del commercio e delle costruzioni, in quello agricolo (dove nell’in-
          dotto della raccolta della frutta e della lavorazione delle vigne gli stranieri hanno sostituito
          gli italiani non solo fra i lavoratori ma anche fra i datori di lavoro).
               Segnali preoccupanti, invece, emergono sul versante del lavoro dipendente. Come si
          legge nel rapporto della Regione Piemonte sul mercato del lavoro: “Il tasso di occupazione
          degli immigrati, già comunque in discesa nel 2012, precipita, perdendo 6 punti percen-
          tuali e attestandosi al 55,6%, contro il 63,3% degli italiani, e rispetto a valori intorno al
          63% nei primi anni di crisi. I posti di lavoro disponibili per gli stranieri risultano del tutto
          inadeguati ad assorbire il loro afflusso demografico, che si è attenuato, ma già comunque
          ben operante; questo era già evidente l’anno scorso, ma nel 2013, per effetto della caduta
          dell’occupazione straniera nel ramo industriale, il fenomeno assume dimensioni preoccu-
          panti e si va configurando come vera e propria emergenza sociale” (Regione Piemonte, Il
          Mercato del lavoro in Piemonte nel 2013, torino, 2014, p. 55).
               L’archivio dei dati Inail ci permette di dettagliare meglio il quadro. La difficoltà del
          momento nel rapporto fra stranieri e mercato del lavoro nella regione si coglie da due
          semplici dati: nel 2013 ci sono state 82.067 assunzioni di lavoratori di origine straniera a
          fronte di 91.913 cessazioni a loro carico.
               L’analisi delle provenienze interessate dalle cessazioni ricorda come vi siano delle spe-
          cializzazioni etniche nei vari comparti produttivi. Ad esempio, fra le cessazioni a livello
          regionale al sesto e settimo posto si trovano i nati in Perù e in Moldavia, braccia (e donne,
          soprattutto) impiegate nel settore dei servizi nel capoluogo, dove la contrazione è stata
          significativa. Le cessazioni dei macedoni (che per numerosità, si collocano al quarto posto
          nella graduatoria regionale, dopo romeni, marocchini e albanesi) si registrano soprattutto
          nelle province di Asti e Cuneo, dove il nesso fra presenza macedone e impiego in agricol-
          tura è da tempo stato evidenziato ed esplorato. ed è quello agricolo l’unico settore (ad
          eccezione della provincia di Verbania) in cui non si registra un saldo negativo fra assunzioni
          e cessazioni nel 2013. A guidare i dati positivi in questo settore sono le province di Asti e
          Cuneo, aree territoriali dove in agricoltura la manodopera straniera è ormai una presenza
          consolidata, anche nei suoi risvolti più problematici, come è la crescente presenza di lavo-
          ratori stranieri che accorrono nei comuni di Saluzzo o Canelli in tempo di vendemmia o
          raccolta della frutta e che interrogano amministrazioni pubbliche e privato sociale sia per la

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loro accoglienza sia per contrastare – laddove possibile – forme di sfruttamento e di capo-
ralato. Al di là dell’agricoltura, nessun altro settore ha registrato un dato positivo nel saldo
fra assunzioni e cessazioni. Segno di come ancora nel 2013 il Piemonte sia in sofferenza
per quanto riguarda sia il comparto industriale e manifatturiero sia quello dei servizi, dove
la tenuta del turismo non annulla un’annualità difficile. Ciò vale soprattutto per il sistema
dei servizi alle imprese.

