Tramonto a oriente massimo rizzante - archivio di saggi 13

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TRAMONTO A ORIENTE

© 2013 Massimo Rizzante
massimo rizzante, tramonto a oriente

    La letteratura in Europa, in Occidente – tutti i bec-
chini dell’arte lo ripetono da tempo – non ha più po-
sto: «Ha perduto la sua autorità spirituale... Nessuno
ne sente un vero bisogno...», dicono in coro i becchini.
Da più di trent’anni ha rinunciato a condividere l’esi-
stenza di coloro che vivono ai margini della società. Una
volta, grazie a una parola inventata da un celebre filo-
sofo francese, lo si chiamava engagement. Chi si ricorda
più di Jean Genet quando con la sua pièce teatrale Les
Paravents prendeva violentemente posizione contro il
colonialismo francese e per l’indipendenza di un pae-
se, l’Algeria, da dove venivano molti dei suoi amici? La
letteratura ha rinunciato anche al fascino di rimanere in
disparte. Lo si chiamava snobismo, a volte nutrito da un
altro sogno dell’Occidente: l’esotismo, quell’attrazione
romantica dei Chauteaubriand, dei Nerval, dei Flau-
bert, dei Delacroix per l’Oriente, per il deserto, per le

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fate morgane, per una sensualità carica di mistero... È
stato anche il caso, nel XX secolo, di Paul Bowles giun-
to in Marocco nel 1947, allorché accoglieva negli anni
cinquanta e sessanta tutti gli scrittori in fuga dagli Stati
Uniti: Truman Capote, Tennesse Williams, Gore Vidal,
Brion Gysin e poi la pattuglia della beat generation: Al-
len Ginsberg, William S. Burroughs, Gregory Corso,
Jack Kerouac, Peter Orlovsky... Era un’epoca in cui lo
scrittore pensava, in modo romantico, di trovare alla pe-
riferia del mondo occidentale una vulnerabilità capace
di liberarlo dagli incubi del progresso economico e so-
ciale. Si trattava allo stesso tempo di una guerra contro
l’Occidente e di una fuga dall’Occidente. Quell’epoca è
finita. Genet muore nel 1986 e il suo corpo è sepolto a
Larache, nel nord del Marocco. Bowles muore nel 1999
a Tangeri. Nella primavera di quello stesso 1999, ricor-
do che ero a Parigi. Le forze NATO bombardavano la
Serbia di Milosevic, rea di perseguitare da ormai dieci
anni la popolazione musulmana del Kosovo: l’Europa
si guardava allo specchio e scopriva, impaurita, di es-
sere anche musulmana. Da allora l’Oriente, in tutte le
sue declinazioni e varianti umane, è seduto accanto a
me, in treno, in bus, mi cammina a fianco per strada.
L’Altrove è qui e la letteratura europea – cosa questa
che i becchini dell’arte non dicono – sembra nel frat-
tempo aver rinunciato anche a una terza opzione, molto
più fertile: concepirsi essa stessa come il risultato delle
numerose influenze che ha saputo accogliere nel cor-
so dei secoli. Strano, in piena globalizzazione, la let-
teratura europea si provincializza. Abbandona quello

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che un tempo si chiamava cosmopolitismo. Oggi, per
quanto la retorica del multiculturalismo sia diventata
il rumore di fondo delle nostre società avanzate, non
c’è quasi nessuno a testimoniare la forza e la ricchez-
za dell’albero della letteratura europea le cui radici non
sono solo greche, latine, giudaiche, spagnole, francesi,
anglosassoni, italiane, tedesche, portoghesi, ma anche
orientali... E soprattutto a ribadire che esse non sono
mai solo nazionali, ma frutto di incontri inattesi e di un
dialogo infinito tra epoche diverse. Penso che oggi più
di ieri il posto dello scrittore europeo sia ai confini del-
le sue labili frontiere... Eppure sono passati venticin-
que anni dalla prima edizione del 1978 di Orientalismo,
opera dell’intellettuale americano di origine palestinese
Edward W. Said di cui quest’anno cade il decimo an-
niversario della morte. Quel libro – diventato oggi un
libro di testo nelle università (e recentemente ripubbli-
cato da Feltrinelli con traduzione di Stefano Galli) –,
a causa del suo presunto antioccidentalismo, fu molto
criticato da diverse discipline accademiche che se av-
vallarono il suo punto di partenza – l’Oriente è stato
per secoli e secoli una versione dell’Occidente e l’orien-
talismo uno strumento culturale di dominio politico e
economico dell’Occidente sull’Oriente – misero altresì
in rilievo molte carenze storiografiche: l’orientalismo,
insomma, come campo di studi specifico, soprattutto
nel XX secolo e soprattutto in Europa, era riuscito ad
affrancarsi dal peccato originale e a far conoscere real-
tà spesso trascurate. In molti settori del mondo arabo,
poi, è stato letto come una difesa dell’Islam e dei popoli

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arabi: una sorta di apologia dei vinti contro i vincito-
ri, nonostante Said in molte occasioni avesse ripetuto
di non aver avuto interesse, né tanto meno le capacità
di mostrare cosa fossero il vero Oriente o l’Islam. Said,
nel suo saggio, utilizza alcuni concetti cari a Gramsci e
a Foucault, ma il suo giudizio ideologico non prevale
su quello più profondamente conoscitivo. Il richiamo
originario di Said è a Giambattista Vico e a Nietzsche.
Del primo riprende l’osservazione basilare che «la sto-
ria umana è fatta da esseri umani». Gli uomini sono gli
artefici della loro storia e perciò tutto ciò che possiamo
conoscere è stato fatto dall’uomo: la guerra per il con-
trollo di un territorio così come la lotta conseguente per
imporne un modello sociale e culturale che non gli ap-
partiene. Del secondo assorbe l’intuizione genealogica
fondamentale per cui “l’identità” non è altro che una
costruzione umana che cambia e fluttua nel tempo e che
per definirsi ha continuamente bisogno di qualcun altro,
di altri, di realtà diverse, perfino opposte, senza le quali
nessuna identità potrebbe sussistere. Che cosa sono il
nazionalismo, la xenofobia, il provincialismo culturale
se non manifestazioni di questa difficoltà ad accettare
l’essenziale instabilità dell’identità umana? È difficile
vivere nella consapevolezza di tale instabilità. Spesso è
la paura che vince. Ora, chi ha paura non è mai solo in
un modo completamente diverso da chi come dice Said
a proposito di Genet, è «innamorato dell’altro»: chi ha
paura vede o immagina intorno a lui sempre un «intru-
so» che ci spia e gracchia parole incomprensibili, e che
il più delle volte è un nemico. Così quasi tutto il male

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che viene commesso è commesso per paura... Questo
ci ha insegnato Said: per quanto da secoli l’Occidente,
con i suoi scrittori, conquistatori, politici, storici, abbia
voluto imporre un’immagine interessata e minacciosa
dell’Oriente, non c’è nessuna essenza islamica, non c’è
nessun Oriente, ma ci sono tante sue costruzioni stori-
che del passato e del presente che attendono di essere
interpretate e perfino inventate... Said, che come il titolo
della sua autobiografia ricorda, si è trovato «sempre nel
posto sbagliato», sempre in bilico tra due culture e in
nessun posto a casa, ben conosceva il valore dell’identi-
tà ma come ogni spirito lucido e antiromantico non ne
cercava l’origine, sapendo che la sua stessa ricerca è un
prodotto della nostra coscienza storica. Preferiva pen-
sare, al contrario di Bergson, che l’uomo è libero nella
misura in cui non coincide mai con se stesso...

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