MANGIA MENO CON L'AVANZARE DELL'ETÀ PER DECADIMENTO FISIOLOGICO

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Causa I.R.P.A.I. 01
  MANGIA MENO CON L’AVANZARE DELL’ETÀ PER DECADIMENTO FISIOLOGICO

PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
Ricordando quanto già detto nella prima parte di questo studio, la senilità porta di
per sé all’inappetenza ed allo squilibrio del quadro organico. Esempi di scompensi
che diminuiscono la fame sono carenza di zinco e riduzione della increzione degli
ormoni elaborati dal corticosurrene e la corretta funzionalità dell’ipotalamo. A ciò si
aggiunga che “da quanto emerge dalla letteratura sembra che i segnali periferici di
sazietà come una rallentata motilità gastrica, l’eccessiva attività di leptina e insulina,
la produzione post prandiale di ormoni anoressizzanti, possano prevalere sul
sistema centrale della fame. La diminuzione dell’appetito e dell’introduzione di cibo
nel soggetto anziano sano è stata definita 'anoressia dell’invecchiamento' che può
essere causa di malnutrizione.” (così il dott. Residori Luigi presentava nel 2007
all’interno dell’abstract della propria Tesi di Dottorato presso l’Università degli Studi
di Verona come la senilità possa portare ad inappetenza su base neurologica).
Si possono incontrare due categorie di ospiti nel trattamento dell’inappetenza per
senilità, decadimento fisiologico e povertà dei centri nervosi della fame, vale a dire:
      - Anziani recettivi, con demenza lieve o assente;
      - Anziani non recettivi, con afasie sensoriale o globale e/o demenza
          moderata/grave.
La capacità di input comunicativo è molto importante nel trattamento del disturbo,
poiché se l’ospite sa entrare in nitida relazione col tecnico (cioè comprende ed
elabora i messaggi a lui rivolti), è possibile cercare una collaborazione per garantire,
con reciproco impegno, un apporto nutrizionale sufficiente per scongiurare il calo
ponderale di peso.
Se l’ospite invece non è in grado di recepire ed elaborare i messaggi che riceve,
l’imposizione di uno “sforzo” ad alimentarsi ed idratarsi in quadro di inappetenza
risulterà arduo e molto più difficoltoso. In comorbilità al problema, in questi casi si
presenterà sicuramente anche una difficoltà nell’output, vale a dire nel comunicare
i propri bisogni.
Si distingueranno dunque due casi nell’ipotesi di trattamento del paziente che
risulta inappetente per decadimento fisiologico e senilità, in base al grado di
recettività.

CASO 1:
Il signor Bruno ha 78 anni ed è istituzionalizzato da 3, come caso sociale. Le sue
capacità motorie gli permettono di conservare tutte le autonomie salvo l’igiene;
l’ospite si sposta con deambulatore, e necessita sporadicamente di aiuto nei
passaggi posturali, in primis l’alzata. Vive la quotidianità comunitaria con serenità.
Non presenta segni dementigeni né disturbi comunicativi.
Da poco meno di una settimana, rifiuta il pasto e l’idratazione, restituendo
gentilmente quanto ricevuto ed asserendo di non aver fame. Nonostante il digiuno,
l’evacuazione e la minzione rimangono regolari, seppur quantitativamente ridotte.
La psicologa incontra il signore per prima, in una sala polivalente, e conferma
l’assenza di decadimento cognitivo, depressione o altre cause apparenti di
inappetenza.
Interrogato sul perché non voglia mangiare, spiega che semplicemente non ha fame
né sete. La psicologa gli chiede se sia consapevole del fatto che il digiuno possa far
rischiare un calo della qualità della vita, ma Bruno di tutta risposta ammette di
sentirsi più affaticato (verosimilmente per scarso apporto nutrizionale, n.d.r.), ma
afferma di apprezzare altre attività durante il pasto rispetto al mangiare, quali ad
esempio guardare la Tv.
Il momento del pranzo viene preceduto dall’osservazione dell’educatrice
professionale, che esclude vi sia incoerenza nel posto a sedere di Bruno: in altre
parole, sembra non abbia visioni sgradevoli né stimoli allo scompenso emotivo, né
si nega il pasto per accudire i compagni seduti vicino, coi quali anzi ride e scambia
convenevoli.
Il logopedista, verificate le condizioni sanitarie (non vi sono diabete, intolleranze
alimentari, diverticoli, reflusso o disturbi intestinali), chiede all’ospite di sforzarsi di
mangiare, per poterlo osservare.
Il signore consuma il primo boccone senza problemi, non si rileva disfagia. All’invito
di consumare tutto il pasto, l’ospite esegue il compito, ed il professionista lo osserva
questa volta da una posizione a lui distante, per non creare inibizione. Il pasto viene
consumato completamente. Si intervista dunque l’ospite, chiedendo se si senta
pieno o sazio, ed a questa domanda, Bruno risponde di non percepire cambiamenti
in sè. Si capisce che non vi sia disabilità sensoriale gustativa perché descrive anche
ciò che ha mangiato, complimentandosi per il sapore.
Supponendo che l’episodio di inappetenza sia da considerarsi isolato, si lascia
l’ospite in tranquillità, con l’indicazione agli Oss di spronare verbalmente e
gentilmente il signore a mangiare, quando non volesse; è sufficiente aspettare 24
ore per capire che il semplice sollecito non è sufficiente a convincere l’ospite ad
alimentarsi.
Il medico, visitandolo, prevede di escludere nei limiti di una palpazione addominale
la presenza di masse allo stomaco, sulla superficie del quale non percepisce dolore,
malformazioni o anomalie.
Gli unici momenti nei quali Bruno assume qualcosa sono quelli più cerimoniosi:
sembra che l’ospite si “sforzi” di mangiare e bere spontaneamente solo quando gli
viene offerto il caffè, o quando ad esempio viene regalato il dolce per celebrare il
compleanno di un coetaneo del nucleo. Quelle stesse pietanze, credendo che siano
più appetenti rispetto ad altre, vengono proposte come portata principale del
pranzo, per quanto la cosa non sia ideale sotto il profilo nutrizionale; in ogni caso,
non sono accettate da Bruno alla pari delle altre, che consuma con sforzo solo
quando si sente obbligato, come ad esempio se sospetta che il rifiuto di esse possa
creare un dispiacere verso chi gliele ha fornite.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
Per esclusione, si riconduce la causa del rifiuto del pasto con maggiore probabilità al
decadimento fisiologico legato alla senilità ed all’inibizione dei centri nervosi della
fame. Essendo il paziente recettivo e responsivo, si individuano alcune strategie per
ovviare al problema, che puntano alla stimolazione del consumo degli alimenti a
prescindere dalla percezione di fame/sete, creando contesti invitanti all’assaggio e
rinforzando al massimo l’apporto nutrizionale di quanto assunto.
     - Counselling atto ad instaurare un patto di collaborazione: il signore viene
         messo al corrente che rifiutare il pasto senza nemmeno consumarne una
         piccola parte può essere motivo di penalizzazione e difficoltà per gli
         operatori ed il personale che si prende cura di lui. Non va mortificato nel
         comunicare questa informazione né va fatto sentire “ricattato”, ma
         semplicemente va stimolata quantomeno l’assunzione di una porzione
         degli alimenti proposti;
     - Piccoli pasti dilazionati nella giornata: la presentazione di un piatto colmo
         di cibo può risultare avvilente per l’ospite inappetente, che si sente
         scoraggiato a priori poiché intuisce che non riuscirà a finirlo. È necessario
         invece presentare diversi piccoli “spuntini” nel corso della giornata, al di là
         dei 5 canonici (colazione, pranzo, cena e due merende) per stimolarlo a
         mangiare in compagnia. Un momento ad esempio nel quale possa essere
         appagante mangiare può risiedere all’interno delle attività dove vengono
         fornite in premio caramelle e marmellate, come la tombola;
     - Scelta degli alimenti ed uso di integratori: anche se si è visto che in questi
         casi non vi siano pietanze più appetenti di altre, la scelta delle stesse va
         ponderata e pesata in base alle esigenze nutrizionali. In altre parole,
         essendo ridotta la quantità di cibo assunto a disposizione, bisogna
         verificare che vi sia un giusto apporto di proteine e carboidrati, e di fibre
         per l’evacuazione (quando stabilmente idratato), a seconda del BMI del
         paziente e della sua condizione sanitaria. Altresì è molto importante
         inserire nei pasti integratori specifici (iperproteici, ipercalorici, con fibre
         ecc.), per rendere al massimo l’introito calorico e dei nutrienti. Questi
         prodotti sono pensati per la loro diluizione all’interno della portata, e
         spesso sono solubili o liquidi. La cucina e/o chi prepara le portate dovrà
         impegnarsi ad aumentare la loro concentrazione; il dietologo od il
         nutrizionista saprà indicare anche alimenti di uso comune capaci a
         sopperire al problema in base alla situazione, scegliendo ad esempio
         l’associazione al condimento di burro d’arachidi, lardo sciolto, cioccolato,
         zucchero ecc.
     - Coinvolgimento dei familiari: un momento nel quale l’ospite è stimolato a
         mangiare anche in assenza di appetito può risiedere nella visita (gradevole)
         dei familiari. In questi lassi di tempo, è importante addestrare il care-giver
         ad offrire molti spuntini con valore affettivo e stimolante, quali il regalo di
         un caffè con integratore, l’assaggio della frutta di casa o di una prelibatezza
         preparata ad-hoc ecc.;

