MANGIA MENO CON L'AVANZARE DELL'ETÀ PER DECADIMENTO FISIOLOGICO
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Causa I.R.P.A.I. 01 MANGIA MENO CON L’AVANZARE DELL’ETÀ PER DECADIMENTO FISIOLOGICO PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA: Ricordando quanto già detto nella prima parte di questo studio, la senilità porta di per sé all’inappetenza ed allo squilibrio del quadro organico. Esempi di scompensi che diminuiscono la fame sono carenza di zinco e riduzione della increzione degli ormoni elaborati dal corticosurrene e la corretta funzionalità dell’ipotalamo. A ciò si aggiunga che “da quanto emerge dalla letteratura sembra che i segnali periferici di sazietà come una rallentata motilità gastrica, l’eccessiva attività di leptina e insulina, la produzione post prandiale di ormoni anoressizzanti, possano prevalere sul sistema centrale della fame. La diminuzione dell’appetito e dell’introduzione di cibo nel soggetto anziano sano è stata definita 'anoressia dell’invecchiamento' che può essere causa di malnutrizione.” (così il dott. Residori Luigi presentava nel 2007 all’interno dell’abstract della propria Tesi di Dottorato presso l’Università degli Studi di Verona come la senilità possa portare ad inappetenza su base neurologica). Si possono incontrare due categorie di ospiti nel trattamento dell’inappetenza per senilità, decadimento fisiologico e povertà dei centri nervosi della fame, vale a dire: - Anziani recettivi, con demenza lieve o assente; - Anziani non recettivi, con afasie sensoriale o globale e/o demenza moderata/grave. La capacità di input comunicativo è molto importante nel trattamento del disturbo, poiché se l’ospite sa entrare in nitida relazione col tecnico (cioè comprende ed elabora i messaggi a lui rivolti), è possibile cercare una collaborazione per garantire, con reciproco impegno, un apporto nutrizionale sufficiente per scongiurare il calo ponderale di peso. Se l’ospite invece non è in grado di recepire ed elaborare i messaggi che riceve, l’imposizione di uno “sforzo” ad alimentarsi ed idratarsi in quadro di inappetenza risulterà arduo e molto più difficoltoso. In comorbilità al problema, in questi casi si presenterà sicuramente anche una difficoltà nell’output, vale a dire nel comunicare i propri bisogni. Si distingueranno dunque due casi nell’ipotesi di trattamento del paziente che risulta inappetente per decadimento fisiologico e senilità, in base al grado di recettività. CASO 1: Il signor Bruno ha 78 anni ed è istituzionalizzato da 3, come caso sociale. Le sue capacità motorie gli permettono di conservare tutte le autonomie salvo l’igiene; l’ospite si sposta con deambulatore, e necessita sporadicamente di aiuto nei passaggi posturali, in primis l’alzata. Vive la quotidianità comunitaria con serenità. Non presenta segni dementigeni né disturbi comunicativi. Da poco meno di una settimana, rifiuta il pasto e l’idratazione, restituendo gentilmente quanto ricevuto ed asserendo di non aver fame. Nonostante il digiuno, l’evacuazione e la minzione rimangono regolari, seppur quantitativamente ridotte.
La psicologa incontra il signore per prima, in una sala polivalente, e conferma l’assenza di decadimento cognitivo, depressione o altre cause apparenti di inappetenza. Interrogato sul perché non voglia mangiare, spiega che semplicemente non ha fame né sete. La psicologa gli chiede se sia consapevole del fatto che il digiuno possa far rischiare un calo della qualità della vita, ma Bruno di tutta risposta ammette di sentirsi più affaticato (verosimilmente per scarso apporto nutrizionale, n.d.r.), ma afferma di apprezzare altre attività durante il pasto rispetto al mangiare, quali ad esempio guardare la Tv. Il momento del pranzo viene preceduto dall’osservazione dell’educatrice professionale, che esclude vi sia incoerenza nel posto a sedere di Bruno: in altre parole, sembra non abbia visioni sgradevoli né stimoli allo scompenso emotivo, né si nega il pasto per accudire i compagni seduti vicino, coi quali anzi ride e scambia convenevoli. Il logopedista, verificate le condizioni sanitarie (non vi sono diabete, intolleranze alimentari, diverticoli, reflusso o disturbi intestinali), chiede all’ospite di sforzarsi di mangiare, per poterlo osservare. Il signore consuma il primo boccone senza problemi, non si rileva disfagia. All’invito di consumare tutto il pasto, l’ospite esegue il compito, ed il professionista lo osserva questa volta da una posizione a lui distante, per non creare inibizione. Il pasto viene consumato completamente. Si intervista dunque l’ospite, chiedendo se si senta pieno o sazio, ed a questa domanda, Bruno risponde di non percepire cambiamenti in sè. Si capisce che non vi sia disabilità sensoriale gustativa perché descrive anche ciò che ha mangiato, complimentandosi per il sapore. Supponendo che l’episodio di inappetenza sia da considerarsi isolato, si lascia l’ospite in