EUROPA - Numero 1/2020 - Cgil

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EUROPA - Numero 1/2020 - Cgil
Numero 1/2020

Il dibattito economico oltre i confini
a cura dell'Osservatorio Economico e Finanziario
Area Politiche di Sviluppo

Redazione:
Nicoletta Rocchi
Angela Potetti
Paolo Picariello

Breve rassegna di quanto pubblicato negli ultimi mesi sulla politica
economica, finanziaria e monetaria e sull’innovazione tecnologica.

                                EUROPA
SOMMARIO:

In questo numero pubblichiamo una piccola rassegna di articoli sull'Europa
che abbiamo letto negli ultimi mesi.
Cominciamo con il gruppo di interventi che affrontano la questione della
Brexit e commentano le cause e le conseguenze delle ultime elezioni
politiche in Gran Bretagna che ne hanno sancito la definitiva uscita
dall'Unione Europea.

Su Project Syndicate del 16.12 Jeffrey D. Sachs (prof. di Diritto della
sostenibilità e di politica e gestione della saluta alla Columbia University)
critica drasticamente il sistema elettorale maggioritario: Il sistema elettorale
del Regno Unito è fallito. Considerato fondamentale strumento di stabilità
politica basata sul sistema bi-partito, esso produce tuttavia - come dimostrato
dalle ultime elezioni in Gran Bretagna - una situazione di governo in cui una
minoranza mette sotto i piedi gli interessi e le preferenze della maggioranza
dei cittadini. Anche The New York Times del 18.12 affronta questo aspetto: Il
sistema che ha vinto le elezioni, sostenendo che il sistema maggioritario
usato nell'UK e negli US può distorcere gravemente i risultati politici. Sempre
su The New York Times del 16.12 vengono affrontati due altri aspetti del
risultato britannico. Il primo: Johnson e la vittoria di Trump nel 2020. Nelle
province depresse della precarietà istituzionalizzata, i lavoratori hanno
abbracciato un vecchio etoniano privo di convinzioni, che ad occhio e croce
non avrebbe nulla in comune con loro, se non la dichiarata volontà di portare
l'UK fuori dall''EU. Così come i blue collar democratici hanno dato il loro voto
a un demagogo miliardario come Trump. Il secondo: La nemesi del Labour:
il partito conservatore vince nelle regioni della working class e cambia la
mappa politica dell'UK: il Labour ha bruciato il suo "Red Wall" al nord e nelle
Midlands lasciati indietro dalla de-industrializzazione del paese. Su Project
Syndicate del 3.12: La calma dopo le elezioni della Brexit , Anatol
Kaletsky (economista capo e copresidente della Gavekal Dragonomics)
aveva già previsto la vittoria di Johnson e la conseguente uscita dell'UK
dall'EU, con danni gravi di lungo termine al paese. Anche sul Big Read del
Financial Times del 2/3.11, George Parker e William Wallis avevano
analizzato la situazione pre-elettorale -La politica UK: la grande
scommessa d'autunno in Gran Bretagna - anticipando che la strategia
elettorale di Johnson era quella di conquistare i seggi laburisti del nord
dell'Inghilterra. Sul Financial Times del 9.10, con l'articolo La Brexit è un
viaggio senza fine, Martin Wolf aveva evidenziato, con preoccupazione, la
degenerazione della democrazia rappresentativa in cui le elezioni sono state
portate avanti come una battaglia del "popolo contro il parlamento": una
forma di concezione della democrazia, quella del premier britannico, in cui il
governo è, per mandato popolare, esercitato autoritariamente. Su Project
Syndicate del 17.12, Robert Skidelsky (membro della camera dei Lord e
prof. emerito di economia politica alla Warwick University) descrive Il post-
elezioni per la politica britannica, delineando una situazione in cui,
uscendo dall'EU il 31.1.2020, il primo ministro britannico ripagherà il suo
debito nei confronti dei numerosi sostenitori del Labour che hanno presto i
loro voti ai conservatori. Ma portare a termine la Brexit non basterà ai Tories a
per mantenere i loro seggi parlamentari. Sul Financial Times del 18.12:
Johnson ha segnalato la sua strategia negoziale, l'articolo sostiene che
anziché accantonare la linea dura conservatrice e adottare un approccio più
flessibile al negoziato per l'accordo commerciale post-Brexit, le prime mosse
del premier britannico segnalano invece la volontà di dare priorità all'accordo
commerciale con gli US e di chiudere un accordicchio veloce e leggero che
sarebbe dannoso per l'economia britannica. Un articolo sul Financial Times
del 26.11, Gideon Rachman analizza i riflessi che la Brexit avrà sul teatro
continentale, in particolare come La Brexit sovverte le relazioni franco-
tedesche.
Seguono alcuni articoli dedicati in particolare alla Germania, a cominciare da
quello comparso su Social Europe del 21.11 firmato da Dalia Marin
(presidente economia internazionale Università di Monaco), relativo alla nota
e vexata questio: La Germania può ridurre il suo avanzo esterno: per
anni, con il surplus delle sue partite correnti, la Germania ha scalato il resto
del mondo. E’ il risultato di politiche che rientrano pienamente nel potere del
governo che, se vuole, può cambiarle e, con l’economia indebolita, la scelta
migliore sarebbe un’espansione degli investimenti pubblici. Sul Financial
Times dell’11.11, Wolfgang Munchau mette in guardia dalla proposta del
ministro delle finanze tedesche, il socialdemocratico Olaf Scholz, che ha
dichiarato la volontà del suo governo di considerare un’assicurazione sui
depositi bancari di dimensione europea: Perché l’EU dovrebbe essere
diffidente sulle proposte di Scholz. In concreto, anche se a prima vista
potrebbero sembrare un’apertura rispetto alla tradizionale indisponibilità
tedesca in materia, esse non sono come appaiono. Su Project Syndicate
del 10.10, Hans-Helmut Kotz: Germania contro BCE, sostiene che, con
l’economia tedesca quasi in recessione, la giusta sollecitazione del
presidente della BCE (allora Mario Draghi) affinché i governi usino maggiore
stimolo fiscale, dimostrerebbe che l’interazione tra politica monetaria e
politica fiscale ridurrebbe enormemente lo spazio ai critici che vogliono
colpire il ruolo della banca centrale europea. Riproponiamo poi un articolo un
po' vecchiotto che mantiene elementi di attualità, comparso sul Financial
Times del 13.9 a firma Philip Stephen a commento del Forum Ambrosetti
che si era tenuto in quei giorni con accenti non ottimistici: La Germania,
l’euro e la scomoda verità. La regressione nell’eurozona appare
pericolosamente come un inizio di recessione e tuttavia il quantitave easing
della BCE, pur necessario non sarà sufficiente e la Germania non riuscirà a
decidere su politiche fiscali adeguate in tempo utile. Su Social Europe del
12.11, Adam Tooze (professore di storia alla Columbia University) affronta la
situazione politica all’interno del paese: L’impasse tedesco, evidenziando
come sia la politica macroeconomica a impedire i necessari passi avanti
tedeschi ed europei. Infine due articoli di commento politico sulla situazione
interna a quel paese, comparsi sul Financial Times. Il primo, è un Big Read
del 5.9 di Tobia Buck che analizza la profonda divisione tra i tedeschi
dell’est e dell’ovest, una divisione che riecheggia le divisioni presenti del
Regno Unito e negli Stati Uniti, ma che è esacerbata dalla delusione
economica e dalle rimostranze storiche. Il secondo compare sul Financial
Times del 9.9: I lupi alle porte della Germania, a firma Constanze
Steltzenmuller ( del Brookings Institution). L’autrice affronta apertamente i
problemi enormi che l’unificazione tedesca, per come è stata realizzata, porta
con sé e sostiene che i tedeschi democratici, di tutte le colorazioni politiche,
debbono rendersi conto che i lupi sono alle porte e che debbono affrontare
con urgenza le legittime preoccupazioni dei concittadini dell’est.
Diamo ora conto di due interventi sulla Spagna. Il primo, comparso su
Project Syndicate del 7.11 è scritto dal leader socialiste primo ministro
spagnolo Pedro Sanchez: Catalogna, Spagna ed Europa stanno bene
insieme. La tesi di Sanchez è che nessuno Stato consentirebbe mai la
secessione unilaterale di un territorio che fa parte del suo ordine
costituzionale. E nessun democratico dovrebbe sostenere il percorso
intrapreso dei leader separatisti catalani che hanno ottenuto meno del 48%
dei voti alle elezioni regionali. Sempre sul Financial Times del 12.11, un
articolo redazionale fa il punto sulla situazione politica spagnola dopo le
ultime elezioni: Sanchez non ha la soluzione giusta per governare la
Spagna. E la tersi è che sono tutti responsabili (partiti mainstream e
separatisti) dell’ascesa dell’estrema destra nel paese.

