EUROPA - Numero 1/2020 - Cgil
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Numero 1/2020 Il dibattito economico oltre i confini a cura dell'Osservatorio Economico e Finanziario Area Politiche di Sviluppo Redazione: Nicoletta Rocchi Angela Potetti Paolo Picariello Breve rassegna di quanto pubblicato negli ultimi mesi sulla politica economica, finanziaria e monetaria e sull’innovazione tecnologica. EUROPA
SOMMARIO: In questo numero pubblichiamo una piccola rassegna di articoli sull'Europa che abbiamo letto negli ultimi mesi. Cominciamo con il gruppo di interventi che affrontano la questione della Brexit e commentano le cause e le conseguenze delle ultime elezioni politiche in Gran Bretagna che ne hanno sancito la definitiva uscita dall'Unione Europea. Su Project Syndicate del 16.12 Jeffrey D. Sachs (prof. di Diritto della sostenibilità e di politica e gestione della saluta alla Columbia University) critica drasticamente il sistema elettorale maggioritario: Il sistema elettorale del Regno Unito è fallito. Considerato fondamentale strumento di stabilità politica basata sul sistema bi-partito, esso produce tuttavia - come dimostrato dalle ultime elezioni in Gran Bretagna - una situazione di governo in cui una minoranza mette sotto i piedi gli interessi e le preferenze della maggioranza dei cittadini. Anche The New York Times del 18.12 affronta questo aspetto: Il sistema che ha vinto le elezioni, sostenendo che il sistema maggioritario usato nell'UK e negli US può distorcere gravemente i risultati politici. Sempre su The New York Times del 16.12 vengono affrontati due altri aspetti del risultato britannico. Il primo: Johnson e la vittoria di Trump nel 2020. Nelle province depresse della precarietà istituzionalizzata, i lavoratori hanno abbracciato un vecchio etoniano privo di convinzioni, che ad occhio e croce non avrebbe nulla in comune con loro, se non la dichiarata volontà di portare l'UK fuori dall''EU. Così come i blue collar democratici hanno dato il loro voto a un demagogo miliardario come Trump. Il secondo: La nemesi del Labour: il partito conservatore vince nelle regioni della working class e cambia la mappa politica dell'UK: il Labour ha bruciato il suo "Red Wall" al nord e nelle Midlands lasciati indietro dalla de-industrializzazione del paese. Su Project Syndicate del 3.12: La calma dopo le elezioni della Brexit , Anatol Kaletsky (economista capo e copresidente della Gavekal Dragonomics) aveva già previsto la vittoria di Johnson e la conseguente uscita dell'UK dall'EU, con danni gravi di lungo termine al paese. Anche sul Big Read del Financial Times del 2/3.11, George Parker e William Wallis avevano analizzato la situazione pre-elettorale -La politica UK: la grande scommessa d'autunno in Gran Bretagna - anticipando che la strategia elettorale di Johnson era quella di conquistare i seggi laburisti del nord dell'Inghilterra. Sul Financial Times del 9.10, con l'articolo La Brexit è un viaggio senza fine, Martin Wolf aveva evidenziato, con preoccupazione, la degenerazione della democrazia rappresentativa in cui le elezioni sono state portate avanti come una battaglia del "popolo contro il parlamento": una forma di concezione della democrazia, quella del premier britannico, in cui il governo è, per mandato popolare, esercitato autoritariamente. Su Project Syndicate del 17.12, Robert Skidelsky (membro della camera dei Lord e prof. emerito di economia politica alla Warwick University) descrive Il post-
elezioni per la politica britannica, delineando una situazione in cui, uscendo dall'EU il 31.1.2020, il primo ministro britannico ripagherà il suo debito nei confronti dei numerosi sostenitori del Labour che hanno presto i loro voti ai conservatori. Ma portare a termine la Brexit non basterà ai Tories a per mantenere i loro seggi parlamentari. Sul Financial Times del 18.12: Johnson ha segnalato la sua strategia negoziale, l'articolo sostiene che anziché accantonare la linea dura conservatrice e adottare un approccio più flessibile al negoziato per l'accordo commerciale post-Brexit, le prime mosse del premier britannico segnalano invece la volontà di dare priorità all'accordo commerciale con gli US e di chiudere un accordicchio veloce e leggero che sarebbe dannoso per l'economia britannica. Un articolo sul Financial Times del 26.11, Gideon Rachman analizza i riflessi che la Brexit avrà sul teatro continentale, in particolare come La Brexit sovverte le relazioni franco- tedesche. Seguono alcuni articoli dedicati in particolare alla Germania, a cominciare da quello comparso su Social Europe del 21.11 firmato da Dalia Marin (presidente economia internazionale Università di Monaco), relativo alla nota e vexata questio: La Germania può ridurre il suo avanzo esterno: per anni, con il surplus delle sue partite correnti, la Germania ha scalato il resto del mondo. E’ il risultato di politiche che rientrano pienamente nel potere del governo che, se vuole, può cambiarle e, con l’economia indebolita, la scelta migliore sarebbe un’espansione degli investimenti pubblici. Sul Financial Times dell’11.11, Wolfgang Munchau mette in guardia dalla proposta del ministro delle finanze tedesche, il socialdemocratico Olaf Scholz, che ha dichiarato la volontà del suo governo di considerare un’assicurazione sui depositi bancari di dimensione europea: Perché l’EU dovrebbe essere diffidente sulle proposte di Scholz. In concreto, anche se a prima vista potrebbero sembrare un’apertura rispetto alla tradizionale indisponibilità tedesca in materia, esse non sono come appaiono. Su Project Syndicate del 10.10, Hans-Helmut Kotz: Germania contro BCE, sostiene che, con l’economia tedesca quasi in recessione, la giusta sollecitazione del presidente della BCE (allora Mario Draghi) affinché i governi usino maggiore stimolo fiscale, dimostrerebbe che l’interazione tra politica monetaria e politica fiscale ridurrebbe enormemente lo spazio ai critici che vogliono colpire il ruolo della banca centrale europea. Riproponiamo poi un articolo un po' vecchiotto che mantiene elementi di attualità, comparso sul Financial Times del 13.9 a firma Philip Stephen a commento del Forum Ambrosetti che si era tenuto in quei giorni con accenti non ottimistici: La Germania, l’euro e la scomoda verità. La regressione nell’eurozona appare pericolosamente come un inizio di recessione e tuttavia il quantitave easing della BCE, pur necessario non sarà sufficiente e la Germania non riuscirà a decidere su politiche fiscali adeguate in tempo utile. Su Social Europe del 12.11, Adam Tooze (professore di storia alla Columbia University) affronta la situazione politica all’interno del paese: L’impasse tedesco, evidenziando come sia la politica macroeconomica a impedire i necessari passi avanti