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-     Sala da thè come momento edonistico per l’idratazione: la “Sala da thè”
      invernale ed il “Chiosco” estivo, argomentati nel paragrafo 4.15.1 sono
      degli spazi collettivi nei quali viene offerto in contesto ludico e conviviale
      una serie di bevande pensate per essere invitanti, contestuali e gustose.
      L’ospite inappetente per decadimento fisiologico può trovare in questa
      attività un piacevole “obbligo” di bere, stimolato in modo gentile e con
      approccio naturalistico a consumare un bicchiere in compagnia. Anche gli
      altri compagni della comunità possono sollecitarlo ad idratarsi; in questi
      casi è necessario, pur rispettando le indicazioni sanitarie quali diabete e
      disfagia, fornire quanti più bicchieri riesca ad accettare, almeno due da
      200mml due volte al giorno con camomilla serale, così da fornire 1 litro
      intero di liquidi/die al di fuori dei pasti. Queste stesse bevande è
      opportuno siano impreziosite a livello nutrizionale apportando un valore
      calorico di surplus (può essere utile in questo caso, se consentita, la
      somministrazione di bevande quali Coca Cola o l’integratore stesso).
- Altre strategie: nella nostra esperienza, attività di cucina dove l’ospite
      prepara da solo i propri alimenti e di stimolazione olfattiva, nelle quali
      descrive quanto percepisce e rimembra nell’odorare una spezia, non
      hanno indotto gli ospiti di questo tipo ad alimentarsi in misura maggiore o
      a sentirsi più appetenti. Ciononostante, rimangono delle strade senza
      controindicazioni, favorevoli da seguire.
Il signor Bruno, dopo il colloquio di counselling avvenuto con l’equipe, dimostra
interesse ed impegno nell’assumere almeno il primo od il secondo dei pasti
principali, cosa che viene verificata con cordialità ed in modo apparentemente
informale dal logopedista che si fa carico di complimentarsi con l’ospite e
ringraziarlo della sua tenacia nel mantenere la promessa data. Non c’è un
grande successo nel consumo dell’integratore liquido che dà senso di pienezza
e pesantezza, e dunque esso viene limitato alla mattina come colazione, che
l’ospite riesce a portare a termine per il volume ridotto (75mml) ed il digiuno
della notte. Frequenta almeno due volte al giorno lo spazio “Sala da thè”, dove
consuma 1-2 bicchieri anche grazie al supporto degli ospiti suoi amici che lo
stimolano ad assaggiare le bevande e far loro compagnia. I familiari, che
vengono a trovarlo quotidianamente, sono stati addestrati a portare pietanze
preparate in casa molto caloriche e ben condite, col consenso del medico e
della direzione della struttura: Bruno le gradisce e le consuma sentendosi in
dovere di farlo, per non aver reso vana la fatica dei suoi cari. Partecipa anche
ad attività di cucina durante le feste ed alla cura dell’orto, dove si svolgono
progetti di stimolazione olfattiva con spezie e reminiscenza, ma da queste due
ultime procedure non trae particolare beneficio sul piano alimentare.
Ad oggi si stima che l’ospite consumi circa 1300kcal al giorno e 1,5 litri di
bevande. Supportato anche da una terapia (a base di zinco) per accentuare
l’appetito, assume un quantitativo calorico accettabile in base al proprio
quadro e quanto più possibile bilanciato nelle componenti, mantenendo stabile
il BMI.
CASO 2:
La signora Novella compie 91 anni il giorno in cui accede in struttura. Proviene dal
domicilio dove ha sempre vissuto in salute, ma dopo uno scompenso cardiaco
avvenuto circa 50 giorni prima con possibili conseguenze neurologiche, il carico
assistenziale diventa importante ed il figlio e la figlia decidono di continuare ad
assistere la mamma in istituto. Viene riferito che la signora non si alimenta da
giorni, e durante le prime 48 ore presso la struttura di ricovero non ha voluto
mangiare né idratarsi, pur essendo potenzialmente autonoma nell’azione.
Alla prima osservazione, la signora appare apatica, ma quando si interagisce con lei
risponde ed entra in contatto con lo sguardo. L’eloquio rivela un’afasia di tipo
Transcorticale Sensoriale: la signora ode ma non comprende quanto le viene detto,
parla in modo fluente con gergo talvolta incomprensibile ma contenibile (sembra
logorroica ma non torrenziale), non sa denominare gli oggetti che indica, tuttavia sa
ripetere quanto le viene detto ed infatti comincia un discorso del tutto
inconcludente ed apragmatico a partire dalle ultime parole di quanto ascoltato
immediatamente prima di avviarlo. Il disturbo della comunicazione linguistico-
verbale è importante, e la signora Novella non può comprendere gli inviti ad
alimentarsi né spiegare le motivazioni della sua inappetenza.
La valutazione della psicologa racconta che l’ospite è tranquilla salvo durante i
tentativi di somministrazione del pasto e della terapia: in quel momento non si
riesce a contenere l’eloquio, calmo, ed al contatto del cucchiaino con le labbra
Novella si agita e diventa aggressiva, colpendo per scacciare il care-giver, infermiere
o familiare che sia. Le uniche proposizioni che ricorrono nell’eloquio afasico
ripetono di non aver fame, non volere, aver già mangiato. Non vengono riportate
allucinazioni ma un grave deficit di memoria a breve termine, ed ad un secondo
incontro il logopedista riesce a verificare l’assenza di piaghe nel cavo orale che
possano farle male.
Novella accetta la visita del medico, che vede nel rifiuto del cibo non solo il
problema più importante, ma fondamentalmente l’unico presente a livello
sanitario. In quel momento non assume terapia con effetti psicotici né sembra
provocatoria quando lasciata in pace.
Al quarto giorno di digiuno, la TAC mostra una lesione a livello dell’incrocio parieto-
temporo-occipitale, in linea col quadro descritto dai professionisti.
L’ipotesi che formula l’equipe è la seguente: il rifiuto del pasto deriva dal non
percepire appetito (inibizione dei centri nervosi della fame, senilità, disfunzioni ad
essa legate), inficiato dall’incapacità linguistica sia di comprendere che di produrre
correttamente, dalla mancanza di memoria a breve termine che pur facendo
mantenere la consapevolezza della nutrizione come sostentamento fa
“dimenticare” di essere a digiuno, in ospite che non gradisce il contatto fisico.
Viene prescritta una terapia atta a stimolare la fame. Mentre i tentativi di
somministrazione del pasto da parte degli operatori si concludono ancora prima di
iniziare per opposizione della signora, i figli tentano di alimentarla a qualsiasi ora del
giorno, con procedure del tutto sbagliate e conseguentemente inconcludenti.
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La figlia propone le pietanze a lei più gradite, preparate in casa, alla stregua di un
bambino: offre lunghe storie per stimolarla ad accettare il boccone, ma il deficit in
input dell’afasia transcorticale sensoriale ne impedisce la comprensione anche solo
di una singola frase. Le è difficile accettarlo, poiché l’ospite all’apparenza è attenta e
fissa l’interlocutrice. Il figlio, invece, scoppia episodicamente in manifestazioni di
rabbia dove insulta e cerca di ricattare o mettere in soggezione la madre, che non
comprendendo appare quasi provocatoriamente impassibile. Talvolta forza
l’imbocco, agitando la signora che serra la rima labiale.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
Ricondotta la causa del rifiuto del pasto con maggiore probabilità all’inibizione dei
centri della fame e/o dei neuroni del piacere, è molto difficile per i disturbi
comunicativi e di memoria approcciare un trattamento di qualsiasi tipo. Vista la
massa fisica dell’ospite, sovrappeso, si ritiene lecito prendere del tempo nella
speranza di una riorganizzazione delle aree cerebrali e nella plasticità neuronale
post-stroke, avvisando intanto la famiglia della necessità di valutare una forma di
nutrizione artificiale.
Casualmente si osserva un evento importante: mentre il figlio mangia un’arancia
raccolta da un cesto nella camera dell’ospite, la signora di propria iniziativa se ne
prende una, la sbuccia e consuma in autonomia. Osservando la ripetibilità della
prestazione si giunge alla stesura di una strategia:
     - Attivazione dei neuroni specchio per imitazione: continuando a mangiare
          altre arance, anche la signora Novella ha proseguito ad alimentarsi in
          autonomia con le stesse. Così è stato anche per lo yogurt sino al pasto
          completo, seppure in quantità accettabilmente ridotte. L’esperimento non
          si ripeteva se tutti i presenti non mangiavano la stessa pietanza, od anche
          uno solo non mangiasse affatto. Si è potuto affermare che i neuroni
          specchio inducessero la signora a ripetere l’azione che vedeva svolgersi. In
          sala da pranzo, dove il gruppo è più numeroso, l’evento non succedeva, e
          Novella sembrava disturbata dalla confusione, perdendo subito il compito.
Nei giorni successivi, ogni pasto è stato svolto in presenza dei familiari e del
logopedista, in camera con setting silenzioso e privo di inferenze (es. tv spenta),
dove ogni partecipante mangiava ben visibile a tutti gli altri la medesima pietanza,
sia in fatto di quantità che di colore ed ausili (stessi piatti, stessa postura da seduti,
stessa porzione). Anche per la terapia orale, la soluzione è stata quella di inserirla
nel bicchierino da caffè dell’ospite, ed ognuno avrebbe bevuto il proprio. Ad oggi la
signora viene assistita con soddisfazione dai figli ed assume regolarmente una
quantità sufficiente di calorie.

