PERCHÉ QUEL MARTIRE HA LA TESTA DI CANE? - Unità ...

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PERCHÉ QUEL MARTIRE HA LA TESTA DI CANE? - Unità ...
PERCHÉ QUEL MARTIRE HA LA TESTA DI CANE?
La storia di san Cristoforo

Basta organizzare un martirio e subito si raduna una folla di curiosi che non hanno niente di
meglio da fare.

«Ehi, ma perché il martire di oggi ha la testa di cane?» chiede ad alta voce uno spettatore
indicando il prigioniero gigantesco, mostruoso, una montagna vagante che si lascia docilmente
legare a una colonna da soldati parecchio nervosi.

«Be', è ovvio, no?» interviene il vicino. «Il martire appartiene a una tribù di Cinocefali. Perfino
un ignorante come te dovrebbe sapere che in greco cinocefalo significa "uomo con la testa di
cane", e che il deserto della Libia, appena oltre il confine dell'impero romano, è pieno di
Cinocefali, oltretutto antropofagi. Che, come perfino un ignorante come te dovrebbe sapere,
significa "mangiatori di carne umana": cannibali. Dunque questo cinocefalo antropofago, dopo
essere stato sconfitto con tutta la sua tribù, è stato arruolato nel valoroso esercito romano. È
sempre utile avere un mostro di selvaggia violenza dalla propria parte, no? Poi però il mostro ha
pensato bene di farsi cristiano, e adesso lo martirizzano. Si chiama Cristoforo, che significa
"colui che porta Cristo", come perfino un ignorante come te...»

Il vicino sta per mollargli un pugno sul naso e scatenare una rissa, ma s'intromette il tizio
accanto. «È incredibile che ai giorni nostri, nonostante i progressi della scienza, qualcuno possa
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ancora credere all'esistenza di uomini con la testa di cane. I Cinocefali non esistono e non sono
mai esistiti. La realtà è un'altra, logica e ragionevole. Questo Cristoforo era un giovane dal
volto così bello che tutte le ragazze s'innamoravano di lui al primo sguardo. Siccome però era
diventato cristiano e voleva evitare le tentazioni, aveva chiesto a Dio la grazia di non essere
più così bello. Una mattina si è risvegliato con una faccia di cane al posto della sua. Da quel
giorno, le ragazze appena lo vedono scappano a gambe levate. Fine delle tentazioni.»

«Ma cosa mi tocca sentire!» sbotta un altro spettatore. «Ci vedete bene? Se li avessero già
inventati, vi regalerei un paio di occhiali, magari un cannocchiale. Quello non è un uomo con la
faccia di cane, ma un uomo che ha una faccia un po' canina. Adesso ve la racconto io la vera
storia di Cristoforo. Che tra l'altro prima si chiamava Reprobo.»

                                                         

Reprobo era una specie di gigante Golia, stufo di mettere la sua smisurata forza fisica (e la sua
faccia, capace da sola di far scappare i nemici che avessero avuto la cattiva idea di posarci lo
sguardo) al servizio di un re qualunque. No: una forza come la sua era degna solo del re più
potente della terra. Il problema era trovarlo.

Pieno di speranze (deve esistere per forza il re più potente della terra; basta avere la pazienza
di cercarlo), Reprobo si mise in viaggio per deserti e città, finché trovò un sovrano abbastanza
sfacciato da dirgli: «Sì, modestamente il re più potente della terra sono io. Lieto di conoscerti,
Reprobo, e di prenderti al mio servizio. È utile avere un mostro di selvaggia violenza come te
dalla propria parte.»

Reprobo era molto soddisfatto della sua nuova condizione, finché una sera notò uno strano
comportamento del re più potente della terra. Mentre tutti stavano mangiando e bevendo e
divertendosi, un cantante-giocoliere-buffone attaccò una canzone su un essere che Reprobo
non conosceva, un certo Diavolo, e ogni volta che sentiva quella parola, il re, che era cristiano
(altra idea che Reprobo non aveva ben chiara), faceva un salto e si passava la mano tra la fronte,
il petto e le spalle.