tedeschi ed europei. Infine due articoli di commento politico sulla situazione interna a quel paese, comparsi sul Financial Times. Il primo, è un Big Read del 5.9 di Tobia Buck che analizza la profonda divisione tra i tedeschi dell’est e dell’ovest, una divisione che riecheggia le divisioni presenti del Regno Unito e negli Stati Uniti, ma che è esacerbata dalla delusione economica e dalle rimostranze storiche. Il secondo compare sul Financial Times del 9.9: I lupi alle porte della Germania, a firma Constanze Steltzenmuller ( del Brookings Institution). L’autrice affronta apertamente i problemi enormi che l’unificazione tedesca, per come è stata realizzata, porta con sé e sostiene che i tedeschi democratici, di tutte le colorazioni politiche, debbono rendersi conto che i lupi sono alle porte e che debbono affrontare con urgenza le legittime preoccupazioni dei concittadini dell’est. Diamo ora conto di due interventi sulla Spagna. Il primo, comparso su Project Syndicate del 7.11 è scritto dal leader socialiste primo ministro spagnolo Pedro Sanchez: Catalogna, Spagna ed Europa stanno bene insieme. La tesi di Sanchez è che nessuno Stato consentirebbe mai la secessione unilaterale di un territorio che fa parte del suo ordine costituzionale. E nessun democratico dovrebbe sostenere il percorso intrapreso dei leader separatisti catalani che hanno ottenuto meno del 48% dei voti alle elezioni regionali. Sempre sul Financial Times del 12.11, un articolo redazionale fa il punto sulla situazione politica spagnola dopo le ultime elezioni: Sanchez non ha la soluzione giusta per governare la Spagna. E la tersi è che sono tutti responsabili (partiti mainstream e separatisti) dell’ascesa dell’estrema destra nel paese. Viene ora una serie di articoli a carattere più generale sullo stato dell’Unione e i suoi vari problemi, politici, economici e di governance. Iniziamo con un articolo comparso sul Financial Times dell’11.11: Macron ha suonato la sveglia all’Europa, sostanzialmente condividendo le preoccupazioni e i suggerimenti del presidente francese sulla fragilità dell’Europa e sulla necessità che essa si debba ripensare come potenza globale. Ci sono poi alcuni articoli che danno conto delle diversità di vedute sul ruolo dell’Unione Europea e dei suoi organismi decisionali. Su Project Syndicate del 6.12 Daniel Gros (presidente del Center for European Policy Studies) scrive: Quanto costerà il potere geo-politico dell’EU, manifestando forte scetticismo sull’ambizione manifestata dalla nuova presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen di posizionare l’EU come una potenza geopolitica in grado di reggere il confronto con US e Cina, sostenendo che l’Europa potrebbe rimpiangere ogni tentativo di sfruttare la propria forza economica nell’ambito della sua influenza geopolitica. Analogamente ma con orientamento diverso, su Project Syndicate del 28.11, anche Mark Leonard (direttore del Consiglio Europeo per le relazioni estere) affronta il tema: La creazione di una Commissione Europea “geopolitica”, sostenendo, in chiave propositiva, le sfide in settori chiave che vanno dai cambiamenti climatici alla sicurezza informatica alla
politica della concorrenza, che l’EU dovrà sostenere per avere successo. Segue un intervento improntato al più acuto pessimismo, comparso su Project Syndicate del 18.12: L’età dell’umiliazione nell’EU. Slawomir Sierakowski (fondatore del movimento Krytyka Polyczna e direttore dell’Istituto di studi avanzati di Varsavia) sostiene che l’EU sta chiudendo un 2019 apparentemente impotente e rassegnata di fronte alle sue sfide maggiori. Persistendo tale stagnazione, resta solo da chiedersi –sostiene l’autore – se l’Europa diventerà un satellite degli Stati Uniti o della Cina. Sempre su Project Syndicate del 12.11: L’Europa su una linea di faglia geopolitica, anche Ana Palacio (della Georgetown University) sostiene che la Cina ha cominciato a costruire un ordine internazionale parallelo, incentrato su se stessa. Se l’EU aiuterà tale costruzione, sostiene l’autrice, anche solo posizionandosi sulla linea di faglia tra Cina e US, rischia di rovesciare i pilastri fondamentali del proprio edificio e infine di collassare completamente. Alcuni interventi affrontano specifici problemi, come l’articolo comparso sul Financial Times del 13.9 a firma Ignazio Gentiloni: Una minaccia comune attraversa le diverse disgrazie finanziarie dell’EU. L’articolo affronta la carenza di strumenti dei supervisori della BCE per affrontare le crisi bancarie, da quelle dei giganti come la Deutche Bank a quelle di banche piccole e locali come Carige. Su Social Europe del 9.9 Marcello Minenna affronta il tema de nazionalizzazione del rischio dell’eurozona. L’autore sostiene con la consueta forza argomentativa la sua nota tesi e cioè che una zona euro senza condivisione del rischio rimane una zona euro a rischio. Sul Financial Times del 12.12 Mariana Mazzucato (prof. Economia dell’innovazione e del valore pubblico all’University College di Londra) sostiene che: Il Green New Deal europeo potrebbe essere il più importante di questa generazione. Poiché la crescita economica non ha solo un tasso, ma anche una direzione – è la tesi sostenuta – il lancio del Green Deal da parte della Commissione europea va preso seriamente perché definirà tale direzione in modi che stimoleranno la crescita, contrasteranno il cambiamento climatico e combatteranno la disuguaglianza crescente. Su Social Europe del 24.10, Per Hilmersson (vice segretario generale della Confederazione sindacale europea) critica il nuovo approccio della Commissione alla “legislazione onerosa” per la quale “ogni proposta di legge che crei nuovi oneri dovrebbe alleviare persone e aziende da un onere equivalente esistente a livello EU nello stesso settore politico”. Tale approccio ostacolerebbe il progresso verso un a maggiore sicurezza e salubrità dei luoghi di lavoro: “One it, one out” è un pericolo per la salute e la sicurezza di lavoratori. Su Project Syndicate del 28.11 Yanis Varoufakis scrive un intervento su I limiti di Lagarde, in cui sostiene che Mario Draghi si è dimostrato abile a lavorare con i ridicoli vincoli che lo hanno costretto a fare cose che nessun banchiere centrale dovrebbe mai fare. Il fatto è che chi gli è succeduto, Christine Lagarde, dovrà lavorare esattamente con gli stessi vincoli ridicoli. Da ultimo, sul Financial Times dell’8.11 un articolo redazionale dà conto delle critiche del ministro dell’economia italiano,
Roberto Gualtieri alla proposta del ministro delle finanze tedesco sul completamento dell’unione bancaria: L’Italia attacca i progetti di unione bancaria. Le proposte di Berlino sulle condizioni poste alla creazione di un sistema comune di protezione dei risparmiatori, secondo Gualtieri, ma non solo lui, sarebbero dannose per i lenders europei.
