ME VS. PHOTAGRAPHY Nuove Proposte: Me Vs. Matteo Procaccioli
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ME VS. PHOTAGRAPHY Nuove Proposte: Me Vs. Matteo Procaccioli La fotografia di Matteo Procaccioli ha catturato la mia attenzione fin da subito. Tuttavia, capire quale fosse l’aspetto che più mi teneva incollata allo schermo a osservare le sue immagini mi ha richiesto varie riflessioni. A quale conclusione sono giunta? L’elemento che mi incanta della fotografia di Matteo è la scelta del punto di vista. Il punto di vista è un concetto chiave in fotografia e rappresenta allo stesso tempo una partenza e arrivo. È un punto di partenza perché chiunque scatti una foto prende sempre una posizione e un punto di vista nei confronti di ciò che è di fronte all’obiettivo. Contemporaneamente, scegliere il proprio punto di vista, esserne consapevoli e sviluppare la propria fotografia attorno alla decisione presa è una dote di pochi. Leggete assieme a me questo scampio di opinioni con Matteo. Ogni fotografia racconta più storie e parte delle storie che racconta una fotografia riguardano proprio l’autore: quale parte di te, della tua storia, racconti con le tue fotografie? Credo che la fotografia tocchi simultaneamente lati diversi. Il semplice scatto spesso contiene l’essenza del fotografo, chi è realmente in quel momento, l’insieme delle sue esperienze, dei suoi pensieri. Può sembrare banale, ma è come in una libreria: si dice che a volte siamo noi a scegliere un libro, altre volte è il libro a scegliere noi. Per le storie e i progetti fotografici è lo stesso. Amo raccontare la “quotidianità” di ciò che ci circonda, ma i miei soggetti non sono le persone bensì le architetture, le città e perché no anche
ciò che fa parte del passato come l’archeologia industriale. Mi piace osservare e catturare la vita delle varie realtà urbane sotto forma di architetture. In che rapporto stanno nella tua visione “tradizione” e “sperimentazione”? La tradizione a suo tempo è stata in qualche modo sperimentazione, quindi credo che le due cose coesistano da sempre in modo complementare. L’una non potrebbe esistere senza l’altra. Inizio a sperimentare sempre da una base “tradizionale”, da una conoscenza acquisita, osservata in precedenza. Non si può creare nulla di nuovo se con un occhio non guardiamo indietro. Il passato è la nostra più grande fonte di ispirazione, la nostra musa.
C’è un aspetto della fotografia che ritieni che solo un fotografo possa cogliere rispetto a un osservatore? Il fotografo è un grande osservatore, guarda e poi “vede”. La foto è il risultato di questo processo. Lo sguardo che credo appartenga a molti fotografi è molto critico, indagatore, non credo si guardi mai distrattamente qualcosa. Si cerca sempre di capire se un particolare soggetto, situazione, contesto, possa essere interessante. Le vere fotografie vengono scattate dalla nostra mente, la fotocamera è solo un mezzo per tradurre e materializzare i frutti della nostra immaginazione.
Qual è stato il tuo percorso nell’avvicinarti alla fotografia? E quali sono stati i fattori o le influenze che hanno fatto crescere il tuo gusto e il tuo stile. E’ iniziato tutto con un regalo, la classica situazione di quando non si sa esattamente cosa regalare a un ragazzino. Beh…quell’oggetto misterioso si chiamava fotocamera! Mi incuriosivano le persone, essendo cresciuto in un paesino di 4000 anime nella campagna marchigiana, i volti caratteristici non mancavano di certo. Non nascondo che all’epoca tradivo una certa timidezza e usavo la fotocamera come una sorta di filtro tra me e le varie realtà che immortalavo, ovvero la vita di tutti i giorni. Talvolta ancora oggi la uso come filtro per osservare il mondo esterno. Per pura casualità in una libreria, mi sono imbattuto in un libro con delle fotografie di Giacomelli e da quel giorno ho iniziato a scattare solo in bianco e nero. Quei forti contrasti e quella grana, rendevano i suoi lavori quasi pittorici e la cosa mi incuriosiva moltissimo, anche se i miei di risultati non erano propriamente gli stessi. Ero affascinato da Maestri come Cartier-Bresson, Elliott Erwitt, Irving Penn… da quella poeticità e cruda realtà che traspariva dai lori lavori, quell’uso eccezionale della luce e delle ombre, quel senso di atemporalità. Mi parleresti del progetto Microcities? Microcities è un progetto nato in modo sorprendentemente casuale mentre ero in aereo di ritorno dalla Cina. Sentivo il bisogno di allargare la visuale, di avere un panorama più ampio ed esaustivo e di scrutare da un punto di vista migliore le varie realtà plasmate dall’uomo. Proprio per questo motivo ho scattato alcune fotografie dal finestrino dell’aereo per ingannare il tempo. Il risultato mi ha colpito e così ho iniziato a interpretare i miei voli come una sorta di diario non scritto, ma fatto di immagini. Un diario che riporta un punto
di vista totalmente differente da quello a cui ero abituato. Di solito prediligo una prospettiva da “protagonista” all’interno delle varie realtà urbane, ma in questi nuovi lavori ho subito il fascino dello spettatore che osserva meravigliato un mondo che per brevi istanti si fa molto piccolo…Micro. La tua prossima sfida fotografica: Matteo Vs.? È sempre una continua sfida, ma non essere mai soddisfatti di ciò che si produce, credo sia in qualche modo contro producente e non uno stimolo. Lo scatto perfetto non esiste, sono le emozioni di chi osserva e apprezza un lavoro che, indirettamente ci avvicina alla personale concezione di perfezione che ognuno di noi ha dentro di se. Più che Matteo Vs. direi Matteo “Cum”… Ogni sfida è una buona compagna.
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