Microcosmi e L'Infinito viaggiare di Claudio Magris

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Marina Grillo

                            Oltre il viaggio, la scrittura e la vita.
              Microcosmi e L’Infinito viaggiare di Claudio Magris

       Viaggiare, vivere, scrivere, questo trinomio è alla base dei libri che intendo analizzare: Mi-
crocosmi e L’Infinito viaggiare di Claudio Magris. Due opere diverse ma che hanno come comune
denominatore i tre elementi citati: in Microcosmi la filosofia di Magris è percettibile tra le righe,
nell’Infinito viaggiare riaffiora prepotentemente. Rimane chiaro, in entrambi i casi, che il compito
dello scrittore è dare corpo a tutte le voci del mondo, senza eliminare incoerenze e contraddizioni,
senza arrogarsi l'autorità di giudicare. La vita è incanto e ostilità ed è necessario viverla appassiona-
tamente.
       Viaggiare è programma e casualità, previsto e imprevisto, proseguire e tornare indietro come
nella vita. «[…] Noi siamo nella vita senza sapere cosa sia»1, quindi, il viaggio è motivo di cono-
scenza.

1. Microcosmi

       Microcosmi è stato scritto al culmine del millennio, in un momento in cui la follia umana
squassava i Balcani. Magris, da “uomo di confine”, contrappone alla furia omicida un libro pacifi-
sta, pieno di momenti aulici, di ricordi, di esempi di grande civiltà e arte di vivere, al di qua e al di
là della frontiera.
       Il punto di partenza, così come la fine di questo viaggio, è Trieste con il suo caffè San Marco
trionfo di vitalità popolato da silenziosi lettori di giornale, studenti, allegre signore e vecchi capita-
ni. Il caffè è anche il luogo della scrittura, con carta e penna e alcuni libri si è pronti per la partenza,
anche perché il San Marco è situato in un’ottima posizione per sgranchirsi le gambe2.
       Il gusto e la ricerca del particolare sono impronta importante di queste pagine. Il paesaggio è
un gioco di masse, di linee, di colori, di luci, di ombre; è anche uno sguardo o una serie di sguardi,

1
  C. Magris, Vietato rompere nidi e scrivere prefazioni in Viaggio in Portogallo di José Saramago, Torino, Einaudi,
2008, p. VIII.
2
  C. Magris, Microcosmi, Milano, Garzanti, 1998, p.36.
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«una creatura vivente»3 che partecipa agli eventi. Lo spazio porta in superficie le complessità stori-
che, sociali e nuove prospettive geografiche, esaltando il legame indissolubile tra storia e paesaggio.
Questa geografia del cuore prende in considerazione la frontiera e le frontiere reali o fittizie, misura
dell’ordine naturale, del riscatto e della caparbietà dell’uomo, della sua identità. La Storia, appunto,
accompagna una continua «mutazione antropologica, che produce un nuovo, ancora sconosciuto ti-
po di uomo»4.
         I micro viaggi sono una riscoperta di luoghi ampiamente scandagliati dall’autore, sono un ri-
torno ad un mondo conosciuto, un tuffo nella provincia come ricordano il titolo e l’epigrafe. Un sal-
to a Malnisio (Friuli) per la festa di fine agosto per abbandonarsi, poi, al lento fluire dell’acqua ver-
de della laguna di Grado, che insidia i baracconi abbandonati sulla riva. Il Nevoso con la sua fore-
sta, memoria di uomini e di racconti fantastici, è a metà strada fra Trieste e Fiume. Il viaggio prose-
gue girovagando senza meta per le colline piemontesi, perdendosi a osservare il cielo stellato sul
manto erboso. Nell’arcipelago croato è possibile chiacchierare con gli irriducibili che non hanno
abbandonato questa lingua di terra fortemente segnata dalla storia. Ad Antholz c’è giusto il tempo
per una partita a carte e di dare uno sguardo a vecchie fotografie. A questo punto occorre tornare a
casa, a Trieste.
         Leggendo questo libro si assapora il gusto confortante delle cose che si ritrovano con il ripe-
tersi di un viaggio già fatto: come i rituali racconti di caccia, o come certe visioni.
         Il racconto del tempo presente è incastonato nella descrizione di eventi storici, perché ogni
luogo, se lo si sa osservare, è impregnato della storia del suo popolo, tanto quanto di quella persona-
le dei suoi attuali abitanti. Quasi che nello stesso organismo avvengano processi biologici e storici.
         Il viaggio in questo mosaico di luoghi è condotto da un io autoriale che tende a scomparire
sempre più per passare a un’impersonale terza persona. Questo Personaggio registra tutto per i letto-
ri, odori, percezioni, suoni, ma allo stesso tempo non si palesa, è frammentato, è impercettibile pre-
senza che si ricompone nella sua totalità negli ultimi capitoli. Infatti, il Personaggio attraversa il
Giardino Pubblico di Trieste, una sorta di «paradiso, Ade e limbo», ripensa ai luoghi della sua vita
e, all’uscita dal Giardino, trova la morte in una chiesa. Il percorso diventa la parabola della vita
stessa e termine del percorso terreno.
         Alla Storia che in ogni luogo ha lasciato tracce indelebili, infatti, si aggiungono le storie dei
vinti, dei protagonisti marginali che portano il loro fardello di difficoltà e integrazioni. Una moltitu-
dine di personaggi che convive con il passato, il presente, le tragedie e i miti.

