Pezzi da museo di: Maria Rita Ascanio - Il Torrione Forio
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Pezzi da museo di: Maria Rita Ascanio
Pezzi da museo Scritto da Maria Rita Ascanio Sinossi: Si delinea una giornata tipica di una ragazza appassionata di arte e della storia della sua terra, che svolge attività di volontariato nel piccolo museo civico cittadino. Nel pomeriggio di una calda giornata estiva i primi turisti la trovano indaffarata nelle pulizie all’ingresso dell’antica struttura; le chiedono un’informazione, scambiandola per un’inserviente, poi entrano e la seguono in un affascinante percorso alla scoperta delle vicende della torre. Nel mezzo del racconto, appaiono davanti ai loro occhi rievocazioni di scene di vita del passato e dei personaggi che hanno vissuto nell’antico baluardo. I personaggi: Margherita (l’addetta museale) Coppia di turisti inglesi (la nazionalità si intuisce dall’accento) Mamma con 5 figli (visione di una scena di vita ai tempi delle incursioni corsare) Uomo baffuto aitante (vagamente somigliante allo scultore Giovanni Maltese) Coppia di innamorati (due ballerini) N.B. questa breve opera è pensata per essere realizzata nella sede del Torrione di Forio, a mo’ di percorso guidato in cui il pubblico viene invitato a seguire l’attrice-guida. Dovendolo trasferire su un palcoscenico, il pubblico sarà seduto in platea, mentre sul palco si avvicenderanno esclusivamente gli attori. Sarà necessario un cambio di scena tra due ambientazioni: - ambientazione esterna, con un fondale su cui sia raffigurata la torre vista dall’esterno; il palco diventerà la terrazza del Torrione; una scalinata sul lato sinistro dalla platea porterà sul palco e rappresenterà la scala che conduce alla terrazza della torre (sul bordo del palco sarà attaccato un riquadro su cui verranno riprodotte le ceramiche con i soprannomi foriani); una seconda rampa di gradini sarà collocata in fondo al palco a sinistra per dare l’idea di condurre alla porta di accesso alla sala superiore della torre (effettivamente, sarà predisposto un varco aperto nella scenografia 1
per consentire il passaggio degli attori, per rendere l’idea che entrino nella torre); al limitare del lato destro del palco verranno posizionati due paletti e una corda tesa tra i due pali con degli indumenti stesi a mo’ di bucato. - ambientazione interna, con un fondale su cui sarà dipinto l’interno della sala superiore del Torrione; sul palco, staccate dalla parete di fondo, verranno posizionate le sagome in cartone di alcune sculture (donna con brocca di vino e bicchiere sollevato, i Pidocchiosi, fanciulla sulla giara, Graziella, busto di donna anziana e busto del contadino sdentato – questi due poggiati su piedistalli in legno - , il Naufrago, La Solfatrice). Atto I (ambientazione esterna) Una giornata tipica di Margherita (addetta museale), che si dedica come volontaria alla cura del piccolo museo civico. Tutto si svolge al Torrione di Forio. È il tardo pomeriggio di una calda giornata di fine giugno (24 giugno). Il turno inizia con la pulizia della terrazza e delle scale. Il pubblico incontra la donna sulle scale indaffarata con scopa e paletta. Passa una coppia di turisti inglesi e chiede alla signora informazioni sulle ceramiche attaccate al muro lungo la rampa di scale che porta al Torrione. Turista inglese Excuse me Madame, buongiorno! May I ask you cosa è queste mattonelle? Margherita Sono nicknames, soprannomi con cui si distinguono le famiglie del posto. In passato spesso si dava alle persone un nomignolo con riferimento a qualità, pregi, difetti o all’attività svolta; questo soprannome è passato ai discendenti e ancora oggi la gente del posto chiede “a chi appartieni?” Dire il proprio cognome non basta, capiscono solo quando rispondo “sono la nipote di Maria ‘a Carevunar” (mia nonna Maria era venditrice di carbone) o “sono la nipote ‘e Pascal ‘U Scartellat”. Turista inglese 2