Viene ora una serie di articoli a carattere più generale sullo stato dell’Unione
e i suoi vari problemi, politici, economici e di governance. Iniziamo con un
articolo comparso sul Financial Times dell’11.11: Macron ha suonato la
sveglia all’Europa, sostanzialmente condividendo le preoccupazioni e i
suggerimenti del presidente francese sulla fragilità dell’Europa e sulla
necessità che essa si debba ripensare come potenza globale. Ci sono poi
alcuni articoli che danno conto delle diversità di vedute sul ruolo dell’Unione
Europea e dei suoi organismi decisionali. Su Project Syndicate del 6.12
Daniel Gros (presidente del Center for European Policy Studies) scrive:
Quanto costerà il potere geo-politico dell’EU, manifestando forte
scetticismo sull’ambizione manifestata dalla nuova presidente della
Commissione Europea, Ursula Von der Leyen di posizionare l’EU come una
potenza geopolitica in grado di reggere il confronto con US e Cina,
sostenendo che l’Europa potrebbe rimpiangere ogni tentativo di sfruttare la
propria forza economica nell’ambito della sua influenza geopolitica.
Analogamente ma con orientamento diverso, su Project Syndicate del
28.11, anche Mark Leonard (direttore del Consiglio Europeo per le
relazioni estere) affronta il tema: La creazione di una Commissione
Europea “geopolitica”, sostenendo, in chiave propositiva, le sfide in settori
chiave che vanno dai cambiamenti climatici alla sicurezza informatica alla
politica della concorrenza, che l’EU dovrà sostenere per avere successo.
Segue un intervento improntato al più acuto pessimismo, comparso su
Project Syndicate del 18.12: L’età dell’umiliazione nell’EU. Slawomir
Sierakowski (fondatore del movimento Krytyka Polyczna e direttore
dell’Istituto di studi avanzati di Varsavia) sostiene che l’EU sta chiudendo un
2019 apparentemente impotente e rassegnata di fronte alle sue sfide
maggiori. Persistendo tale stagnazione, resta solo da chiedersi –sostiene
l’autore – se l’Europa diventerà un satellite degli Stati Uniti o della Cina.
Sempre su Project Syndicate del 12.11: L’Europa su una linea di faglia
geopolitica, anche Ana Palacio (della Georgetown University) sostiene che
la Cina ha cominciato a costruire un ordine internazionale parallelo,
incentrato su se stessa. Se l’EU aiuterà tale costruzione, sostiene l’autrice,
anche solo posizionandosi sulla linea di faglia tra Cina e US, rischia di
rovesciare i pilastri fondamentali del proprio edificio e infine di collassare
completamente. Alcuni interventi affrontano specifici problemi, come l’articolo
comparso sul Financial Times del 13.9 a firma Ignazio Gentiloni: Una
minaccia comune attraversa le diverse disgrazie finanziarie dell’EU.
L’articolo affronta la carenza di strumenti dei supervisori della BCE per
affrontare le crisi bancarie, da quelle dei giganti come la Deutche Bank a
quelle di banche piccole e locali come Carige. Su Social Europe del 9.9
Marcello Minenna affronta il tema de nazionalizzazione del rischio
dell’eurozona. L’autore sostiene con la consueta forza argomentativa la sua
nota tesi e cioè che una zona euro senza condivisione del rischio rimane una
zona euro a rischio. Sul Financial Times del 12.12 Mariana Mazzucato
(prof. Economia dell’innovazione e del valore pubblico all’University College
di Londra) sostiene che: Il Green New Deal europeo potrebbe essere il più
importante di questa generazione. Poiché la crescita economica non ha
solo un tasso, ma anche una direzione – è la tesi sostenuta – il lancio del
Green Deal da parte della Commissione europea va preso seriamente perché
definirà tale direzione in modi che stimoleranno la crescita, contrasteranno il
cambiamento climatico e combatteranno la disuguaglianza crescente. Su
Social Europe del 24.10, Per Hilmersson (vice segretario generale della
Confederazione sindacale europea) critica il nuovo approccio della
Commissione alla “legislazione onerosa” per la quale “ogni proposta di legge
che crei nuovi oneri dovrebbe alleviare persone e aziende da un onere
equivalente esistente a livello EU nello stesso settore politico”. Tale approccio
ostacolerebbe il progresso verso un a maggiore sicurezza e salubrità dei
luoghi di lavoro: “One it, one out” è un pericolo per la salute e la sicurezza
di lavoratori. Su Project Syndicate del 28.11 Yanis Varoufakis scrive un
intervento su I limiti di Lagarde, in cui sostiene che Mario Draghi si è
dimostrato abile a lavorare con i ridicoli vincoli che lo hanno costretto a fare
cose che nessun banchiere centrale dovrebbe mai fare. Il fatto è che chi gli è
succeduto, Christine Lagarde, dovrà lavorare esattamente con gli stessi
vincoli ridicoli. Da ultimo, sul Financial Times dell’8.11 un articolo
redazionale dà conto delle critiche del ministro dell’economia italiano,
Roberto Gualtieri alla proposta del ministro delle finanze tedesco sul
completamento dell’unione bancaria: L’Italia attacca i progetti di unione
bancaria. Le proposte di Berlino sulle condizioni poste alla creazione di un
sistema comune di protezione dei risparmiatori, secondo Gualtieri, ma non
solo lui, sarebbero dannose per i lenders europei.
Project Syndicate 16.12

Il sistema elettorale del Regno Unito è fallito
(Jeffrey D. Sachs prof. Di diritto della sostenibilità e di politica e gestione della salute alla
Columbia University)

Il sistema maggioritario è stato elogiato per aver promosso la stabilità politica
producendo sistemi a due o quasi due partiti. Tuttavia, come dimostra il risultato
delle recenti elezioni del Regno Unito, quel presunto beneficio arriva al prezzo di un
governo in cui una minoranza può mettersi sotto i piedi gli interessi e le preferenze
di oltre la metà della popolazione.