tranquillità, con l’indicazione agli Oss di spronare verbalmente e gentilmente il signore a mangiare, quando non volesse; è sufficiente aspettare 24 ore per capire che il semplice sollecito non è sufficiente a convincere l’ospite ad alimentarsi. Il medico, visitandolo, prevede di escludere nei limiti di una palpazione addominale la presenza di masse allo stomaco, sulla superficie del quale non percepisce dolore, malformazioni o anomalie. Gli unici momenti nei quali Bruno assume qualcosa sono quelli più cerimoniosi: sembra che l’ospite si “sforzi” di mangiare e bere spontaneamente solo quando gli viene offerto il caffè, o quando ad esempio viene regalato il dolce per celebrare il compleanno di un coetaneo del nucleo. Quelle stesse pietanze, credendo che siano più appetenti rispetto ad altre, vengono proposte come portata principale del pranzo, per quanto la cosa non sia ideale sotto il profilo nutrizionale; in ogni caso, non sono accettate da Bruno alla pari delle altre, che consuma con sforzo solo quando si sente obbligato, come ad esempio se sospetta che il rifiuto di esse possa creare un dispiacere verso chi gliele ha fornite. IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO:
Per esclusione, si riconduce la causa del rifiuto del pasto con maggiore probabilità al decadimento fisiologico legato alla senilità ed all’inibizione dei centri nervosi della fame. Essendo il paziente recettivo e responsivo, si individuano alcune strategie per ovviare al problema, che puntano alla stimolazione del consumo degli alimenti a prescindere dalla percezione di fame/sete, creando contesti invitanti all’assaggio e rinforzando al massimo l’apporto nutrizionale di quanto assunto. - Counselling atto ad instaurare un patto di collaborazione: il signore viene messo al corrente che rifiutare il pasto senza nemmeno consumarne una piccola parte può essere motivo di penalizzazione e difficoltà per gli operatori ed il personale che si prende cura di lui. Non va mortificato nel comunicare questa informazione né va fatto sentire “ricattato”, ma semplicemente va stimolata quantomeno l’assunzione di una porzione degli alimenti proposti; - Piccoli pasti dilazionati nella giornata: la presentazione di un piatto colmo di cibo può risultare avvilente per l’ospite inappetente, che si sente scoraggiato a priori poiché intuisce che non riuscirà a finirlo. È necessario invece presentare diversi piccoli “spuntini” nel corso della giornata, al di là dei 5 canonici (colazione, pranzo, cena e due merende) per stimolarlo a mangiare in compagnia. Un momento ad esempio nel quale possa essere appagante mangiare può risiedere all’interno delle attività dove vengono fornite in premio caramelle e marmellate, come la tombola; - Scelta degli alimenti ed uso di integratori: anche se si è visto che in questi casi non vi siano pietanze più appetenti di altre, la scelta delle stesse va ponderata e pesata in base alle esigenze nutrizionali. In altre parole, essendo ridotta la quantità di cibo assunto a disposizione, bisogna verificare che vi sia un giusto apporto di proteine e carboidrati, e di fibre per l’evacuazione (quando stabilmente idratato), a seconda del BMI del paziente e della sua condizione sanitaria. Altresì è molto importante inserire nei pasti integratori specifici (iperproteici, ipercalorici, con fibre ecc.), per rendere al massimo l’introito calorico e dei nutrienti. Questi prodotti sono pensati per la loro diluizione all’interno della portata, e spesso sono solubili o liquidi. La cucina e/o chi prepara le portate dovrà impegnarsi ad aumentare la loro concentrazione; il dietologo od il nutrizionista saprà indicare anche alimenti di uso comune capaci a sopperire al problema in base alla situazione, scegliendo ad esempio l’associazione al condimento di burro d’arachidi, lardo sciolto, cioccolato, zucchero ecc. - Coinvolgimento dei familiari: un momento nel quale l’ospite è stimolato a mangiare anche in assenza di appetito può risiedere nella visita (gradevole) dei familiari. In questi lassi di tempo, è importante addestrare il care-giver ad offrire molti spuntini con valore affettivo e stimolante, quali il regalo di un caffè con integratore, l’assaggio della frutta di casa o di una prelibatezza preparata ad-hoc ecc.; 3