Oh, very interesting! And what about that tower? (indicando il Torrione con la mano) La torre si può salire? Margherita Certo, il museo è aperto, entrate! Turista inglese Grazie Madame! (Salendo le scale, i due parlano tra di loro) Siamo stati fortunati a trovare la signora delle pulizie che ci fa entrare. Margherita, divertita dal fraintendimento, sale le scale, invitando il pubblico astante riunito nella piazzetta e salire con lei Margherita Prego, venite con me ad ammirare la torre! Sale le scale e trova i due turisti all’ingresso intenti a scattare foto. Ripone gli attrezzi nell’angolo dietro l’ingresso, si scuote la polvere di dosso, con un fazzoletto asciuga il sudore dalla fronte, sistema i capelli, appunta il badge, quindi si avvicina ai turisti, per condurli nella visita. Margherita Welcome to the Torrione, una delle torri più antiche di Forio. Costruita nel 1480, per secoli ci ha protetto dagli assalti che venivano dal mare. Erano i tempi in cui si viveva semplicemente, gli uomini lavoravano la terra, le donne accudivano i figli e aiutavano nei campi a curare le viti, la fonte dei loro guadagni. Quando arrivava la bella stagione, anche i poveri pescatori, che avevano passato l’inverno a riparare reti e preparare nasse e coffe, rimettevano le barche in mare e si allontanavo per giorni e notti insonni nelle lunghe battute di pesca. Il tempo scorreva con i ritmi della natura, ma da anni ormai l’arrivo dell’estate era l’inizio di un incubo... I turisti inglesi mescolati con il pubblico ascoltano Margherita mentre racconta la storia della torre. Margherita procede nel viale, seguita dal gruppo, scende i due gradini che portano all’ampia terrazza antistante la sala inferiore del museo. Lì si vede una scena 3
d’altri tempi: nei pressi della cavità a forma di grotta antistante l’ingresso della sala inferiore, un cerchio di cinque bambini vestiti con abiti semplici di cotone/lino o tela (bambine con camiciola bianca, gonna tinta unita e grembiule, capelli legati a trecce o tenuti da un fazzoletto; bambini con camiciola bianca o beige e pantaloni alla pescatora di colore marrone, tenuti in vita da una fusciacca o corda; tutti con scarpette basse di tela tipo espadrillas o anche a piedi nudi) intenti a giocare con dei sassolini a “sottomuro” (antico gioco della tradizione, in cui vince il giocatore la cui pedina lanciata verso la base del muro, si avvicina di più alla parete), nelle vicinanze c’è la mamma (una donna vestita con blusa, gonnellona e grembiulone, capelli raccolti in un fazzoletto e scarpette di tela ai piedi), sta ritirando il bucato da una corda tesa tra il muretto di confine del Torrione e l’albero di glicine, riponendo i panni asciutti in una cesta di vimini ai suoi piedi. Margherita Bambini, cosa fate qui? Con questo caldo io andrei alla spiaggia a fare un bel bagno in mare… Bambino (uno tra i cinque) Mamma nostra non vuole, dice che oggi nun è cos’! Margherita Perché? Mamma dei bambini Signuri’, ma vuj sit’ pazz’! Nun sapit’ c’a San Giuvann stann ‘e curtiell’ ‘a mar’? Ve sit scurdat’ ‘e Barbaross e Dragut? Io no, io nun me scord’ chiu’, quei turchi maledetti! S’adda purta’ u diav’l! M’anno distrutt a vita mia, hanno purtat via a maritem e due miei fratelli. Nun me ‘mport che hanno abbruciat a casa, ma chillu pover pate mio (con una smorfia di dolore che le trasforma il bel viso)… stann’ e criature, nun me facit’ parla’… Margherita Ha ragione, ho letto la storia dei corsari turchi ottomani alleati dei francesi, che seminarono il terrore nel Mediterraneo, attaccando le isole, come accadde quella notte di giugno del 1544, quando Khair ad-Dīn Barbarossa arrivò con le sue galee, ci colse nel 4