    Gli alunni di origine straniera
    L’osservatorio della scuola è da sempre uno di quelli più significativi per cogliere i
segnali di cambiamento nelle società locali. Le caratteristiche degli studenti con cittadi-
nanza non italiana, la loro distribuzione nelle varie filiere di istruzione, le proporzioni fra i
nati all’estero e i nati in Italia sono indicatori di come si sta delineando l’integrazione.
    Nell’a.s. 2013/14, negli istituti piemontesi (dalle scuole dell’infanzia a quelle secon-
darie di II grado) erano iscritti 75.276 allievi stranieri, pari al 12,7% di tutta la popolazio-
ne scolastica. Prima di scandagliare il dato per ordini di scuola e per territorio, va rilevato
come oltre la metà degli allievi stranieri è nata in Italia (55,5%). un dato importante da
sottolineare per i riflessi in termini sia di composizione delle classi (si pensi agli effetti
della cosiddetta “circolare Gelmini”, che esclude dal computo del 30% della presenza
straniera in classe gli allievi nati in Italia, assimilati ai coetanei italiani secondo una sorta
di applicazione ante-litteram dello jus soli) sia di socializzazione ed esposizione al conte-
sto italiano. tale passaggio è evidente nella scuola dell’infanzia, dove – in ogni provincia
– fra l’80% e il 90% dei bambini stranieri è nato in Italia; nelle scuole primarie, tali per-
centuali scendono, oscillando fra il 74,5% di Biella (88,8% nella scuola dell’infanzia) e il
62,5% di Verbania (85,1% alla scuola dell’infanzia). Il trend decrescente si accentua ulte-
riormente alla scuola secondaria, dove in media sono nati in Italia 4 allievi su 10 alle
scuole medie e 1,5 su 10 alle superiori. In altre parole, i dati scolastici ci dicono che la
definizione di seconde generazioni in senso stretto (ovvero nati in Italia) riguarda ad
oggi un gruppo consistente di bambini e un più risicato gruppo di adolescenti che si
affacciano a terminare il percorso di formazione obbligatorio tutto italiano. Per alcuni di
questi, è tempo di scegliere se e come proseguire gli studi, facendo magari tesoro delle
esperienze di fratelli e conoscenti già studenti universitari. un numero, quello di questi
ultimi, in crescita, non solo per gli arrivi dall’estero, ma anche per gli studenti diplomati
in Italia, che proseguono gli studi. un indicatore importante, che può richiamare quel-
l’ansia che porta i genitori a proiettare sui figli il sogno del riscatto (o del recupero di
posizioni sociali lasciate in patria), incoraggiandoli a seguire percorsi formativi che nel-
l’immaginario sono simboli di successo e aiutano a smarcarsi dall’etichetta di immigrato
sotto-qualificato e sotto-occupato. Il risvolto della medaglia è un orientamento etero-
diretto, non sempre in sintonia con inclinazioni e desideri e talora foriero di delusioni e
di ritardi, che sfociano in frustrazioni e conflitti intra-familiari.
    Due sono gli elementi da sottolineare. Il primo riguarda il livello dei primi ingressi
nelle scuole italiane: un segnale di fiducia rispetto all’orizzonte futuro fra le famiglie stra-
niere. Si è passati da 1.830 neo iscritti nell’a.s. 2011/12 a 2.704 dell’a.s. 2012/13 a
2.065 dell’a.s. 2013/14, quando i nuovi ingressi si sono registrati soprattutto nella scuola
primaria (52,7%), con una riduzione nelle scuole secondarie di I grado (23,1%). Il dato

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PARTE V   I contesti regionali |

          regionale elimina differenze importanti fra le diverse province: Alessandria, Asti e Cuneo
          hanno conosciuto soprattutto nuovi ingressi nelle scuole elementari, Biella e Novara in
          quelle medie inferiori e torino in quelle superiori (31,5% vs il dato medio del 24,2%).
              Il secondo elemento da richiamare è l’aumento degli allievi stranieri iscritti nei per-
          corsi liceali. Il dato va rilevato perché segnala una diversificazione nelle scelte di studio
          anche fra i figli degli immigrati. È anch’esso un indicatore di stabilizzazione delle famiglie
          immigrate residenti nella regione. Sembra esaurita quella stagione in cui la presenza
          degli allievi stranieri era quasi esclusivamente concentrata nei percorsi di istruzione tecni-
          co-professionale. La scelta di percorsi liceali (23,3% del totale) è un segnale, ma non
          metterà – de jure – questi ragazzi al riparo dal rischio di tempi difficili una volta consegui-
          to il diploma, perché – come ha rilevato una recente ricerca in Piemonte (Olagnero M.,
          Prima e dopo il diploma, Guerini e Associati, Milano, 2013) – la classe sociale, la rete di
          relazioni e il bagaglio culturale delle famiglie continuano a condizionare gli esiti dei per-
          corsi formativi di allievi che solo apparentemente sembrano uguali ai blocchi di parten-
          za. Per cercare di ridurre la sostanziale difformità nel bagaglio con cui gli allievi stranieri
          si presentano all’appuntamento con la scuola superiore, progetti volti al rafforzamento
          della comprensione della lingua italiana e al suo uso nella scrittura continuano a essere
          realizzati in collaborazione fra scuole ed enti del privato sociale.

