Osservatorio sulla Gdo alimentare italiana e i maggiori operatori stranieri - Marzo 2021
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Osservatorio sulla Gdo alimentare italiana e i maggiori operatori stranieri Marzo 2021
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Indice 1 Sintesi……………..………………….……………………………………………………………………………….……….……….... 4 2 Evoluzione della Gdo alimentare in Italia: passato recente e prossimo futuro……..………………………….……...…. 12 3 Le società italiane esaminate………………………………………...………………………………………………………..…… 19 4 Le società estere esaminate…….……………………………………………………………………………………………..…… 22 5 I dati aggregati dei maggiori operatori italiani (2015-2019)………………………………………………………….……… 28 6 Alcuni dati di dettaglio sui singoli operatori………………………………………………………………………..……………. 34 7 Contributi e servizi promozionali ai fornitori……………………………………………………...………………………………. 40 8 Prodotti a marchio del distributore (MDD - Private Label)…………………………………………………………………….. 40 9 Gli aggregati Coop e Conad………….……………………………………………………………………………………………. 42 10 Uno sguardo sui maggiori operatori delle unioni volontarie e consorzi……………………………………………………. 47 11 I multipli del settore retail grocery in Europa Occidentale…………………………………………………………………… 49 12 Cenni ai drugstore italiani (2015-2019)……………………………………………………………………………………………. 50 13 I maggiori operatori stranieri (2015-2019)………………………………………………………………………………………... 52 14 La sostenibilità nella Gdo italiana e internazionale……………………………………………………………………………. 61 Appendice - Tabelle analitiche……………………………………………………………………………………………………. 68 3
1 Sintesi La Gdo italiana resta connotata da alcuni limiti strutturali il cui superamento potrebbe essere accelerato dalla crisi sanitaria iniziata nel 2020. Si tratta di deficienze note. Il mercato italiano del grocery presenta prospettive di crescita più modeste rispetto ai principali Paesi europei. Le previsioni formulate prima della pandemia indicavano fino al 2023 un’espansione media annua dei ricavi dell’1,7% per l’Italia rispetto a valori ampiamente superiori al 2% per i maggiori mercati stranieri, con punte del 2,8% per il Regno Unito e del 2,9% per la Germania. Anche la quota di vendite on-line, prima dell’accelerazione impressa dalla crisi sanitaria, vedeva l’Italia giungere al 2023 con una quota del 3%, lontana da alcuni Paesi leader quali il Regno Unito (7,9%) e la Francia (6%). Il mercato italiano abbina alla propria modesta dinamica un livello di frammentazione che resta elevato rispetto ai peer europei. Sotto questo profilo, alcuni episodi recenti lasciano supporre che il tema del consolidamento sia in una qualche misura passato da opzione teorica a declinazione pratica. Ne è sintomo l’acquisizione promossa da Conad nei confronti delle attività italiane del gruppo Auchan la cui rete di negozi non oggetto d’interesse dell’acquirente ha formato occasione di ampliamento per altri operatori italiani. Ma non solo: alcune imprese appartenenti alla Distribuzione Organizzata hanno sfruttato la propria struttura duttile per promuove significativi ampliamenti della propria base associativa (ad esempio, Selex e VéGé). La stessa iniziativa di Conad ha mostrato come i gruppi cooperativi (o associativi) siano in grado di mobilitare non solo ingenti grandezze commerciali, ma anche di organizzare risorse finanziarie importanti, nonostante la propria base proprietaria frammentata e variegata. In effetti, la quota di mercato dei primi cinque retailer italiani si è portata dal 51,3% del 2017 al 57,5% del 2020, un balzo importante che consente al nostro sistema della Gdo di superare la Spagna (50% circa), pur lasciandolo ancora distante dai livelli di Francia (78,1%), Gran Bretagna (75,3%) e Germania (75,2%). D’altra parte, al disotto dei grandi player a insegna nota, operano realtà di media dimensione a radicamento geografico circoscritto spesso protagoniste di crescite e performance economiche di grande rilevanza che potrebbero a loro volta essere veicolo di processi aggregativi (sia come attori che come target). La scala ancora ridotta degli operatori italiani e la scarsa dinamica del mercato domestico sottopongono i nostri retailer a una forte pressione competitiva, sia orizzontale (vs altri retailer) sia verticale (vs la catena di fornitura). Ciò concorre a rendere difficoltoso il trasferimento al consumatore degli aumenti dei listini che si manifestano lungo la filiera. Si tratta di un aspetto che non può essere dissimulato dalla bolla che la Gdo ha vissuto durante la pandemia (anche con aumento dei prezzi nella prima fase del lockdown) e che è destinato a riemergere in un contesto di auspicata nuova normalità che porta con sé un’ampia incertezza circa l’evoluzione del potere di acquisto dei consumatori. L’afflusso straordinario di clientela della prima metà del 2020 ha da un lato esonerato le imprese dall’agire con la consueta intensità sulla leva promozionale (da cui una temporanea 4
crescita dei prezzi), dall’altro le ha richiamate a gestire al meglio l’assortimento e la continuità dell’offerta e la fruizione dei negozi in condizioni di sicurezza. Nel momento della stesura di queste righe, gli impatti nel 2020 sui margini degli operatori della Gdo non sono noti. Le più recenti indicazioni sui consuntivi del 2020 indicano una crescita delle vendite della Distribuzione Moderna del 5% (a rete costante, compreso l’e-commerce). Qualche elemento in più è ricavabile dai conti preliminari del 2020 rilasciati dai maggiori operatori internazionali quotati. Essi indicano una crescita del fatturato dell’8,3% e del margine industriale (Ebit) del 17,1%. Il risultato netto segnerebbe addirittura un progresso del 42,4%, nonostante l’aggravio di alcuni costi di esercizio. Si tratta di tendenze che, salvo scenari nuovamente catastrofici, sono destinate a essere riassorbite, come già era avvenuto nella seconda parte dell’anno, prima della risalita autunnale dei contagi. Le attese per il 2021 indicano una decrescita della Distribuzione Moderna dell’1,6%. Il riaffacciarsi quindi di una limitata possibilità di recuperare