Sulla questione più importante nella storia moderna del Regno Unito - se lasciare l'Unione
Europea o rimanere - il sistema elettorale del Regno Unito ha prodotto un risultato
assurdo. La maggioranza del pubblico del Regno Unito vuole rimanere nell'UE e in realtà
ha votato di conseguenza alle elezioni parlamentari del 12 dicembre. Tuttavia, le elezioni
hanno prodotto una grande maggioranza per il Partito conservatore, che sostiene una
rapida Brexit. La ragione è tanto semplice quanto preoccupante: l'incapacità dei sistemi
elettorali maggioritari di tradurre il sentimento pubblico in risultati ragionevolmente
rappresentativi.
In un sistema elettorale maggioritario, ogni seggio legislativo appartiene al candidato che
ottiene la quota maggioritaria del voto, indipendentemente dal fatto che sia effettivamente
la maggioranza. Pertanto, quando l'opinione della maggioranza è divisa tra più partiti,
l'opinione minoritaria prevale con una minoranza di voti.
Come semplice dimostrazione, supponiamo che ci siano tre partiti: Remain-1, Remain-2 e
Leave. Supponiamo che in ogni distretto, il 66% del pubblico voglia rimanere e il 34%
voglia andarsene, con gli elettori Remains divisi equamente tra i due partiti Remain.
Remain-1 e Remain-2 ricevono ciascuno il 33% dei voti in tutti i distretti, mentre il Leave
Party conquista il seggio distrettuale con il 34%. Se questo risultato viene replicato in tutti i
distretti, il partito Leave ottiene il 100% dei seggi con il 34% dei voti nazionali. In un
sistema nazionale di rappresentanza proporzionale, al contrario, i partiti rimanenti
vincerebbero il 66% dei seggi e formerebbero il governo.
Ovviamente, la situazione attuale nel Regno Unito è più sfumata. La Brexit non è stata
l'unica questione della campagna e 11 partiti, non solo tre, hanno ricevuto almeno lo 0,4%
dei voti nazionali. Di questi 11 partiti, otto - Labour, il Partito Nazionale Scozzese, i
Democratici Liberali, Sinn Féin, Plaid Cymru, il Partito Socialdemocratico e Laburista, il
Partito Verde e l'Alleanza (APNI) - hanno fatto una campagna per un secondo referendum
sulla Brexit (un "Voto popolare") o per rimanere nell'UE. Tre degli 11 partiti hanno fatto una
campagna per la Brexit senza un secondo referendum: i conservatori, il Partito
Democratico Unionista e il Partito Brexit.
In totale, gli 11 partiti hanno ricevuto il 98,6% dei voti, mentre dozzine di partiti minori
hanno rappresentato il restante 1,4%. Gli otto partiti che fanno campagna per rimanere o
tenere un secondo referendum hanno ricevuto il 52,2% dei voti, mentre i tre partiti che
hanno fatto campagna per la Brexit senza un secondo referendum hanno ricevuto il 46,4%
dei voti. Tuttavia, i tre partiti pro-Brexit hanno preso 373 seggi, rispetto a soli 277 seggi dei
partiti Remains che puntavano a tenere un secondo referendum.
Due sono le ragioni di questo risultato. Innanzitutto, il voto a favore della Brexit era quasi
interamente concentrato in un solo partito, i Conservatori, che hanno ricevuto il 94% del
voto complessivo per la Brexit. Il Labour, al contrario, ha ottenuto solo il 61% dei voti tra gli
otto partiti contrari alla Brexit o che chiedevano un secondo referendum. Il primo ministro
Boris Johnson ha unito i Brexiters. Il leader di Labour, Jeremy Corbyn, ha diviso i
rimanenti.
Il secondo motivo è che, in base al maggioritario, le schiaccianti maggioranze (70% o più)
garantite dai Remainers in alcuni distretti - ad esempio Londra e Scozia - equivalevano
essenzialmente a voti sprecati; il partito ha ottenuto un solo seggio. In un sistema di
rappresentanza proporzionale invece, tali voti contano per le percentuali di partito a livello
nazionale.
Le percentuali di voto della scorsa settimana erano in linea con i recenti sondaggi sulla
Brexit. In un sondaggio particolarmente eloquente, condotto poco prima delle elezioni, i
Remainers superavano il numero dei Leavers, 53% a 47%. La maggioranza degli elettori
vuole rimanere, eppure il sistema elettorale ha prodotto una schiacciante maggioranza
parlamentare per l'abbandono dell'EU.
Il Regno Unito è solo una delle poche democrazie ad alto reddito - compresi gli Stati Uniti
e il Canada (come eredità del Regno Unito) - con un sistema maggioritario. Se il Regno
Unito avesse un sistema di voto proporzionale nazionale, come quasi tutta l'Europa
continentale, oggi starebbe andando verso un secondo referendum sulla Brexit e sarebbe
rimasto nell'UE. I risultati delle elezioni avrebbero probabilmente prodotto un governo di
coalizione multipartitico contrario a una Brexit immediata.
Un altro evidente problema, meno facilmente risolvibile, è che i giovani vogliono in modo
schiacciante rimanere nell'UE, mentre gli anziani vogliono andarsene. Gli elettori più
anziani stanno imponendo un futuro non voluto ai giovani ma che molto probabilmente
produrrà conseguenze per il resto della loro vita.
Il maggioritario è stato elogiato per aver promosso la stabilità politica producendo sistemi a
due o quasi due partiti. I due principali partiti britannici hanno ricevuto il 76% dei voti e
avranno l'87% dei seggi nel prossimo Parlamento. Tuttavia la stabilità è illusoria. Si è
ottenuta al prezzo di un governo in cui una minoranza può schiacciare gli interessi e le
preferenze di oltre la metà della popolazione. Quando ciò accade, la società diventa
politicamente polarizzata.
Nell'Europa continentale, la maggior parte dei governi sono coalizioni multipartitiche.
Possono essere difficili da formare, ingombranti da mantenere e lenti ad agire. Tuttavia, il
processo stesso di costruzione di una coalizione multipartitica impedisce a una minoranza
di abbandonare il premio politico contro i desideri di gran parte della popolazione.
La situazione è ancora più pericolosa negli Stati Uniti, dove le elezioni presidenziali
installano un potente dirigente che domina un parlamento a due partiti: un sistema tre
volte maledetto. In primo luogo, le due parti svolgono un pessimo lavoro nel rappresentare
l'opinione pubblica, anche a causa del finanziamento plutocratico delle campagne
congressuali statunitensi. In secondo luogo, un potere eccessivo è affidato alle mani di un
singolo individuo. E in terzo luogo, a causa delle peculiarità dei collegi elettorali, il
presidente può vincere con meno voti rispetto all'avversario, come è accaduto in due delle
ultime cinque elezioni presidenziali. Nel 2016, Donald Trump ha avuto il 57% dei voti
elettorali, nonostante abbia ricevuto 2,8 milioni di voti in meno rispetto a Hillary Clinton.
Come ho scritto in precedenza e come confermano le recenti elezioni del Regno Unito, le
due principali democrazie anglosassoni stanno fallendo. Ma stanno fallendo non solo a
causa di un elettorato polarizzato, ma anche a causa del sistema elettorale vecchio e
superato che produce governi che non rappresentano bene l'opinione pubblica.
The New York Times 18.12