«Chi sarebbe questo Diavolo...» cominciò Reprobo rivolto al suo re.

«Non dire quella parola» lo interruppe il re rifacendo Io strano segno.

e perché fai un salto e ti segni con la mano quando qualcuno dice Diav...»

«Ti ho detto di NON NOMINARLO!» gridò il re. «Stai cercando di dirmi che hai paura di
questo...?» Reprobo ebbe il buon gusto di fermarsi.

«Io sono il re più potente della terra e non ho paura di nessuno! Diciamo che con quel signore
preferisco non averci a che fare, per non cadere sotto il suo malefico potere. Il segno della
croce serve proprio a quello. Un giorno ti spiegherò.»
«Secondo me, questo Diavolo ti fa paura. Guarda la faccia che fai appena dico Diavolo, Diavolo,
Diavolo... E se hai paura, lui è più potente di te, e siccome io voglio servire solo il re più potente
della terra, ti saluto e vado a cercarlo.»

Reprobo prese a vagare nel deserto alla ricerca del Diavolo. All'improvviso, annunciato da una
minacciosa nuvola di sabbia, apparve un piccolo esercito comandato da un essere spaventoso,
col volto completamente coperto da peli ispidi, denti simili a zanne e occhi che parevano carboni
ardenti. I soldati del suo esercito avevano ceffi che facevano sembrare Reprobo quasi bello.

«Sto cercando il Diavolo per mettermi al suo servizio» mormorò Reprobo.

«L'hai trovato» disse il terribile essere dal volto peloso. «Vieni con noi. Avevo giusto bisogno
di uno scudiero personale con la tua corporatura.»

Reprobo era felice di essere al servizio di colui che era sul serio il re più potente della terra.
Già immaginava le grandi imprese che avrebbe compiuto, in mezzo a un esercito che sembrava
fatto su misura per lui, e fantasticava a voce alta camminando a fianco del suo nuovo signore,
quando si accorse che il Diavolo si era fermato all'improvviso. I molti peli gli si erano rizzati in
testa e sulla faccia, era attraversato da un tremito e guardava fisso davanti a sé.

Il gigante seguì il suo sguardo. Si aspettava di vedere qualcosa di minaccioso, ma non notò
niente. Il sentiero che stavano percorrendo correva sul fondo di una valle, tra due rupi rocciose.
Strizzando gli occhi, Reprobo scorse una piccola croce a qualche decina di passi di distanza,
lungo il sentiero. Ma non potevano essere certo quei due pezzi di legno a spaventare il re più
potente della terra.

Il Diavolo, agitatissimo, ordinò a tutti i suoi uomini di abbandonare il sentiero e seguirlo su per
il pendio roccioso alla loro destra. Superarono faticosamente massi e ghiaioni, passarono in
equilibrio su gradini di roccia sospesi nel vuoto, scesero aggrappandosi ai cespugli per non
cadere e si graffiarono in mezzo ai rovi, ma alla fine ritornarono sul sentiero a fondo valle, una
cinquantina di passi oltre la croce di legno.

«Perché abbiamo fatto tutta questa fatica invece di continuare comodamente lungo la strada?»
chiese meravigliato Reprobo.

«Ah, be'... Ci tenevo a farvi vedere il panorama dall'alto. Meraviglioso, vero?»

«Direi abbastanza squallido. È stato per via di quella croce, vero?»

«Preferirei non parlarne» disse sottovoce il Diavolo. «Se non me lo dici me ne vado.»

«Va bene, te lo dico. Su una croce è stato inchiodato, tanto tempo fa, a Gerusalemme, un uomo
di nome Cristo. È il mio grande nemico. Quando vedo una croce, sono costretto a fuggire
terrorizzato. È più forte di me.»