Project Syndicate 16.12 Il sistema elettorale del Regno Unito è fallito (Jeffrey D. Sachs prof. Di diritto della sostenibilità e di politica e gestione della salute alla Columbia University) Il sistema maggioritario è stato elogiato per aver promosso la stabilità politica producendo sistemi a due o quasi due partiti. Tuttavia, come dimostra il risultato delle recenti elezioni del Regno Unito, quel presunto beneficio arriva al prezzo di un governo in cui una minoranza può mettersi sotto i piedi gli interessi e le preferenze di oltre la metà della popolazione. Sulla questione più importante nella storia moderna del Regno Unito - se lasciare l'Unione Europea o rimanere - il sistema elettorale del Regno Unito ha prodotto un risultato assurdo. La maggioranza del pubblico del Regno Unito vuole rimanere nell'UE e in realtà ha votato di conseguenza alle elezioni parlamentari del 12 dicembre. Tuttavia, le elezioni hanno prodotto una grande maggioranza per il Partito conservatore, che sostiene una rapida Brexit. La ragione è tanto semplice quanto preoccupante: l'incapacità dei sistemi elettorali maggioritari di tradurre il sentimento pubblico in risultati ragionevolmente rappresentativi. In un sistema elettorale maggioritario, ogni seggio legislativo appartiene al candidato che ottiene la quota maggioritaria del voto, indipendentemente dal fatto che sia effettivamente la maggioranza. Pertanto, quando l'opinione della maggioranza è divisa tra più partiti, l'opinione minoritaria prevale con una minoranza di voti. Come semplice dimostrazione, supponiamo che ci siano tre partiti: Remain-1, Remain-2 e Leave. Supponiamo che in ogni distretto, il 66% del pubblico voglia rimanere e il 34% voglia andarsene, con gli elettori Remains divisi equamente tra i due partiti Remain. Remain-1 e Remain-2 ricevono ciascuno il 33% dei voti in tutti i distretti, mentre il Leave Party conquista il seggio distrettuale con il 34%. Se questo risultato viene replicato in tutti i distretti, il partito Leave ottiene il 100% dei seggi con il 34% dei voti nazionali. In un sistema nazionale di rappresentanza proporzionale, al contrario, i partiti rimanenti vincerebbero il 66% dei seggi e formerebbero il governo. Ovviamente, la situazione attuale nel Regno Unito è più sfumata. La Brexit non è stata l'unica questione della campagna e 11 partiti, non solo tre, hanno ricevuto almeno lo 0,4% dei voti nazionali. Di questi 11 partiti, otto - Labour, il Partito Nazionale Scozzese, i Democratici Liberali, Sinn Féin, Plaid Cymru, il Partito Socialdemocratico e Laburista, il Partito Verde e l'Alleanza (APNI) - hanno fatto una campagna per un secondo referendum sulla Brexit (un "Voto popolare") o per rimanere nell'UE. Tre degli 11 partiti hanno fatto una campagna per la Brexit senza un secondo referendum: i conservatori, il Partito Democratico Unionista e il Partito Brexit. In totale, gli 11 partiti hanno ricevuto il 98,6% dei voti, mentre dozzine di partiti minori hanno rappresentato il restante 1,4%. Gli otto partiti che fanno campagna per rimanere o tenere un secondo referendum hanno ricevuto il 52,2% dei voti, mentre i tre partiti che hanno fatto campagna per la Brexit senza un secondo referendum hanno ricevuto il 46,4% dei voti. Tuttavia, i tre partiti pro-Brexit hanno preso 373 seggi, rispetto a soli 277 seggi dei partiti Remains che puntavano a tenere un secondo referendum. Due sono le ragioni di questo risultato. Innanzitutto, il voto a favore della Brexit era quasi interamente concentrato in un solo partito, i Conservatori, che hanno ricevuto il 94% del voto complessivo per la Brexit. Il Labour, al contrario, ha ottenuto solo il 61% dei voti tra gli otto partiti contrari alla Brexit o che chiedevano un secondo referendum. Il primo ministro Boris Johnson ha unito i Brexiters. Il leader di Labour, Jeremy Corbyn, ha diviso i rimanenti. Il secondo motivo è che, in base al maggioritario, le schiaccianti maggioranze (70% o più)
garantite dai Remainers in alcuni distretti - ad esempio Londra e Scozia - equivalevano essenzialmente a voti sprecati; il partito ha ottenuto un solo seggio. In un sistema di rappresentanza proporzionale invece, tali voti contano per le percentuali di partito a livello nazionale. Le percentuali di voto della scorsa settimana erano in linea con i recenti sondaggi sulla Brexit. In un sondaggio particolarmente eloquente, condotto poco prima delle elezioni, i Remainers superavano il numero dei Leavers, 53% a 47%. La maggioranza degli elettori vuole rimanere, eppure il sistema elettorale ha prodotto una schiacciante maggioranza parlamentare per l'abbandono dell'EU. Il Regno Unito è solo una delle poche democrazie ad alto reddito - compresi gli Stati Uniti e il Canada (come eredità del Regno Unito) - con un sistema maggioritario. Se il Regno Unito avesse un sistema di voto proporzionale nazionale, come quasi tutta l'Europa continentale, oggi starebbe andando verso un secondo referendum sulla Brexit e sarebbe rimasto nell'UE. I risultati delle elezioni avrebbero probabilmente prodotto un governo di coalizione multipartitico contrario a una Brexit immediata. Un altro evidente problema, meno facilmente risolvibile, è che i giovani vogliono in modo schiacciante rimanere nell'UE, mentre gli anziani vogliono andarsene. Gli elettori più anziani stanno imponendo un futuro non voluto ai giovani ma che molto probabilmente produrrà conseguenze per il resto della loro vita. Il maggioritario è stato elogiato per aver promosso la stabilità politica producendo sistemi a due o quasi due partiti. I due principali partiti britannici hanno ricevuto il 76% dei voti e avranno l'87% dei seggi nel prossimo Parlamento. Tuttavia la stabilità è illusoria. Si è ottenuta al prezzo di un governo in cui una minoranza può schiacciare gli interessi e le preferenze di oltre la metà della popolazione. Quando ciò accade, la società diventa politicamente polarizzata. Nell'Europa continentale, la maggior parte dei governi sono coalizioni multipartitiche. Possono essere difficili da formare, ingombranti da mantenere e lenti ad agire. Tuttavia, il processo stesso di costruzione di una coalizione multipartitica impedisce a una minoranza di abbandonare il premio politico contro i desideri di gran parte della popolazione. La situazione è ancora più pericolosa negli Stati Uniti, dove le elezioni presidenziali installano un potente dirigente che domina un parlamento a due partiti: un sistema tre volte maledetto. In primo luogo, le due parti svolgono un pessimo lavoro nel rappresentare l'opinione pubblica, anche a causa del finanziamento plutocratico delle campagne congressuali statunitensi. In secondo luogo, un potere eccessivo è affidato alle mani di un singolo individuo. E in terzo luogo, a causa delle peculiarità dei collegi elettorali, il presidente può vincere con meno voti rispetto all'avversario, come è accaduto in due delle ultime cinque elezioni presidenziali. Nel 2016, Donald Trump ha avuto il 57% dei voti elettorali, nonostante abbia ricevuto 2,8 milioni di voti in meno rispetto a Hillary Clinton. Come ho scritto in precedenza e come confermano le recenti elezioni del Regno Unito, le due principali democrazie anglosassoni stanno fallendo. Ma stanno fallendo non solo a causa di un elettorato polarizzato, ma anche a causa del sistema elettorale vecchio e superato che produce governi che non rappresentano bene l'opinione pubblica.