- Sala da thè come momento edonistico per l’idratazione: la “Sala da thè” invernale ed il “Chiosco” estivo, argomentati nel paragrafo 4.15.1 sono degli spazi collettivi nei quali viene offerto in contesto ludico e conviviale una serie di bevande pensate per essere invitanti, contestuali e gustose. L’ospite inappetente per decadimento fisiologico può trovare in questa attività un piacevole “obbligo” di bere, stimolato in modo gentile e con approccio naturalistico a consumare un bicchiere in compagnia. Anche gli altri compagni della comunità possono sollecitarlo ad idratarsi; in questi casi è necessario, pur rispettando le indicazioni sanitarie quali diabete e disfagia, fornire quanti più bicchieri riesca ad accettare, almeno due da 200mml due volte al giorno con camomilla serale, così da fornire 1 litro intero di liquidi/die al di fuori dei pasti. Queste stesse bevande è opportuno siano impreziosite a livello nutrizionale apportando un valore calorico di surplus (può essere utile in questo caso, se consentita, la somministrazione di bevande quali Coca Cola o l’integratore stesso). - Altre strategie: nella nostra esperienza, attività di cucina dove l’ospite prepara da solo i propri alimenti e di stimolazione olfattiva, nelle quali descrive quanto percepisce e rimembra nell’odorare una spezia, non hanno indotto gli ospiti di questo tipo ad alimentarsi in misura maggiore o a sentirsi più appetenti. Ciononostante, rimangono delle strade senza controindicazioni, favorevoli da seguire. Il signor Bruno, dopo il colloquio di counselling avvenuto con l’equipe, dimostra interesse ed impegno nell’assumere almeno il primo od il secondo dei pasti principali, cosa che viene verificata con cordialità ed in modo apparentemente informale dal logopedista che si fa carico di complimentarsi con l’ospite e ringraziarlo della sua tenacia nel mantenere la promessa data. Non c’è un grande successo nel consumo dell’integratore liquido che dà senso di pienezza e pesantezza, e dunque esso viene limitato alla mattina come colazione, che l’ospite riesce a portare a termine per il volume ridotto (75mml) ed il digiuno della notte. Frequenta almeno due volte al giorno lo spazio “Sala da thè”, dove consuma 1-2 bicchieri anche grazie al supporto degli ospiti suoi amici che lo stimolano ad assaggiare le bevande e far loro compagnia. I familiari, che vengono a trovarlo quotidianamente, sono stati addestrati a portare pietanze preparate in casa molto caloriche e ben condite, col consenso del medico e della direzione della struttura: Bruno le gradisce e le consuma sentendosi in dovere di farlo, per non aver reso vana la fatica dei suoi cari. Partecipa anche ad attività di cucina durante le feste ed alla cura dell’orto, dove si svolgono progetti di stimolazione olfattiva con spezie e reminiscenza, ma da queste due ultime procedure non trae particolare beneficio sul piano alimentare. Ad oggi si stima che l’ospite consumi circa 1300kcal al giorno e 1,5 litri di bevande. Supportato anche da una terapia (a base di zinco) per accentuare l’appetito, assume un quantitativo calorico accettabile in base al proprio quadro e quanto più possibile bilanciato nelle componenti, mantenendo stabile il BMI.
CASO 2: La signora Novella compie 91 anni il giorno in cui accede in struttura. Proviene dal domicilio dove ha sempre vissuto in salute, ma dopo uno scompenso cardiaco avvenuto circa 50 giorni prima con possibili conseguenze neurologiche, il carico assistenziale diventa importante ed il figlio e la figlia decidono di continuare ad assistere la mamma in istituto. Viene riferito che la signora non si alimenta da giorni, e durante le prime 48 ore presso la struttura di ricovero non ha voluto mangiare né idratarsi, pur essendo potenzialmente autonoma nell’azione. Alla prima osservazione, la signora appare apatica, ma quando si interagisce con lei risponde ed entra in contatto con lo sguardo. L’eloquio rivela un’afasia di tipo Transcorticale Sensoriale: la signora ode ma non comprende quanto le viene detto, parla in modo fluente con gergo talvolta incomprensibile ma contenibile (sembra logorroica ma non torrenziale), non sa denominare gli oggetti che indica, tuttavia sa ripetere quanto le viene detto ed infatti comincia un discorso del tutto inconcludente ed apragmatico a partire dalle ultime parole di quanto ascoltato immediatamente prima di avviarlo. Il disturbo della comunicazione linguistico- verbale è importante, e la signora Novella non può comprendere gli inviti ad alimentarsi né spiegare le motivazioni della sua inappetenza. La valutazione della psicologa racconta che l’ospite è tranquilla salvo durante i tentativi di somministrazione del pasto e della terapia: in quel momento non si riesce a contenere l’eloquio, calmo, ed al contatto del cucchiaino con le labbra Novella si agita e diventa aggressiva, colpendo per scacciare il care-giver, infermiere o familiare che sia. Le uniche proposizioni che ricorrono nell’eloquio afasico ripetono di non aver fame, non volere, aver già mangiato. Non vengono riportate allucinazioni ma un grave deficit di memoria a breve termine, ed ad un secondo incontro il logopedista riesce a verificare l’assenza di piaghe nel cavo orale che possano farle male. Novella accetta la visita del medico, che vede nel rifiuto del cibo non solo il problema più importante, ma fondamentalmente l’unico presente a livello sanitario. In quel momento non assume terapia con effetti psicotici né sembra provocatoria quando lasciata in pace. Al quarto giorno di digiuno, la TAC mostra una lesione a livello