Il sistema che ha vinto le elezioni
Il sistema maggioritario usato dall'UK e dagli US può distorcere i risultati politici

La risposta alla Brexit,alla vittoria elettorale del partito conservatore e a tutto nella politica
britannica (con le scuse a Douglas Adams) è 336.038.
Questo numero è quello che si ottiene quando si dividono i 3.696.423 voti totali assegnati
in Gran Bretagna al partito liberal-democratico nelle elezioni della settimana scorsa per gli
11 seggi che il partito ha ottenuto. Per contro, il primo ministro Johnson ha portato alla
vittoria il partito conservatore con una media molto più ristretta di 38.265 voti per ciascuno
dei suoi 365 seggi- una differenza di circa dieci volte nella capacità dei partiti di
trasformare i voti ottenuti in seggi conquistati.
Il trionfo dei conservatori e il disastro dei liberaldemocratici sono stati entrambi il risultato,
in larga parte, del fattore raramente discusso ma cruciale per comprendere il caos politico
del paese: la Gran Bretagna, come gli US, funziona con un sistema elettorale
maggioritario in cui i seggi in parlamento sono assegnati al candidato che ottiene in
maggior numero di voti in ciascuna gara individuale anziché in proporzione al voto
nazionale totale.
La Brexit, che polarizza la Gran Bretagna in una nuova divisione politica dal referendum
del 2016 in cui il paese ha votato di stretta misura l'uscita dall'EU, ha messo in forte rilievo
i modi in cui i sistemi maggioritari possono distorcere i risultati politici.
E 336.038 serve anche come epigrafe della carriera politica di Jo Swinson, la dinamica
39enne che è stata leader del liberaldemocratici fino ha quando ha perso il suo seggio alle
elezioni. Solo pochi mesi fa, appariva trionfante, con il suo partito in forte ascesa nei
sondaggi. Ma le ultime elezioni hanno messo fine alle sue speranze.
Il maggioritario funziona bene all'interno di un sistema bi-partito ma non in caso di
multipartitismo. Per la Gran Bretagna questo in genere non ha costituito un problema
almeno fino a quando la Brexit non ha rotto le coalizioni stabili dei sue due principali partiti
politici, creando un'apertura per gli sfidanti come i Liberlademocratici e il Brexit Party.
"Quando non si hanno due partiti, il sistema maggioritario è realmente incapace di traslare
le volontà degli elettori in saggi" ha detto Sara Hobolt, una politologa della London School
of Economics.
La debolezza è stata evidente nelle recenti elezioni in cui circa la metà dell'elettorato che
si opponeva all'uscita dall'EU ha scoperto che il suo voto aveva solo una frazione del
potere che avevano i voti conservatori pro-Brexit.
Le cose sembravano molto diverse lo scorso settembre,quando Swinson salì sul palco alla
conferenza del suo partito a Bournemouth, una città resort sulle coste meridionali
dell'Inghilterra, Tra applausi scroscianti, promise un futuro in cui aveva sperato buona
parte del suo paese dal referendum 2016:se il suo partito avesse vinto, avrebbe fermato la
Brexit.
In un sistema politico diverso, questo sarebbe stato il suo momento. "C'è un modello di
sfondamento dei piccoli partiti" ha detto Hobolt, co-autrice di un libro in uscita sui partiti
sfidanti in Europa. "Essi trovano un tema che tagliano attraverso le coalizioni dei partiti
mainstream e lo sfruttano come un cuneo".
In buona parte dell'Europa i temi che erano al cuore del dibattito sulla Brexit, come
l'immigrazione e la partecipazione all'EU hanno rappresentato tale cuneo per i piccoli
partiti. Nei paesi col sistema proporzionale,il risultato è stato un grande riallineamento dei
partiti: invece dei due grandi partiti, di centro destra e di centro sinistra, molti paesi hanno
ora 4 partiti divisi su linee sia economiche che sociali.
In Germania, per esempio, i Partito dei Verdi all'estrema sinistra e il partito anti-
immigrazione Alternativa per la Germania, all'estrema destra, hanno tolto sostegni ai partiti
di centro destra e di centro sinistra che tradizionalmente dominavano la scena politica.
Sebbene questo significhi che nessun partito ottiene una completa maggioranza, le
coalizioni e i compromessi offrono un modo per riflettere le opinioni degli elettori con una
relativa accuratezza.
Se la Gran Bretagna avesse un sistema proporzionale, i partiti pro-Remain avrebbero
potuto formare una coalizione maggioritaria in parlamento. I Liberal democratici, il partito
nazionale Scozzese, il Grren Party e il Labour, che avevano promesso di fermare la Brexit
direttamente o attraverso un nuovo referendum, hanno ottenuto complessivamente più del
50% dei voti.
Ma con il maggioritario, le cose sono andate in modo molto differente. Invece di dare ai
votanti remainers l'opzione di una potente coalizione di governo, l'aumentata popolarità dei
liberal-democratici e degli altri piccoli partiti ha diviso l'elettorato pro-remain, alla fine
aiutando a dare la vittoria ai Brexiters di Johnson. Per esempio, a Kensington e
Wimbledon, ricchi distretti di Londra che nel 2016 hanno votato remain, i candidati
conservatori hanno strappato la vittoria con meno del 40% dei voti dopo che i votanti
remain si sono divisi tra Labour e Liberaldemocratici.
Nel maggioritario, dare il proprio voto fuori dai due partiti più grandi è una mossa rischiosa.
"I sistemi a due partiti sono particolarmente problematici quando si hanno le dimensioni
della trasversalità odierna" ha detto Hobolt, aggiungendo: "è realmente difficile sfondare
come terzo partito in tale situazione". Riflettere la volontà del popolo può essere un
suicidio politico.
E questo ci porta a un altro mistero: perché Swinson e il suo partito non sono stati in grado
di esercitare più influenza sulla piattaforma Brexit del Labour come invece è riuscito a fare
il Brexit party sui conservatori?
Per prevenire la minaccia posta dal Brexit Party, Johnson ha sostenuto la Brexit con ogni
mezzo, considerandolo una cartina di tornasole per i politici conservatori, arrivando a
espellere 21 parlamentari perché avevano votato per bloccare la Brexit senza accordo.
Ma le pressioni dei liberaldemocratici non hanno avuto un effetto simile sul Labour party.
Jeremy Corbyn, leader del Labour, ha accettato con riluttanza di tenere un nuovo
referendum ma ha evitato di concentrarsi sul tema della Brexit enfatizzando invece la
piattaforma economica del partito e l'impegno a espandere il welfare state. "E' una storia di
geografia" ha detto Simon Hix,politologo della London School of Economics che studia la
politica europea. La Brexit ha diviso il paese lungo linee geografiche così come èpolitiche:
le grandi città cosmopolite hanno pesantemente votato remain, mentre le aree rurali e le
città post-industriali che hannop avvertito scarso beneficio dalla globalizzazione, comprese
le roccaforti del Lbour, hanno votato Leave.
Il risultato è stato che i remainers conservatori si sono concentrati in un gruppo più piccolo
di aree ricche, soprattutto a Londra, lasciando ai conservatori realativamente pochi seggi
da conquistare. Gli elettori leavers del Lbour, d'altra parte, i sono più sparpagliati -
mettendo a rischio molti più seggi del Labour..
Corbyn ha cercato di "avere la sua torta e mangiarsela" ha detto Hix. ma un'elezione in cui
la Brexit era il tema saliente, la sua strategia si è dimostrata disastrosamente inefficace".
Gli US non hanno piccoli partiti sfidanti simili al Brexit party o ai liberal-democratici. Ma il
suo sistema delle primarie offre un'opportunità agli sfidanti populisti all'interno dei due
partiti di sfruttare i temi cuneo. Questa strategia ha determinato la vittoria di Trump nelle
primarie repubblicane del 2016. "La gente dice che la cosa buona nel sistema
maggioritario è che non si hanno partiti radicali di destra" ha detto Holbot. "Ma c'è il
pericolo che l'ala della destra radicale di un partito lo conquisti"
The New York Times 16.12