The New York Times 18.12 Il sistema che ha vinto le elezioni Il sistema maggioritario usato dall'UK e dagli US può distorcere i risultati politici La risposta alla Brexit,alla vittoria elettorale del partito conservatore e a tutto nella politica britannica (con le scuse a Douglas Adams) è 336.038. Questo numero è quello che si ottiene quando si dividono i 3.696.423 voti totali assegnati in Gran Bretagna al partito liberal-democratico nelle elezioni della settimana scorsa per gli 11 seggi che il partito ha ottenuto. Per contro, il primo ministro Johnson ha portato alla vittoria il partito conservatore con una media molto più ristretta di 38.265 voti per ciascuno dei suoi 365 seggi- una differenza di circa dieci volte nella capacità dei partiti di trasformare i voti ottenuti in seggi conquistati. Il trionfo dei conservatori e il disastro dei liberaldemocratici sono stati entrambi il risultato, in larga parte, del fattore raramente discusso ma cruciale per comprendere il caos politico del paese: la Gran Bretagna, come gli US, funziona con un sistema elettorale maggioritario in cui i seggi in parlamento sono assegnati al candidato che ottiene in maggior numero di voti in ciascuna gara individuale anziché in proporzione al voto nazionale totale. La Brexit, che polarizza la Gran Bretagna in una nuova divisione politica dal referendum del 2016 in cui il paese ha votato di stretta misura l'uscita dall'EU, ha messo in forte rilievo i modi in cui i sistemi maggioritari possono distorcere i risultati politici. E 336.038 serve anche come epigrafe della carriera politica di Jo Swinson, la dinamica 39enne che è stata leader del liberaldemocratici fino ha quando ha perso il suo seggio alle elezioni. Solo pochi mesi fa, appariva trionfante, con il suo partito in forte ascesa nei sondaggi. Ma le ultime elezioni hanno messo fine alle sue speranze. Il maggioritario funziona bene all'interno di un sistema bi-partito ma non in caso di multipartitismo. Per la Gran Bretagna questo in genere non ha costituito un problema almeno fino a quando la Brexit non ha rotto le coalizioni stabili dei sue due principali partiti politici, creando un'apertura per gli sfidanti come i Liberlademocratici e il Brexit Party. "Quando non si hanno due partiti, il sistema maggioritario è realmente incapace di traslare le volontà degli elettori in saggi" ha detto Sara Hobolt, una politologa della London School of Economics. La debolezza è stata evidente nelle recenti elezioni in cui circa la metà dell'elettorato che si opponeva all'uscita dall'EU ha scoperto che il suo voto aveva solo una frazione del potere che avevano i voti conservatori pro-Brexit. Le cose sembravano molto diverse lo scorso settembre,quando Swinson salì sul palco alla conferenza del suo partito a Bournemouth, una città resort sulle coste meridionali dell'Inghilterra, Tra applausi scroscianti, promise un futuro in cui aveva sperato buona parte del suo paese dal referendum 2016:se il suo partito avesse vinto, avrebbe fermato la Brexit. In un sistema politico diverso, questo sarebbe stato il suo momento. "C'è un modello di sfondamento dei piccoli partiti" ha detto Hobolt, co-autrice di un libro in uscita sui partiti sfidanti in Europa. "Essi trovano un tema che tagliano attraverso le coalizioni dei partiti mainstream e lo sfruttano come un cuneo". In buona parte dell'Europa i temi che erano al cuore del dibattito sulla Brexit, come l'immigrazione e la partecipazione all'EU hanno rappresentato tale cuneo per i piccoli partiti. Nei paesi col sistema proporzionale,il risultato è stato un grande riallineamento dei partiti: invece dei due grandi partiti, di centro destra e di centro sinistra, molti paesi hanno ora 4 partiti divisi su linee sia economiche che sociali. In Germania, per esempio, i Partito dei Verdi all'estrema sinistra e il partito anti- immigrazione Alternativa per la Germania, all'estrema destra, hanno tolto sostegni ai partiti di centro destra e di centro sinistra che tradizionalmente dominavano la scena politica.
Sebbene questo significhi che nessun partito ottiene una completa maggioranza, le coalizioni e i compromessi offrono un modo per riflettere le opinioni degli elettori con una relativa accuratezza. Se la Gran Bretagna avesse un sistema proporzionale, i partiti pro-Remain avrebbero potuto formare una coalizione maggioritaria in parlamento. I Liberal democratici, il partito nazionale Scozzese, il Grren Party e il Labour, che avevano promesso di fermare la Brexit direttamente o attraverso un nuovo referendum, hanno ottenuto complessivamente più del 50% dei voti. Ma con il maggioritario, le cose sono andate in modo molto differente. Invece di dare ai votanti remainers l'opzione di una potente coalizione di governo, l'aumentata popolarità dei liberal-democratici e degli altri piccoli partiti ha diviso l'elettorato pro-remain, alla fine aiutando a dare la vittoria ai Brexiters di Johnson. Per esempio, a Kensington e Wimbledon, ricchi distretti di Londra che nel 2016 hanno votato remain, i candidati conservatori hanno strappato la vittoria con meno del 40% dei voti dopo che i votanti remain si sono divisi tra Labour e Liberaldemocratici. Nel maggioritario, dare il proprio voto fuori dai due partiti più grandi è una mossa rischiosa. "I sistemi a due partiti sono particolarmente problematici quando si hanno le dimensioni della trasversalità odierna" ha detto Hobolt, aggiungendo: "è realmente difficile sfondare come terzo partito in tale situazione". Riflettere la volontà del popolo può essere un suicidio politico. E questo ci porta a un altro mistero: perché Swinson e il suo partito non sono stati in grado di esercitare più influenza sulla piattaforma Brexit del Labour come invece è riuscito a fare il Brexit party sui conservatori? Per prevenire la minaccia posta dal Brexit Party, Johnson ha sostenuto la Brexit con ogni mezzo, considerandolo una cartina di tornasole per i politici conservatori, arrivando a espellere 21 parlamentari perché avevano votato per bloccare la Brexit senza accordo. Ma le pressioni dei liberaldemocratici non hanno avuto un effetto simile sul Labour party. Jeremy Corbyn, leader del Labour, ha accettato con riluttanza di tenere un nuovo referendum ma ha evitato di concentrarsi sul tema della Brexit enfatizzando invece la piattaforma economica del partito e l'impegno a espandere il welfare state. "E' una storia di geografia" ha detto Simon Hix,politologo della London School of Economics che studia la politica europea. La Brexit ha diviso il paese lungo linee geografiche così come èpolitiche: le grandi città cosmopolite hanno pesantemente votato remain, mentre le aree rurali e le città post-industriali che hannop avvertito scarso beneficio dalla globalizzazione, comprese le roccaforti del Lbour, hanno votato Leave. Il risultato è stato che i remainers conservatori si sono concentrati in un gruppo più piccolo di aree ricche, soprattutto a Londra, lasciando ai conservatori realativamente pochi seggi da conquistare. Gli elettori leavers del Lbour, d'altra parte, i sono più sparpagliati - mettendo a rischio molti più seggi del Labour.. Corbyn ha cercato di "avere la sua torta e mangiarsela" ha detto Hix. ma un'elezione in cui la Brexit era il tema saliente, la sua strategia si è dimostrata disastrosamente inefficace". Gli US non hanno piccoli partiti sfidanti simili al Brexit party o ai liberal-democratici. Ma il suo sistema delle primarie offre un'opportunità agli sfidanti populisti all'interno dei due partiti di sfruttare i temi cuneo. Questa strategia ha determinato la vittoria di Trump nelle primarie repubblicane del 2016. "La gente dice che la cosa buona nel sistema maggioritario è che non si hanno partiti radicali di destra" ha detto Holbot. "Ma c'è il pericolo che l'ala della destra radicale di un partito lo conquisti"
