MANOVRA: LA MONTAGNA HA PARTORITO IL TOPOLINO di L.

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MANOVRA: LA MONTAGNA HA PARTORITO IL TOPOLINO di L.
MANOVRA:  LA   MONTAGNA  HA
PARTORITO IL TOPOLINO di L.
Mazzei

                                               Era
inevitabile. Non si può scodinzolare a Bruxelles e fare fuochi
pirotecnici a Roma. La montagna delle promesse elettorali ha
così partorito il topolino di una manovra economica che più
scialba non si può. Che le promesse della destra fossero solo
carta straccia per gonzi già lo sapevamo, ma la mestizia con
la quale il nuovo esecutivo si accinge alla Legge di bilancio
è già tutto un programma.

Quella legge ancora non c’è, ma ieri il governo ne ha
disegnato la cornice completando la Nadef (Nota di
aggiornamento al documento di economia e finanza). E nel
quadro programmatico che ha approvato c’è già tutto quel che
conta: interventi millimetrici e ad impatto zero su fisco e
pensioni, interventi assolutamente insufficienti per
combattere il caro energia.

Il giudizio politico ha da essere dunque chiaro e severo: il
nuovo governo inizia nel segno del totale asservimento alle
politiche, ai dogmi ed ai diktat della cupola eurista. Quella
cupola che Meloni è andata ad omaggiare senza ritegno a
Bruxelles il giorno prima della riunione del Consiglio dei
ministri.

Ma entriamo nel merito. Perché diciamo che l’intervento sul
caro energia è del tutto insufficiente è presto detto. Le
risorse stanziate fino alla fine del 2023 sono pari a 30,5
miliardi (md) di euro. Di questi, 9,5 md verranno spesi subito
con un apposito provvedimento che verrà varato la prossima
settimana. Dunque, per il 2023 l’intervento sarà ridotto a
“soli” 21 md. Scriviamo “soli” tra virgolette, perché la cifra
potrebbe sembrare invece notevole. Ed in generale lo è,
peccato che l’intero intervento sui 14 mesi che vanno da ora
alla fine del prossimo anno (i già citati 30,5 md) sia meno
della metà di quello realizzato nei 14 mesi precedenti (circa
64 md).

Abbiamo visto nell’ultimo anno come anche quella cifra monstre
sia stata insufficiente. Da novembre 2021 alla fine di ottobre
di quest’anno il prezzo del gas è salito del 67% rispetto
all’anno precedente, portando la spesa della cosiddetta
“famiglia media” (quella che consuma 1.400 metri cubi di
metano all’anno) a 1.702 euro. Peggio ancora è andata con
l’energia elettrica, con un aumento del 109% ed una spesa per
le “famiglie tipo” (consumo annuo di 2.500 Kwh) che è passata
da 632 a 1.322 euro all’anno. Ma non è finita. Mentre per il
gas ci sarà una tregua del tutto temporanea a novembre (con
bollette in calo del 12,9%), per l’energia elettrica è già
deciso un ulteriore aumento del 59% nel trimestre in corso.
Una cifra che potrà essere contenuta solo in minima parte
dalle nuove misure che vedranno la luce la prossima settimana.

Se nel 2022 è andata in questo modo con un intervento così
consistente dello Stato, come potrà andare meglio nel 2023
quando questo intervento sarà più che dimezzato? Ora, gli
ottimisti potranno pensare che l’anno prossimo i prezzi
scenderanno da soli. Come no, basta crederci! In realtà tutti
gli analisti sanno che non andrà così. Anzi, nei primi mesi
del 2023 è assai probabile che i prezzi del gas vadano in
tensione per una evidente ragione stagionale. Ma il peggio,
come del resto è avvenuto quest’anno, è previsto per la
prossima estate, quando la corsa al riempimento dei serbatoi
nazionali dovrà fare i conti con una carenza stimata dai 30 ai
50 miliardi di metri cubi.