l’adeguamento dei listini attraverso i prezzi di vendita porta all’inevitabile conseguenza di mettere sotto pressione i margini della Gdo italiana. I dati del quinquennio precedente la crisi sanitaria (2015-2019) appaiono in questo senso univoci e interessano tutte le principali tipologie di operatori che pure si differenziano ampiamente quanto a consistenza della marginalità. In aggregato, il Roi della Gdo italiana è calato monotonicamente dal 5,9% del 2015 al 4,9% del 2019. L’ebit margin si è portato dal 2,5% del 2015 al 2,1% del 2019. La ricerca di maggiore efficienza appare quindi una sfida ineludibile per i player italiani. Essa può certamente essere perseguita anche attraverso un’opportuna differenziazione dell’offerta, in termini soprattutto di servizi praticati al cliente così da trasmettergli la percezione di potersi appropriare di un maggiore valore attraverso l’esperienza di acquisto. L’affinamento della capacità di appagare gli aspetti emozionali o esperienziali dell’acquisto è una via inevitabile in un’ottica di differenziazione. Ma un driver primario resta quello del prezzo, o meglio del rapporto qualità-prezzo (value for money). In questo senso, un’adeguata dimensione, con le relative efficienze e opzioni strategiche che essa apre, appare un obiettivo desiderabile per gli operatori italiani. La rinormalizzazione dei volumi d’acquisto e delle sue tendenze più strutturali non è tuttavia destinata a manifestarsi in costanza delle condizioni prepandemiche. Diversi fattori risulteranno, in misura più o meno accentuata, accelerati nella loro dinamica o accresciuti nel proprio livello di criticità. 1. Ricorso alla multicanalità, con prosecuzione della crescita degli acquisti on-line sia attraverso l’home delivery che click and collect, modalità quest’ultima che ha vissuto un’esplosione nella fase emergenziale. La soglia del 3% di e-commerce nel food e nel grocery per l’Italia, che le stime prepandemiche collocavano almeno al 2023, potrebbe essere approssimata già nel 2021. Molto dipenderà dal tenore dell’esperienza che hanno vissuto i consumatori indotti dalla pandemia alla sperimentazione dell’on-line e quindi dalla loro disponibilità a farne uno strumento ordinario di shopping. L’e-commerce 5
non è destinato a decretare il tramonto del negozio fisico, ma piuttosto un suo ripensamento nel quale dare enfasi ai prodotti che maggiormente possono introdurre un elemento di piacere e appagamento nel fare la spesa (to shop=to enjoy). Il riferimento è al fresco o al freschissimo, a quegli articoli non standard (e.g. il vino), nei quali ha rilievo la valutazione personale e magari la consulenza di un addetto, e in generale a tutte le referenze rubricabili al di fuori dei c.d. low-engagement products. 2. Profittabilità dell’e-commerce. Il mercato tratta questo segmento alla guisa di una start up, con multipli EV/Ebitda che nel 2020 sono cresciuti da 27,3x a 52,3x sulle borse europee occidentali. I mercati dunque sembrano scontare e anticipare grandi prospettive. Ma la redditività corrente resta ampiamente deficitaria. Il differenziale tra Roi e Wacc è negativo per circa il 10% nel biennio 2019-2020. Alcune stime indicano che a fronte di un ebit margin attorno al 3% per gli store fisici, l’e-commerce segna valori negativi anche superiori al 10%, sia che sia svolto in house che appaltato a un soggetto terzo. Stante l’inopportunità di non essere presenti sul canale digitale, pena la perdita di una quota di mercato, è presumibile che una buona parte dei retailer non nativi digitali stia sussidiando con i margini del canale fisico le perdite del canale on-line. 3. Impatto tecnologico, con riguardo in particolare a tutte le soluzioni che possono aumentare il livello del controllo dell’esperienza della spesa (veloce individuazione del prodotto cercato o desiderato, sua rispondenza a certe caratteristiche organolettiche o alla propria dieta o stile di vita, offerte dedicate e personalizzate) e aiutare nel risparmio di tempo (check out automatico, pianificazione di un percorso ottimizzato e veloce), con riduzione dei tempi morti e organizzazione della spesa senza frizioni (frictionless). La coda alla cassa, ad esempio, rappresenta un tipico fenomeno di peak-end in grado di caratterizzare in negativo, nella sua fase finale, l’esperienza di acquisto all’interno del negozio. Nel più lungo periodo resta sullo sfondo l’impatto che le soluzioni tecnologiche possono portare in termini di organizzazione della forza lavoro. La sola componente del personale alla cassa è stimata valere il 20% del totale e si valuta che fino al 50% di esso possa risultate in esubero nei prossimi anni. 4. Ulteriore scadimento delle performance delle grandi superfici. Dal 2010 le vendite per metro quadro degli Iper sono calate di oltre il 18%, da circa 7.100 a 5.800 euro. La permanente ritrosia alla frequentazione di luoghi dispersivi, sovente a collocazione periferica, non può che agire come ulteriore fattore penalizzante per il canale. D’altra parte, le grandi superfici potrebbero essere associate a minore affollamento o a maggiori opportunità di mantenere il distanziamento, ammesso che esso rimanga un’esigenza anche nel futuro. La preferenza per i superstore di prossimità appare destinata a permanere, così come quella dei Discount che sempre maggiormente riescono a conciliare la tradizionale immagine di economicità a quella di qualità e assortimento, ovvero a combinare la razionalità della scelta (prezzo) con il suo aspetto emozionale (esperienza). 6