The New York Times 16.12 Johnson e la vittoria di Trump nel 2020 (Roger Coin) Nel suo racconto, Donald Trump avrebbe potuto sparare a qualcuno sulla quinta strada e avere vinto. Boris Johnson avrebbe potuto indurre in errore la regina, infrangere la sua promessa di portare la Gran Bretagna fuori dall'EU entro il 31 ottobre. Avrebbe potuto mentire sui turchi che stavano invadendo la Gran Bretagna e sul costo della EU membership. Avrebbe potuto costruire storie sulla costruzione di 40 ospedali nuovi. Avrebbe potuto raddoppiare i 460 milioni di sterline fantasma alla settimana che la Brexit avrebbe garantito al sistema sanitario nazionale - e tuttavia ottenere una vittoria a slavina mai vista per i Tory dai tempi del trionfo della Thatcher nel 1987. Ai britanni o per lo meno agli inglesi non è importato. Questa è la verità del 20esimo secolo. Volevano la Brexit; e formalmente, Johnson porterà la Gran Bretagna fuori dall'Europa il 31 gennaio 2020, anche se resteranno in piedi tutte le dure decisioni in merito alle relazioni con l'EU. Johnson è stato fortunato. Nel patetico. emetico Jeremy Corbyn, il leader uscente del labour Party, ha avuto di fronte il peggior candidato dell'opposizione forse di sempre. Nella stampa Tory, aveva un amico feroce, preparato a trascurare ogni scivolata. Nei sudditi britannici, stanchi della Brexit, divisi fin dal referendum del 2016 aveva i recettori perfetti del suo "get Brexit done". Johnson è stato anche abile a spuntare il Brexit party di estrema destra di Nigel Farage, che è ha avuto meno voti in molti seggi e ha preso un sacco di voti Labour nei seggi dove correva e non ha ottenuto niente. La working class britannica, concentrata nelle Midlands e al Nord ha abbandonato il labour Party per i Rories e per il nazionalismo di Johnson. Nelle province depresse della precarietà istituzionalizzata, i lavoratori hanno abbracciato un vecchio etoniano che sbraitava a proposito del potenziale britannico inespresso. Non a un milione di miglia di distanza dalla patria dei blue collar democratici che si sono spostati su Trump il miliardario e sulla demagogia di America first. Non è l'unico parallelo con la politica americana a meno di 11 mesi dalle elezioni. Johnson ha concentrato tutti i voti Brexit. Al contrario, i pro-Remai si sono divisi tra il Labour Party di Corbyn diviso al suo interno, gli sfortunati liberaldemocratici e lo Scottish National party. Per chi osserva le divisioni del Partito democratico a confronto con il fanatismo monolitico del movimento di Trump, ora rafforzato dalla procedura di impeachment, tutto ciò non può che spaventare. Anche il chiaro rifiuto del big government socialista del Labour appare di malaugurio per i democratici che credono che il partito può spostarsi a sinistra e vincere. La working class britannica ha respinto la nazionalizzazione delle ferrovie, della distribuzione dell'elettricità e della utilities dell'acqua dal momento che lo attaccavano a qualche burocrate senza volto di Bruxelles e - nella frase tanto immortale quanto priva di senso - si è ripresa il paese.. E' un mondo interamente nuovo. per vincere, i liberali devono toccare le emozioni della gente Anziché dargli lezioni oneste. Devono smettere di essere aridi. Devono rinfrescarsi e connettersi. Non è facile. Facebook raggiunge circa un terzo dell'umanità. E' più potente di qualsiasi partito politico - ed è pieno di cose non vere, di bigottismo di nonsenso. Come ha detto il mese scorso l'attore britannico Sacha Baron Cohen dei colossi dei social media: "La verità è che queste aziende fondamentalmente non cambieranno perché il loro modello di business si basa interamente basato sul generare più coinvolgimento e niente genera più impegno delle bugie, la paura e l'indignazione." Questa è la storia della Brexit, una tragedia nazionale. Questa è la storia di Johnson, l'uomo privo di convinzioni. Questa è la storia di Trump che trasforma in burattini le persone attraverso la manipolazione dell'indignazione e lo sprezzo della verità. Questa è la storia dei nostri tempi. Johnson vi si identifica e li rappresenta meglio di chiunque altro.
Gli riesce naturalmente. "La Brexit e Trump erano inestricabilmente legati nel 2016 e lo sono anche oggi" mi ha detto Steve Bannon. "Johnson prefigura una grande vittoria di trump. La gente della working class è stanca dei loro "migliori" a New York, Londra, Bruxelles che dicono loro come devono vivere e cosa fare. A rimanere schiacciato è stato il programma socialista di Corbyn e non l'uomo Corbyn. Se i democratici non imparano la lezione, Trump è sulla strada di una vittoria come quella di Reagan nel 1984". Penso ancora che Trump possa essere battuto, ma non da sinistra e non senza riconoscere che, come ha affermato Hugo Dixon, un leader della battaglia, ora persa, per un secondo referendum sulla Brexit: "c'è una crisi del liberalismo perché non abbiamo trovato il modo di connetterci alle vite delle persone nelle piccole città delle terre post- industriali desertificate la cui tradizionale cultura è stata strappata via". Johnson, anche con la sua maggioranza di 80 seggi, ha problemi. la sua vittoria ha riconciliato l'inconciliabile. La sua danarosa consorteria vuole trasformare la Gran Bretagna in un Singapore del libero mercato sul Tamigi. Il suo nuovo elettorato della working class vuole una combinazione di rule-Britannia greatness con il sostegno del finanziamento dello stato. E' un equilibrio delicato. La divisione della Gran Bretagna è diventata più probabile. Il forte Scottish National Party lascia presagire un secondo referendum per l'indipendenza scozzese. Questa volta scommetterei sull'addio degli scozzesi alla piccola Inghilterra. E poi c'è la piccola questione di cosa realmente significhi la Brexit. Johnsono avrà bisogno di tutta la sua buona fortuna. Come i miei lettori sanno, sono un appassionato patriota europeo che vede l'unione come la conquista più grande della seconda metà del 20esimo secolo e vede l'uscita della Gran Bretagna come un terribile atto di autolesionismo. ma credo anche nella democrazia. Johnson ha riportato la decisione al popolo e ha vinto. La sua vittoria deve essere rispettata. La battaglia per la libertà, il pluralismo, lo stato di diritto, i diritti umani, la libertà di stampa, l'indipendenza della magistratura, la respirabilità dell'aria, la pace, la dignità d l'umanità continua - ed è diventata ancor più critica ora che la Gran Bretagna si è irreversibilmente marginalizzata in un impeto di delusione nazionalista.