3
    C. Magris, Vivere significa migrare: ogni identità è una relazione, «Corriere della sera», Milano, 1 ottobre 2009.
4
    C. Magris, Tra il Danubio e il mare, Milano, Garzanti, 2001, p. 33.
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Ogni realtà è un arcipelago; vivere e scrivere significa errare da un’isola all’altra, ognuna delle quali diventa un po’ la
nostra patria. La verità umana non è quella dell’assoluto bensì quella della relazione. Ogni identità esiste nella rela-
zione; è solo nel rapporto con l’altro che cresco, cambiando senza snaturarmi. Ogni storia rinvia ad un’altra e sfocia in
un’altra5.

         Righe fitte d’inchiostro e di vita vissuta, è il diario di un corpo in movimento che gioca se
stesso nella scoperta, nella conoscenza e nell’ascolto, ma anche, e soprattutto, nella possibilità di
condivisione. È di qui che nasce l’incanto: nel nostro ritrovarci con l’autore sullo stesso viottolo, nel
nostro riconoscerci come viaggiatori, che di luoghi e persone hanno subìto fascino e ferite; e nel no-
stro tentativo, infine, di resistere alla dispersione provando a portarci dietro la nostra vita.
         L’autore si nutre di queste storie, diviene interlocutore attento e silenzioso registrando tutto
nel suo magico taccuino.

Scrivere è coprire, una sapiente mano di vernice data alla propria vita, sino a farla apparire nobile grazie ai suoi errori
messi abilmente in vista mentre si finge di occultarli, con un tono di sincera autoaccusa che li rende magnanimi, mentre
la sozzura resta sotto6.

         Proprio la sua scrittura fa emergere grumi, storture, ferite, deviazioni e al tempo stesso fissa
immagini, momenti, idee senza mai dimenticare per un attimo l’eccezione, la possibilità, il detta-
glio. Microcosmi è l’occasione per sottolineare il legame tra viaggio, vita, scrittura: «Viaggiare,
come raccontare - come vivere - è tralasciare. Un mero caso porta a una riva e perde un’altra»7. Si
profila sempre la perdita di qualcosa, vivendo in bilico tra due realtà con la consapevolezza di sen-
tirsi sempre straniero tra gli stranieri. Da questi motivi nasce il bisogno di scrivere. Infatti, la scrittu-
ra dipana i fili della Storia, chiarisce il trascorrere del tempo e il desiderio di trattenerlo, con la con-
sapevolezza che il domani non sarà lo stesso: «Narrare è guerriglia contro l’oblio e connivenza con
esso»8. La parola diviene ordine mentale, strumento per definire il reale e il mistero della vita. Og-
getto della scrittura è il mondo, nel quale si addentra perplessa e ostinata: «La penna è una lancia
che ferisce e guarisce; trafigge il legno fluttuante e lo mette in balia delle onde, ma anche lo rattop-
pa e lo rende di nuovo capace di navigare e di tenere la rotta»9.