dell’incrocio parieto- temporo-occipitale, in linea col quadro descritto dai professionisti. L’ipotesi che formula l’equipe è la seguente: il rifiuto del pasto deriva dal non percepire appetito (inibizione dei centri nervosi della fame, senilità, disfunzioni ad essa legate), inficiato dall’incapacità linguistica sia di comprendere che di produrre correttamente, dalla mancanza di memoria a breve termine che pur facendo mantenere la consapevolezza della nutrizione come sostentamento fa “dimenticare” di essere a digiuno, in ospite che non gradisce il contatto fisico. Viene prescritta una terapia atta a stimolare la fame. Mentre i tentativi di somministrazione del pasto da parte degli operatori si concludono ancora prima di iniziare per opposizione della signora, i figli tentano di alimentarla a qualsiasi ora del giorno, con procedure del tutto sbagliate e conseguentemente inconcludenti. 5
La figlia propone le pietanze a lei più gradite, preparate in casa, alla stregua di un bambino: offre lunghe storie per stimolarla ad accettare il boccone, ma il deficit in input dell’afasia transcorticale sensoriale ne impedisce la comprensione anche solo di una singola frase. Le è difficile accettarlo, poiché l’ospite all’apparenza è attenta e fissa l’interlocutrice. Il figlio, invece, scoppia episodicamente in manifestazioni di rabbia dove insulta e cerca di ricattare o mettere in soggezione la madre, che non comprendendo appare quasi provocatoriamente impassibile. Talvolta forza l’imbocco, agitando la signora che serra la rima labiale. IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO: Ricondotta la causa del rifiuto del pasto con maggiore probabilità all’inibizione dei centri della fame e/o dei neuroni del piacere, è molto difficile per i disturbi comunicativi e di memoria approcciare un trattamento di qualsiasi tipo. Vista la massa fisica dell’ospite, sovrappeso, si ritiene lecito prendere del tempo nella speranza di una riorganizzazione delle aree cerebrali e nella plasticità neuronale post-stroke, avvisando intanto la famiglia della necessità di valutare una forma di nutrizione artificiale. Casualmente si osserva un evento importante: mentre il figlio mangia un’arancia raccolta da un cesto nella camera dell’ospite, la signora di propria iniziativa se ne prende una, la sbuccia e consuma in autonomia. Osservando la ripetibilità della prestazione si giunge alla stesura di una strategia: - Attivazione dei neuroni specchio per imitazione: continuando a mangiare altre arance, anche la signora Novella ha proseguito ad alimentarsi in autonomia con le stesse. Così è stato anche per lo yogurt sino al pasto completo, seppure in quantità accettabilmente ridotte. L’esperimento non si ripeteva se tutti i presenti non mangiavano la stessa pietanza, od anche uno solo non mangiasse affatto. Si è potuto affermare che i neuroni specchio inducessero la signora a ripetere l’azione che vedeva svolgersi. In sala da pranzo, dove il gruppo è più numeroso, l’evento non succedeva, e Novella sembrava disturbata dalla confusione, perdendo subito il compito. Nei giorni successivi, ogni pasto è stato svolto in presenza dei familiari e del logopedista, in camera con setting silenzioso e privo di inferenze (es. tv spenta), dove ogni partecipante mangiava ben visibile a tutti gli altri la medesima pietanza, sia in fatto di quantità che di colore ed ausili (stessi piatti, stessa postura da seduti, stessa porzione). Anche per la terapia orale, la soluzione è stata quella di inserirla nel bicchierino da caffè dell’ospite, ed ognuno avrebbe bevuto il proprio. Ad oggi la signora viene assistita con soddisfazione dai figli ed assume regolarmente una quantità sufficiente di calorie. In conclusione: Nell’anziano l’inappetenza può essere un evento fisiologico legato al decadimento generale, ed anche senza altre complicanze può portare al rifiuto del pasto sino alla malnutrizione. Le cause più specifiche attorno alle quali è possibile studiare
una terapia farmacologica sono riconducibili a carenza di zinco, riduzione della increzione degli ormoni elaborati dal corticosurrene, la corretta funzionalità dell’ipotalamo, l’eccessiva attività di leptina e insulina, la produzione post prandiale di ormoni anoressizzanti, la rallentata motilità gastrica e l’inibizione dei centri nervosi della fame e/o dei neuroni del piacere, creando una condizione di 'anoressia dell’invecchiamento'. Nel paziente recettivo è possibile instaurare una collaborazione per mezzo del counselling con l’obiettivo di intraprendere un percorso stimolante l’appetenza; le attività proposte possono essere l’offerta di piccoli pasti dilazionati nella giornata e l’allestimento di uno spazio adibito a “Sala da thè” come momento edonistico per l’idratazione. Andranno sempre scelti gli alimenti più calorici ed è consigliabile l’uso di integratori, sempre nella coerenza del quadro clinico e coinvolgendo i