The New York Times 16.12 Come la nemesi del Labour ha bruciato il suo "Red Wall" nel nord . Il partito conservatore vince nelle regioni della working class e cambia la mappa politica dell'UK Arrancavano sotto una pioggia pungente verso i seggi elettorali, fiumi di persone che una volta davano forza alla sinistra britannica: ex minatori, impiegati di supermercato, insegnati in pensione, infermieri. Ma quando uscivano dal seggio, non avevano votato per il Labour, la parte che li aveva guidati in decenni di sollevazioni politiche, ma invece per la loro vecchia nemesi, il partito qui disprezzato da lungo tempo per avere chiuso le miniere e ristretto l'intervento pubblico: i conservatori. "Ho un backgrond Labojur: le miniere di carbone e le lotte contro la Thatcher e tutto il resto" ha detto Dawn Rdisdale, 56 anni, agente di commercio disoccupata fuori dal fienile trasformato a Barlborough dove ha votato. Si era opposta alla Brexit ma ora vuole qualcuno con la vena spietata del primo ministro che aveva chiuso le miniere, Margaret Thatcher, per risolvere una volta per tutte. "Il paese è tornato indietro" ha detto. "Purtroppo ho dovuto votare per Boris. E' il meglio in un brutto mazzo". Intende Boris Johnson primo ministro della Gran Bretagna, l'eccentrico upper-class che la settimana scorsa ha sfidato mezzo secolo di geografia politica per strappare al Labour la vecchia coalizione degli elettori delle piccole città, della working class delle Midlands e del Nord dell'Inghilterra, un blocco di seggi una volta considerato così inespugnabile da essere definito il Red Wall. Sono caduti almeno 9 seggi che sono appartenuti senza interruzione al Labour dalla seconda guerra mondiale. E' caduto un tipo di politica tribale nel nord dell'Inghilterra in cui le persone ereditavano le scelte elettorali dai loro genitori e nonni che trasmettevano attraverso le generazioni le lotte contro le chiusure delle miniere e i tagli della sicurezza sociale. Ed è caduto Dennis Skinner, il cosiddetto Beast of Bolsover, un ex minatore e parlamentare Labour in cui la fusione dei valori del socialismo con quelli pro-Brexit gli avevano dato per 49 anni il controllo di Bolsever, il collegio elettorale intorno a Barborough. Per il Labour, che ha subito la sua peggiore sconfitta elettorale del 1935, i risultati hanno segnalato la fine di un'era nella quale era stato in grado di ottenere voti sia nelle città fiorenti che nei villaggi minerari rimasti indietro. Le due ali del partito - pro e anti-migranti, giovani e vecchi, laureati e operai qualificati - si sono spaccate. "E' il distacco del Labour da grandi parti del paese con cui non sembra simpatizzare" ha detto Robert Tombs uno storico dell'Università di Cambridge. "Questo lascia il partito in una posizione decisamente atroce a lungo termine, a meno che non si reinventi miracolosamente". I grandi antichi partiti della sinistra hanno cominciato a svanire in Europa anni fa, quando le alleanze di classe sono svanite nell'economia post-industriale. ma le conseguenze di tale riallineamento politico in Gran Bretagna, come negli US, sono molto più gravi perché i loro sistemi bi-partito impediscono ai partiti di sinistra di risolvere le loro differenze dividendosi. La sinistra sta litigando su entrambe le sponde dell'Atlantico con il Labour e i democratici entrambi alle prese con una rancorosa battaglia tra giovani attivisti e elettori più moderati. I risultati delle elezioni in Gran Bretagna sono state una lezione su cui riflettere sulle conseguenze della distruzione di antiche alleanze del partito prima che ne siano germinate di nuove, hanno detto gli analisti.
"Ci sarà la sinistra culturalmente liberale che dice "non vogliamo allearci coi razzisti" e ci sarà la coalizione del partito economicamente di sinistra e socialmente conservatrice che dice "non ci alleiamo con persone che pensano che siamo razzisti" e è una controversia m olto molto difficile da risolvere" ha detto Rob Ford, professore di scienze politiche dell'Università di manchester. Venerdì mattina, i Britanni si sono svegliati con un Labour parti largamente consegnato alle città dell'Inghilterra. D'altra parte, i conservatori hanno imbrigliato la potenza della Brexit per assaltare distretti in cui il brand del partito è tossico da molte generazioni. nel farlo, hanno replicato il successo del presidente Trump che nel 2016 ha fatto una breccia nel cosiddetto Blue Wall in stati come il Michigan e il Wisconsin, sfruttando una combinazione del messaggio anti-migranti con il dissolvimento delle fedeltà di classe per conquistare seggi appartenuti ai democratici. La grande incognita è se giovedì i britannici hanno votato per una riallineamento permanente o solo per una soluzione sufficiente a portare a termine la Brexit e a superare la disastrosa leadership di Jeremy Corbyn. Ma fuori dai pub, dalle chiese, dalle scuole e dai trailer in cui le persone di Bolsover hanno votato, era chiaro che molti ex elettori Labour si sentivano per il momento più a casa nel partito conservatore di Jonhson che in qualunque altra parte. Lamentavano un decennio di promesse non rispettate, molte delle quali fatte dal partito conservatore, ma conquistati all'idea di Johnson che da biasimare era l'elite politica e non il suo partito. Ribollivano di rabbia: verso i migranti, verso l'economia post-industriale britannica e verso lo sguardo costante dei media dell'informazione e l'elite politica del sud, verso Londra. E soprattutto, le persone che costituivano la vecchia base del Labour a Boldsover si sono liberati dei sentimenti appassiti su Corbyn, sputando epiteti - Marxista, simpatizzante terrorista,idiota - su un uomo che li ha resi molto più infelici di quanto avesse potuto un vecchi etoniano come Johnson. A Bolsover, la città mercato al centro di questo tentacolare distretto, un elettore, Thomas, ha indicato dal seggio elettorale il luogo dove ha trascorso 30 anni come minatore. Pur con tutto il suo pericolo, l'attività mineraria aveva mantenuto la promessa di un lavoro sicuro e di una giusta paga, insieme ai vantaggi della protezione del sindacato ora assente nelle industrie che hanno sostituito la miniera. Ma per Thomas e sua moglie Christine, che non hanno voluto dare il loro cognome perché non vogliono che gli amici sappiano come hanno votato, la frustrazione per il declino della regione si è collegato con la rabbia verso i lavoratori migranti che hanno preso i loro lavori low-wage che hanno sostituito l'attività mineraria. " Il lavoro