In conclusione:

Nell’anziano l’inappetenza può essere un evento fisiologico legato al decadimento
 generale, ed anche senza altre complicanze può portare al rifiuto del pasto sino
 alla malnutrizione. Le cause più specifiche attorno alle quali è possibile studiare
una terapia farmacologica sono riconducibili a carenza di zinco, riduzione della
   increzione degli ormoni elaborati dal corticosurrene, la corretta funzionalità
     dell’ipotalamo, l’eccessiva attività di leptina e insulina, la produzione post
prandiale di ormoni anoressizzanti, la rallentata motilità gastrica e l’inibizione dei
 centri nervosi della fame e/o dei neuroni del piacere, creando una condizione di
                           'anoressia dell’invecchiamento'.
  Nel paziente recettivo è possibile instaurare una collaborazione per mezzo del
counselling con l’obiettivo di intraprendere un percorso stimolante l’appetenza; le
attività proposte possono essere l’offerta di piccoli pasti dilazionati nella giornata
 e l’allestimento di uno spazio adibito a “Sala da thè” come momento edonistico
per l’idratazione. Andranno sempre scelti gli alimenti più calorici ed è consigliabile
  l’uso di integratori, sempre nella coerenza del quadro clinico e coinvolgendo i
  familiari. Attività di cucina dove l’ospite prepara da solo i propri alimenti e di
  stimolazione olfattive nelle quali descrive quanto percepisce si rivelano meno
                           efficaci ma lo stesso proponibili.
   Nel paziente che non comunica efficacemente, l’approccio diventa molto più
  complesso rispetto all’analogo che sa comprendere i messaggi ed esprimere i
       propri bisogni. A tal proposito si invita a considerare la strategia della
   stimolazione dei neuroni specchio per imitazione: questa procedura avviene
    facendo condividere il momento del pasto con i care-givers in setting molto
tranquillo ed al minimo inquinato, dove tutti i partecipanti assumeranno una alla
volta le pietanze in medesima forma, quantità, aspetto e postura, reciprocamente
  ben visibili. Questa misura ha l’obiettivo di far imitare al paziente l’azione che
                 vede, e dunque di consumare il pasto “per riflesso”.

                             Causa I.R.P.A.I. 02
             PRESENTA SENSO DI SAZIETÀ E DI PIENEZZA PIÙ RAPIDO

PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
Alla luce di quanto riportato nel caso precedente, si invita a riflettere sul fatto che
l’inibizione dei centri della fame e dei neuroni del piacere sia una condizione
differente dal senso di sazietà e di pienezza rapido, che può derivare da abitudini
alimentari e conformazione organica e può costituire sicuramente una rilevante
ragione di rifiuto del pasto.