sonno, assalendo contemporaneamente i casali di Forio, Panza, Serrara, Fontana, Testaccio, Barano, Buonopane. Tanti giovani e bambini furono trascinati via, venduti come schiavi, non tornarono più a casa. Le donne furono prese con la forza; nove mesi dopo nascevano bambini dalla pelle scura. Per questo si dice che noi foriani abbiamo “sang’ è Turc’!”. Agli anziani tolsero la vita con le loro sciabole. Il mare si tinse di rosso… Mamma dei bambini Signuri’, vui nun tenit paura, sta facenn’ notte, statev accort’! Si sente all’improvviso il suono di una tofa (grossa conchiglia dalla punta tranciata, utilizzata a mo’ di corno per lanciare segnalazioni di allarme), la mamma si agita, richiama i figli a sé Mamma dei bambini Stann arrivann e turk’, currit’, fuimm’ ncopp’ u Turrion! Maronna mia, aiutece tu! Il gruppetto corre su per le scale e si va a barricare nella sala superiore della torre. Margherita (rivolta ai turisti inglesi e al pubblico) Seguiamoli, venite con me. (Salendo, si ferma a metà della scala) Questa scala un tempo era tronca, un ponticello in legno veniva calato per dare accesso alla torre; poi si tirava dentro e si barricava la porta dall’interno. Non c’erano terrazza né balcone né tantomeno finestre, solo questa porta e strette feritoie da cui si lanciavano pietre infuocate e acqua bollente contro gli assalitori. La guarnigione di dieci soldati assicurava una guardia costante, la loro artiglieria e i quattro cannoni ne fecero la torre di difesa più importante, rifugio sicuro per chi riusciva ad arrivarci in tempo. Dopo i secoli della pirateria, in epoca borbonica (prima metà dell’’800) la torre fu utilizzata come prigione e confino per gli oppositori del governo e i responsabili dei moti risorgimentali. Rimase poi per lungo tempo chiusa e abbandonata fino all’estate del 1883, quando un violento terremoto devastò Casamicciola e dintorni. L’artista foriano Giovanni Maltese vide sbriciolarsi davanti ai suoi occhi la casa dov’era nato, vide strappate dalla forza della natura 5
la vita del fratello e del nipote, sepolti dalle macerie. La torre, concessagli in enfiteusi, divenne la sua abitazione e il suo laboratorio, dove visse per trent’anni. Margherita apre la porta, lasciata socchiusa dal gruppo che prima vi si era rifugiato, ed entra nella sala superiore del museo, facendo cenno al pubblico di seguirla. (Quindi escono di scena). Cala il sipario, si effettua il cambio di scena. Atto II (ambientazione interna) Entrano nella sala, trovano ancora i cinque bambini abbracciati alla loro mamma, stretti accanto al camino, impauriti. Fa il suo ingresso anche una coppia di giovani innamorati, si unisce ai turisti nella visita. Il ragazzo e la ragazza si tengono per mano, poi si abbracciano; mentre ascoltano Margherita, si scambiano di tanto in tanto sguardi dolci e tenere carezze, lasciando intendere con le loro effusioni un amore appena in sboccio. Margherita (rivolta ai giovani innamorati) Prego, unitevi a noi. Siamo nella sala che nel 1883 divenne lo studio dello scultore, disegnatore e poeta foriano Giovanni Maltese. Nato il 7 gennaio 1852, dopo una vita di esperienze promettenti, gli studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli (dove si era formato con maestri d’eccezione come Licata, Maldarelli, Toma), il lavoro a Roma a bottega da Giulio Monteverde, il periodo trascorso a Parigi, i lavori al castello di Chenonceaux e il ritorno alla frequentazione dei circoli culturali napoletani, gli avvenimenti di quella estate del 1883 spezzarono tragicamente l’entusiasmo dell’artista, lo spinsero a legarsi per il resto della sua vita alla sua terra, a questo scoglio in mezzo al mare su cui rimase aggrappato come un naufrago nel mezzo della tempesta (Margherita mentre pronuncia queste parole si avvicina alla scultura del Naufrago, opera chiaramente autobiografica). Il Torrione divenne il rifugio dove la sua anima lacerata dal dolore trovò sfogo in anni solitari trascorsi a disegnare, a plasmare argilla e gesso senza sosta, giorno e notte. Qui realizzò “la Solfatrice”, che donò al Sindaco in segno di gratitudine per la concessione della torre; un’opera in cui esalta 6
il valore delle donne foriane, tenaci e fiere portatrici di vita, orgogliose ed operose anche nella cura dei campi. Con le sue abili mani e la maniacale attenzione ai dettagli, da “verista impenitente”, ha ricreato attraverso disegni a carboncino, bassorilievi, busti e gruppi scultorei, la società foriana dei suoi tempi. Entrando in questa sala oggi, pare di fare un salto indietro nel tempo e ritrovarsi in una gremita piazza sotto lo sguardo vivido dei concittadini di Maltese, quello cordiale della donna che invita a bere un bicchiere di vino “alla vostra salute”, quello incuriosito della ragazza che si affaccia a vedere chi sta entrando nel museo, quello concentrato del ragazzino che spulcia i pidocchi al fratellino, gli occhi persi nel vuoto di Graziella sedotta e abbandonata dal turista francese, il volto severo di una donna che ne ha viste tante in vita sua, quello rugoso, cupo e amareggiato del contadino a cui mancano i denti (parlando passa accanto alle sculture e indica di volta in volta una scultura e l’altra di seguito, a partire da sinistra rispetto alla porta d’ingresso, avendola di fronte, andando verso destra in tondo lungo il bordo della sala, indicando prima la scultura che ritrae la donna con brocca di vino in una mano e l’altra mano a sollevare un bicchiere con fare invitante, poi il volto incuriosito della ragazza con una gamba in una giara e quello concentrato del bambino che spulcia i pidocchi all’altro ragazzino nel gruppo de I Pidocchiosi, gli occhi persi nel vuoto di Graziella, il volto severo della donna matura – busto sulla mensola – e quello corrucciato del contadino nel Trittico del Divenire Sociale). Quando sono qui, anche nei lunghi pomeriggi invernali, non mi sento mai sola, circondata da tutti loro. Studio quei volti e quasi mi pare di intuire i loro pensieri. Immagino l’energia con cui Maltese dava sfogo ai suoi tormenti interiori lavorando il gesso e l’ardore con cui esprimeva l’amore, rimasto a lungo stretto in una morsa di dolore e risvegliato soltanto alla soglia dei 50 anni, quando la pittrice inglese Fanny Jane Fayrer varcò l’ingresso di questo studio, desiderosa di vedere lo scultore all’opera. I loro occhi si intrecciarono in uno sguardo d’amore a prima vista, un 7