Johnson e la vittoria di Trump nel 2020
(Roger Coin)

Nel suo racconto, Donald Trump avrebbe potuto sparare a qualcuno sulla quinta strada e
avere vinto. Boris Johnson avrebbe potuto indurre in errore la regina, infrangere la sua
promessa di portare la Gran Bretagna fuori dall'EU entro il 31 ottobre. Avrebbe potuto
mentire sui turchi che stavano invadendo la Gran Bretagna e sul costo della EU
membership. Avrebbe potuto costruire storie sulla costruzione di 40 ospedali nuovi.
Avrebbe potuto raddoppiare i 460 milioni di sterline fantasma alla settimana che la Brexit
avrebbe garantito al sistema sanitario nazionale - e tuttavia ottenere una vittoria a slavina
mai vista per i Tory dai tempi del trionfo della Thatcher nel 1987.
Ai britanni o per lo meno agli inglesi non è importato. Questa è la verità del 20esimo
secolo. Volevano la Brexit; e formalmente, Johnson porterà la Gran Bretagna fuori
dall'Europa il 31 gennaio 2020, anche se resteranno in piedi tutte le dure decisioni in
merito alle relazioni con l'EU. Johnson è stato fortunato. Nel patetico. emetico Jeremy
Corbyn, il leader uscente del labour Party, ha avuto di fronte il peggior candidato
dell'opposizione forse di sempre. Nella stampa Tory, aveva un amico feroce, preparato a
trascurare ogni scivolata. Nei sudditi britannici, stanchi della Brexit, divisi fin dal
referendum del 2016 aveva i recettori perfetti del suo "get Brexit done".
Johnson è stato anche abile a spuntare il Brexit party di estrema destra di Nigel Farage,
che è ha avuto meno voti in molti seggi e ha preso un sacco di voti Labour nei seggi dove
correva e non ha ottenuto niente. La working class britannica, concentrata nelle Midlands
e al Nord ha abbandonato il labour Party per i Rories e per il nazionalismo di Johnson.
Nelle province depresse della precarietà istituzionalizzata, i lavoratori hanno abbracciato
un vecchio etoniano che sbraitava a proposito del potenziale britannico inespresso. Non a
un milione di miglia di distanza dalla patria dei blue collar democratici che si sono spostati
su Trump il miliardario e sulla demagogia di America first.
Non è l'unico parallelo con la politica americana a meno di 11 mesi dalle elezioni. Johnson
ha concentrato tutti i voti Brexit. Al contrario, i pro-Remai si sono divisi tra il Labour Party di
Corbyn diviso al suo interno, gli sfortunati liberaldemocratici e lo Scottish National party.
Per chi osserva le divisioni del Partito democratico a confronto con il fanatismo monolitico
del movimento di Trump, ora rafforzato dalla procedura di impeachment, tutto ciò non può
che spaventare.
Anche il chiaro rifiuto del big government socialista del Labour appare di malaugurio per i
democratici che credono che il partito può spostarsi a sinistra e vincere. La working class
britannica ha respinto la nazionalizzazione delle ferrovie, della distribuzione dell'elettricità
e della utilities dell'acqua dal momento che lo attaccavano a qualche burocrate senza volto
di Bruxelles e - nella frase tanto immortale quanto priva di senso - si è ripresa il paese.. E'
un mondo interamente nuovo. per vincere, i liberali devono toccare le emozioni della gente
Anziché dargli lezioni oneste. Devono smettere di essere aridi. Devono rinfrescarsi e
connettersi. Non è facile.
Facebook raggiunge circa un terzo dell'umanità. E' più potente di qualsiasi partito politico -
ed è pieno di cose non vere, di bigottismo di nonsenso. Come ha detto il mese scorso
l'attore britannico Sacha Baron Cohen dei colossi dei social media: "La verità è che queste
aziende fondamentalmente non cambieranno perché il loro modello di business si basa
interamente basato sul generare più coinvolgimento e niente genera più impegno delle
bugie, la paura e l'indignazione."
Questa è la storia della Brexit, una tragedia nazionale. Questa è la storia di Johnson,
l'uomo privo di convinzioni. Questa è la storia di Trump che trasforma in burattini le
persone attraverso la manipolazione dell'indignazione e lo sprezzo della verità. Questa è
la storia dei nostri tempi. Johnson vi si identifica e li rappresenta meglio di chiunque altro.
Gli riesce naturalmente. "La Brexit e Trump erano inestricabilmente legati nel 2016 e lo
sono anche oggi" mi ha detto Steve Bannon.
"Johnson prefigura una grande vittoria di trump. La gente della working class è stanca dei
loro "migliori" a New York, Londra, Bruxelles che dicono loro come devono vivere e cosa
fare. A rimanere schiacciato è stato il programma socialista di Corbyn e non l'uomo
Corbyn. Se i democratici non imparano la lezione, Trump è sulla strada di una vittoria
come quella di Reagan nel 1984".
Penso ancora che Trump possa essere battuto, ma non da sinistra e non senza
riconoscere che, come ha affermato Hugo Dixon, un leader della battaglia, ora persa, per
un secondo referendum sulla Brexit: "c'è una crisi del liberalismo perché non abbiamo
trovato il modo di connetterci alle vite delle persone nelle piccole città delle terre post-
industriali desertificate la cui tradizionale cultura è stata strappata via".
  Johnson, anche con la sua maggioranza di 80 seggi, ha problemi. la sua vittoria ha
riconciliato l'inconciliabile. La sua danarosa consorteria vuole trasformare la Gran
Bretagna in un Singapore del libero mercato sul Tamigi. Il suo nuovo elettorato della
working class vuole una combinazione di rule-Britannia greatness con il sostegno del
finanziamento dello stato. E' un equilibrio delicato. La divisione della Gran Bretagna è
diventata più probabile. Il forte Scottish National Party lascia presagire un secondo
referendum per l'indipendenza scozzese.
Questa volta scommetterei sull'addio degli scozzesi alla piccola Inghilterra. E poi c'è la
piccola questione di cosa realmente significhi la Brexit. Johnsono avrà bisogno di tutta la
sua buona fortuna. Come i miei lettori sanno, sono un appassionato patriota europeo che
vede l'unione come la conquista più grande della seconda metà del 20esimo secolo e
vede l'uscita della Gran Bretagna come un terribile atto di autolesionismo. ma credo anche
nella democrazia. Johnson ha riportato la decisione al popolo e ha vinto. La sua vittoria
deve essere rispettata. La battaglia per la libertà, il pluralismo, lo stato di diritto, i diritti
umani, la libertà di stampa, l'indipendenza della magistratura, la respirabilità dell'aria, la
pace, la dignità d l'umanità continua - ed è diventata ancor più critica ora che la Gran
Bretagna si è irreversibilmente marginalizzata in un impeto di delusione nazionalista.
The New York Times 16.12