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Il “Dipartimento di Medicina e Psichiatria del St. Lukes-Roosevelt Hospital della
Columbia University” ha infatti dimostrato nel Gennaio 2010, per mezzo di uno
studio sperimentale, che mangiare meno riduce le dimensioni dello stomaco; dalle
analisi successivamente condotte gli studiosi hanno osservato una riduzione della
capacità gastrica compresa tra il 27% e il 36% in soggetti appartenenti di un gruppo
sottoposto a dieta con introito inferiore alle 1000kcal giornaliere.
Nel paziente anziano, che di per sé può ridurre la quantità del pasto assunto, tale
evento può costituire un problema, poiché rappresenta un circolo vizioso nel quale
il digiuno può gradualmente rinforzarsi ed accentuarsi sino alla totale inappetenza.

CASO:
La signora Maria ha 92 anni, è istituzionalizzata da 6 e da circa 2 è costretta per
faticabilità ad una maggiore condizione di allettamento: esegue due alzate la
mattina ed il pomeriggio per la durata non superiore alle tre ore.
Da una settimana, rifiuta il pasto senza neppure assaggiare la pietanza, lo stesso
vale per l’idratazione.
Il logopedista e la psicologa incontrano la signora in camera, e dopo la lettura
attenta dell’anamnesi e della storia clinica, che non rivela demenza o disturbi
comunicativi, possono confermare che non vi sia in atto un decadimento cognitivo.
La signora accoglie i due professionisti con serenità e sorride durante il colloquio.
Interrogata sul perché non voglia mangiare, risponde con lucidità e coerenza
interna della frase: spiega che semplicemente non ha fame né sete. La psicologa,
che non ha riscontrato episodi depressivi durante la vita dell’ospite, le chiede se sia
consapevole che il digiuno possa farle rischiare un calo della qualità della vita. La
signora intuisce che l’argomento in realtà trattato sia la “durata” effettiva della vita
stessa, e risponde che non si sentirebbe pronta a morire, per quanto in pace, ma
che per lei è davvero difficile sforzarsi di mangiare e bere, ripetendo che quando
non si ha fame riempirsi lo stomaco crea nausea e gonfiore.
Il logopedista, verificata l’anamnesi sanitaria (non riportati diabete, intolleranze
alimentari, diverticoli, reflusso o disturbi intestinali) somministra un cucchiaino di
budino alla vaniglia, chiedendo il permesso all’ospite. La signora lo deglutisce senza
problemi, non rivela disfagia, ed addirittura spiega che la vaniglia le è sempre
piaciuta (non vedeva la confezione nè le son state anticipate le qualità della
pietanza). Si capisce che non vi sia disabilità sensoriale gustativa. Si attende qualche
minuto per verificare che non compaiano segni di soffocamento retroattivi o
disfagia esofagea. Approfittando della cortesia della signora, il logopedista riesce a
somministrare tutto il budino, con una certa fatica da parte della paziente: non
compare vomito.
Si riferisce l’osservazione al medico, che visitandola prevede di escludere, nei limiti
di una palpazione addominale, la presenza di masse allo stomaco, sulla superficie
del quale non percepisce dolore, malformazione o anomalie.
Con l’operatore, al momento del pasto, la signora continua a rifiutare il cibo o ad
assumerne piccoli bocconi, comunque insufficienti rispetto ad una dieta ideale.
Vengono proposte pietanze diverse (sempre intere) per stimolare l’appetenza, ed
altre volte si cerca di forzare delicatamente l’imbocco, ma non vi sono risultati
apprezzabili.
L’infermiere riferisce che evacuazione e minzione sono nella norma, per quanto
ridotte, e che la terapia orale viene assunta senza problemi.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
In principio si presuppone che la causa del rifiuto del pasto sia riconducibile
all’inibizione dei centri della fame e/o dei neuroni del piacere, ma subito l’ipotesi
viene esclusa poiché la signora riferisce che, in realtà, prova il senso di fame, e
diversamente da quanto riferito in precedenza l’appetito non è del tutto assente
ma flebile, limitato. Si pensa dunque che il senso di sazietà e di pienezza sia più
rapido rispetto alla norma, forse per la riduzione delle dimensioni dello stomaco:
Maria concorda con questa teoria, confermando una pesantezza pressoché
immediata dopo i primi bocconi.
Le strategie con risultati degni di nota sono risultate vincenti quando si è perseguito
l’obiettivo di stimolare l’assunzione di piccoli pasti a prescindere dal senso di fame
o di pienezza dell’ospite:
      - Attività dove l’ospite prepara da solo i propri alimenti: sulla base della
           filosofia secondo la quale non sempre occorre aver fame per mangiare, si
           studia una situazione secondo la quale la signora non riesca a resistere alla
           tentazione di assaggiare una pietanza. Dato che le più appetenti, anche
           dopo intervista ai familiari, non la stimolano al consumo, si propone un
           laboratorio di gastronomia dove a cucinare siano proprio i pazienti. La
           signora viene inserita nel gruppo, così da non far capire che l’intervento in
           realtà sia stato pensato ad-hoc per lei, col rischio di metterla in imbarazzo.
           Circa otto anziani vengono portati in setting tranquillo, su un tavolo
           adiacente all’ingresso della cucina. Qui si chiede consiglio su come
           preparare il pane, e chiaramente si creano delle divergenze sulla quantità e
           qualità degli ingredienti da persona a persona. Ognuno seguirà le proprie
           ricette, così come per altri piatti tradizionali (nel nostro caso la polenta
           arrostita, la zucca, il brasato, gli gnocchi, la pasta e fagioli ecc.). La signora
           Maria vive con accettabile coinvolgimento l’attività, e gradisce l’assaggio
           sia della propria pietanza che delle altre, poiché in questo caso il pretesto
           di mangiare non è “saziare la fame” bensì il dimostrare la validità della
           propria ricetta ed il confronto con le altre. Col supporto del servizio e del
           personale di ristorazione, che forniscono i mezzi e seguono la cottura del
           preparato, l’appuntamento diventa fisso e rituale ogni settimana;
      - Coinvolgimento della famiglia nel supporto alle compensazioni: quanto
           preparato viene poi consumato dagli ospiti non solo a termine dell’attività,
           ma anche durante il pranzo. Questo carico di lavoro e di attenzione
           maggiore viene supportato dai care-givers della signora, che al di là del
           proprio ruolo riacquisiscono fiducia ed ottimismo dopo che la continua
           proposta delle pietanze più appetenti preparate e portate da casa era
           fallita. Alla pari, questa famiglia assieme ad altre si prenderà carico di
                                             9
preparare in reparto bevande con thè e frullati di frutta, coinvolgendo
          anche altri ospiti. La procedura rimane la stessa. Non si prepara una
          bevanda con l’obiettivo di farla bere bensì di accattivare i ricordi e
          l’agonismo tra gli ospiti su chi riesca a creare un prodotto più buono.
          Assaggiare, diventa praticamente un obbligo che l’inappetente si
          autoimpone con piacere;
     - Discriminazione dell’odore a vista schermata: l’ospite, dopo aver
          accettato l’attività in forma ludica, viene bendato ed invitato a riconoscere
          le fragranze che gli vengono poste sotto le narici, o consegnate in mano
          affinché le studi in autonomia. Si scelgono le erbe aromatiche, poiché
          legate alla cucina ed alla memoria del signore. Se riconoscere direttamente
          il profumo diventasse difficile, si possono suggerire delle scelte dalle quali
          indovinare per evitare la mortificazione ed il rinuncio del compito, sino ad
          arrivare nella più semplice delle ipotesi ad una scelta binaria. Tale
          procedura ha l’obiettivo di riattivare l’appetenza e rendere più
          sopportabile lo sforzo di nutrirsi anche nel momento in cui si percepisca
          un senso di pienezza;
     - Consumo del pasto in ambienti diversi, ma sempre all’interno della
          struttura: il consumo del pasto, quando permesso dalle condizioni
          dell’ospite e dalla disponibilità degli spazi (sia climatica che di utilizzazione)
          viene proposto in setting diverso rispetto alla sala da pranzo, come ad
          esempio in giardino durante le stagioni calde o davanti ad una televisione
          che riproduce l’immagine del fuoco. Per seguire questo momento, che
          richiede un rapporto 1:1, vengono coinvolti i familiari che intervengono
          anche con nipoti ed animali domestici, creando un momento conviviale e
          ricreativo che stimola al consumo del pasto in compagnia;
     - Misure passe-partout: esistono alcuni accorgimenti che possono essere
          sinergici nel raggiungimento dell’obiettivo. Ad esempio, la “Sala da thè”
          invernale ed il “Chiosco” estivo, citati nel capitolo precedente, possono
          esser utili nel momento in cui si rifiuti anche l’idratazione, mentre la scelta
          di dilazionare il pasto in svariati “spuntini” nei quali vengono introdotti
          integratori ipercalorici è assolutamente indicato.
Durante la settimana nella quale è cominciata l’attività gastronomica, la signora
Maria è passata dall’assumere
Tramite dieta specifica, quanto assunto corrisponde sul piano calorico a 1100kcal
giornaliere.
Sei mesi dopo il trattamento, la signora è stata soggetta ad un ictus cerebrale
emorragico, che l’ha costretta all’allettamento completo ed all’applicazione di CVC
quantomeno per l’assunzione dei liquidi. Non disfagica ma con marcati segni
dementigeni, tutte le attività prima proposte si sono rivelate inconcludenti e
disorientanti, ma il rifiuto del pasto per senso di sazietà più rapido si è compensato
tramite l’attivazione dei neuroni specchio per imitazione, proponendo 10 spuntini
ipercalorici col coinvolgimento della famiglia.