familiari. Attività di cucina dove l’ospite prepara da solo i propri alimenti e di stimolazione olfattive nelle quali descrive quanto percepisce si rivelano meno efficaci ma lo stesso proponibili. Nel paziente che non comunica efficacemente, l’approccio diventa molto più complesso rispetto all’analogo che sa comprendere i messaggi ed esprimere i propri bisogni. A tal proposito si invita a considerare la strategia della stimolazione dei neuroni specchio per imitazione: questa procedura avviene facendo condividere il momento del pasto con i care-givers in setting molto tranquillo ed al minimo inquinato, dove tutti i partecipanti assumeranno una alla volta le pietanze in medesima forma, quantità, aspetto e postura, reciprocamente ben visibili. Questa misura ha l’obiettivo di far imitare al paziente l’azione che vede, e dunque di consumare il pasto “per riflesso”. Causa I.R.P.A.I. 02 PRESENTA SENSO DI SAZIETÀ E DI PIENEZZA PIÙ RAPIDO PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA: Alla luce di quanto riportato nel caso precedente, si invita a riflettere sul fatto che l’inibizione dei centri della fame e dei neuroni del piacere sia una condizione differente dal senso di sazietà e di pienezza rapido, che può derivare da abitudini alimentari e conformazione organica e può costituire sicuramente una rilevante ragione di rifiuto del pasto. 7
Il “Dipartimento di Medicina e Psichiatria del St. Lukes-Roosevelt Hospital della Columbia University” ha infatti dimostrato nel Gennaio 2010, per mezzo di uno studio sperimentale, che mangiare meno riduce le dimensioni dello stomaco; dalle analisi successivamente condotte gli studiosi hanno osservato una riduzione della capacità gastrica compresa tra il 27% e il 36% in soggetti appartenenti di un gruppo sottoposto a dieta con introito inferiore alle 1000kcal giornaliere. Nel paziente anziano, che di per sé può ridurre la quantità del pasto assunto, tale evento può costituire un problema, poiché rappresenta un circolo vizioso nel quale il digiuno può gradualmente rinforzarsi ed accentuarsi sino alla totale inappetenza. CASO: La signora Maria ha 92 anni, è istituzionalizzata da 6 e da circa 2 è costretta per faticabilità ad una maggiore condizione di allettamento: esegue due alzate la mattina ed il pomeriggio per la durata non superiore alle tre ore. Da una settimana, rifiuta il pasto senza neppure assaggiare la pietanza, lo stesso vale per l’idratazione. Il logopedista e la psicologa incontrano la signora in camera, e dopo la lettura attenta dell’anamnesi e della storia clinica, che non rivela demenza o disturbi comunicativi, possono confermare che non vi sia in atto un decadimento cognitivo. La signora accoglie i due professionisti con serenità e sorride durante il colloquio. Interrogata sul perché non voglia mangiare, risponde con lucidità e coerenza interna della frase: spiega che semplicemente non ha fame né sete. La psicologa, che non ha riscontrato episodi depressivi durante la vita dell’ospite, le chiede se sia consapevole che il digiuno possa farle rischiare un calo della qualità della vita. La signora intuisce che l’argomento in realtà trattato sia la “durata” effettiva della vita stessa, e risponde che non si sentirebbe pronta a morire, per quanto in pace, ma che per lei è davvero difficile sforzarsi di mangiare e bere, ripetendo che quando non si ha fame riempirsi lo stomaco crea nausea e gonfiore. Il logopedista, verificata l’anamnesi sanitaria (non riportati diabete, intolleranze alimentari, diverticoli, reflusso o disturbi intestinali) somministra un cucchiaino di budino alla vaniglia, chiedendo il permesso all’ospite. La signora lo deglutisce senza problemi, non rivela disfagia, ed addirittura spiega che la vaniglia le è sempre piaciuta (non vedeva la confezione nè le son state anticipate le qualità della pietanza). Si capisce che non vi sia disabilità sensoriale gustativa. Si attende qualche minuto per verificare che non compaiano segni di soffocamento retroattivi o disfagia esofagea. Approfittando della cortesia della signora, il logopedista riesce a somministrare tutto il budino, con una certa fatica da parte della paziente: non compare vomito. Si riferisce l’osservazione al medico, che visitandola prevede di escludere, nei limiti di una palpazione addominale, la presenza di masse allo stomaco, sulla superficie del quale non percepisce dolore, malformazione o anomalie. Con l’operatore, al momento del pasto, la signora continua a rifiutare il cibo o ad assumerne piccoli bocconi, comunque insufficienti rispetto ad una dieta ideale. Vengono proposte pietanze diverse (sempre intere) per stimolare l’appetenza, ed