Come la nemesi del Labour ha bruciato il suo "Red Wall" nel nord .
Il partito conservatore vince nelle regioni della working class e cambia la mappa
politica dell'UK

Arrancavano sotto una pioggia pungente verso i seggi elettorali, fiumi di persone che una
volta davano forza alla sinistra britannica: ex minatori, impiegati di supermercato, insegnati
in pensione, infermieri.
Ma quando uscivano dal seggio, non avevano votato per il Labour, la parte che li aveva
guidati in decenni di sollevazioni politiche, ma invece per la loro vecchia nemesi, il partito
qui disprezzato da lungo tempo per avere chiuso le miniere e ristretto l'intervento pubblico:
i conservatori.
"Ho un backgrond Labojur: le miniere di carbone e le lotte contro la Thatcher e tutto il
resto" ha detto Dawn Rdisdale, 56 anni, agente di commercio disoccupata fuori dal fienile
trasformato a Barlborough dove ha votato. Si era opposta alla Brexit ma ora vuole
qualcuno con la vena spietata del primo ministro che aveva chiuso le miniere, Margaret
Thatcher, per risolvere una volta per tutte.
"Il paese è tornato indietro" ha detto. "Purtroppo ho dovuto votare per Boris. E' il meglio in
un brutto mazzo".
Intende Boris Johnson primo ministro della Gran Bretagna, l'eccentrico upper-class che la
settimana scorsa ha sfidato mezzo secolo di geografia politica per strappare al Labour la
vecchia coalizione degli elettori delle piccole città, della working class delle Midlands e del
Nord dell'Inghilterra, un blocco di seggi una volta considerato così inespugnabile da
essere definito il Red Wall.
Sono caduti almeno 9 seggi che sono appartenuti senza interruzione al Labour dalla
seconda guerra mondiale. E' caduto un tipo di politica tribale nel nord dell'Inghilterra in cui
le persone ereditavano le scelte elettorali dai loro genitori e nonni che trasmettevano
attraverso le generazioni le lotte contro le chiusure delle miniere e i tagli della sicurezza
sociale.
Ed è caduto Dennis Skinner, il cosiddetto Beast of Bolsover, un ex minatore e
parlamentare Labour in cui la fusione dei valori del socialismo con quelli pro-Brexit gli
avevano dato per 49 anni il controllo di Bolsever, il collegio elettorale intorno a
Barborough.
Per il Labour, che ha subito la sua peggiore sconfitta elettorale del 1935, i risultati hanno
segnalato la fine di un'era nella quale era stato in grado di ottenere voti sia nelle città
fiorenti che nei villaggi minerari rimasti indietro. Le due ali del partito - pro e anti-migranti,
giovani e vecchi, laureati e operai qualificati - si sono spaccate.
"E' il distacco del Labour da grandi parti del paese con cui non sembra simpatizzare" ha
detto Robert Tombs uno storico dell'Università di Cambridge. "Questo lascia il partito in
una posizione decisamente atroce a lungo termine, a meno che non si reinventi
miracolosamente".
I grandi antichi partiti della sinistra hanno cominciato a svanire in Europa anni fa, quando
le alleanze di classe sono svanite nell'economia post-industriale. ma le conseguenze di
tale riallineamento politico in Gran Bretagna, come negli US, sono molto più gravi perché i
loro sistemi bi-partito impediscono ai partiti di sinistra di risolvere le loro differenze
dividendosi.
La sinistra sta litigando su entrambe le sponde dell'Atlantico con il Labour e i democratici
entrambi alle prese con una rancorosa battaglia tra giovani attivisti e elettori più moderati. I
risultati delle elezioni in Gran Bretagna sono state una lezione su cui riflettere sulle
conseguenze della distruzione di antiche alleanze del partito prima che ne siano germinate
di nuove, hanno detto gli analisti.
"Ci sarà la sinistra culturalmente liberale che dice "non vogliamo allearci coi razzisti" e ci
sarà la coalizione del partito economicamente di sinistra e socialmente conservatrice che
dice "non ci alleiamo con persone che pensano che siamo razzisti" e è una controversia m
olto molto difficile da risolvere" ha detto Rob Ford, professore di scienze politiche
dell'Università di manchester.
Venerdì mattina, i Britanni si sono svegliati con un Labour parti largamente consegnato
alle città dell'Inghilterra. D'altra parte, i conservatori hanno imbrigliato la potenza della
Brexit per assaltare distretti in cui il brand del partito è tossico da molte generazioni.
nel farlo, hanno replicato il successo del presidente Trump che nel 2016 ha fatto una
breccia nel cosiddetto Blue Wall in stati come il Michigan e il Wisconsin, sfruttando una
combinazione del messaggio anti-migranti con il dissolvimento delle fedeltà di classe per
conquistare seggi appartenuti ai democratici.
La grande incognita è se giovedì i britannici hanno votato per una riallineamento
permanente o solo per una soluzione sufficiente a portare a termine la Brexit e a superare
la disastrosa leadership di Jeremy Corbyn.
Ma fuori dai pub, dalle chiese, dalle scuole e dai trailer in cui le persone di Bolsover hanno
votato, era chiaro che molti ex elettori Labour si sentivano per il momento più a casa nel
partito conservatore di Jonhson che in qualunque altra parte.
Lamentavano un decennio di promesse non rispettate, molte delle quali fatte dal partito
conservatore, ma conquistati all'idea di Johnson che da biasimare era l'elite politica e non
il suo partito.
Ribollivano di rabbia: verso i migranti, verso l'economia post-industriale britannica e verso
lo sguardo costante dei media dell'informazione e l'elite politica del sud, verso Londra.
E soprattutto, le persone che costituivano la vecchia base del Labour a Boldsover si sono
liberati dei sentimenti appassiti su Corbyn, sputando epiteti - Marxista, simpatizzante
terrorista,idiota - su un uomo che li ha resi molto più infelici di quanto avesse potuto un
vecchi etoniano come Johnson.
A Bolsover, la città mercato al centro di questo tentacolare distretto, un elettore, Thomas,
ha indicato dal seggio elettorale il luogo dove ha trascorso 30 anni come minatore. Pur
con tutto il suo pericolo, l'attività mineraria aveva mantenuto la promessa di un lavoro
sicuro e di una giusta paga, insieme ai vantaggi della protezione del sindacato ora assente
nelle industrie che hanno sostituito la miniera.
Ma per Thomas e sua moglie Christine, che non hanno voluto dare il loro cognome perché
non vogliono che gli amici sappiano come hanno votato, la frustrazione per il declino della
regione si è collegato con la rabbia verso i lavoratori migranti che hanno preso i loro lavori
low-wage che hanno sostituito l'attività mineraria.
" Il lavoro dovrebbe andare agli ex-nminatori e non agli stranieri" ha detto Christine a
proposito di un magazzino sul sito di una vicina miniera. "Invece vedi ex minatori gettati al
macero".
Gli elettori del labour da una vita hanno rotto con buona parte del partito sostenendo la
Brexit e poi alla fine hanno smesso di votarlo a causa della leadership di Corbyn che, ha
detto, è dominata da un'agenda economica troppo di sinistra e da una leadeship centrata
su Londra.
"Fa male" ha detto Thomas, sebbene non stutta la sua fedeltà è andata perduta. "Sono
ancora un uomo del Labour. Voterò di nuovo Labour quando si libererà di tutta questa
roba".
Il riallineamento politico britannico comporta rischi anche per il partito conservatore.
Proprio come i repubblicani negli US hanno preso il sud solo per scoprirsi
improvvisamente incapaci di conquistare seggi in luoghi come il New England, cos' anche i
Conservatori rischiano di perdere i loro elettori socialmente liberali se saranno dominati
dalle terre del nord, ex cuore Labour, ha detto il professor Ford.
Al tempo stesso, in un paese sempre più diverso, il Labour parrty alla fine beneficerà di un
suo allineamento coi valori socialmente liberal - ma non subito e non senza che i suoi
sostenitori si diffondano in tutto lo spettro elettorale, ha detto Tim Bale, professore di
scienze politiche alla Queen Mary University di Londra.
Molti elettori di Bolsover hanno descritto un allontanamento dal Labour iniziato anni fa, ben
prima della Brexit, determinato dal consumarsi dei legami con il sindacato e dal fatto che
la ledership Labour tendeva a identificarsi con la crescente immigrazione.
Ma è stata la Brexit che ha cementato i loro voti ai conservatori. Se l'idea di rifare un
secondo referendum aveva preso piede a Londra, agli elettori di Bolsover, sia leavers che
remainers, sa è suonata come una seria minaccia alla legittimità democratica.
"C'è stato un referendum e la volontà di uscire dal'EU del popolo malgrado le mie opinioni
personali" ha detto Craig Beddow, un lavoratore del commercio dell'area.
Egli non coltiva alcun affetto verso Johnson che definisce "il peggior leder conservatore di
tutta la mia vita".
Barry Salt, un altro elettore, ha sentimenti simili e dice che Johnson è "un pazzo" ma che
Corbyn è peggio. "Trasformerebbe questo in uno stato comunista se fosse lasciato solo".
Molti elettori conoscevano e amavano Skinner, il parlamentare di più lunga data che
correva per un seggio alle elezioni e qualche lealista del Labour ha detto che nulla
avrebbe potuto sviare il suo voto.
"Avrei votato per un asino con una rosa rossa su di lui" ha detto Jason Vardy, un
bookmaker riferendosi al simbolo del Labour.
Ma per altri, quello che era sbagliato in Skinner era proprio essere un parlamentare
Labour. Malgrado le visioni pro-Brexit del parlamentare, l'etichetta Labour lo ha messo
dalla parte delle elite delle grandi città che guadano dall'alto in basso il nord.
"Se non fosse un uomo del Labour, sarebbe brillante" ha detto Malcolm Shaw, un militare
veterano ex votante Labour, dopo avere spuntato la casella per i conservatori.
Project Syndicate 3.12