In conclusione:

       Nell’anziano, che di per sé tende a ridurre la quantità del pasto assunto,
  l’inappetenza può derivare da un senso di sazietà e di pienezza rapido, dettato
 dalle precedenti abitudini alimentari e dalla riduzione del volume dello stomaco.
 Nel paziente recettivo è possibile instaurare una collaborazione con l’obiettivo di
   creare dei momenti nei quali l’atto di “assaggiare” e consumare una pietanza
risulti praticamente un piacere che l’inappetente si autoimpone a prescindere dal
   senso di fame. Le attività proposte possono essere gastronomiche, nelle quali
     l’ospite prepara da solo i propri alimenti, di stimolazione olfattiva dove egli
  descrive ed indovina quanto percepisce ( a fini di riattivazione dell’appetenza e
     dell’interesse verso il cibo), nonchè l’offerta di piccoli pasti dilazionati nella
 giornata con l’allestimento di uno spazio adibito a “Sala da thè” come momento
 edonistico per l’idratazione. Andranno sempre scelti gli alimenti più calorici ed è
consigliabile l’uso di integratori, nella coerenza del quadro clinico e coinvolgendo i
                                         familiari.
    Nel paziente che non comunica efficacemente, l’approccio diventa molto più
   complesso rispetto all’analogo che sa comprendere i messaggi ed esprimere i
        propri bisogni. A tal proposito si invita a considerare la strategia della
    stimolazione dei neuroni specchio per imitazione: questa procedura avviene
     facendo condividere il momento del pasto con i care-givers in setting molto
tranquillo ed al minimo inquinato, dove tutti i partecipanti assumeranno una alla
volta le pietanze in medesima forma, quantità, aspetto e postura, reciprocamente
   ben visibili. Questa misura ha l’obiettivo di far imitare al paziente l’azione che
 vede, e dunque di assumere il pasto “per riflesso”. Anche in questo caso, a causa
  del rapido senso di pienezza, va scelta una dieta specifica con il supporto degli
         integratori affinchè il pasto ridotto risulti sufficientemente nutriente.

                                          11
Causa I.R.P.A.I. 03
  VENGONO A MANCARE QUELLA “FATICA” E QUEL MOVIMENTO CHE “FANNO
                             FAME”

PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
Nel lessico comune, la differenza tra “fame” ed “appetito” non è sempre scontata.
Per fame si intende un bisogno fisiologico di nutrirsi: è una funzione regolata
dall’ipotalamo che, descrivendo in questa sede in modo del tutto informale il
processo, riceve dall’organismo un “avviso” di necessità di rifornire
l’approvvigionamento calorico. L'appetito, invece, deriva dal termine appetenza,
che significa buona disposizione a mangiare, e dipende da vari fattori quali lo stato
d'animo e coinvolge - a differenza della fame in senso stretto - il piacere del
consumo del pasto. L’anziano, come visto, sente di per sé uno stimolo inferiore
verso il bisogno di mangiare e di bere, e l’edonismo ad esso legato viene inficiato
dalla riduzione della percezione del gusto, dalla condizione comunitaria di
istituzionalizzato che non sempre rende piacevole il contesto, nonché dalla possibile
depressione e decadimento generale.
L’anziano in RSA, in definitiva, è prognostico al calo dell’appetenza.
Talvolta la limitatezza nei movimenti, nelle autonomie e nell’accesso a spazi
diversificati riduce il consumo e conseguentemente il fabbisogno calorico, rispetto
alla maggior parte della vita precedente nella quale, in genere, l’ospite era
operativo nel proprio lavoro ed in altre attività fisiche. La conseguenza può essere
che, ad accentuare la predisposizione al rifiuto del pasto, l’evento scatenante al
problema sia proprio la mancanza della “fatica” e del “movimento” che stimolano
un comando organico e fisiologico a nutrirsi.