5. Ricomposizione del carrello della spesa, ad esempio a favore del confezionato rispetto al peso variabile associato minore igienicità, ma soprattutto a vantaggio di provenienza (italiana o addirittura locale), tracciabilità del prodotto, prossimità (km 0), sue proprietà funzionali e composizione rispettosa dei principi salutistici. Talune tipologie merceologiche (bio, free from, rich in, alimentazione funzionale e nutraceutica, filiera corta e tracciabile) potrebbero invertire le caratteristiche della propria presenza nei negozi che le ha portate dalla iniziale esposizione in corner alla rifusione nello scaffale, per tornare a essere esposte in spazi dedicati (shop-in-shop). In questo ambito, le caratteristiche delle marche del distributore appaiono congrue a soddisfare tali esigenze, tanto più che la loro diffusione in Italia segna una significativa distanza con i peer europei (22,3% l’Italia vs 46,8% del Regno Unito e 43,1% della Germania). Vi è poi da rimodulare l’offerta della gastronomia e del ready to eat, adatti a soddisfare le esigenze di quanti non dispongono di tempo per la cucina, il cui consumo è stato depotenziato dalla permanenza a casa e dall’home working, ma che potrebbe essere rivitalizzato dalle esigenze di quanti lavorando preferiscono consumare il pasto sul luogo di lavoro. 6. Strategicità della promozione versus politiche LPED (low price every day). Nel 2020 le iniziative promozionali hanno vissuto un anno in cui sono state calibrate in ottica congiunturale, con forte riduzione nei mesi di accesso massivo della clientela e utilizzo nei mesi di rinormalizzazione della domanda. Il trend di più lungo periodo appare tuttavia calante, dal 31,5% del 2014 al 26,4% del 2020. E’ cruciale in questo senso l’osservazione dell’evoluzione del potere d’acquisto dei consumatori nella normalità post pandemica. Quanto alle caratteristiche strutturali del campione di imprese qui considerate, esse sono riassunte a seguire. 1. I dati strutturali indicano nel 2019 un fatturato aggregato dei maggiori operatori della Gdo italiana, rappresentativi di circa il 93% del mercato della Gdo nazionale a prevalenza alimentare, pari a 82,2 miliardi di euro (al netto di Iva), con un incremento del 3,4% sul 2018 a perimetro effettivo (2,1% l’anno precedente). Il tasso di crescita medio annuo (cagr) 2015-2019 è del 3,3%. La Distribuzione Organizzata, che comprende forme consortili e di unione volontaria al netto delle cooperative di Legacoop, ha realizzato nel 2019 vendite per 30,9 miliardi, pari al 37,6% del totale; la Grande Distribuzione, relativa a gruppi societari gerarchici (esclusa Margherita Distribuzione), si è assestata a 17,3 miliardi che valgono il 21% del totale; Coop e Conad, che aderiscono alla Lega delle Cooperative, cubano 20,2 miliardi, ovvero il 24,6% dell’industry; infine il canale discount, con vendite pari a 13,8 miliardi (esclusa Penny Market), rappresenta il residuo 16,8% del mercato. Gli operatori italiani a controllo straniero hanno realizzato vendite per 11,5 miliardi, pari al 14% dell’aggregato. Il fatturato di Conad qui considerato è prevalentemente relativo al solo sell-in e pari al 65% delle vendite dichiarate al dettaglio. 7
2. L’incremento delle vendite dell’aggregato generale non è andato di pari passo con quello dei margini. Il Mon nel 2019 ha ripiegato del 3,6%, il risultato corrente dell’1,1%. Il contributo delle poste non ricorrenti ha consentito al risultato netto di muoversi in controtendenza, crescendo nel 2019 del 5,8%. L’aspetto più caratteristico emerge tuttavia dall’analisi dell’evoluzione dei margini dal 2015 al 2019: l’ebit margin passa dal 2,5% del 2015 al 2,1% del 2019. Il Roi (rendimento del capitale investito) appare anch’esso regolarmente calante dal 5,9% del 2015 al 4,9% del 2019, ad esito delle osservazioni prima esposte circa l’inasprirsi del contesto competitivo e della difficoltà di praticare prezzi al dettaglio che incorporino l’inflazione che si sviluppa lungo la filiera di fornitura a monte del retailer. La redditività netta (Roe) è anch’essa cedevole e passa da livelli sempre superiori al 6% nel triennio 2015-2017 al 5% del 2019 che replica il valore del 2018. 3. La disaggregazione dei dati mostra dinamiche differenti. Le catene di discount hanno realizzato tra il 2015 e il 2019 la maggiore crescita media annua delle vendite, pari al 7,9%. La Distribuzione Organizzata ha segnato una buona dinamica con vendite in crescita del 4,1% medio annuo dal 2015. Il mondo cooperativo che fa capo alla Lega delle Cooperative (Legacoop) annovera due tra i maggiori operatori del settore: Conad ha realizzato dal 2015 una crescita media annua del 3,7% (+6,2% nel 2019), mentre le Coop hanno segnato nel periodo un incremento medio del giro d’affari dello 0,4% (-0,7% nel solo 2019 in termini omogenei). E’ infine stabile il fatturato della Grande Distribuzione in lieve crescita dello 0,7% medio annuo dal 2015 (+0,5% nel 2019). L’incidenza dei prodotti a marchio proprio (private label) nel settore della Gdo in Italia si attesta al 22,3%. Permane elevata l’incidenza dei contributi e servizi promozionali ai fornitori con una media indicativa del 7% del fatturato. 4. Scendendo nel dettaglio dei singoli operatori, i maggiori incrementi delle vendite nel 2019 hanno interessato le catene discount Lillo-MD (+10,4%) e Lidl Italia (+9,1%) cui seguono Agorà (+7,2%) e VéGé (+6,9%). Considerando la crescita media annua dal 2015, il quadro vede primeggiare Lidl Italia (+8,7%) davanti a Eurospin (+7,6%) e Agorà (7,6%). 5. L’ebit margin più consistente del 2019 è realizzato da Eurospin (6%), seguito da Supermarkets Italiani (5,2%), Agorà (4,3%) e dalla coppia di Discount Lidl e Lillo-MD (4,1%). 6. Circa la redditività dei principali raggruppamenti, i dati appaiono molto diversificati. Il rendimento del capitale investito (Roi) vede primeggiare nel 2019 i discount (16,6%) che precedono la Distribuzione Organizzata (7,8%) e la Grande Distribuzione (4%). All’interno del mondo cooperativo, Conad si attesta al 5,4%, le Coop allo 0,7%. Con riferimento ai singoli operatori, sempre in base al rendimento del capitale investito (Roi) del 2019, il gruppo più redditizio è Eurospin (20,2%) che precede Lillo-MD (16,5%) e Lidl (12,9%) appaiato ad Agorà (12,9%) davanti a Crai (11,9%). Le differenti performance dei gruppi dipendono da una molteplicità di fattori (ubicazione, tipologia e assortimento 8