Naturalmente, i soliti ottimisti potranno illudersi in una
Russia sconfitta, piegata ed asservita agli interessi
occidentali al punto da riprendere le forniture al prezzo
deciso a Bruxelles. Quante possibilità ha di realizzarsi
questo scenario? Direi, molto vicine allo zero. Ma questo lo
sanno tutti, solo che la volontà di proseguire la guerra alla
Russia impedisce di dirlo. La conseguenza è che si naviga alla
giornata, come lo stesso Giorgetti ha candidamente ammesso.

E nel navigare a vista, il governo ha intanto infranto un
tabù. Quello scostamento di bilancio che tutti (da Draghi a
Letta a Meloni) consideravano una bestemmia, si è reso invece
necessario proprio per l’intervento novembrino di 9,5 md. In
questo modo il deficit del 2022 è passato dal 5,1 al 5,6% del
Pil, ma la bestemmia essendo stata preventivamente concordata
con i capoccioni dell’Ue è adesso benedetta dai media del
regime. Miracoli imposti dalla dura realtà!

Ma una bestemmia tira l’altra, ed i 21 md stanziati contro il
caro energia per il 2023 vengono anch’essi da un extra-
deficit, con un incremento previsto del disavanzo del prossimo
anno che passa dal 3,4 al 4,5%. In altri tempi si sarebbe
gridato allo scandalo. Oggi no, perché quel che conta è la
prosecuzione dello sforzo bellico contro la Russia, mentre gli
effetti negativi sui conti pubblici verranno largamente
assorbiti dall’inflazione.

E’ questo un punto che va capito bene. Mentre l’inflazione è
un disastro per decine di milioni di italiani, in particolare
per quelli a reddito fisso, oggi privi di qualsiasi meccanismo
di recupero salariale (com’era invece un tempo con la scala
mobile); per il bilancio dello Stato l’inflazione è
un’autentica manna, uno strumento col quale svalutare il
debito senza sforzo alcuno. Poiché deficit e debito vengono
calcolati sempre in rapporto al Pil, e poiché il Pil nominale
incorpora l’inflazione, è solo grazie a quest’ultima che si
può aumentare il deficit riuscendo al tempo stesso ad
abbassare il rapporto debito/Pil.

Tutto questo dovrebbe insegnarci come i fenomeni economici (ma
non solo quelli) debbano essere sempre esaminati da tutti i
punti di vista. Perché ciò che è una maledizione per i più,
può essere invece una benedizione per qualcun altro.

Tuttavia, il fatto che l’inflazione giochi questo ruolo, non
ha intenerito più di tanto i cuori dei capintesta dell’Ue.
Aumentare il deficit sull’energia va bene, dato che è
necessario non perdere troppo consenso sulla guerra;
aumentarlo per altri scopi non se ne parla proprio. Eccoci
arrivati a quello che abbiamo definito “impatto zero” su tutte
le altre questioni. Nella prossima Legge di bilancio ogni
nuova spesa dovrà essere coperta da nuove entrate nello stesso
settore. Ad esempio, se si vorrà migliorare qualcosa sulle
pensioni, lo si dovrà fare peggiorando qualcos’altro sempre
nel campo previdenziale.

In questo modo non si farà assolutamente nulla di importante.
Anzi, è abbastanza probabile (per non dire certo) che per le
classi popolari il bilancio sarà del tutto negativo. Basti
dire che per compensare i pur minimali aumenti di spesa
previsti si parla di tagli al superbonus per i condomini, di
una nuova spending review e – soprattutto – di un taglio al
Reddito di cittadinanza.

Il governo Meloni è solo all’inizio della sua navigazione, ma
come sempre il buongiorno si vede dal mattino. Come avevamo
previsto, alla scelta di accovacciarsi impauriti sotto le ali
tutt’altro che protettrici di Bruxelles e Washington,
corrisponde quella di dar prova della propria esistenza in
vita sul lato identitario. Da qui il revival salviniano sui
migranti e, soprattutto, le pretese autoritarie contenute nel
decreto che ha preso a pretesto i rave party per colpire la
libertà di manifestare.

Insomma, una Meloni tutta ordine e disciplina. Ma soprattutto
molto ordinata e disciplinata nei suoi signorsì a chi di
dovere.

E’ già l’ora che la nuova opposizione batta un colpo!
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