PALAZZI DI GIUSTIZIA IN CUI DORMIRE: UN RIUSO ATIPICO
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Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ‐ Roma, Università Roma Tre, 21‐22 novembre 2014 PALAZZI DI GIUSTIZIA IN CUI DORMIRE: UN RIUSO ATIPICO Simona Talenti (Università di Salerno, Dipartimento di Ingegneria Civile) La Francia ha un vasto patrimonio giudiziario e penitenziario, risalente essenzialmente al XIX secolo, che è stato da diversi decenni ampliato o sostituito da più moderni tribunali e carceri realizzati dai grandi nomi dell’architettura contemporanea. Il Ministero della Giustizia francese ha avviato così, dall’inizio del nuovo millennio, un’operazione di alienazione dei vecchi immobili. Numerosi palazzi di giustizia sono stati messi in vendita, spesso a prezzi irrisori non essendo facile trovare acquirenti interessati. Anche quando questi manufatti esibivano un certo interesse storico‐artistico, sono stati ugualmente ceduti a investitori privati, previo un accurato studio di fattibilità economica accompagnato da una relazione sui possibili utilizzi. Ciò che colpisce è, però, la destinazione d’uso atipica riservata ad alcuni di questi edifici dismessi. Riflettere su questi casi singolari di riconversione di edifici giudiziari, ma soprattutto sulle procedure adottate dagli enti pubblici francesi per identificare i più opportuni indirizzi di valorizzazione architettonica, potrebbe fornire un contributo utile ai futuri interventi di trasformazione e promuovere una politica patrimoniale più prudente e responsabile. L’esempio più eclatante di riuso inconsueto per questa tipologia architettonica è costituito dal Palazzo di giustizia di Nantes che ospita da circa due anni, con un grande successo mediatico, un hotel di lusso a 4 stelle1. Il vecchio edificio, risalente alla metà dell’Ottocento e dismesso dal 2000 in seguito alla costruzione del nuovo Tribunale sull’Isola di Nantes ad opera di Jean Nouvel, sarebbe stato probabilmente demolito se il Consiglio generale della Loire‐Atlantique non avesse optato nel 2005 per una soluzione di salvaguardia a seguito di una procedura di esplorazione delle potenzialità dell’edificio. A giudicare dagli articoli sulla stampa e sul web, la riconversione ad uso ricettivo‐alberghiero del Palazzo di giustizia non sembra aver suscitato dissenso o perplessità da parte delle categorie professionali né della popolazione locale – probabilmente poco coinvolta anche in fase di programmazione. Resta da capire se l’assenza di disapprovazione sia una dimostrazione che l’opzione programmatica, seppur radicale ed originale, sia veramente riuscita a dar voce alle necessità di trasformazione e modernizzazione della città nel rispetto dell’edificio storico. Non sorprende che la dismissione temporanea – dato che il manufatto è oggetto di un’enfiteusi su 80 anni – abbia probabilmente favorito l’accettazione del riuso atipico, contrariamente a quanto è avvenuto, per esempio, con il progetto di trasformazione in albergo di lusso della prigione St. Anne ad Avignone, dove la collettività ha venduto il bene pubblico suscitando non poche polemiche al riguardo. Ma pare lecito acclarare se la preferenza accordata dal Consiglio generale all’unico progetto che contava unicamente sull’investimento privato non sia stata piuttosto il risultato di una scelta politica di compromesso tra salvaguardia e cronica carenza di finanziamenti pubblici. Il Palazzo di giustizia di Nantes è stato inaugurato nel 18512, all’interno di una più vasta area destinata alla giustizia e alla reclusione. Nel 2004, dopo diversi anni di inattività, il vecchio tribunale è stato ceduto al Consiglio generale della Loire‐Atlantique, che un anno più tardi ha deciso di conservare l’edificio – nonostante non fosse stato vincolato dalla Soprintendenza – per il suo carattere prestigioso, la sua funzionalità e la sua felice posizione urbana3. L’obiettivo principale era quello di trovare una destinazione d’uso che gli permettesse di “risplendere al di là dell’agglomerazione e della Loire‐Atlantique, a livello nazionale ed europeo”4. La costruzione di un nuovo centro penitenziario ha portato alla dismissione anche degli altri due immobili pubblici adiacenti: la caserma Lafayette (1862) è stata venduta ed è oggetto di un progetto di trasformazione mista in alloggi, uffici e negozi, mentre la prigione (1869), acquistata da una
Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ‐ Roma, Università Roma Tre, 21‐22 novembre 2014 Società a partecipazione statale ed in attesa di conoscere il suo futuro, accoglie attualmente convivi e serate trendy. Al fine di proporre un riuso adeguato e convincente del Palazzo di giustizia, il Consiglio generale ha ritenuto utile disporre di alcune “proposte realistiche e diversificate” 5 tra cui poter compiere la scelta. Tale procedura si è ispirata al metodo utilizzato dal Ministero della Difesa fin dal 1987 quando è stata istituita la MRAI (Mission pour la Reìalisation des Actifs Immobiliers) con il compito di effettuare studi per la riconversione dei numerosi beni militari alienati in seguito alla sospensione della leva obbligatoria. La MRAI agisce nell’interesse degli enti pubblici affidando, nei casi più difficili, ad un gruppo di studio interdisciplinare, l’incarico di prospettare uno o più scenari di riuso. E così il presidente del Consiglio generale, avvalendosi dell’esperienza maturata dalla MRAI, ha selezionato in seguito ad un bando di gara reso noto nel settembre 2005, tre equipe pluridisciplinari (su nove progetti presentati) che proponevano diverse ipotesi di riconversione: un riuso ricettivo‐alberghiero con complemento culturale; una valorizzazione economica e turistica del patrimonio; una riconversione essenzialmente culturale e sociale6. La scelta è stata poi condotta in base alla diversità e complementarietà delle proposte avanzate, nonché alla luce dell’esperienza dei diversi gruppi di studio. Tale procedura – denominata “marchés de définition”7 – oltre a permettere di visualizzare più concretamente le prospettive di riuso, presenta numerosi vantaggi, favorendo per esempio il dialogo e lo scambio tra l’equipe e i diversi interlocutori tra cui professionisti, associazioni, abitanti, nonché i futuri investitori. Due successive fasi di lavoro sono state proposte alle equipe selezionate. I primi tre mesi sarebbero serviti a confermare o rettificare la prima proposta di riuso, confrontandosi con le collettività locali e procedendo a studi di mercato. La seconda fase avrebbe invece permesso di approfondire la proposta di riconversione e la fattibilità economica, elaborando e redigendo le linee guida programmatiche del nuovo bando di gara. Dopo la disamina dei dossier presentati, la commissione dell’Ente pubblico ha motivato la preferenza per l’equipe coordinata da BDO MG Tourisme & Hotels, sostenendo che “presentando un carattere strutturante per l’agglomerazione e il dipartimento” il progetto di un hotel internazionale “trova(va) un equilibrio economico, valorizzando nel contempo il patrimonio del Consiglio generale”8. Le motivazioni che avrebbero dovuto avvalorare e rendere plausibile una destinazione d’uso così atipica e foriera di significative conseguenze, appaiono però generiche ed essenzialmente legate alla fattibilità economica del progetto resa possibile dai soli investimenti privati. E’ vero, d’altra parte, che tale proposta rispondeva forse più chiaramente a quell’aspettativa di internazionalizzazione evocata fin dalle prime battute. Le soluzioni alternative, che ventilavano quell’apertura verso la città richiesta dal Consiglio generale, erano però basate su un maggior coinvolgimento economico delle collettività locali. Dopo aver quindi identificato il nuovo programma funzionale, il Consiglio generale ha proceduto ad un secondo avviso di gara al fine di identificare una equipe composta da un investitore e da un imprenditore nel campo alberghiero. Nel gennaio 2007 cinque proposte erano state avanzate, tra cui il gruppo vincitore Redizor, del quale facevano parte anche uno studio di architettura (DTACC) e un architetto