dell’offerta, riconoscibilità del brand e sua fidelizzazione, ecc.) tra i quali figura anche la presenza più o meno intensa nelle grandi superfici (Iper) che rappresentano il format maggiormente sofferente. 7. All’interno dei consorzi e delle unioni volontarie della Distribuzione organizzata operano una ventina di aziende con dimensione nel 2019 superiore ai 500 milioni di euro. La maggiore è Finbre (Maxi Di) con fatturato pari a 2,1 miliardi, medesima dimensione del Gruppo Unicomm (marchi Unicomm, Arca e Grandi Magazzini Fioroni). Alcuni player di questo insieme hanno profili di redditività (Roi) molto positivi: Verofin (Tigross) con il 18,2%, Gruppo Arena al 18%, SC Evolution (Iperal) al 15,8%, Supermercati Tosano Cerea al 15,3%, Cannillo (Maiora) al 15,2% e Mega Holding (Megamark) al 15,1%. In aggregato, i venti operatori esaminati esprimono un Roi medio del 7,9% e un debt equity ratio del 42,3%. Nel 2019 hanno visto il proprio fatturato crescere del 5,9%. Essi si posizionerebbero quindi alle spalle dei Discount. 8. Supermarkets Italiani detiene il primato quanto a utili netti cumulati nel periodo 2015- 2019: con 1.340 milioni essa precede Eurospin con 1.016 milioni, Conad con 879 milioni e VéGé con 839 milioni che sopravanza Selex con 738 milioni. Se si rapportano gli utili cumulati nel periodo alla consistenza dei mezzi propri iniziali, i discount non hanno concorrenti: il gruppo Lillo-MD ha accumulato utili pari a 3,4 volte il patrimonio netto iniziale, Lidl ed Eurospin, rispettivamente, a 1,8 e 1,4 volte. Tutti gli altri operatori hanno multipli inferiori all’unità: il primo di essi è Crai (0,9 volte). 9. Prosegue l’erosione del prestito sociale all’interno del Gruppo Coop (-5% rispetto al 2018) che passa da 8,4 a 8 miliardi di euro. La diminuzione appare graduale a far data dal 2014 quando esso valeva 11,1 miliardi. Il prestito soci fronteggia un portafoglio finanziario pari a 9,8 miliardi, composto da 5,5 miliardi di titoli e 2,5 miliardi di partecipazioni, di cui 2 miliardi in Unipol Gruppo. Nel quinquennio 2015-2019 l’aggregato Coop ha espresso margini industriali (Mon) cumulati negativi per 832 milioni, proventi finanziari netti positivi per 1.233 milioni, svalutazioni per 845 milioni e poste straordinarie con saldo positivo per 374 milioni. Dedotte le imposte pari a 182 milioni, l’aggregato Coop ha consuntivato una perdita netta cumulata pari a 252 milioni. L’aggregato Conad ha conseguito margini industriali cumulati positivi per 943 milioni e un risultato netto per 879 milioni. Nel 2020 si stima che il Gruppo Coop abbia rappresentato una quota di mercato del 12,9% (era il 15,3% nel 2011). Attualmente le quote di mercato collocherebbe le Coop quale terzo operatore nazionale, alle spalle di Conad (14,8%) e di Selex (13,7%). In generale, alcune tra le maggiori cooperative di consumatori europee hanno realizzato una crescita cumulata del fatturato tra il 2015 e il 2019 pari al 7,9%, circa tre volte meno di quanto realizzato da un panel di cooperative di dettaglianti (+24,4%). 10. Tra i vari elementi che hanno acuito il tenore competitivo del grocery vi è anche la presenza degli specializzati in beni per la persona e la casa, i c.d. Drugstore. I principali sono oltre trenta in Italia, per un fatturato aggregato che ammonta a circa 3,6 miliardi 9
nel 2019, con quasi 13mila addetti. Continua la robusta crescita del fatturato nel 2019 (+5,1%), ma appare calante e si è dimezzata dal +10,3% segnato nel 2016. L’ebit margin, superiore al 5% tra il 2016 e 2018, si è fissato al 4,6% nel 2019. Anche il Roi, pur sostenuto nel 2019 (12,3%), è inferiore al 15,1% del 2015. Il contesto è destinato ad affollarsi ulteriormente dopo che nel 2017 ha fatto ingresso in Italia il colosso tedesco dm-drogerie markt, forte di un fatturato di gruppo pari a circa 11 miliardi di euro e 3700 punti vendita che dalla Germania si sono espansi in Austria e poi in tutta l’Europa dell’Est fino alla Romania e a sud fino alla Macedonia. L’Italia, ove il gruppo conta attualmente una cinquantina di punti vendita, è il secondo maggior mercato europeo in cui dm è presente, dopo la Germania. L’aggregato di ventisette tra i principali gruppi internazionali ha chiuso il 2019 con ricavi pari a 1.593 miliardi di euro, in crescita dell’1,8% sul 2018. Con riferimento a questo aggregato, che esclude gli specializzati in cash & carry e gli operatori nativi digitali (e.g. Amazon), si segnala quanto segue. 1. Il gruppo WalMart è di gran lunga il maggiore con un fatturato 2019 pari a 462,8 miliardi di euro, di poco superiore al Pil dell’Austria, davanti alla connazionale Kroger (108,9 miliardi), alla britannica Tesco (76,1 miliardi), alla francese Carrefour (72,4 miliardi), alla statunitense Target (68,7 miliardi) e all’olandese Ahold Delhaize (66,3 miliardi). 2. Mediamente circa il 20% delle vendite dei grandi operatori è realizzato in punti vendita esteri. L’olandese Ahold Delhaize ha la maggiore proiezione internazionale, fatturando all’estero il 77,6% delle vendite, seguita dalla portoghese Jeronimo Martins (73,3%), presente soprattutto sul mercato polacco, e da tre gruppi francesi: Auchan (62%), Carrefour (52%) e Casino (47,2%). A parte WalMart (23,1% all’estero), le altre catene statunitensi (Kroger, Target, Albertsons, Publix Super Markets e Dollar General) operano solo sul mercato domestico, così come la tedesca Edeka, le britanniche J Sainsbury e Wm Morrison, la canadese Loblaw, la russa X5 Retail e l’australiana Coles. Tutti i grandi della Gdo italiana hanno una dimensione esclusivamente nazionale. 3. Il Roi del 2019 dei gruppi esteri si è attestato al 9%, su livelli quindi doppi rispetto a quelli segnati dall’aggregato italiano. Le australiane Coles (31,3%) e Woolworths (19,8%) sono i gruppi stranieri che hanno fatto segnare nel 2019 il Roi più elevato, seguite dalla statunitense Target (18%). Raggruppando in una sola classifica per Roi i gruppi domestici e quelli internazionali, Eurospin si collocherebbe in seconda posizione assoluta (20,2%) seguita in quinta posizione da Lillo-MD (16,5%) e da Lidl Italia in decima (12,9%). 4. La struttura finanziaria, appare meno equilibrata di quella italiana, con un rapporto tra debiti finanziari e mezzi propri pari al 130,7%, in marcato peggioramento rispetto al 2018 (96,6%). Tra i migliori la spagnola Mercadona (nessun debito finanziario), la statunitense Publix Super Markets (18,4%) e la cooperativa tedesca Edeka Zentrale (19,7%). Critici i 10