«Be', è questo Cristo a essere più forte di te. Quindi, se voglio servire il re più potente, devo
andare a cercarlo. Tu sai per caso dove si trova?»

«Stai scherzando, Reprobo?»
Così il gigante si mise a percorrere la Palestina, la Siria, l'Asia Minore alla ricerca di Cristo e
di qualcuno che gli insegnasse come servirlo. Finalmente incontrò un eremita, un sant'uomo che
si era ritirato nel deserto a pregare e a meditare. L'eremita gli raccontò la vita di Cristo e i
suoi insegnamenti, e Reprobo disse che non vedeva l'ora di mettersi al servizio di quel potente
re, e gli chiese cosa doveva fare.

«Be', potresti servire Cristo per mezzo di digiuni e penitenze» gli propose l'eremita.

«Chiedimi tutto ma non di digiunare» disse Reprobo, facendo scorrere lo sguardo sul suo
corpaccione e pensando alla quantità di cibo che gli serviva per riempirlo.

«Che ne diresti di ritirarti nel deserto e passare il tempo in preghiera?»

«Senti, non sono tanto bravo con le parole. Non c'è qualche altro compito più adatto a me e
utile a Cristo?»

«Hai ragione anche tu. Vedi quel fiume laggiù? Non c'è un ponte, e la gente che deve
attraversarlo spesso rischia di essere trascinata via dalla corrente. Tu che sei così grande e
grosso potresti metterti sulla riva e aiutare i viandanti. Siccome mettersi al servizio degli altri
è una cosa che Cristo gradisce molto, vedrai che prima o poi lo incontrerai. Magari proprio lì al
fiume.»

Reprobo accettò con entusiasmo. Si costruì una capanna sulla riva, prese un tronco e lo usò
come bastone a cui appoggiarsi per affrontare la corrente, e incominciò ad accompagnare tutti
quelli che volevano attraversare. Era un impegno faticoso, ma non si sarebbe potuto trovare
uno più adatto del grande e grosso Reprobo per svolgerlo.

Passarono molti giorni. Una sera, Reprobo sentì una voce infantile che lo chiamava: «Vieni fuori.
Devo attraversare il fiume.» Uscì e trovò un bambino ansioso di raggiungere l'altra riva. Senza
chiedersi che ci facesse in giro da solo la sera, se lo caricò in spalla ed entrò nel fiume. Ma più
avanzava, più il peso del bambino sembrava crescere. Reprobo alzò gli occhi: appollaiato sulle
sue spalle c'era un bambino minuscolo, che doveva essere per forza leggero come una piuma.
Come mai allora faceva tanta fatica a procedere? Si aggrappò al fedele tronco-bastone. Ogni
passo era una sofferenza. Gli sembrava di essere schiacciato fin sotto il livello dell'acqua,
doveva lottare per tenersi in equilibrio ed evitare di farsi trascinare via dalla corrente, lui e il
suo passeggero minuscolo e pesantissimo. Stringendo i denti, ansimando come un mantice,
puntando il bastone nella sabbia traditrice del fondo, Reprobo raggiunse stremato l'altra riva.
Posò con delicatezza il bambino e si lasciò cadere a terra.

«Bambino» disse con un filo di voce, «abbiamo rischiato grosso tutti e due. Come fa un
piccoletto come te a pesare così tanto? Mi sembrava di avere sulle spalle il mondo intero.»