d’interni (Philippe Nuel). Gli investitori, che hanno inaugurato nel novembre 2012 l’hotel appartenente alla catena Radisson Blu, hanno sostenuto l’intera spesa della trasformazione dell’edificio. Diverse caratteristiche proprie della tipologia giudiziaria francese erano presenti in questo palazzo9: la pianta strutturata secondo una griglia regolare e lungo un asse di simmetria distributivo e simbolico; la separazione tra lo spazio della giustizia e quello della città, sostanziata attraverso la grande scalinata d’accesso, un maestoso arco di trionfo e un basamento pesante e con scarse aperture; l’introversione
Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ‐ Roma, Università Roma Tre, 21‐22 novembre 2014 dell’edificio manifestata tramite il suo linguaggio grave e solenne; il suo carattere “parlante” e intimidatorio; i riferimenti formali e simbolici della “Sala dei passi perduti” così come gli stilemi classici della basilica romana reinterpretata da Vitruvio e da Palladio10. Le scelte progettuali dell’architetto Cholet (dello studio parigino DTACC) miravano a desacralizzare il fabbricato dal carattere simbolico ed austero troppo manifesto, aprendolo alla città e alla luce. Ma è proprio tale ricerca di apertura e trasparenza verso lo spazio urbano a suscitare alcune perplessità in quanto viene a stravolgere proprio quell’introversione che caratterizza gli edifici giudiziari – nonostante l’obiettivo dichiarato dall’amministrazione pubblica e dai progettisti fosse quella di salvaguardare l’identità del manufatto11. La grande scalinata di accesso al palazzo è stata alterata nella sua essenza: una “faglia” centrale, ricoperta da una vetrata, permette ora di accedere al piano terra dell’hotel e di salire al piano superiore – dove si trovava originariamente la grande “Sala dei passi perduti” – attraverso una scala interna che mette quindi in comunicazione diretta e visiva l’interno del palazzo e la grande piazza antistante. La volta a botte a cassettoni, situata sopra il colonnato d’accesso, è stata svuotata, sostituendo il muro in pietra da taglio con una grande vetrata. Le cancellate che delimitavano l’edificio sono state interamente soppresse. L’apertura di grandi finestre, inoltre, viene a creare una condizione di trasparenza tra il piano terra – un tempo celato dietro ad un pesante basamento – e la vita cittadina. Non è quindi solo la luce ad entrare ora in maniera sempre più violenta nel palazzo ma anche lo sguardo, che viene in tal modo a negare quel principio indiscutibile di compattezza e di chiusura che aveva sempre contraddistinto gli edifici giudiziari, ma che è stato volontariamente tradito, come si evince dalla lettura della domanda del permesso di costruire: “questa sala storica (la “Sala dei passi perduti”) sarà ampiamente aperta sulla facciata e quindi sulla città. Questo trasformerà radicalmente l’effetto di chiusura dell’edificio apportando una grande modernità a questo luogo” 12 . Anche alla tradizionale trama a scacchiera dell’impianto planimetrico non sembra essere stato tributato un grande interesse. Ma ad un occhio profano il Palazzo di giustizia di Nantes ha mantenuto le tracce della sua storia: il grande colonnato, la statua della giustizia, la targa “Palais de justice” sulla facciata principale ecc. Poco importa se in quella sala delle udienze ora si banchetta e se nell’ufficio del presidente della corte si trovano bottiglie di vino pregiato. L’architetto che si è occupato degli interni, Philippe Nuel, sostiene che queste operazioni volevano essere “un trucco, un ammiccamento per desacralizzare il luogo”13. A fronte di una apprezzabile opzione progettuale da parte dello studio DTACC di mantenere molti elementi architettonici e anche costruttivi dell’antico edificio – compresi per esempio molti pavimenti in legno14 – fa quindi da contraltare una lettura incompleta del manufatto architettonico la cui valenza simbolica è stata trascurata fin dagli inizi della procedura. Il gioco di contrasti realizzati da Nuel sembra invece più felice e coerente con una