2. L’infinito viaggiare

         Nella densa Prefazione dell’Infinito viaggiare Claudio Magris presenta al lettore alcune chiavi
di lettura per comprendere il percorso effettuato. Le pagine saggistiche di quest’opera coniugano e
fondono indagine e romanzo: lo sguardo si concentra sul dettaglio, lo ispeziona, lo riscalda di sé -
5
    C. Magris, Vivere significa migrare: ogni identità è una relazione, cit.
6
    C. Magris, Microcosmi, cit., p. 35.
7
    Ivi, p. 71.
8
    Ivi, p. 210.
9
    Ivi, pp. 18-19.
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indagine come forma di conoscenza e insieme di accadimento- per poi allargare la prospettiva allo
spazio intorno. Riflettere è anche una questione di distanze.
         Per capire il grande scenario della vita, si deve partire proprio dalle presenze laterali, dai det-
tagli: e soltanto indagando la verità di un minuto si può arrivare alla verità di un’ora, di un mese, e
così via; perché dentro quel minuto, se sappiamo coglierne senso e verso, c’è già concentrato molto,
forse tutto – la vita che esplode, che invade, che non si ferma.
         Fin dal principio è chiara una cosa: c’è chi viaggia per scrollarsi di dosso la quotidianità, chi
come Magris rappresenta il viaggiare come un momento di riflessione, un ripensamento alla Storia
e alla propria storia.
         I trentanove capitoli che ci accompagnano nella lettura abbracciano un arco ventennale (1981-
2004) e sono racconti, articoli di giornale, frammenti particolari di una vita. Sono pagine frutto di
una certa immediatezza, sono «intrise di questa temporalità […], legate al momento in cui è avve-
nuto il viaggio»10. Magris, trattando sempre in prima persona, attraversa gran parte dell’Europa nel-
la sua fase pre e post caduta del Muro per prolungarsi verso la Cina, il Vietnam e l’Australia.
         Percorrendo per la prima volta o ripercorrendo in compagnia di Magris gli itinerari di questo
libro, ci accorgiamo di come davvero l’esperienza del viaggio possa condensarsi in una necessaria
educazione dello sguardo – un’educazione sentimentale, certo –; in uno stupefacente (anche doloro-
so) romanzo di formazione: il nostro. Superati gli spaesamenti iniziali, alziamo gli occhi dalla pagi-
na, e sentiamo che quel passo rapido, attento, curioso che ha attraversato città, foreste, pianure pol-
verose era un passo sulla strada di casa, cioè sulla strada della propria verità. Se riusciamo a darle
spazio e nome è anche perché viaggiamo nel mondo (tra le pareti domestiche, nel quartiere, in un
altro continente), la traduciamo confrontandola con il mondo: così, la vista si fa più acuta, e più au-
tentica l’immagine delle cose; così, sperimentare meraviglie e asperità di altre geografie è un modo
per definire meglio la mappa della propria.
         Anche in questo caso si tratta di microcosmi ma la visione è più dilatata. Chi viaggia è un Io
consapevole, più partecipativo, è un Io che guarda alla dispersione dietro di lui, ma cerca di resi-
stervi recando con sé tutta la vita. Anche in questo caso vale la parabola di Borges citata come epi-
grafe in Microcosmi: la conoscenza dell’altro e del mondo ci aiuta alla scoperta della nostra identità,
come «il pittore scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l’immagine del suo volto».
         La frontiera, altro snodo essenziale, è costantemente presente nel viaggio di ogni uomo: è pas-
saggio dal noto all’ignoto e viceversa; valicare i confini è il compito del viaggiatore. Questo attra-
versamento comporta la riscoperta e l’analisi delle certezze perché il mondo si configura come spi-