rapporti della statunitense Albertsons (644,4%), della russa X5 Retail (611,5%) e della giapponese Aeon (366%). Per i gruppi italiani, si segnala il buon indice di Eurospin (7,3%). 5. Osservando le vendite per metro quadro, le britanniche J Sainsbury (13.600 euro per metro quadro) e Wm Morrison (11.200) segnano i valori migliori, seguite da due gruppi australiani: Woolworths (10.700) e Coles (10.400). Sopra i 10.000 euro anche la spagnola Mercadona. Con riferimento ai soli ricavi per metro quadro realizzati negli store nazionali, il gruppo Esselunga con circa 15.900 euro per mq si afferma come il retailer più efficiente a livello internazionale. Una sezione di questo studio è relativa al tema della sostenibilità trattato esaminando la reportistica specifica prodotta dalle società nazionali e internazionali. La copertura del tema è estensiva ed è garantita principalmente mediante sezioni dedicate all’interno dei siti web: vi provvede l’87,3% dei retailer italiani e il 96,5% di quelli stranieri. La copertura delle società italiane si fa meno estesa in termini di report dedicati: sono redatti dal 62,5% dei gruppi italiani vs il 96,4% di quelli stranieri. In generale, la copertura tematica della reportistica, a prescindere dalla completezza del suo contenuto, rappresenta l’aspetto maggiormente deficitario dei player italiani, tenuto conto che quelli esteri hanno dimensione assai superiore e sono in molti casi quotati. Di certificazione ambientale parla il 71,8% dei nostri operatori contro il 96,6% di quelli stranieri; al benessere animale fa cenno il 65,4% delle catene italiane vs il 91,1% di quelle estere; il tema del packaging ecosostenibile è affrontato dal 58,1% delle insegne italiane vs il 97,1% di quelle all’estero. E così per altri temi: sprechi alimentari (87% vs 93,6%), donazioni e sponsorizzazioni (84,9% vs 100%) e collaborazioni con scuole e università (68,3% vs 87,2%). Esaminando la rendicontazione analitica su alcuni profili per i quali essa è fornita con sufficiente capillarità, si ricava l’idea di un posizionamento complessivamente allineato dei nostri player rispetto a quelli esteri. Circa le risorse umane, ad esempio, la quota di forza lavoro femminile è trasversale, essendo pari al 62,9% in Italia e al 60,3% all’estero; il ricorso al part-time è da noi superiore (52% vs 43,8%); le ore di formazione dispensate ai soggetti che ne hanno diritto sono state 16,3 all’anno in Italia contro 21,6 all’estero. Sui temi ambientali: l’intensità energetica in kWh per metro quadro si attesta a 446,4 in Italia vs 456,3 all’estero, mentre l’intensità carbonica è inferiore in Italia (135,9 kg di CO2 per mq vs 208,4); la quota di rifiuti differenziati è parimenti superiore (75,1% vs 71,7%). 11
2 Evoluzione della Gdo alimentare in Italia: passato recente e prossimo futuro In Italia i consumi commercializzabili sono ammontati nel 2019 a 223,4 miliardi di euro, composti quanto a 119,9 miliardi da beni alimentari e per 103,5 miliardi da articoli non alimentari (1). La Gdo (Iper, Super, Libero servizio e Discount) rappresenta l’84% dei consumi alimentari, per un valore pari a 89,8 miliardi, mentre per quelli non alimentari la quota è limitata all’11,1% per un valore che si attesta a 11,5 miliardi. Si arriva in questo modo a quantificare in circa 100 miliardi di euro il giro d’affari della Gdo italiana a prevalenza alimentare. Il food e grocery che transita al di fuori della Gdo attraverso la rete dei negozi tradizionali è stimato in 16 miliardi di euro. Nel settore non alimentare la Gdo specializzata rappresenta un fatturato stimato in 36 miliardi di euro. Un aspetto peculiare della Gdo italiana resta la relativa frammentazione: i primi cinque operatori si spartiscono nel 2020 il 57,5% del mercato, mentre in paesi come la Germania, la Francia e la Gran Bretagna la quota è compresa tra il 78% e il 75%, anche se il significativo processo di aggregazione occorso nell’ultimo biennio ha consentito all’Italia di maturare un ampio scarto sulla Spagna (Graf. 1). Graf. 1 – Quota di mercato dei primi cinque retailer (a sinistra 2011-2020 per l’Italia, a destra 2020 per gli altri Paesi)(*) 57,5 78,1 75,3 75,2 67,2 52,8 49,9 52,0 51,8 51,7 51,4 51,3 50,5 50,3 49,6 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020E Francia Gran Bretagna Germania Irlanda Spagna (*) Rapporto Conad vari anni e consensus di mercato. Va da sé che il 2020 ha rappresentato un anno drammaticamente anomalo che per la Gdo ha costituito una sorta di bolla. Il comparto ha tratto vantaggio in molte sue componenti (certamente con l’eccezione del cash & carry) dalle restrizioni imposte al canale Ho.Re.Ca., dal ricorso allo smart working e dalla diffusione di atteggiamenti di accumulazione da parte dei 1 Federdistribuzione, Scenario economico e dinamica dei consumi. 12
consumatori, peraltro limitati alla fase iniziale della pandemia. Nel primo semestre dell’anno le rigide restrizioni alla mobilità hanno penalizzato le grandi superfici di vendita, sovente collocate all’interno di gallerie commerciali e più difficilmente raggiungibili per via dello loro ubicazione periferica o fuori dai confini comunali. La spesa media è cresciuta e la sua composizione ha virato verso prodotti a lunga conservazione, facilmente stoccabili (pasta, scatolame, confezionato in generale), ma sovente a minore valore aggiunto, quali ad esempio le referenze per le preparazioni domestiche (farine, lieviti, uova e preparati per dolci) e i presidi igienici (parafarmaceutico ma anche i guanti e l’alcool). Il fresco a peso variabile ha lasciato spazio al confezionato, ritenuto oggetto di minore manipolazione e maggiore garanzia igienica. In generale, sono aumentati i prodotti utili a soddisfare all’interno delle abitazioni le esigenze normalmente assolte dal ricorso a prestazioni fuori casa (ad