sentimento che rasserenò l’animo tormentato di Giovanni e li accompagnò leggeri come un volo di farfalle per il resto dei suoi giorni terreni. Nel silenzio mi pare di sentire la sua voce… Uomo baffuto aitante (Entra un uomo alto di bell’aspetto, brizzolato, baffuto, vagamente somigliante al maestro Maltese. Indossa camicia di cotone bianca, gilet in tinta con i pantaloni di lino color cachi, scarpe in pelle di taglio classico. Rivolge la sua attenzione alla coppia di innamorati tra il pubblico e, osservandoli, comincia a declamare ispirato una poesia tratta dalla raccolta “Ncrocchie” di Giovanni Maltese, mentre sul soffitto vengono proiettate immagini video di farfalle in volo; i due innamorati sono una coppia di ballerini che, nel sentir declamare i versi, iniziano a ballare una coreografia ispirata alla poesia) Ah, l’ammore, è a megghia melicin! Te fa scurda’ tutt ‘e cose, te fa passa’ tutt ‘e cose, te fa sentì leggero comm na palummegghia… Nzallanúte na chiópp’ è pallummègghie Intontita una coppia di farfalle nfacci’a a na stanghe s’èren’ afferrate se ne stava aggrappata ad un palo, e stéven’a nu late scégghi’e scégghie da un lato le ali combaciavano, e na scégghia tremmav’ a ghiétu late. mentre dall’altro lato erano tutto un fremito. Era lu triémme c’a le nnammurate Il fremito che coglie gli innamorati ghiaffèrra quann’ancòra su tenègghie quando hanno ancora il cuore tenero e la fummicetà ghiallucenate, e la vertigine d’amore per la prima volta la primma vòta mmit’, e ccerevègghie. nella loro vita, annebbia i lor cervelli. Le lassév’ accussì; m’a pòst’ e sóle Io non le disturbai e sul far del tramonto -cu lu ciél’ e le nnúl’ òr’ e bellúte – -oro e velluto il cielo e le nuvole – pe punènte stennèttene lu vuóle. verso ponente distesero il volo. Cu ghiucchietié appannét’, a la turnate, Ed al ritorno con gli occhi velati nfacci’a nu file d’èreva fierúte, contro uno stelo d’erba fiorita dóce vasava mmócche ghiún’ a ghiàte. dolci si scambiavano baci l’un l’altra. 8
Margherita (rivolta al pubblico) Che poesia! Grazie a Fanny, Giovanni era rinato a nuova vita. Prima componeva per sfogarsi delle tante delusioni, specie dopo che nel 1891 l’amministrazione comunale gli aveva promesso e poi negato la sovvenzione per la Società Operaia Giotto, la scuola di disegno che lui aveva istituito. Fanny portò una ventata di gioia e serenità nella vita di Giovanni. Insieme vissero tredici anni di amore, fin quando il cuore del talentuoso artista si fermò, per un attacco di angina pectoris, il 21 agosto 1913. Ma il suo spirito ancora vive in queste opere senza tempo, un tesoro di bellezza che la moglie volle restituire in donazione al Comune di Forio, ponendo un’unica condizione: che venisse istituito un museo a nome di Giovanni Maltese. Squilla il cellulare di Margherita, è la mamma che riporta la sognatrice alla realtà prosaica Margherita (parlando al cellulare) Si mamma, sono al Torrione… è tardi? Non me n’ero accorta... Si sì, non ti preoccupare. Non mi aspettare… Vabbè! Va… va bene, mamma. A dopo! Margherita (rivolta al pubblico) Scusate, era mia mamma. Non mi ero accorta fosse così tardi. Come al solito, si è arrabbiata e mi ha chiesto “ma che ci fai ancora al Torrione? Sempre a perdere tempo a sto Torrione! Hai dimenticato di fare la spesa? Che fai poi, ti mangi il Torrione?” Ma lei non può capire. Io mi sento veramente fortunata a poter godere del fascino di questo luogo. La storia, l’arte, la cultura che si respira (uno starnuto e un attacco di tosse per via della polvere), non hanno prezzo. Io resterei qui per ore ad ammirare questi volti (mentre si avvicina alle sculture di Giovanni Maltese), che mi osservano e mi parlano della mia terra, della storia del mio paese, della forza, del coraggio di uomini e donne della nostra Forio. Tutto questo mi ripaga di ogni amarezza, i problemi svaniscono. Il mio animo si sazia di storia, di arte e bellezza, ed è una sensazione impagabile! 9
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