dovrebbe andare agli ex-nminatori e non agli stranieri" ha detto Christine a proposito di un magazzino sul sito di una vicina miniera. "Invece vedi ex minatori gettati al macero". Gli elettori del labour da una vita hanno rotto con buona parte del partito sostenendo la Brexit e poi alla fine hanno smesso di votarlo a causa della leadership di Corbyn che, ha detto, è dominata da un'agenda economica troppo di sinistra e da una leadeship centrata su Londra. "Fa male" ha detto Thomas, sebbene non stutta la sua fedeltà è andata perduta. "Sono ancora un uomo del Labour. Voterò di nuovo Labour quando si libererà di tutta questa roba". Il riallineamento politico britannico comporta rischi anche per il partito conservatore. Proprio come i repubblicani negli US hanno preso il sud solo per scoprirsi improvvisamente incapaci di conquistare seggi in luoghi come il New England, cos' anche i Conservatori rischiano di perdere i loro elettori socialmente liberali se saranno dominati dalle terre del nord, ex cuore Labour, ha detto il professor Ford. Al tempo stesso, in un paese sempre più diverso, il Labour parrty alla fine beneficerà di un suo allineamento coi valori socialmente liberal - ma non subito e non senza che i suoi
sostenitori si diffondano in tutto lo spettro elettorale, ha detto Tim Bale, professore di scienze politiche alla Queen Mary University di Londra. Molti elettori di Bolsover hanno descritto un allontanamento dal Labour iniziato anni fa, ben prima della Brexit, determinato dal consumarsi dei legami con il sindacato e dal fatto che la ledership Labour tendeva a identificarsi con la crescente immigrazione. Ma è stata la Brexit che ha cementato i loro voti ai conservatori. Se l'idea di rifare un secondo referendum aveva preso piede a Londra, agli elettori di Bolsover, sia leavers che remainers, sa è suonata come una seria minaccia alla legittimità democratica. "C'è stato un referendum e la volontà di uscire dal'EU del popolo malgrado le mie opinioni personali" ha detto Craig Beddow, un lavoratore del commercio dell'area. Egli non coltiva alcun affetto verso Johnson che definisce "il peggior leder conservatore di tutta la mia vita". Barry Salt, un altro elettore, ha sentimenti simili e dice che Johnson è "un pazzo" ma che Corbyn è peggio. "Trasformerebbe questo in uno stato comunista se fosse lasciato solo". Molti elettori conoscevano e amavano Skinner, il parlamentare di più lunga data che correva per un seggio alle elezioni e qualche lealista del Labour ha detto che nulla avrebbe potuto sviare il suo voto. "Avrei votato per un asino con una rosa rossa su di lui" ha detto Jason Vardy, un bookmaker riferendosi al simbolo del Labour. Ma per altri, quello che era sbagliato in Skinner era proprio essere un parlamentare Labour. Malgrado le visioni pro-Brexit del parlamentare, l'etichetta Labour lo ha messo dalla parte delle elite delle grandi città che guadano dall'alto in basso il nord. "Se non fosse un uomo del Labour, sarebbe brillante" ha detto Malcolm Shaw, un militare veterano ex votante Labour, dopo avere spuntato la casella per i conservatori.
Project Syndicate 3.12 La calma dopo le elezioni della Brexit (Anatol Kaletsky capo economista e co-presidente di Gavekal Dargonomics) Se, come previsto, Boris Johnson vincerà il prossimo voto del Regno Unito, la Brexit andrà avanti e causerà danni a lungo termine al Paese. Ma per i prossimi anni, quasi nulla delle relazioni del Regno Unito con l'Unione Europea è probabile che cambi, perché Johnson può - e quasi certamente lo farà - prolungare il periodo di transizione. Mancano meno di due settimane alle elezioni britanniche che risolveranno definitivamente la questione dell'adesione all'Unione europea e l'ansia sta sorgendo su entrambi i lati della Manica. Con sondaggi di opinione che indicano una chiara vittoria per i conservatori di Boris Johnson, molti finanzieri e commentatori dei media hanno ripreso a preoccuparsi di una caotica Brexit. Ciò danneggerebbe non solo il Regno Unito, ma anche il resto dell'Europa, che esporta quasi il doppio nel Regno Unito rispetto alla Cina. Altri ancora temono un turbamento elettorale che potrebbe rendere Jeremy Corbyn, un marxista non pentito, il primo ministro di un governo laburista intenzionato a rinazionalizzare le industrie, rilanciando la guerra di classe degli anni '70 e minando la NATO. Entrambe queste ansie sono ingiustificate. La possibilità di una rottura economica UE- Regno Unito del tipo che ha causato ansia comprensibile quando Johnson è stato eletto leader Tory in estate, è diventata trascurabile. E, nell'improbabile caso in cui Corbyn vincesse, c'è letteralmente zero probabilità che una qualsiasi delle politiche radicali contenute nel manifesto del lavoro sarà attuata, perché l'unica alternativa immaginabile a una vittoria di Tory è un altro parlamento sospeso, in cui il labour non avrebbe la maggioranza e dovrebbe fare affidamento su altre parti per governare. Inoltre, questo governo esisterebbe esclusivamente allo scopo di negoziare un nuovo accordo "soft" sulla Brexit, simile all'adesione della Norvegia allo Spazio economico europeo, e quindi di tenere un referendum per approvare il nuovo accordo o annullare del tutto la Brexit. Una volta completato questo referendum "final say", un'altra elezione diventerebbe inevitabile, perché non ci sono altre politiche del labour che le altre parti sosterrebbero. Che dire del risultato più probabile delle elezioni, e cioè che Johnson vincerà? I timori ora riguardano un nuovo tipo di crisi "no deal", derivante dalle preoccupazioni per il periodo di transizione post Brexit, quando il Regno Unito manterrà i benefici e gli obblighi dell'adesione all'UE, ma ne sarà formalmente fuori. L'accordo di recesso firmato in ottobre prevede un periodo di transizione fino alla fine del 2020, con una possibile proroga per altri due anni. Reagendo alle rigide denunce di "Brexit solo di nome" Johnson ha dichiarato nel suo manifesto elettorale che "non prolungheremo il periodo di attuazione oltre il dicembre 2020" e invece ha promesso di negoziare un accordo commerciale completo tra Regno Unito e UE entro 12 mesi. Ciò non accadrà: nessuna delle due principali economie ha mai negoziato un accordo commerciale in meno di 3-4 anni. A peggiorare le cose, l'accordo di recesso prevede che la decisione sull'opportunità di estendere la transizione sia presa a giugno, alimentando la preoccupazione (a volte al limite del panico ) di una nuova scadenza "no deal" il 1 ° luglio.