esempio, i coloranti per capelli). I punti vendita abituali sono stati sostituiti con altri più agevolmente raggiungibili, anche se di insegna diversa. Ciò ha costituito un’occasione di forzata sperimentazione di formati e retailer nuovi, sollecitando la fedeltà del consumatore. E’ difficile valutare se questo atteggiamento abbia inciso in misura simmetrica sui distributori, con un saldo nullo tra clienti acquisiti e persi, ovvero se alcuni ne abbiano sofferto o guadagnato più di altri. Certamente ne hanno beneficiato le insegne con una rete maggiormente densa negli agglomerati urbani e nelle zone residenziali rispetto a quelle presenti in zone business. Si sono avvantaggiati gli esercenti maggiormente presenti nelle piccole superfici – associate a minore affollamento – rispetto a quelli specializzati in superfici estese. E’ venuto meno il contributo legato al flusso turistico, specialmente nelle città d’arte. Le insegne dedicate al rifornimento dei gestori di attività ristorative e alberghiere (cash & carry) hanno subìto un forte ridimensionamento delle vendite che si è protratto anche nella seconda parte dell’anno quando le attività di servizio pubblico hanno continuato a soffrire limitazioni e calo nelle frequentazioni. La seconda parte dell’anno ha segnato una parziale normalizzazione dei flussi di acquisto che si sono riapprossimati ai propri livelli ordinari, nonostante l’home working sia rimasto pratica diffusa sulla spinta dei provvedimenti di limitazione alla mobilità che, seppure meno stringenti, hanno interessato anche la parte finale del 2020 e di nuovo l’inizio del 2021. I numeri registrati durante la c.d. Fase 1, dal 17 febbraio al 3 maggio del 2020, sono emblematici (fonte: IRI). Considerando il perimetro costituito dal largo consumo confezionato, il general merchandise e i prodotti a peso variabile, le variazioni a valore rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente hanno segnato una flessione del 14,4% per gli ipermercati, una crescita del 6,6% dei supermercati, una del 23,6% per il libero servizio di piccole dimensioni e un aumento dei discount del 15,2%. Nell’insieme si tratta di un aumento del 12% circa. Per alcune tipologie di esercizio si sono evidenziate variazioni inusitate anche durante il picco natalizio. Incrementi a tre cifre durante la Fase 1 hanno riguardato la parafarmacia (+173% sull’anno precedente), i guanti (+140%), l’acool denaturato (+137%), il lievito di birra (+127%) e le farine (+119%). Abnormi anche gli aumenti di vendite delle pizze preconfezionate (+92%), dei coloranti per capelli (+83%), delle salviettine (+75%), degli ingredienti per pasticceria (+73%) e dei disinfettanti per piccole superfici (+71%). Sintomatico il picco di consumo di camomilla (+49%). 13
I prezzi del largo consumo confezionato hanno avuto una dinamica vivace (+2,4%), legata alla caduta delle attività promozionali – un altro fattore, assieme alla difficoltà delle grandi superfici, già presente prima della pandemia – anche in relazione ai maggiori costi fronteggiati per adeguare l’esercizio dei punti vendita alle esigenze di distanziamento. Graf. 2 – Indice del valore delle vendite del commercio al dettaglio (Istat, dati grezzi, Nov. 2019=100) 123,2 106,2 105,9 104,5 108,8 103,7 102,2 104,7 102,5 102,2 96,5 98,1 100,0 116,7 99,4 92,4 88,3 89,2 87,7 86,5 84,9 80,1 72,4 52,0 41,2 Nov-2019 Dic-2019 Gen-2020 Feb-2020 Mar-2020 Apr-2020 Mag-2020 Giu-2020 Lug-2020 Ago-2020 Set-2020 Ott-2020 Nov-2020 Alimentare Non alimentare I dati Istat al novembre 2020 indicano la progressione mensile del valore delle vendite al dettaglio secondo la traiettoria indicata nel Graf. 2. E’ evidente il crollo dei beni non alimentari, mentre il food è cresciuto durante il lockdown fino a marzo per poi ripiegare, riprendere nei mesi estivi e toccare un picco in ottobre. Tra i consumi non alimentari, le uniche tipologie merceologiche che segnano un aumento nel mese di novembre 2020 sullo stesso mese dell’anno precedente sono i prodotti informatici (+28,7%) e l’utensileria per la casa (+2%). Contenute le flessioni degli elettrodomestici e delle TV (-1,2%), dei farmaci (-2,2%), mentre sono drammatiche le contrazioni delle calzature (-45,8%) e dell’abbigliamento (-37,7%). Graf. 3 – Indice del valore delle vendite del commercio alimentare al dettaglio per tipo di superficie (Istat, Nov 2019=100) 121,1 110,9 110,8 111,2 109,7 108,3 107,1 115,2 106,3 104,2 108,5 103,2 100,0 107,0 106,8 97,7 98,2 104,1 103,4 103,7 102,1 102,5 101,1 100,0 97,3 93,9 Nov-2019 Dic-2019 Gen-2020 Feb-2020 Mar-2020 Apr-2020 Mag-2020 Giu-2020 Lug-2020 Ago-2020 Set-2020 Ott-2020 Nov-2020 Grande distribuzione Piccole superfici 14
Le piccole superfici hanno vissuto nel 2020 una stagione segnata da volumi di vendita anche del 10% superiori rispetto ai livelli del novembre 2019, per poi ridursi nel novembre 2020 (Graf. 3). La Grande distribuzione ha invece vissuto due picchi significativi in marzo, all’esordio della fase emergenziale, e poi ancora in ottobre. Le grandissime superfici (>4500 mq) che si erano affacciate al 2020 con una quota di mercato attorno al 12% hanno perso due punti nella fase emergenziale (febbraio-maggio) per poi riassestarsi attorno all’11%. Anche gli Iper tra i 2500 e i 5000 mq sono calati dal 13,8% al 12,5%, ma si sono poi riportati al 13,6% dopo l’estate. Qualcosa di analogo ha interessato i supermercati: 37,9% il livello pre-Covid, 39,8% nella fase acuta e poi 37,4%. Unico segmento in ascesa i Discount che, partiti da una market share del 18,8%, hanno raggiunto il 19,7% nella seconda parte dell’anno (2). D’altra parte, le performance misurate dalle vendite per mq hanno già da tempo individuato quali siano i formati vincenti e quelli in declino tra i quali ultimi spiccano le grandi superfici. I Discount si candidano a divenire nel prossimo futuro il format più produttivo, alle spalle dei Superstore (Graf 4). Graf. 4 – Fatturato per mq (valori nel 2019 al lordo di iva e var. % 2019/2010) 25,2 8,3 5,7 2,6 0,4 5.837 5.776 3.914 5.729 5.947 -18,3 8.481 Iper Super Superstore Libero sevizio Discount Media semplice 2019 Var % 2019/2010 Le vendite on-line hanno vissuto una vera esplosione: se esse avevano comunque proceduto a passo spedito negli anni precedenti a ritmi del 40%, nel periodo del lockdown hanno toccato il +140%, generando ovvie strozzature logistiche e tensioni sulla disponibilità, celerità e regolarità del servizio. L’home delivery ha avuto una crescita del 120%, mentre il click & collect è addirittura triplicato durante la Fase 1. Se prima della pandemia l’approvvigionamento on-line di largo consumo confezionato valeva lo 0,8% del totale, oggi esso si è attestato all’1,7% e se anche solo riprendesse l’abbrivio degli anni precedenti potrebbe superare il 2,5% nel 2021. Nel 2 Rapporto Coop 2020, Dicembre 2020. 15