La calma dopo le elezioni della Brexit
(Anatol Kaletsky capo economista e co-presidente di Gavekal Dargonomics)

Se, come previsto, Boris Johnson vincerà il prossimo voto del Regno Unito, la
Brexit andrà avanti e causerà danni a lungo termine al Paese. Ma per i prossimi
anni, quasi nulla delle relazioni del Regno Unito con l'Unione Europea è probabile
che cambi, perché Johnson può - e quasi certamente lo farà - prolungare il periodo
di transizione.

Mancano meno di due settimane alle elezioni britanniche che risolveranno definitivamente
la questione dell'adesione all'Unione europea e l'ansia sta sorgendo su entrambi i lati della
Manica. Con sondaggi di opinione che indicano una chiara vittoria per i conservatori di
Boris Johnson, molti finanzieri e commentatori dei media hanno ripreso a preoccuparsi di
una caotica Brexit. Ciò danneggerebbe non solo il Regno Unito, ma anche il resto
dell'Europa, che esporta quasi il doppio nel Regno Unito rispetto alla Cina. Altri ancora
temono un turbamento elettorale che potrebbe rendere Jeremy Corbyn, un marxista non
pentito, il primo ministro di un governo laburista intenzionato a rinazionalizzare le industrie,
rilanciando la guerra di classe degli anni '70 e minando la NATO.
Entrambe queste ansie sono ingiustificate. La possibilità di una rottura economica UE-
Regno Unito del tipo che ha causato ansia comprensibile quando Johnson è stato eletto
leader Tory in estate, è diventata trascurabile. E, nell'improbabile caso in cui Corbyn
vincesse, c'è letteralmente zero probabilità che una qualsiasi delle politiche radicali
contenute nel manifesto del lavoro sarà attuata, perché l'unica alternativa immaginabile a
una vittoria di Tory è un altro parlamento sospeso, in cui il labour non avrebbe la
maggioranza e dovrebbe fare affidamento su altre parti per governare.
Inoltre, questo governo esisterebbe esclusivamente allo scopo di negoziare un nuovo
accordo "soft" sulla Brexit, simile all'adesione della Norvegia allo Spazio economico
europeo, e quindi di tenere un referendum per approvare il nuovo accordo o annullare del
tutto la Brexit. Una volta completato questo referendum "final say", un'altra elezione
diventerebbe inevitabile, perché non ci sono altre politiche del labour che le altre parti
sosterrebbero.
Che dire del risultato più probabile delle elezioni, e cioè che Johnson vincerà? I timori ora
riguardano un nuovo tipo di crisi "no deal", derivante dalle preoccupazioni per il periodo di
transizione post Brexit, quando il Regno Unito manterrà i benefici e gli obblighi
dell'adesione all'UE, ma ne sarà formalmente fuori.
L'accordo di recesso firmato in ottobre prevede un periodo di transizione fino alla fine del
2020, con una possibile proroga per altri due anni. Reagendo alle rigide denunce di "Brexit
solo di nome" Johnson ha dichiarato nel suo manifesto elettorale che "non prolungheremo
il periodo di attuazione oltre il dicembre 2020" e invece ha promesso di negoziare un
accordo commerciale completo tra Regno Unito e UE entro 12 mesi. Ciò non accadrà:
nessuna delle due principali economie ha mai negoziato un accordo commerciale in meno
di 3-4 anni. A peggiorare le cose, l'accordo di recesso prevede che la decisione
sull'opportunità di estendere la transizione sia presa a giugno, alimentando la
preoccupazione (a volte al limite del panico ) di una nuova scadenza "no deal" il 1 ° luglio.
Tali paure sono infondate. Perché prendere dare eccessivo valore alla promessa di
Johnson di non allungare la transizione? Johnson ha promesso ripetutamente di lasciare
l'UE entro il 31 ottobre "senza se e senza ma." E dopo che il parlamento ha approvato una
legge che richiedeva di prorogare questa scadenza, ha promesso di "morire in una fossa"
piuttosto che obbedirla. Ma quando è arrivato il 31 ottobre, tutte le "strategie segrete" di
Johnson per eludere la legge si sono rivelate illusorie e si è quindi assicurata la proroga
senza troppe storie. Se Johnson ora otterrà la rielezione, dopo aver infranto una delle più
ferme promesse mai fatte da un politico britannico agli elettori, perché non dovrebbe
infrangere un'altra promessa, meno importante, di cui pochi elettori ordinari sono persino a
conoscenza?
Da un punto di vista strettamente economico, è rassicurante che " la carriera di Johnson si
basi sulla mendacità casuale ", per citare il principale commentatore politico del Financial
Times.. Nel tentativo di prevedere in che modo i leader come Johnson prendono decisioni
difficili, è spesso saggio ignorare le promesse e concentrarsi su interessi economici e
politici.
Se Johnson viene rieletto, quale sarà il suo interesse economico? La sua massima priorità
sarà quella di dimostrare che il suo "fantastico accordo sulla Brexit" ha reso l'UE un
processo indolore e ha miracolosamente stimolato la crescita economica. Sarebbe folle
rischiare una crisi finanziaria durante il suo primo anno in carica, escludendo una proroga
della transizione o accettando una ripartizione degli scambi se, come è quasi certo, un
accordo commerciale dell'UE non può essere completato in soli 12 mesi. Il chiaro
interesse economico di Johnson sarà quindi di allungare la transizione post-Brexit oltre il
dicembre 2020, probabilmente impiegando tutti e tre gli anni per intero.
Che dire degli interessi politici? Finora, nella sua breve carriera da Primo Ministro,
Johnson ha fatto affidamento su Brexiteers in Parlamento per sostenerlo, e la chiave della
sua strategia elettorale è stata quella di superare il Partito Brexit di Nigel Farage. Per
raggiungere entrambi questi obiettivi ha dovuto respingere qualsiasi possibilità di
estendere la transizione post Brexit. Ma questi calcoli politici presto si invertiranno.
In termini di opinione pubblica, superare le elezioni del partito Brexit diventerà irrilevante.
Inoltre, molti elettori pro-Brexit saranno soddisfatti una volta che la Gran Bretagna avrà
lasciato le istituzioni politiche dell'UE, senza preoccuparsi dei negoziati commerciali e di
mercato che proseguiranno noiosamente.
Anche la leva parlamentare dei Brexiteers duri diminuirà dopo le elezioni. Johnson aveva
bisogno dei Brexiteers del suo partito per eleggerlo come leader e tenerlo in carica senza
una maggioranza in Parlamento. Ma tutti i parlamentari Tory si sono ora impegnati per
iscritto a votare incondizionatamente per l'accordo di recesso di Johnson. Se vincono la
maggioranza, i Tories approveranno l'accordo di recesso. E una volta avvenuto ciò, i futuri
negoziati sul commercio dell'UE, compresi gli accordi di transizione, non saranno più
soggetti all'approvazione parlamentare fino al completamento di un accordo, sia nel 2020,
2021 o oltre.
Il risultato è che le relazioni economiche Regno Unito-UE rimarranno pressoché invariate
per un lungo periodo, qualunque cosa accada alle elezioni di questo mese. Se Johnson
perde, la Brexit verrà ritardata e probabilmente annullata. Nel caso più probabile che vinca
Johnson, la Brexit andrà avanti e causerà danni a lungo termine alla Gran Bretagna. Ma
per il prossimo anno o due, le preoccupazioni dovrebbero davvero calmarsi.
Financial Times Big read 2-3.11