logica di intervento sul patrimonio storico. I colori sgargianti, lo stile moderno, le linee curve degli arredi ribadiscono la diversità del nuovo rispetto ai toni chiari, alle linee geometriche e al linguaggio classicista del palazzo, con l’ambizione di stabilire un fruttuoso dialogo. E’ auspicabile che la “Sala dei passi perduti”, nella quale è stato allestito un bar aperto anche ai cittadini di Nantes, riesca nondimeno a ritrovare quel suo significato di luogo d’incontro e di scambio che ha avuto nella storia pre‐ rivoluzionaria, quando nei palazzi di giustizia questo grande atrio veniva ancora chiamato “Galerie marchande”. D’altra parte va riconosciuta l’indubbia difficoltà di riconvertire volumi e linguaggi architettonici particolarmente simbolici, come quelli di tribunali, prigioni, caserme ecc. Non è un caso che l’operazione di trasformazione avvenuta a Nantes costituisca il primo caso europeo di riuso di un palazzo di giustizia per scopi ricettivi. Più ancora delle prigioni (anch’esse recentemente trasformate sempre più spesso in luoghi legati alla ricettività alberghiera) o degli ospedali (la cui architettura si adatta meglio a questo genere di
Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ‐ Roma, Università Roma Tre, 21‐22 novembre 2014 destinazione d’uso come lo dimostrano i progetti per l’Hôtel Dieu di Marsiglia o di Lione), i palazzi di giustizia presentano una carica espressiva ed un registro simbolico particolarmente espliciti nonché delle caratteristiche architettoniche difficili da adattare ad altre funzioni se non stravolgendole o cancellandone completamente le tracce. Ciò non toglie che il “marché de définition”, portato avanti con rigore dal Consiglio generale, costituisca un valido esempio di procedura preliminare al riuso. 1 Si ringraziano l’ufficio stampa del Conseil général de Loire‐Atlantique, quello della studio di architettura DTACC e la Direction Régionale des Affaires Culturelles des Pays de Loire, per la documentazione fornita. 2 Sulla storia dell’edificio cfr. G. Bienvenu, “Le palais de justice de Nantes”, in Association Française pour l’Histoire de la Justice (dir.), La Justice en ses temples, Poitiers, Brissaud, 1992, pp. 185‐216 3 Cfr. Conseil général de Loire‐Atlantique, Dossier de presse, 2010, p. 3. 4 Ibidem. 5 Ibidem. 6 Ivi, p. 4. 7 Sui tre diversi scenari e sul “marché de définition” cfr. Conseil général de Loire‐Atlantique, Ancien Palais de Justice de Nantes: trois scénarios présentés au Conseil général, 25 janvier 2006. 8 Avviso pronunciato dalla commissione nel settembre 2006. 9 Oltre alla già citata pubblicazione La Justice en ses temples, si rinvia al numero monografico di Monuments Historiques, n° 200, gen.‐feb. 1996, nonché alle diverse pubblicazioni sui palazzi di giustizia francesi, tra cui Y. Ozanam, H. Robert, W. Szambien, S. Talenti (dir.), Le Palais de Justice, Paris, A.A.V.P., 2002. 10 G. Bienvenu, art. cit. 11 Cfr. F. Proux, “Restructuration : un hôtel de luxe dans un ancien palais de justice”, Le Moniteur des Travaux Publics et du Bâtiment, 7 dic. 2012, n. 5689, pp. 40‐43. Cfr. anche L. Blaisse, “Révolution de palais à Nantes”, Architecture intérieure‐Créé, n° 360, 2013, pp. 64‐67. 12 Dossier Permis de construire, documento n° PC4, p. 5, gentilmente comunicatoci dagli uffici della Direction Régionale des Affaires Culturelles. 13 Cfr. “Le luxe remplace la justice à Nantes”, 7.12.2012 pubblicato su actu‐architecture.com. 14 Cfr. F. Proux, art. cit. Fig. 1‐ Il Palazzo di giustizia, la prigione e la caserma di Nantes in una vecchia cartolina.
Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ‐ Roma, Università Roma Tre, 21‐22 novembre 2014 Fig. 2‐ Il Palazzo di giustizia di Nantes prima del riuso. Fig 3‐ Progetto del nuovo prospetto del palazzo, trasformato in Hotel Radisson Blu.
Cultural Heritage. Present Challenges and Future Perspectives ‐ Roma, Università Roma Tre, 21‐22 novembre 2014 Fig. 4‐ Rendering del progetto di trasformazione elaborato dal gruppo Redizor.
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