complesso, l’e-commerce ha segnato un incremento del 114,4% nei primi dieci mesi del 2020, con ulteriore spunto del +138,1% nel mese di ottobre quando i contagi hanno assunto una dimensione nuovamente preoccupante. Il mercato tratta questo segmento alla stregua di una start up, con multipli EV/Ebitda che nel 2020 sono cresciuti da 27,3x a 52,3x sui mercati occidentali. I mercati dunque sembrano scontare e anticipare grandi prospettive di crescita. Ma la redditività corrente resta ampiamente deficitaria. Il differenziale tra Roi e Wacc è negativo per circa il 10% nel biennio 2019-2020. Alcune stime indicano che a fronte di un ebit margin attorno al 3% per gli store fisici, l’e-commerce segna valori negativi anche superiori al 10%, sia che sia svolto in house che appaltato ad un soggetto terzo (3). Stante l’inopportunità di non essere presenti sul canale digitale, pena la perdita di una quota di mercato, è presumibile che una buona parte dei retailer non nativi digitali stia sussidiando con i margini del canale fisico le perdite del canale on- line. Due ultimi elementi che hanno caratterizzato il 2020 sono il calo della pressione promozionale e la crescita della marca del distributore (MDD). Circa il primo aspetto, l’anomalo afflusso di clientela presso la Gdo ha in parte fatto venire meno la necessità delle misure di scontistica. La pressione promozionale è caduta nel 2020 al 26,4%, toccando un minimo del 21,9% nel maggio 2020. Il livello del 2020 segna il punto più basso dal 2011 e conclude una traiettoria discendente innescatasi dal 2014 quando essa si attestava al 31,5% (Graf. 5) (4). Graf. 5 – Pressione promozionale (in %, 2000-2020) 31,5 30,9 31,0 30,5 30,1 29,5 29,7 29,0 28,4 28,0 27,6 27,3 26,4 26,2 23,2 18,4 2000 2005 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020 Ott Nov Dic 2020 2020 2020 3 Bain & Co. 4 Rapporto Coop 2020, Dicembre 2020 e Federdistribuzione. 16
Nel corso del 2020 la pressione promozionale è stata gestita in chiave congiunturale e dosata in relazione all’andamento della domanda cui essa è apparsa legata da una relazione inversa (Graf. 6). Tale dinamica ha giustificato il rialzo dei prezzi occorso durante il 2020. Graf. 6 – Variazioni mensili della pressione promozionale e delle vendite alimentari delle grandi superfici (Feb-Nov 2020) 10,0 8,0 Var % mensile delle vendite 6,0 4,0 2,0 0,0 -2,0 -4,0 -6,0 -8,0 -20,0 -10,0 0,0 10,0 20,0 30,0 Var % mensile della pressione promozionale Circa la marca del distributore, anche in questo caso la pandemia ha agito da consolidatore di trend già avviatisi negli anni precedenti. La MDD, rispetto al totale del mercato Italia, è passata dal 27,6% del 2019 al 28,6% del 2020, in crescita costante dal 26,4% del 2017. Con riferimento al più ristretto perimetro di Iper, Super e Libero servizio, la quota MDD si attesta al 20,7% nei primi dieci mesi del 2020, in crescita dal 19,8% del 2019. Graf. 7 – Evoluzione della Distribuzione Moderna (con e-commerce) nel 2020 e 2021 (2019=100) 110,7 109,7 108,7 106,8 106,6 105,0 105,6 103,3 102,4 96,6 96,8 95,2 DM (+ e-commerce) Iper Super Libero servizio Discount Drugstore 2020E 2021E 17
Le attese per il 2020 vedono la Distribuzione Moderna chiudere l’anno con un incremento del 4,2% per le vendite realizzate nei punti vendita, dato che sale al 5% considerando anche il canale e-commerce (5). Quest’ultimo dato origina da dinamiche divergenti per canale come evidente dal Graf. 7. Per il 2021 si prevede una flessione su base annua dell’1,6% che consegnerebbe all’intero settore un aumento delle vendite del 3,3% rispetto ai livelli del 2019. Continuerebbe la flessione degli Iper (-4,8% al 2021 sul 2019), mentre i Super resterebbero comunque premiati con un +2,4% grazie alla forte crescita del 2020 (+6,8%) sufficientemente ampia per assorbire la flessione del 2021 (-4,1%). Appare continua nel biennio la crescita dei Discount (+10,7% il 2021 sul 2019) e dei Drugstore (+9,7%). L’e-commerce italiano è tributario di dinamiche fuori scala: +134,4% la chiusura del 2020 e ancora +61,6% nel 2021, per uno sviluppo nel biennio che amplificherebbe i valori del 2019 di 3,8 volte. Per il Largo consumo confezionato (Lcc) il 2020 dovrebbe segnare un incremento prossimo all’8%, con flessione attesa per il 2021 del 3% circa. A titolo di raffronto, si ricorda che i maggiori gruppi internazionali della Gdo a prevalenza alimentare quotati hanno chiuso il 2020 con una crescita del fatturato pari all’8,3% (Graf. 8). Forte anche sui mercati internazionali l’accelerazione dell’e-commerce (Click&Collect e home delivery) che nel 2020 ha registrato una crescita media di oltre il 100%. Il Mon e il risultato netto si sono incrementati nel periodo, rispettivamente, del 17,1% e del 42,4%. L’Ebit Margin è aumentato di 0,4 p.p., il profit margin di 0,7 p.p., nonostante l’aggravio degli oneri legati all’emergenza sanitaria quali la protezione di dipendenti e clienti, gli incentivi al personale, gli investimenti digitali in nuove modalità di approvvigionamento (logistica) e vendita (piattaforme on-line, home delivery). Graf. 8 – Variazione % delle vendite e dei margini dei maggiori operatori della Gdo internazionale 42,4 17,1 8,3 Fatturato 2020/2019 MON 2020/2019 Risultato netto 2020/2019 5 Rapporto Coop 2020, Dicembre 2020. 18