Tali paure sono infondate. Perché prendere dare eccessivo valore alla promessa di Johnson di non allungare la transizione? Johnson ha promesso ripetutamente di lasciare l'UE entro il 31 ottobre "senza se e senza ma." E dopo che il parlamento ha approvato una legge che richiedeva di prorogare questa scadenza, ha promesso di "morire in una fossa" piuttosto che obbedirla. Ma quando è arrivato il 31 ottobre, tutte le "strategie segrete" di Johnson per eludere la legge si sono rivelate illusorie e si è quindi assicurata la proroga senza troppe storie. Se Johnson ora otterrà la rielezione, dopo aver infranto una delle più ferme promesse mai fatte da un politico britannico agli elettori, perché non dovrebbe infrangere un'altra promessa, meno importante, di cui pochi elettori ordinari sono persino a conoscenza? Da un punto di vista strettamente economico, è rassicurante che " la carriera di Johnson si basi sulla mendacità casuale ", per citare il principale commentatore politico del Financial Times.. Nel tentativo di prevedere in che modo i leader come Johnson prendono decisioni difficili, è spesso saggio ignorare le promesse e concentrarsi su interessi economici e politici. Se Johnson viene rieletto, quale sarà il suo interesse economico? La sua massima priorità sarà quella di dimostrare che il suo "fantastico accordo sulla Brexit" ha reso l'UE un processo indolore e ha miracolosamente stimolato la crescita economica. Sarebbe folle rischiare una crisi finanziaria durante il suo primo anno in carica, escludendo una proroga della transizione o accettando una ripartizione degli scambi se, come è quasi certo, un accordo commerciale dell'UE non può essere completato in soli 12 mesi. Il chiaro interesse economico di Johnson sarà quindi di allungare la transizione post-Brexit oltre il dicembre 2020, probabilmente impiegando tutti e tre gli anni per intero. Che dire degli interessi politici? Finora, nella sua breve carriera da Primo Ministro, Johnson ha fatto affidamento su Brexiteers in Parlamento per sostenerlo, e la chiave della sua strategia elettorale è stata quella di superare il Partito Brexit di Nigel Farage. Per raggiungere entrambi questi obiettivi ha dovuto respingere qualsiasi possibilità di estendere la transizione post Brexit. Ma questi calcoli politici presto si invertiranno. In termini di opinione pubblica, superare le elezioni del partito Brexit diventerà irrilevante. Inoltre, molti elettori pro-Brexit saranno soddisfatti una volta che la Gran Bretagna avrà lasciato le istituzioni politiche dell'UE, senza preoccuparsi dei negoziati commerciali e di mercato che proseguiranno noiosamente. Anche la leva parlamentare dei Brexiteers duri diminuirà dopo le elezioni. Johnson aveva bisogno dei Brexiteers del suo partito per eleggerlo come leader e tenerlo in carica senza una maggioranza in Parlamento. Ma tutti i parlamentari Tory si sono ora impegnati per iscritto a votare incondizionatamente per l'accordo di recesso di Johnson. Se vincono la maggioranza, i Tories approveranno l'accordo di recesso. E una volta avvenuto ciò, i futuri negoziati sul commercio dell'UE, compresi gli accordi di transizione, non saranno più soggetti all'approvazione parlamentare fino al completamento di un accordo, sia nel 2020, 2021 o oltre. Il risultato è che le relazioni economiche Regno Unito-UE rimarranno pressoché invariate per un lungo periodo, qualunque cosa accada alle elezioni di questo mese. Se Johnson perde, la Brexit verrà ritardata e probabilmente annullata. Nel caso più probabile che vinca Johnson, la Brexit andrà avanti e causerà danni a lungo termine alla Gran Bretagna. Ma per il prossimo anno o due, le preoccupazioni dovrebbero davvero calmarsi.
Financial Times Big read 2-3.11 La politica UK La grande scommessa delle elezioni d'autunno in Gran Bretagna (George Parker e William Wallis) La strategia elettorale di Borsi Johnson richiede che i conservatori prendano seggi dal Labour nelle aree depresse della working class del West Midlands e del Nord. Ma la volatilità elettorale è la più alta da decenni La scommessa d'inverno di Boris Johnson per mettere fine alla stasi della Brexit della Gran Bretagna ha fatto venire un brivido a molti parlamentari del suo partito conservatopre. "E' come fare la birra" dice un torvo parlamentare Tory che si sta preparando per le prime elezioni a dicembre da almeno 100 anni. " Ci metti un sacco di ingredienti ma non sai che ne verrà fuori. Potrebbe scoppiarti in faccia". Lo stesso team di Johnson ammette di non avere idea su come usciranno fuori le elezioni più importanti di questa generazione ma c'è una diffusa consapevolezza che il risultato plasmerà in modo decisivo il futuro del paese, la sua economia, il suo posto nel mondo, e persino la sopravvivenza del regno Unito. Il primo ministro, in carica da poco più di tre mesi, sta scommettendo tutto sulle elezioni del 12 dicembre che si svolgeranno in un contesto di profonda divisione del paese, di estrema volatilità del voto e con il sistema bipartito fatto a pezzi dalla Brexit. "Certo è una scommessa" ammette un alleato di Johnson - specie dopo la m inaccia di Farage di venerdì di esprimere candidati del Brexit party in tutto il paese contro i conservatori e l'accordo rinegoziato con l'EU da Johnson. Per Johnson c'è solo una strada per una vittoria chiara: fare un grosso buco nel "red wall" dei seggi del Labour nelle aree working class del Midlands, Galles e Nord dell'Inghilterra. Lo scontro sarà particolarmente intenso nel West Midlands, l'agglomerazione urbana industriale centrata su Birmingham: delle 59 circoscrizioni della regione, tutti i seggi sono o del Labour o dei Conservatori. Se Johnson riuscirà ad abbattere questa parte del red wall, altri seggi sicuramente seguirebbero. Con il calcio di inizio della campagna, ci sono alcuni segni positivi per Johnson a Wolverhampton South West, un seggio combattuto che nel 2017 il Labour ha ottenuto con solo 2000 voti di differenza. Steve Perry, un buttafuori che ha votato Leave nel 2016, riflette come le fedeltà politiche nella città con uno dei tassi di disoccupazione più alti del paese sacche di povertà ma in cui la politica è stata capovolta dalle discussioni sulla Brexit. "Normalmente voto Labour" dice Perry, "ma Jeremy Corbyn non ha idee. E' bloccato agli anni '70. Non voterei conservatore ma Boris ha fatto quello che aveva detto. Farà le elezioni per sbloccare la situazione" Una delle scommesse dei conservatori è che Corbyn, con tutta la sua energia elettorale, finirà per essere uno svantaggio elettorale per molti parlamentari Labour in campagna. "Non direi che gli piace Boris, ma la gente qui lo preferisce a Corby" dice Perry. Dato che, secondo un sondaggio Populus, il 40% ha detto che cambierebbe il suo voto rispetto al 2017, è facile vedere perché questa è l'elezione più complessa da molti anni. Willa Tanner, ex consulente dell'ex primo ministro Theresa May e direttore di Onward, un gruppo di pressione Tory, ammette i rischi enormi di un'elezione anticipata in questo ambiente così fluido. "Nessuno sa cosa sta succedendo nell'elettorato" dice "La volatilità del voto è la più alta da decenni". Trame di perdite e guadagni Johnson entra nelle elezioni con un vantaggio a doppia cifra sul Labour, ma la montagna che deve scalare resta intimidente. Nelle precedenti elezioni del 2017, May ottenne 318
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