altre volte si cerca di forzare delicatamente l’imbocco, ma non vi sono risultati apprezzabili. L’infermiere riferisce che evacuazione e minzione sono nella norma, per quanto ridotte, e che la terapia orale viene assunta senza problemi. IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO: In principio si presuppone che la causa del rifiuto del pasto sia riconducibile all’inibizione dei centri della fame e/o dei neuroni del piacere, ma subito l’ipotesi viene esclusa poiché la signora riferisce che, in realtà, prova il senso di fame, e diversamente da quanto riferito in precedenza l’appetito non è del tutto assente ma flebile, limitato. Si pensa dunque che il senso di sazietà e di pienezza sia più rapido rispetto alla norma, forse per la riduzione delle dimensioni dello stomaco: Maria concorda con questa teoria, confermando una pesantezza pressoché immediata dopo i primi bocconi. Le strategie con risultati degni di nota sono risultate vincenti quando si è perseguito l’obiettivo di stimolare l’assunzione di piccoli pasti a prescindere dal senso di fame o di pienezza dell’ospite: - Attività dove l’ospite prepara da solo i propri alimenti: sulla base della filosofia secondo la quale non sempre occorre aver fame per mangiare, si studia una situazione secondo la quale la signora non riesca a resistere alla tentazione di assaggiare una pietanza. Dato che le più appetenti, anche dopo intervista ai familiari, non la stimolano al consumo, si propone un laboratorio di gastronomia dove a cucinare siano proprio i pazienti. La signora viene inserita nel gruppo, così da non far capire che l’intervento in realtà sia stato pensato ad-hoc per lei, col rischio di metterla in imbarazzo. Circa otto anziani vengono portati in setting tranquillo, su un tavolo adiacente all’ingresso della cucina. Qui si chiede consiglio su come preparare il pane, e chiaramente si creano delle divergenze sulla quantità e qualità degli ingredienti da persona a persona. Ognuno seguirà le proprie ricette, così come per altri piatti tradizionali (nel nostro caso la polenta arrostita, la zucca, il brasato, gli gnocchi, la pasta e fagioli ecc.). La signora Maria vive con accettabile coinvolgimento l’attività, e gradisce l’assaggio sia della propria pietanza che delle altre, poiché in questo caso il pretesto di mangiare non è “saziare la fame” bensì il dimostrare la validità della propria ricetta ed il confronto con le altre. Col supporto del servizio e del personale di ristorazione, che forniscono i mezzi e seguono la cottura del preparato, l’appuntamento diventa fisso e rituale ogni settimana; - Coinvolgimento della famiglia nel supporto alle compensazioni: quanto preparato viene poi consumato dagli ospiti non solo a termine dell’attività, ma anche durante il pranzo. Questo carico di lavoro e di attenzione maggiore viene supportato dai care-givers della signora, che al di là del proprio ruolo riacquisiscono fiducia ed ottimismo dopo che la continua proposta delle pietanze più appetenti preparate e portate da casa era fallita. Alla pari, questa famiglia assieme ad altre si prenderà carico di 9
preparare in reparto bevande con thè e frullati di frutta, coinvolgendo anche altri ospiti. La procedura rimane la stessa. Non si prepara una bevanda con l’obiettivo di farla bere bensì di accattivare i ricordi e l’agonismo tra gli ospiti su chi riesca a creare un prodotto più buono. Assaggiare, diventa praticamente un obbligo che l’inappetente si autoimpone con piacere; - Discriminazione dell’odore a vista schermata: l’ospite, dopo aver accettato l’attività in forma ludica, viene bendato ed invitato a riconoscere le fragranze che gli vengono poste sotto le narici, o consegnate in mano affinché le studi in autonomia. Si scelgono le erbe aromatiche, poiché legate alla cucina ed alla memoria del signore. Se riconoscere direttamente il profumo diventasse difficile, si possono suggerire delle scelte dalle quali indovinare per evitare la mortificazione ed il rinuncio del compito, sino ad arrivare nella più semplice delle ipotesi ad una scelta binaria. Tale procedura ha l’obiettivo di riattivare l’appetenza e rendere più sopportabile lo sforzo di nutrirsi anche nel momento in cui si percepisca un senso di pienezza; - Consumo del pasto in ambienti diversi, ma sempre all’interno della struttura: il consumo del pasto, quando permesso dalle condizioni dell’ospite e dalla disponibilità degli spazi (sia climatica che di utilizzazione) viene proposto in setting diverso rispetto alla sala da pranzo, come ad esempio in giardino durante le stagioni calde o davanti ad una televisione che riproduce l’immagine del fuoco. Per seguire questo momento, che richiede un rapporto 1:1, vengono coinvolti i familiari che intervengono anche con nipoti ed animali domestici, creando un momento conviviale e ricreativo che stimola al consumo del pasto in compagnia; - Misure passe-partout: esistono alcuni accorgimenti che possono essere sinergici nel raggiungimento dell’obiettivo. Ad esempio, la “Sala da thè” invernale ed il “Chiosco” estivo, citati nel capitolo precedente, possono esser utili nel momento in cui si rifiuti anche l’idratazione, mentre la scelta di dilazionare il pasto in svariati “spuntini” nei quali vengono introdotti integratori ipercalorici è assolutamente indicato. Durante la settimana nella quale è cominciata l’attività gastronomica, la signora Maria è passata dall’assumere