«Non ti devi meravigliare. Infatti hai portato sulle spalle non solo il mondo intero, ma anche il
suo creatore. Io sono Gesù bambino, il Cristo re che volevi servire. Sono venuto a dirti che il
tuo desiderio è stato accolto, e da oggi ti chiamerai non più Reprobo bensì Cristoforo, cioè
"colui che porta Cristo". Vuoi la prova che quanto dico è vero? Pianta il tuo bastone nel terreno
e domattina lo troverai carico di foglie e di frutti.» Così dicendo il bambino sparì.
Reprobo-Cristoforo si stropicciò gli occhi, conficcò il bastone per terra e crollò esausto.
Quando all'alba si risvegliò, il bastone era una palma ricca di foglie e carica di datteri. Convinto
dal miracolo, Cristoforo decise di raggiungere la città più vicina (Samon di Licia, sulla costa
dell'Asia Minore) per unirsi ai cristiani che soffrivano l'ennesima persecuzione (era quella
dell'imperatore Decio). Prima però s'inginocchiò e rivolse una preghiera a quel Gesù che aveva
conosciuto tanto da vicino. «Dovresti fare in modo che io capisca la lingua di questi stranieri. E
- ehm - dovresti fare anche in modo che loro capiscano me. Di solito la gente dice che più che
parlare abbaio.»

Un angelo si precipitò dall'alto dei cieli, atterrò di fronte a Cristoforo, gli mollò due schiaffoni
sulle orecchie e uno sulla bocca, lo aiutò a rialzarsi e gli annunciò: «Ecco fatto, preghiera
esaudita. Vai pure in città.»

Giunto a Samon, Cristoforo irruppe in un tempio dove si svolgevano sacrifici in onore degli dei
pagani e gridò che era ora di smetterla. Il sacerdote, offeso da quella intrusione, lo colpì con
un pugno. Cristoforo si massaggiò la guancia e disse: «Colpiscimi pure. Ti perdono, perché il
perdono è la nuova legge.» Piantò per terra il suo bastone nodoso, che subito si coprì di gemme,
foglie e frutti. La gente intorno subito si convertì e abbandonò il culto degli dei.

Il sacerdote corse dalla massima autorità della città, il prefetto che rappresentava
l'imperatore Decio, e disse: «Prefetto, ho una notizia per te. Ho visto un uomo gigantesco, con
una testa che sembra proprio quella di un cane: magari è uno di quei Cinocefali che abitano i
deserti più deserti dell'Africa. Ha lunghi capelli, occhi luccicanti come stelle e denti simili a
zanne di cinghiale. È un grande mago, pare che sia venuto ad aiutare i cristiani, la gente lo
ascolta e se non lo fermi in tempo ci provocherà un sacco di guai.»

Così il prefetto spedì duecento soldati a catturarlo, e quando, dopo qualche ora, non li vide
tornare, ne mandò altri duecento. Il fatto è che i soldati, scorgendo Cristoforo assorto in
preghiera e notando la sua mole e la sua faccia poco rassicurante, esitavano a eseguire l'ordine
del prefetto. Fu Cristoforo che, quando si accorse di essere circondato, chiese: «Cosa volete
da me?»

«Il prefetto vorrebbe scambiare quattro chiacchiere con te, e ci ha ordinato di accompagnarti
da lui. Possibilmente incatenato.»

«Sapete che se non volessi venire non potreste costringermi neanche in quattrocento, vero?»

«Certo» si affrettò a rispondere il capo dei soldati. «Guarda, se preferisci startene qui, o
andartene da qualche altra parte per conto tuo, noi torniamo indietro e diciamo che non ti
abbiamo trovato.»

«No. Il prefetto vi punirebbe. Vengo con voi.»

«Permettimi di insistere. È per il tuo bene. Noi non ti abbiamo trovato.»

«Sono io che insisto. Portatemi dal prefetto. Ci tengo a parlargli. E incatenatemi, altrimenti
verrete puniti.»
Alla vista di quel gigante che entrava nel salone delle udienze, il prefetto cadde dal trono, pieno
di meraviglia e di spavento. Quando riuscì a riprendere il controllo, si rivolse al prigioniero e gli
ordinò di non fare tante storie e di offrire un sacrificio agli dei.

«Come forse saprai, un tempo mi chiamavo Reprobo, ma ora sono Cristoforo, e in nome di Cristo
mi rifiuto di sacrificare agli dei.»