10
     C. Magris, L’infinito viaggiare, Milano, Mondadori, 2005, p. XXV.
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rito pulsante, in continuo mutamento. Il viaggio, quindi, dà un valore aggiunto a quanto si apprende
attraverso i libri, i quotidiani, l’esperienza personale, gli studi.
          Il viaggio di Magris è un continuo cimentarsi con la Storia e le storie e il suo lento vagabon-
dare è arricchito da luoghi, incontri, spunti letterari, natura, resoconti, vissuti. Questo infinito è con-
tinua ricerca delle proprie radici, della conoscenza e stretta connessione con la morte, come dimo-
stra la dedica «A Marisa e ai compagni di viaggio che ho amato e che sono già arrivati», destino fi-
nale dell’iter umano, inteso come ritorno definitivo illuminato da una luce spirituale. Per questo
motivo il viaggio è un ottimo antidoto per allontanare il momento estremo: viaggiare per non arriva-
re mai! A soccorrerlo nei momenti di sfiducia, le pagine dei libri amati, che sono citati, in questo
viaggiare, aureolati della stessa grazia misteriosa attribuita all’acqua marina, alla sua trasparenza.
          Come afferma l’autore, questo quaderno appartiene alla “scrittura diurna” (distinzione ripresa
da Ernesto Sabato), quel tipo di scrittura che cerca di capire il mondo, i fenomeni razionalmente,
contrapponendosi alla “scrittura notturna”, che passa attraverso la scoperta di realtà terribili che
“invitano” facilmente a giudicare.
          Viaggiare, vivere, scrivere significano cogliere i fatti attraverso la presa diretta, leggere i se-
gni celati sotto altri, leggerli nel paesaggio; significano separarsi da certezze incrollabili per appro-
dare ad altre, ad una meta sconosciuta, alla conoscenza di noi stessi. Da qui la necessità di rivedere i
luoghi con una nuova consapevolezza e arricchiti di una nuova conoscenza: «per vedere un luogo
occorre rivederlo»11. Anche il viaggiatore di Saramago nella sua scoperta del Portogallo comprende
che il viaggio non finisce mai, «solo i viaggiatori finiscono». È necessario vedere ciò che non si è
visto ma soprattutto vedere nuovamente ciò che si è già visto: «ritornare sui passi già dati, per ripe-
terli, e per tracciarvi a fianco nuovi cammini».
          Il viaggio nel mondo e sulla carta è una sorta di prologo a qualcosa che deve venire, partire,
fermarsi e ritornare indietro, annotare sul taccuino le immagini che si susseguono, modificarle, tra-
scriverle. Pregnante, infatti, è la metafora della letteratura come trasloco: la scrittura al pari del
viaggio è un rimescolare, assemblare e prendere forma sulla carta, divenendo strumento di resisten-
za contro il logorio del tempo. Lo sguardo del viaggiatore che meglio comprende perché fedele a
tutto, coglie con prontezza i frammenti della realtà:

Il viaggio- scrittura è un’archeologia del paesaggio; il viaggiatore – lo scrittore – scende come una archeologo nei vari
strati della realtà, per leggere anche i segni nascosti sotto altri segni, per raccogliere quante più esistenze e storie possi-
bili e salvarle dal fiume del tempo, dall’onda cancellatrice dell’oblio, quasi costruendo una fragile arca di Noè di carta,
sebbene consapevole della sua precarietà12.

11
     Ivi, p. XXI.
12
     Ivi, p. XVII.
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A lettura conclusa, restano impresse nella mente parecchie immagini e sensazioni: e non sa-
prei ripetere l’emozione che suscitano certi tagli di luce o folate di vento. Magris mescola con sa-
pienza le storie private a quelle collettive; abbozza i tratti di misteriose cartografie del destino uma-
no: e le difende; difende quegli oggetti che si emancipano da ogni totalità e da ogni ordine comples-
sivo e si presentano in primo piano nella loro vita disgregata e segreta, difende molti odori (di por-
toni, di scale, di carbone, di polvere), molti colori, che sono «un alfabeto del mondo».