La digitalizzazione conferma il proprio ruolo centrale non solo attraverso l’ascesa delle piattaforme web, ma anche con l’accelerazione dello sviluppo di metodi innovativi di pagamento (tramite dispositivi mobili e casse automatiche), anche al fine di ridurre i tempi di permanenza nello store e l’assembramento alle casse. Si tratta di una tendenza alla spesa frictionless anch’essa appartenente ai trend pre-pandemici. 3 Le società italiane esaminate L’indagine esamina diciassette tra i maggiori Gruppi italiani della Gdo operanti prevalentemente nella distribuzione alimentare al dettaglio i quali, in base alle rilevazioni Nielsen, rappresentano il 93% della Gdo a prevalenza alimentare italiana. Sono stati esclusi dal campione Margherita Distribuzione (ex-Auchan) e il discount Penny Market (Gruppo Rewe) i cui bilanci 2019 non erano disponibili a fine dicembre 2020 e le cui quote di mercato erano pari rispettivamente al 2,8% e 1,4%. Dieci tra gli operatori esaminati appartengono alla Distribuzione Organizzata (due sono cooperative del sistema “Legacoop”) e sette alla Grande Distribuzione, di cui tre operanti nel segmento Discount (6). I dieci gruppi della Distribuzione Organizzata, che rappresentano a fine 2019 il 60% del mercato, sono: le cooperative Conad e Coop e le unioni volontarie e consorzi Selex, VéGé, Despar, Sun, Agorà, Crai, C3 e D.It. Tra questi, i principali sono: - le cooperative facenti capo alla Lega Nazionale delle Cooperative e Mutue (“Legacoop”), operanti con marchio “Conad” (aderenti all’Associazione Nazionale Cooperative Dettaglianti) e marchio “Coop” (aderenti all’Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori). Nella valutazione delle performance economiche è importante ricordare che l’aggregato Coop esprime prevalentemente margini della vendita al dettaglio (sell- out) mentre quello Conad comprende una rilevante attività all’ingrosso (sell-in) (7). - L’unione volontaria Selex (associazione d’imprese indipendenti operanti al dettaglio e all’ingrosso), organizzata attorno alla centrale partecipativa Selex Gruppo Commerciale (esercente, tra le altre, le insegne Famila, A&O, Alì e Il Gigante) e l’unione volontaria VéGé, 6 La Distribuzione Organizzata comprende operatori organizzati in catene di punti di vendita facenti capo a soggetti imprenditoriali giuridicamente distinti, legati da un rapporto di collaborazione volontaria tramite formule associative (cooperative, consorzi, unioni volontarie ecc.). La Grande Distribuzione include operatori con catene di punti di vendita riconducibili a un unico soggetto giuridico (impresa holding con gruppo societario formale). All’interno di entrambe le fattispecie le strutture organizzative possono differire in misura significativa, ad esempio in relazione alla presenza più o meno pronunciata di punti vendita diretti (che generano vendite) rispetto a quelli in franchising (che generano fees). 7 Il sistema Conad dichiara un fatturato 2019 complessivo della rete di vendita, al lordo di Iva, pari a 14.250 milioni di euro. Il Gruppo Coop dichiara nel 2019 ricavi complessivi della rete vendita, sempre al lordo di Iva, pari a 14,7 miliardi di euro, tenuto conto anche delle attività diversificate (carburanti, retail non alimentare, viaggi, bricolage, telefonia mobile, gestioni immobiliari e utilities); il solo giro d’affari della Gdo è indicato in 13,4 miliardi. 19
che associa imprese mandanti con le seguenti principali insegne: Sidis, DiMeglio, Eté, Migross, Bennet (8). Nel corso del 2019, con effetto 1 gennaio 2020, si è perfezionato l’accordo per l’adesione della Bennet all’unione volontaria VéGé che a seguito dell’operazione è divenuta il quinto operatore del mercato con una quota del 7%. Nel gennaio 2020 ha aderito a Végé anche Metro Italia Cash & Carry, dopo il perfezionamento di un accordo di durata triennale. Nel dicembre 2020, con effetto 1 gennaio 2021, è stato inoltre raggiunto un accordo per l’entrata in Selex del consorzio Sun. A seguito dell’operazione il Gruppo Selex si posizionerebbe al secondo posto nel mercato della GDO in Italia. I sette gruppi della Grande Distribuzione, che rappresentano il 33% del mercato, sono: Supermarkets Italiani, gli interessi italiani del Gruppo francese Carrefour, Gruppo Pam, Canova 2007 (holding di Finiper-Unes) e i discount Eurospin Italia, Lidl Italia e Lillo-MD. In dettaglio: - Supermarkets Italiani fa capo alla famiglia Caprotti (Marina Caprotti e Giuliana Albera, rispettivamente, figlia e moglie del defunto fondatore Bernardo Caprotti) e opera con il marchio Esselunga. - Gli interessi italiani di Carrefour, la cui prima apertura in Italia risale al 1972, rappresentano nel 2019 il 6,1% dei 72,4 miliardi di euro del giro d’affari mondiale del Gruppo. - Gruppo Pam, controllata dalla Gecos (finanziaria delle famiglie Bastianello e Dina), opera con i marchi PAM, Panorama e i discount IN’S. - Canova 2007 fa capo alla famiglia Brunelli attraverso i marchi Iper e Unes. - Eurospin Italia è una catena discount controllata con quote paritetiche del 25% ciascuna dalla cooperativa DAO – Dettaglianti Alimentari Organizzati (Lavis, Tn), che a sua volta aderisce all’Associazione Nazionale Cooperative Dettaglianti operante a marchio Conad, Shop (della famiglia Pozzi, attraverso la Supermarkets Dugan), Migross (della famiglia veronese Mion) e Vega (cooperativa di dettaglianti attiva in Veneto e in Friuli VG), quest’ultime due aderenti all’unione volontaria VéGé. - Lidl Italia è una catena di discount controllata dal Gruppo tedesco Schwarz presente in Italia dagli anni ’90. Il fatturato 2019 rappresenta il 9,1% del giro d’affari della casamadre tedesca Lidl Stiftung (che, all’interno del Gruppo Schwarz, gestisce le insegne Lidl). - Lillo è la holding della catena discount operante con marchio MD controllata dalla famiglia Podini. 8 Il gruppo Selex dichiara nel 2019 un fatturato della rete di vendita al lordo di Iva pari a 11,1 miliardi, il Gruppo VéGé pari a 7,5 miliardi (fonte: siti web societari). 20
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