CASO:
Il signor Vito, ex manovale in navi mercantili a Venezia, ha 78 anni ed è accolto dalla
struttura da poco meno di 2 mesi, proveniente da domicilio. Presenta limitazioni
nella deambulazione, che esegue assistito, ma trascorre la maggior parte della
giornata in carrozzina, che gestisce in autonomia utilizzando anche gli ascensori.
Non presenta dati anamnestici, dunque vengono eseguiti esami atti a descrivere il
quadro sanitario, che risulterà in piena salute.
Anche sotto il profilo psicologico l’ospite è sereno, collaborante e non dimostra
nessun quadro di demenza. La sua istituzionalizzazione è classificabile come parziale
caso sociale, poiché viveva da solo e, consapevolmente, le proprie autonomie si
sono ridotte sino a compromettere i bisogni essenziali, quali l’igiene, la
preparazione del pasto, la cura e la manutenzione della casa e la sicurezza nei
passaggi posturali.
Da una settimana la tranquillità di Vito è visivamente diminuita: infatti, pur non
riscontrando depressione, la psicologa rileva una crescente apatia del paziente, che
esterna la sua noia e la difficoltà a “far passare” il proprio tempo in comunità in
modo appagante.
L’educatrice professionale, che già coinvolgeva Vito nelle attività pianificate, lo
inserisce nelle rimanenti, con scarso risultato: il signore infatti dice di non sentirsi
stimolato.
La manifestazione più palese e pericolosa del disagio risiede nel rifiuto del pasto.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
La ricerca delle cause che possono spingere Vito a non mangiare è superflua: egli
stesso riferisce che risente di non “lavorare”, cioè che in assenza di fatica,
movimento e consumo non percepisce la stessa fame rispetto a quando era
manovale. Il logopedista e l’infermiere professionale indagano comunque in
anamnesi eventi o condizioni sanitarie contingenti, senza trovarle; psicologa,
fisioterapista ed educatrice confermano in svariate interviste (compiute durante
momenti non dedicati, per non far sentire l’ospite in soggezione) che Vito
percepisce i gusti e talvolta la fame, non cita dolori sia fisici che emotivi che lo

                                          13
disturbino e la sequenza delle abitudini in RSA, oggettivamente, è simile a quella
che seguiva a casa.
L’equipe si attiva dunque per creare una ritualità soddisfacente per Vito all’interno
della struttura, con particolare attenzione alla stimolazione dell’appetenza.
     - Terapia occupazionale di stampo manuale: con l’occasione, vengono
          proposte attività regolari di stampo manuale. Esse, per coinvolgere quanti
          più ospiti possibili, si incentrano fondamentalmente sulla manipolazione di
          pezzetti di carta velina che, arrotolati su se stessi, diventano delle biglie
          che possono essere utilizzate per essere incollate su superfici sulle quali è
          disegnata un’immagine, colorandole. Questo tipo di lavoro viene
          privilegiato, rispetto ad altri magari meno ripetitivi, perché assume un
          valore anche per i pazienti con demenza, che se non sono messi in pericolo
          nello svolgimento (es. mangiare la carta, introdurla negli orifizi ecc.)
          possono essere stimolati a livello sensoriale tattile. Per rendere il compito
          meno monotono a Vito ed agli altri compagni più lucidi, si pone un
          obiettivo visibile e compiacente, come ad esempio l’allestimento di un
          quadro iconoclastico religioso (es. un ritratto di Madonna) e la costruzione
          di oggetti destinate ai bambini in visita (in questo caso degli spunti
          possono essere mascherine in prossimità del Carnevale, addobbi natalizi
          ecc.);
     - Elezione ad un ruolo nella struttura: il signor Vito viene posto, durante le
          mattinate povere di attività (o le cui stesse siano rifiutate o non gradite)
          all’ingresso della struttura, col compito di aprire la porta, accogliere e
          congedare chi vi accede. Questa decisione ha avuto il consenso dello
          stesso Vito, nonché dall’FKT che ha confermato la sua capacità a svolgere il
          compito in sicurezza e dalla psicologa che non rileva alcun pericolo di fuga
          per sé e compagni. L’ospite prende molto seriamente il ruolo, che esegue
          con puntualità e cortesia;
     - Elezione ad un ruolo “gastronomico”: Vito viene eletto anche ad un altro
          compito, vale a dire come “assaggiatore” delle pietanze provenienti dalla
          cucina. A prescindere dalla sua partecipazione alle attività o come
          “guardiano” della struttura, circa 20 minuti prima del pasto viene portato
          in cucina (o in caso essa non fosse interna, si può ricorrere allo spazio
          deposito delle vasche per la distribuzione nelle mense dei nuclei), dove è
          suo compito pregustare una piccolissima porzione delle portate, per
          garantirne la qualità o porre consigli sulla sua preparazione. Questo
          compito, al di là di occupare anche l’ultimo spazio temporale della
          mattinata, aumenta l’autostima nel signore che riceve anche una
          stimolazione gustativa;
     - Progetto orto: per il signor Vito, come per altri ospiti, un piccolo spazio
          provvisto di vasi o arato e coltivato, nel giardino della struttura dove sono
          accolti, desta un certo interesse. In particolare egli, quando lo si porta a
          guardarlo racconta del proprio parco, e riemergono ricordi sulla sua casa
vissuti con serenità. Per il paziente e per gli altri ospiti che gradiscono,
         andare a vedere la crescita delle piante è un rituale che si ripete ogni
         mattina, gradito al punto da far installare nei terrazzini delle proprie
         camere delle vasche con ortaggi personali. Vengono posizionate in modo
         che siano visibili dall’ospite anche da disteso. Il consumo delle verdure
         prodotte sarà gradito e completo in fatto di quantità;
     - La cura della terra a distanza: con gli amici che vengono a far visita
         all’ospite si consiglia una sorta di “corrispondenza”, vale a dire che visto il
         piacere dimostrato dai signori si invita a fotografare lo sviluppo delle
         coltivazioni (per chi ne avesse) e mostrarle in foto all’ospite ogni qualvolta
         venissero a fargli visita, chiedendo consigli sulla cura di quello spazio. Si è
         osservato che il consumo del pasto è diventato più gradevole e raggiunge
         quantitativi maggiori se l’ospite è convinto di mangiare (ed anzi, aver
         offerto) qualcosa di proprio.
Con la messa in atto di questi progetti, Vito si sente occupato ed appagato: i suoi
momenti “morti”, tra colazione pranzo e cena, sono ora occupati dal suo ruolo di
“portinaio”, dall’attivo compito manuale di costruzione di perle di carta (che svolge
anche da solo in camera e dal quale sono nati diversi quadri di cui va molto fiero,
per la struttura e per i visitatori), dalla cura dell’orto e dalla ritualità dell’assaggio
prima dei pasti, impreziosito tra l’altro di prodotti delle sue stesse coltivazioni.
Hanno assunto un ruolo attivo anche gli amici, che lo vengono a trovare più
frequentemente portando gli sviluppi delle proprie coltivazioni, supportate “per
corrispondenza”.
Ad oggi il signor Vito vive con felicità la vita comunitaria in struttura, non ha più
dimostrato inappetenza o rifiuto del pasto che assume in oltre 1600kcal al giorno
(valore più che accettabile) salvo durante le sporadiche febbri, ed i benefici sono
riscontrabili anche nel mantenimento del ritmo sonno-veglia.