La politica UK La grande scommessa delle elezioni d'autunno in Gran Bretagna
(George Parker e William Wallis)

La strategia elettorale di Borsi Johnson richiede che i conservatori prendano seggi
dal Labour nelle aree depresse della working class del West Midlands e del Nord.
Ma la volatilità elettorale è la più alta da decenni

La scommessa d'inverno di Boris Johnson per mettere fine alla stasi della Brexit della
Gran Bretagna ha fatto venire un brivido a molti parlamentari del suo partito
conservatopre.
"E' come fare la birra" dice un torvo parlamentare Tory che si sta preparando per le prime
elezioni a dicembre da almeno 100 anni. " Ci metti un sacco di ingredienti ma non sai che
ne verrà fuori. Potrebbe scoppiarti in faccia".
Lo stesso team di Johnson ammette di non avere idea su come usciranno fuori le elezioni
più importanti di questa generazione ma c'è una diffusa consapevolezza che il risultato
plasmerà in modo decisivo il futuro del paese, la sua economia, il suo posto nel mondo, e
persino la sopravvivenza del regno Unito.
Il primo ministro, in carica da poco più di tre mesi, sta scommettendo tutto sulle elezioni
del 12 dicembre che si svolgeranno in un contesto di profonda divisione del paese, di
estrema volatilità del voto e con il sistema bipartito fatto a pezzi dalla Brexit.
"Certo è una scommessa" ammette un alleato di Johnson - specie dopo la m inaccia di
Farage di venerdì di esprimere candidati del Brexit party in tutto il paese contro i
conservatori e l'accordo rinegoziato con l'EU da Johnson.
Per Johnson c'è solo una strada per una vittoria chiara: fare un grosso buco nel "red wall"
dei seggi del Labour nelle aree working class del Midlands, Galles e Nord dell'Inghilterra.
Lo scontro sarà particolarmente intenso nel West Midlands, l'agglomerazione urbana
industriale centrata su Birmingham: delle 59 circoscrizioni della regione, tutti i seggi sono o
del Labour o dei Conservatori. Se Johnson riuscirà ad abbattere questa parte del red wall,
altri seggi sicuramente seguirebbero.
Con il calcio di inizio della campagna, ci sono alcuni segni positivi per Johnson a
Wolverhampton South West, un seggio combattuto che nel 2017 il Labour ha ottenuto con
solo 2000 voti di differenza.
Steve Perry, un buttafuori che ha votato Leave nel 2016, riflette come le fedeltà politiche
nella città con uno dei tassi di disoccupazione più alti del paese sacche di povertà ma in
cui la politica è stata capovolta dalle discussioni sulla Brexit.
"Normalmente voto Labour" dice Perry, "ma Jeremy Corbyn non ha idee. E' bloccato agli
anni '70. Non voterei conservatore ma Boris ha fatto quello che aveva detto. Farà le
elezioni per sbloccare la situazione" Una delle scommesse dei conservatori è che Corbyn,
con tutta la sua energia elettorale, finirà per essere uno svantaggio elettorale per molti
parlamentari Labour in campagna. "Non direi che gli piace Boris, ma la gente qui lo
preferisce a Corby" dice Perry.
Dato che, secondo un sondaggio Populus, il 40% ha detto che cambierebbe il suo voto
rispetto al 2017, è facile vedere perché questa è l'elezione più complessa da molti anni.
Willa Tanner, ex consulente dell'ex primo ministro Theresa May e direttore di Onward, un
gruppo di pressione Tory, ammette i rischi enormi di un'elezione anticipata in questo
ambiente così fluido. "Nessuno sa cosa sta succedendo nell'elettorato" dice "La volatilità
del voto è la più alta da decenni".

Trame di perdite e guadagni
Johnson entra nelle elezioni con un vantaggio a doppia cifra sul Labour, ma la montagna
che deve scalare resta intimidente. Nelle precedenti elezioni del 2017, May ottenne 318
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