Tramite dieta specifica, quanto assunto corrisponde sul piano calorico a 1100kcal giornaliere. Sei mesi dopo il trattamento, la signora è stata soggetta ad un ictus cerebrale emorragico, che l’ha costretta all’allettamento completo ed all’applicazione di CVC quantomeno per l’assunzione dei liquidi. Non disfagica ma con marcati segni dementigeni, tutte le attività prima proposte si sono rivelate inconcludenti e disorientanti, ma il rifiuto del pasto per senso di sazietà più rapido si è compensato tramite l’attivazione dei neuroni specchio per imitazione, proponendo 10 spuntini ipercalorici col coinvolgimento della famiglia. In conclusione: Nell’anziano, che di per sé tende a ridurre la quantità del pasto assunto, l’inappetenza può derivare da un senso di sazietà e di pienezza rapido, dettato dalle precedenti abitudini alimentari e dalla riduzione del volume dello stomaco. Nel paziente recettivo è possibile instaurare una collaborazione con l’obiettivo di creare dei momenti nei quali l’atto di “assaggiare” e consumare una pietanza risulti praticamente un piacere che l’inappetente si autoimpone a prescindere dal senso di fame. Le attività proposte possono essere gastronomiche, nelle quali l’ospite prepara da solo i propri alimenti, di stimolazione olfattiva dove egli descrive ed indovina quanto percepisce ( a fini di riattivazione dell’appetenza e dell’interesse verso il cibo), nonchè l’offerta di piccoli pasti dilazionati nella giornata con l’allestimento di uno spazio adibito a “Sala da thè” come momento edonistico per l’idratazione. Andranno sempre scelti gli alimenti più calorici ed è consigliabile l’uso di integratori, nella coerenza del quadro clinico e coinvolgendo i familiari. Nel paziente che non comunica efficacemente, l’approccio diventa molto più complesso rispetto all’analogo che sa comprendere i messaggi ed esprimere i propri bisogni. A tal proposito si invita a considerare la strategia della stimolazione dei neuroni specchio per imitazione: questa procedura avviene facendo condividere il momento del pasto con i care-givers in setting molto tranquillo ed al minimo inquinato, dove tutti i partecipanti assumeranno una alla volta le pietanze in medesima forma, quantità, aspetto e postura, reciprocamente ben visibili. Questa misura ha l’obiettivo di far imitare al paziente l’azione che vede, e dunque di assumere il pasto “per riflesso”. Anche in questo caso, a causa del rapido senso di pienezza, va scelta una dieta specifica con il supporto degli integratori affinchè il pasto ridotto risulti sufficientemente nutriente. 11
Causa I.R.P.A.I. 03 VENGONO A MANCARE QUELLA “FATICA” E QUEL MOVIMENTO CHE “FANNO FAME” PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA: Nel lessico comune, la differenza tra “fame” ed “appetito” non è sempre scontata. Per fame si intende un bisogno fisiologico di nutrirsi: è una funzione regolata dall’ipotalamo che, descrivendo in questa sede in modo del tutto informale il processo, riceve dall’organismo un “avviso” di necessità di rifornire l’approvvigionamento calorico. L'appetito, invece, deriva dal termine appetenza, che significa buona disposizione a mangiare, e dipende da vari fattori quali lo stato d'animo e coinvolge - a differenza della fame in senso stretto - il piacere del consumo del pasto. L’anziano, come visto, sente di per sé uno stimolo inferiore verso il bisogno di mangiare e di bere, e l’edonismo ad esso legato viene inficiato
dalla riduzione della percezione del gusto, dalla condizione comunitaria di istituzionalizzato che non sempre rende piacevole il contesto, nonché dalla possibile depressione e decadimento generale. L’anziano in RSA, in definitiva, è prognostico al calo dell’appetenza. Talvolta la limitatezza nei movimenti, nelle autonomie e nell’accesso a spazi diversificati riduce il consumo e conseguentemente il fabbisogno calorico, rispetto alla maggior parte della vita precedente nella quale, in genere, l’ospite era operativo nel proprio lavoro ed in altre attività fisiche. La conseguenza può essere che, ad accentuare la predisposizione al rifiuto del pasto, l’evento scatenante al problema sia proprio la mancanza della “fatica” e del “movimento” che stimolano un comando organico e fisiologico a nutrirsi. CASO: Il signor Vito, ex manovale in navi mercantili a Venezia, ha 78 anni ed è accolto dalla struttura da poco meno di 2 mesi, proveniente da domicilio. Presenta limitazioni nella deambulazione, che esegue assistito, ma trascorre la maggior parte della giornata in carrozzina, che gestisce in autonomia utilizzando anche gli ascensori. Non presenta dati anamnestici, dunque vengono eseguiti esami atti a descrivere il quadro