In conclusione:

  Nell’anziano il rifiuto del pasto può essere secondario ad inappetenza derivante
  dalla mancanza di fatica e movimento, cosa che compromette anche la qualità
      della sua vita in struttura comunitaria. Come soluzione e prevenzione al
   problema, si consigliano delle attività di natura occupazionale che affatichino
    accettabilmente l’ospite, soprattutto se manuali, come la manipolazione di
     oggetti atta alla costruzione di qualcosa di tangibile e gratificante, con la
consapevolezza che non possa mettersi in pericolo. Per appagare l’ospite, lo si può
 eleggere ad un ruolo all’interno della struttura che aumenti la propria autostima
(es. portinaio) e lo stesso valga con inerenza all’alimentazione (es. assaggiatore di
 pietanze). A doppia valenza sia occupazionale che di stimolazione dell’appetito si
   possono proporre anche attività di costruzione e coltivazione quotidiana di un
                        orto, col coinvolgimento dei care-givers.

                                           15
L’attività manuale che funge da stimolazione sensoriale tattile e da momento di
   vago affaticamento si rivela essere un’ottima strada da percorrere anche nei
  pazienti con demenza, non comunicanti e/o non recettivi, nei quali la causa di
   rifiuto del pasto possa essere ricondotta per esclusione a quella in questione.

                           Causa I.R.P.A.I. 04
PRESENTA DIFFICOLTÀ A PERCEPIRE L'APPETITO, IN PASSATO MANGIAVA PICCOLI
                                  PASTI

PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
Una categoria di soggetti che possono essere particolarmente a rischio di
malnutrizione per rifiuto del pasto sono quelli che hanno consolidato, nel vissuto,
l’abitudine di consumare piccoli pasti o che mangiavano poco frequentemente nel
corso della giornata. In genere questo “schema” deriva da una particolare
costituzione fisica e/o dal metabolismo, che rende sufficiente una ridotta necessità
di introito calorico: infatti in questi individui il BMI può rivelare una condizione di
sottopeso falso-positiva, cioè che è stata mantenuta tale ed in salute nel corso di
tutta la vita, considerabile dunque come una “normalità”.
Molto spesso si sottovaluta il rifiuto del pasto nei pazienti in questione, poiché
viene dato per assunto che “già di per sé ha sempre mangiato poco”. In realtà, la
condizione può rivelarsi pericolosa: infatti se normalmente l’apporto calorico è da
ritenersi oggettivamente nel limite inferiore di norma, esso può facilmente
precipitare nella riduzione o nell’annullamento con la comorbilità del decadimento
fisiologico legato alla senilità, cioè anoressia dell’invecchiamento (si vedano le
ragioni ad essa legate nella causa 01), diminuzione del volume dello stomaco e
mancanza di fatica e di movimento. All’interno della struttura socio-assistenziale,
risultano di maggiore minaccia anche tutte le altre cause che possono portare al
rifiuto del pasto (siano esse organiche quali febbre e diarrea o emotive come
depressione), perché ogni digiuno va a consumare risorse in un quadro, come
appunto detto, al limite inferiore di norma sotto il profilo di immagazzinamento
calorico.

CASO:
La signora Nina ha 85 anni ed è istituzionalizzata da 4. Ha difficoltà nel comunicare
per afasia mista derivante da demenza, che ne compromette in diversa misura
input ed output linguistico (il linguaggio è dunque deficitario sia in comprensione
che in produzione) e riduce l’efficacia degli ausili di CAA per incapacità ad
organizzare lo spazio, riconoscere l’oggetto e gestirlo. Dopo circa cinque giorni che
rifiuta il pasto, avviene la compilazione della tabella alimentare, che monitora con
schemi “a torta” il quantitativo assunto dalla signora. Nello stesso periodo
dell’inappetenza si osserva che l’ospite presenta febbre che la costringe a letto e
stipsi che le impone misure invasive atte a stimolare l’evacuazione. La causa del
rifiuto del pasto viene dunque ricondotta a malessere fisico, che una volta risolto
dovrebbe potenzialmente ridurre il problema.
Infatti, con il ritorno dello stato di benessere, la signora ricomincia a nutrirsi con
piccoli pasti.
Il problema riscontrato dall’equipe sta nel BMI che rivela malnutrizione lieve:
l’Indice di Massa Corporea indica che Nina sia sottopeso. Tale dato è stato
trascurato dal team della struttura comunitaria poiché la signora è sempre risultata
identica a sé stessa, vale a dire che dall’ingresso ad oggi è apparsa magra ma
stabile, consumando pasti ridotti e facendo capire nei momenti più responsivi che
essi siano sufficienti a saziarsi ed essere in forze. Nel colloquio con le figlie, esse
riportano che effettivamente la madre è sempre stata magra ed abituata a
mangiare poco, anche solo un terzo della portata, sin dalla giovane età. Dalla
raccolta di dati anamnestici e dalle indagini psicologiche, non si rileva anoressia in
atto o pregressa, né inferenze di natura sanitaria: Nina di per sé è in salute.
Ciò che spaventa di più è il fatto che, per quanto siano considerati “normali” il BMI
basso e la necessità di assumere poco cibo, ogni malessere che causi digiuno riduce
la massa fisica già poco consistente, rendendo la signora più vulnerabile e fragile.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:

                                          17
La causa del rifiuto della maggior parte del pasto durante la condizione di salute
viene ricondotta ad una difficoltà nel percepire l’appetito “propria” della signora,
che ha dimostrato nel corso di tutta la vita abituandosi a consumare piccoli pasti. Il
cambio di abitudini consolidate per oltre 80 anni si prospetta a prescindere arduo, e
dunque si applicano tutte le strategie viste nei tre capitoli precedenti.
Di queste, quattro attività sono gradite ma non fungono da vero e proprio “passe-
partout” (vale a dire intervento valido ma aspecifico), poiché seppur accettate non
portano ad una significativa riduzione del rifiuto del pasto:
     - Stimolazione sensoriale olfattiva con discriminazione dell’odore a vista
          schermata e reminiscenza;
     - Consumo del pasto in ambienti diversi, all’interno della struttura;
     - Terapia occupazionale di stampo manuale e progetto orto;
     - Elezione ad un ruolo gratificante.
La signora Nina è ben lieta di partecipare a quanto proposto, poiché si suppone
abbia un ottimo valore a livello occupazionale, e riferisce (sempre nei momenti più
responsivi) di sentire incrementata la qualità del proprio tempo speso in struttura,
ma l’aumentata serenità e fatica fisica non hanno indotto l’ospite ad un consumo
del pasto maggiore.
Sono risultate vincenti, invece, tra le passe-partout cinque attività sotto riportate
(si veda argomentazione delle stesse nei capitoli precedenti):
     - Piccoli pasti dilazionati nella giornata;
     - Scelta degli alimenti più appetenti ed uso di integratori;
     - Sala da thè come momento edonistico per l’idratazione;
     - Attività dove l’ospite prepara da solo i propri alimenti;
     - Coinvolgimento della famiglia nel supporto alle compensazioni.
Il denominatore comune sembra risiedere nella presentazione, in varia forma e
setting, di spuntini variati, sintetizzando le tecniche in una “Strategia del Buffet”: se
si dà per assunto che il rifiuto del pasto derivi da inappetenza legata allo scarso
bisogno alimentare, abitudini ad esso legate e demotivazione per non riuscire a
consumare un’intera portata, è possibile proporre in svariati momenti della
giornata piatti contenenti piccoli bocconi, o gli stessi singolarmente in momenti di
svago (compleanni, tombola, spazio-bar collettivo, regalo dei familiari ecc.).
Si è proceduto stimando un apporto calorico ideale per la signora Nina pari a
1000kcal/die (lievemente sotto la norma delle rituali 1200 per femmina anziana
ipomobile di media statura), consigliando anche un impiego di 2-4 litri di liquidi
(rispettivamente proporzionati tra inverno ed estate).
Osservando la reazione positiva dell’ospite di fronte ad un piatto presentato
“ridotto e multiforme nei cibi” nei tre pasti principali della giornata e la sua
accettazione delle merende, si è calcolato un apporto medio di 650-700kcal
giornaliere e circa 1 litro d’acqua. La famiglia, intervistata e ricevente counselling,
ha portato alla luce diversi alimenti giudicati appetenti da Nina, impegnandosi
oltretutto a portarli di persona ed accompagnare l’ospite negli spazi dedicati alla
convivialità nei quali vengono offerte vivande (chiosco, sala da thè, spazio-bar e
passeggiate all’aperto anche al di fuori della struttura).
Ponendo attenzione ad offrire spuntini anche durante le attività educative,
l’apporto giornaliero è aumentato a 850-900kcal ed 1,5 litri d’acqua. Con la dietista
sono stati introdotti degli integratori (es. olio come condimento, preparato proteico
al gusto di cioccolata nel caffè e nella colazione, bevande zuccherate ecc.),
superando la garanzia delle 1000kcal/die+2litri di liquidi.
A distanza di due mesi, Nina non ha dimostrato più perdita di peso o rifiuto del
pasto, nemmeno dopo momenti di malessere. Ad oggi la demenza è ingravescente
e richiede, accanto alle misure di stimolazione cognitiva-sensoriale anche
l’attivazione dei neuroni specchio per imitazione, seguendo in rapporto 1:1 la
signora e consumando gli spuntini assieme, in setting molto più semplificato e
meno inquinato.