«Ti sei scelto un nome ben sciocco, stupido Reprobo. Quel Cristo che non riuscì a salvare sé
stesso non potrà certo salvare te.»

«I tuoi dei sono statue di pietra fatte dagli uomini. E se esistessero veramente sarebbero
diavoli.»

«Basta guardarti in faccia per capire che sei stato allevato dalle bestie, e le cose che dici
possono essere pensate solo da bestie, e non da menti umane. Caro il mio testa di cane, vedrai
che ti convinco io a rispettare gli dei.»

Ordinò così che le carni di Cristoforo fossero straziate da uncini appuntiti, ma il gigante non
fece una piega; quindi ordinò a due soldati di avvicinare le torce al corpo di quell'ostinato
seguace di Cristo, ma, nonostante la puzza di bruciato, Cristoforo non cambiò idea. Allora
qualcuno sostenne che le torture erano un espediente indegno (oltre che poco efficace). Non
conveniva passare alle lusinghe?

«Se accetterai di fare un piccolo sacrificio agli dei» propose allora il prefetto «ti nominerò mia
guardia del corpo personale e cocchiere del mio carro da guerra.»

«Accetterò con molto piacere» rispose Cristoforo «se tu prima abbandonerai i falsi dei e ti
convertirai alla vera fede.»

«Qui le proposte di conversione le faccio io, chiaro?» gridò stizzito il prefetto, e intanto
elaborava un nuovo piano. Fece chiudere Cristoforo in una cella, e ordinò a due belle ragazze,
Niceta e Aquilina, di sfoggiare tutto il loro fascino per ammaliarlo.

Niceta e Aquilina misero i loro abiti migliori, i gioielli più appariscenti, il profumo più inebriante
ed entrarono nella prigione cinguettando: «Cristoforo, amore, dove sei?»

«Cosa volete da me, donne?» chiese Cristoforo con voce tonante.

Le due ragazze, terrorizzate, non osarono rispondere. «Convertitevi, donne infelici! Credete
nel mio Dio, e avrete la vita eterna!»

Niceta e Aquilina si guardarono perplesse. «Se non cerediamo nel suo Dio» disse sottovoce
Niceta, «questo qui, grande e grosso com'è, ci ammazza a mani nude. Ma se facciamo come vuole
lui, appena usciamo di qui ci ammazza il prefetto!»

«Però il suo Dio ci promette la vita eterna» commentò Aquilina dopo un rapido calcolo. «Forse
ci conviene.»

Quando il prefetto convocò le due ragazze, la prima cosa che chiese fu: «Allora, avete fatto
capire a Cristoforo quali sono le vere gioie dell'esistenza?» Poiché Niceta e Aquilina non
rispondevano e tenevano gli occhi bassi, capì che qualcosa nel suo piano non aveva funzionato.
«Ma insomma» gridò, «questo Cristoforo ha convinto anche voi! Tagliamo corto: sacrificate agli
dei o morirete di una brutta morte.»

Dopo aver parlottato fra loro, Niceta e Aquilina decisero di accettare, a patto che tutta la
popolazione della città fosse convocata per assistere al sacrificio. Quando giunsero al tempio
dove, su alti piedistalli, erano collocate le statue degli dei, posarono le offerte davanti a loro
e, più rapide del fulmine, si tolsero le cinture, le gettarono al collo delle statue e cominciarono
ad abbatterle una ad una, riducendole in polvere. Solo l'intervento dei soldati accorsi a
immobilizzarle permise di salvarne almeno un paio. Mentre venivano trascinate al palazzo del
prefetto, gridavano: «Chiamate i medici per curare i vostri dei!» Il prefetto, con un sospiro,
ordinò che fossero appese a un palo con un'enorme pietra attaccata ai piedi per essere
squartate. Era stato di parola: brutta morte, anzi orrenda.