3. Il ritorno e la partenza

          Dopo tanto vagare, il richiamo di casa è forte, occorre tornare a Trieste. Per Magris rappresen-
ta la partenza ma anche il ritorno dei suoi viaggi ed è in primis la città natale riscoperta durante gli
anni universitari a Torino. In Microcosmi è il punto di partenza di un viaggio sentimentale e il punto
d’attracco finale, nell’Infinito viaggiare l’autore percepisce la nostalgia di casa quando sente di tro-
varsi nel posto più a sud del mondo.
          Trieste all’inizio del Novecento era uno straordinario crocevia di lingue e culture diverse:
quella tedesca che apparteneva all’impero asburgico; quella italiana segnata dall’irredentismo; quel-
la slava legata al mondo confinante e contadino; quella ebraica e turca del vicino Oriente. Trieste,
inoltre, era la città la città di Italo Svevo, Scipio Slataper, Umberto Saba, Giani Stuparich, Carlo
Michelstaedter.
          Ma cosa rappresenta la città natale per Magris? È «la porta orientale, il ponte tra est e ovest, il
crocevia cosmopolita, la città di frontiera13» che rivela la sua doppia identità: città del nord rivolta
al mondo tedesco e alla Mitteleuropa, ma anche città del sud, porto a cui approdare, rivolta verso il
mare e la luce14. È una città dalle mille contraddizioni, che ha fatto i conti con il disagio, con la dif-
ficoltà del vivere, con la sua identità, con le ferite del passato: tutto coesiste ed è contiguo. La città
accoglie il figlio, ma lo respinge e per questo motivo non rimane che partire e accontentarsi di tanti
microcosmi. Lo scrittore si sente in “nessun luogo”, sente il continuo mutare del mondo e lo sgreto-
larsi della propria identità. Da qui nasce la necessità di scrivere per cercare di riparare al vuoto pro-
vocato dalla fugacità della vita, di trovare un’unità in questa frammentarietà. Il viaggiatore ha il
compito di ricostruire la totalità: si profila per lui una vera e propria odissea!
          Il viaggio dell’uomo è cambiato durante il corso della Storia. L’Ulisse di Omero non viaggia-
va in senso stretto, in quanto il suo vagabondare era legato all’avverso destino. Nella cultura mo-
derna, la tecnologia ha ridotto le distanze, il mondo può farsi piccolo e soffocante e può crescere il
desiderio di andarsene. Attraverso il viaggio si afferma di appartenere solo a se stessi, l’importante

13
     E. Pellegrini, Epica sull’acqua, cit., p. 163.
14
     Ibidem.
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è il percorso, non la meta. Il viaggiatore, quindi, è un novello Ulisse il cui moto è rettilineo non
centrifugo15, perché il ritorno a casa non è la riconferma degli antichi valori, ma la scoperta della
precarietà umana e dell’evanescenza delle certezze. Viene da pensare anche all’Ulisse16 di Umberto
Saba, il quale sottolinea l’inesauribilità dell’andare: la vita è avventura al largo, è esperienza nella
terra di nessuno. Il viaggio e la ricerca sono una prerogativa del nostro percorso sulla terra.
       L’approdo di Magris, quindi, è una terra lambita dall’acqua, dove, posata la penna, gli sarà fa-
cile immergersi nel flusso delle onde, per chiudere gli occhi e pensare di essere a casa, nella sua
Trieste, il luogo degli affetti più cari, verso cui tutto il suo molteplice peregrinare da sempre con-
verge. Per Ulisse/Magris il viaggio è tuffarsi nel mare della persuasione simbolo della conoscenza,
del presente, del vivere il momento senza sacrificarlo al domani, del grande abbandono e della con-
tinua partenza.

15
   Ivi, p. 164.
16
   U. Saba, Ulisse in Canzoniere. Nella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate. Isolotti/ a fior d’onda emer-
gevano, ove raro/ un uccello sostava intento a prede, / coperti d’alghe, scivolosi, al sole/ belli come smeraldi. Quando
l’alta/ marea e la notte li annullava, vele/ sottovento sbandavano più al largo,/ per sfuggirne l’insidia. Oggi, il mio re-
gno/ è quella terra di nessuno. Il porto/ accende ad altri suoi lumi; me al largo/ sospinge ancora il non domato spirito,/ e
della vita il doloroso amore.
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Bibliografia

                                   Bibliografia essenziale
CLAUDIO MAGRIS, L’infinito viaggiare, Milano, Mondadori, 2005.

CLAUDIO MAGRIS, Microcosmi, Milano, Garzanti, 1998.

                                   Bibliografia critica
CLAUDIO MAGRIS, Vivere significa migrare: ogni identità è una relazione in «Corriere della se-

ra», Milano, 1 ottobre 2009.

CLAUDIO MAGRIS, Vietato rompere nidi e scrivere prefazioni in Viaggio in Portogallo di José

Saramago, Torino, Einaudi, 2008.

CLAUDIO MAGRIS, Fra il Danubio e il mare, Milano, Garzanti, 2001.

ERNESTINA PELLLEGRINI, Epica sull’acqua. L’opera letteraria di Claudio Magris, Bergamo,

Moretti & Vitali, 1997.

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