              Due questioni in agenda
              Il Piemonte, e il suo capoluogo, hanno negli ultimi trent’anni saputo osare, innovare,
          ideare nei diversi ambiti di una società che si stava trasformando in multiculturale. Dalla
          scuola alla sanità, dalle iniziative di accoglienza a quelle di sostegno, all’inserimento
          socio-lavorativo, alle attività culturali. Progetti, attività, servizi sperimentali che talora
          hanno fatto da apripista a vere e proprie consolidate risorse, che resistono anche in anni
          difficili grazie alla collaborazione fra istituzioni pubbliche e mondo del privato sociale.
              Oggi la regione ha di fronte a sè tre sfide. La prima riguarda l’accoglienza e la gestio-
          ne dei richiedenti asilo e di quanti – attraverso le operazioni Nord Africa e Mare Nostrum
          – sono accolti nel territorio. Negli ultimi anni sono stati centinaia, spesso finiti sui quoti-
          diani per fatti di cronaca negativi, come i disordini nei centri di accoglienza (da torino a
          Rivarolo a Settimo torinese). episodi che rafforzano il partito di coloro che vedono nel-
          l’accoglienza e nell’apertura all’arrivo di chi sbarca sulle coste italiane un’incauta scelta
          politica da rivedere per motivi diversi fra loro. Come quello delle risorse per il welfare,
          coperta da tempo troppo stretta per tutti, e soprattutto per i cittadini italiani, da potersi
          permettere di accogliere altri bisognosi. Le preoccupazioni per le erogazioni dei servizi
          sociali sono più forti di quelle per l’immigrazione, come si è visto: questo non esclude,
          però, che gli operatori dei servizi registrino segnali di sofferenza quando nella stessa
          coda si ritrovano italiani e stranieri, o meglio italiani e uomini e donne – magari già ita-
          liani – che lo stereotipo rimanda alle figure topiche dell’immigrazione: la donna con il
          velo, il ragazzo di colore, la signora cinese o il signore latino-americano. O ancora, c’è
          chi si agita di fronte all’emergenza profughi, usa argomenti economici, pensando alle
          ricadute negative nel settore turistico. Capita, ad esempio, quando il luogo di arrivo è
          Bardonecchia, nota località di villeggiatura delle montagne che ospitarono le Olimpiadi
          invernali del 2006, dove qualcuno nella difficile estate 2014 (per il tempo metereologico

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e una crisi che riduce obtorto collo in molti la voglia di andare in vacanza) ha ripreso il
ritornello secondo cui la presenza dei profughi sarebbe squalificante per la zona agli
occhi dei potenziali turisti.
     Di fronte a nuovi arrivi, a uomini (soprattutto) di colore che girovagano per i comu-
ni, a strutture occupate da chi non ha il diritto di restare, ma non sa dove andare, il
rischio che si diffondano sentimenti di ostilità nei confronti di chi viene considerato solo
come beneficiario di servizi (e risorse) che sottraggono risorse agli autoctoni è alto. esiste
però anche un’altra faccia della medaglia. È quella che racconta di percorsi positivi, che
danno forma a nuove biografie lavorative (come quelle di chi è diventato mediatore cul-
turale o ha aperto, grazie al sostegno di progetti ad hoc, piccole attività artigiane) e
familiari.
     Parte di queste nuove biografie familiari sono i bambini e gli adolescenti. figli di pro-
fughi o figli di migranti economici, tutti figli dell’immigrazione, sono i motori dei pro-
getti e dei viaggi.
     Sono loro la seconda sfida per la regione, dai suoi amministratori a coloro che svol-
gono compiti educativi e formativi alla cittadinanza tutta. Al pari dei coetanei già italiani,
richiedono le migliori energie per la difficile transizione scuola-lavoro che li aspetta e per
il rischio che debbano volgere lo sguardo all’estero, rappresentando una perdita demo-
grafica, sociale ed economica per un territorio che sta investendo su di loro. e i frutti di
questo investimento si colgono nei risultati scolastici (come sembrano evidenziare gli
esiti delle prove Invalsi, dove anno dopo anno si riduce il gap fra allievi italiani e stranie-
ri) e nell’impegno sociale (si pensi alle energie di giovani impegnati per presentare alla
cittadinanza il fatto che si può essere torinese, piemontese, italiano e musulmano o a
quelle dei giovani cinesi che aiutano i più piccoli a non dimenticare la lingua madre,
utile per mantenere i contatti con i parenti più anziani, e gli adulti ad apprendere l’italia-
no). Ma anche nell’inserimento lavorativo, soprattutto autonomo e cinese, dove i figli
stanno sostituendo i genitori, realizzando col tempo quella rivoluzione copernicana nelle
comunità cinesi, che segnala lo spostamento dall’ethnic business al business tout court:
lavoratori autonomi sì, non necessariamente in imprese connotate etnicamente. Questi
giovani sono una risorsa preziosa, non solo per l’economia, ma per la società piemonte-
se in generale. La sfida non è solo quella di trattenerli, ma di valorizzarli e accompagnarli
nel loro ingresso nell’età adulta.

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