Ormai il martirio toccava a Cristoforo. Fu legato a una sedia di bronzo, sotto la quale era acceso
un falò, e gli misero sulla testa un elmo incandescente. Ma quando il fuoco si spense, lui si alzò
come niente fosse, senza nemmeno un capello fuori posto.

Furibondo, il prefetto ordinò di legare una macina da mulino al collo del gigante e di gettarlo in
un pozzo profondo, così che non si potessero recuperare neanche le sue ossa. Ma prima che
Cristoforo si sfracellasse sul fondo, la macina si sciolse e due angeli lo afferrarono al volo e lo
riportarono sull'orlo del pozzo senza il minimo graffio. Il prefetto, esasperato, disse che
l'indomani Cristoforo sarebbe stato legato a una colonna nel centro della città e trafitto dalle
frecce di quattrocento soldati.

                                                         

Tutto è pronto per il martirio. Lo spettatore che ha raccontato le avventure di Reprobo-
Cristoforo si guarda intorno soddisfatto, con l'aria di superiorità di chi è sempre informato.
Gli altri si grattano la testa. Continuano a pensare che quella del gigante legato alla colonna sia
proprio una testa di cane, e tutto sommato pare loro più logico credere ai Cinocefali che a tutte
le strane vicende che hanno appena ascoltato.

Un rullo di tamburo attira la loro attenzione. Il plotone di esecuzione, composto da
quattrocento arcieri, è in posizione di tiro di fronte a Cristoforo. Il prefetto, seduto sul trono
in cima alla scalinata che porta al suo palazzo, solleva la mano. Quando la abbassa, quattrocento
archi si tendono e quattrocento frecce prendono il volo.

«Ehi, guardate: nemmeno una freccia ha colpito Cristoforo!» dice il primo spettatore.

«Ragazzi, che mira. Ma dove andiamo a prenderli gli arcieri? Poi non possiamo lamentarci se
l'impero romano è in decadenza» dice il secondo spettatore.

«Ma non avete visto? È un miracolo. È come se le frecce fossero rimaste sospese a mezz'aria
per non colpire Cristoforo» grida lo spettatore che sapeva tutto.
«Altro che miracolo. Questi quattrocento soldati non saranno mica quelli che dovevano
arrestare Cristoforo e si sono fatti convertire da lui? Hanno mirato alto apposta» dice il primo
spettatore scuotendo la testa.

Un grido lacera l'aria. Non viene dal centro della piazza, ma dalla scalinata del palazzo. È il
prefetto che urla: una freccia l'ha colpito in un occhio.

«Ehi, un soldato ribelle non solo non ha voluto colpire Cristoforo, ma ha puntato la freccia verso
il prefetto. Be', a lui la mira non manca» dice il secondo spettatore.

«Macché, è un altro miracolo: contro tutte le leggi della fisica, la freccia che doveva colpire
Cristoforo ha cambiato direzione ed è andata verso il prefetto» dice lo spettatore che ormai
e pronto a farsi martirizzare insieme a Cristoforo.

Il silenzio è piombato sulla piazza. Si sentono solo le urla del prefetto mentre il suo medico
personale gli toglie la freccia dall'occhio. All'improvviso risuona la voce tonante del gigante
legato alla colonna: «Oggi io morirò, e quando sarò morto, tiranno, bagnati la ferita col mio
sangue e riacquisterai la vista.»

«Decapitatelo!» È la voce
stridula del prefetto, che
ha un motivo in più per
volere morto Cristoforo.

Il   gigante     si   lascia
accompagnare     davanti al
boia senza fare la minima
resistenza Anzi, allunga il
più possibile il collo sul
ceppo per facilitargli il
lavoro. E appena la testa
rotola, il prefetto bagna le
dita     nel    sangue    di
Cristoforo e se le porta
all'occhio ferito. Sbatte le
palpebre, si copre l'occhio
sano per una prova della
vista, e grida: «Ci vedo!
Cristoforo aveva ragione.
D'ora in poi, voglio che
nessuno tocchi i cristiani!»
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