In conclusione:

     L’anziano che ha consolidato nel vissuto la ritualità di mangiare piccoli pasti è
particolarmente vulnerabile alla malnutrizione nel momento in cui, scoraggiato dalla
difficoltà di consumare la portata completa, sviluppa inappetenza e rifiuto del cibo. Si
  raccomanda di rispettare le sue abitudini, invogliando la nutrizione con approccio
naturalistico tramite la “Strategia del Buffet”, nella quale viene presentato un piatto
 con poche ma varie pietanze più volte durante la giornata, scegliendo le vivande che
più gradisce in una dieta pensata specificamente per essere calorica anche attraverso
        l’uso di integratori come ingredienti/condimento. Il momento del pasto e
 dell’idratazione può essere reso maggiormente piacevole attraverso l’utilizzo di una
   sala da thè, chiosco e feste come momenti ludici ed edonistici; si sono dimostrate
     efficaci anche attività nelle quali l’ospite prepara e manipola gli alimenti, ed il
coinvolgimento della famiglia nel supporto a queste compensazioni “passe-partout”.
    Nel caso in cui sia presente una demenza importante che rende inefficaci queste
procedure è possibile stimolare l’imitazione del gesto di portare il bolo alla bocca (con
medesima dieta speciale) mangiando assieme al paziente, con l’obiettivo di attivare i
                                     neuroni specchio.

                           Causa I.R.P.A.I. 05
     NON ACCETTA LA STRUTTURA E LA CONDIZIONE DI ISTITUZIONALIZZATO

PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA:
L’anziano può non accettare il proprio nuovo schema fisico e funzionale che lo
costringe ad una condizione di assistenza. Il rifiuto mentale può riguardare non solo
la condizione di ricovero ed istituzionalizzazione, ma anche quella di un aiuto
domiciliare. Il problema riguarda intuibilmente soggetti lucidi o sufficientemente
coscienti da poter rendersi conto della propria situazione (comprese demenze lievi
o demenze vascolari nei momenti di vigilanza ed orientamento). L’orgoglio viene
messo alla prova in un costante rinforzo negativo, riscontrabile nelle limitazioni
delle proprie autonomie, cioè in svariati momenti della giornata l’anziano può avere
                                           19
amara conferma del bisogno di un supporto umano che non desidera. Ne consegue
la perdita dell’autostima e la mortificazione, che può manifestarsi nella rabbia e
nell’aggressività (usata come sfogo o come negazione) o con l’insorgere di uno stato
depressivo. In entrambi i casi, la volontà di non alimentarsi è un comportamento
frequente, riconducibile rispettivamente ad una forma di protesta, di opposizione
verso un aiuto o di abbandono del sé.

CASO:
Il signor Elvio ha 81 anni. Prima del suo ingresso in struttura, viene riportato dai
familiari un importante disturbo del comportamento, descritto come aggressivo ed
oppositivo. Ciò è un tratto della sua personalità che asseconda da tutta la vita, ma
che si accentua quando viene proposta l’ipotesi di inserimento in una comunità
geriatrica, evento tuttavia dovuto a causa delle difficoltà nel deambulare (con
ripetute cadute e ricoveri), nell’assolvere in autonomia le proprie necessità e la
mancanza di una rete familiare che possa dedicarsi al suo supporto.
È di particolare importanza da parte dell’assistente sociale la visita pre-ingresso e
l’accompagnamento in struttura, momenti nei quali Elvio accoglie nella propria
casa parte dei professionisti (in questo caso psicologa, vice-direttore ed appunto
assistente sociale a dirigere l’incontro) che spiegano lui i vantaggi della vita in casa
di riposo per stimolarne l’interesse e la concretizzazione.
All’ingresso l’ospite non manifesta segni di demenza (non riportata in Cartella
Clinica) ma scopre sin da subito atteggiamenti provocatori: rifiuta il pasto, lancia la
protesi dentale addosso agli operatori rompendola, li percuote nell’igiene e nei
passaggi posturali ed urina ovunque capiti.
Viene messo in atto un counselling (in)formativo atto a stimolare l’approccio del
personale al signore con gentlecare e validation, in modo da applicare una
contenzione di tipo ambientale: infatti, a causa dei disturbi cardiaci, è molto difficile
stilare un piano di trattamento farmacologico. Coerentemente a ciò, in un primo
momento, viene fatto scegliere all’ospite quando, dove e cosa mangiare, compresi
gli spazi esterni come il giardino, nei limiti del quadro sanitario (deve essere
accompagnato, sorvegliato e non può assumere alcolici).
Il reparto a cui è assegnato è protetto e le vie di fuga sono filtrare da chiavi e codici
per accedervi, purtuttavia approfittando di un momento di distrazione di un
visitatore, che non controllò la chiusura dell’ascensore, Elvio riesce a fuggire
allontanandosi dall’edificio e cadendo rovinosamente al di fuori di esso.
Ad un mese dall’accoglienza, Elvio mostra già i segni di malnutrizione dovuti al
costante digiuno.

IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
Il rifiuto del pasto è interpretabile palesemente come una forma di provocazione
dovuta alla mancanza di accettazione da parte del signor Elvio di sé e della sua
condizione di istituzionalizzato: vede la sua permanenza in struttura comunitaria
come qualcosa di imposto e vi si sente prigioniero. Il servizio di psicologia valuta
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