sanitario, che risulterà in piena salute. Anche sotto il profilo psicologico l’ospite è sereno, collaborante e non dimostra nessun quadro di demenza. La sua istituzionalizzazione è classificabile come parziale caso sociale, poiché viveva da solo e, consapevolmente, le proprie autonomie si sono ridotte sino a compromettere i bisogni essenziali, quali l’igiene, la preparazione del pasto, la cura e la manutenzione della casa e la sicurezza nei passaggi posturali. Da una settimana la tranquillità di Vito è visivamente diminuita: infatti, pur non riscontrando depressione, la psicologa rileva una crescente apatia del paziente, che esterna la sua noia e la difficoltà a “far passare” il proprio tempo in comunità in modo appagante. L’educatrice professionale, che già coinvolgeva Vito nelle attività pianificate, lo inserisce nelle rimanenti, con scarso risultato: il signore infatti dice di non sentirsi stimolato. La manifestazione più palese e pericolosa del disagio risiede nel rifiuto del pasto. IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO: La ricerca delle cause che possono spingere Vito a non mangiare è superflua: egli stesso riferisce che risente di non “lavorare”, cioè che in assenza di fatica, movimento e consumo non percepisce la stessa fame rispetto a quando era manovale. Il logopedista e l’infermiere professionale indagano comunque in anamnesi eventi o condizioni sanitarie contingenti, senza trovarle; psicologa, fisioterapista ed educatrice confermano in svariate interviste (compiute durante momenti non dedicati, per non far sentire l’ospite in soggezione) che Vito percepisce i gusti e talvolta la fame, non cita dolori sia fisici che emotivi che lo 13
disturbino e la sequenza delle abitudini in RSA, oggettivamente, è simile a quella che seguiva a casa. L’equipe si attiva dunque per creare una ritualità soddisfacente per Vito all’interno della struttura, con particolare attenzione alla stimolazione dell’appetenza. - Terapia occupazionale di stampo manuale: con l’occasione, vengono proposte attività regolari di stampo manuale. Esse, per coinvolgere quanti più ospiti possibili, si incentrano fondamentalmente sulla manipolazione di pezzetti di carta velina che, arrotolati su se stessi, diventano delle biglie che possono essere utilizzate per essere incollate su superfici sulle quali è disegnata un’immagine, colorandole. Questo tipo di lavoro viene privilegiato, rispetto ad altri magari meno ripetitivi, perché assume un valore anche per i pazienti con demenza, che se non sono messi in pericolo nello svolgimento (es. mangiare la carta, introdurla negli orifizi ecc.) possono essere stimolati a livello sensoriale tattile. Per rendere il compito meno monotono a Vito ed agli altri compagni più lucidi, si pone un obiettivo visibile e compiacente, come ad esempio l’allestimento di un quadro iconoclastico religioso (es. un ritratto di Madonna) e la costruzione di oggetti destinate ai bambini in visita (in questo caso degli spunti possono essere mascherine in prossimità del Carnevale, addobbi natalizi ecc.); - Elezione ad un ruolo nella struttura: il signor Vito viene posto, durante le mattinate povere di attività (o le cui stesse siano rifiutate o non gradite) all’ingresso della struttura, col compito di aprire la porta, accogliere e congedare chi vi accede. Questa decisione ha avuto il consenso dello stesso Vito, nonché dall’FKT che ha confermato la sua capacità a svolgere il compito in sicurezza e dalla psicologa che non rileva alcun pericolo di fuga per sé e compagni. L’ospite prende molto seriamente il ruolo, che esegue con puntualità e cortesia; - Elezione ad un ruolo “gastronomico”: Vito viene eletto anche ad un altro compito, vale a dire come “assaggiatore” delle pietanze provenienti dalla cucina. A prescindere dalla sua partecipazione alle attività o come “guardiano” della struttura, circa 20 minuti prima del pasto viene portato in cucina (o in caso essa non fosse interna, si può ricorrere allo spazio deposito delle vasche per la distribuzione nelle mense dei nuclei), dove è suo compito pregustare una piccolissima porzione delle portate, per garantirne la qualità o porre consigli sulla sua preparazione. Questo compito, al di là di occupare anche l’ultimo spazio temporale della mattinata, aumenta l’autostima nel signore che riceve anche una stimolazione gustativa; - Progetto orto: per il signor Vito, come per altri ospiti, un piccolo spazio provvisto di vasi o arato e coltivato, nel giardino della struttura dove sono accolti, desta un certo interesse. In particolare egli, quando lo si porta a guardarlo racconta del proprio parco, e riemergono ricordi sulla sua casa
vissuti con serenità. Per il paziente e per gli altri ospiti che gradiscono, andare a vedere la crescita delle piante è un rituale che si ripete ogni mattina, gradito al punto da far installare nei terrazzini delle proprie camere delle vasche con ortaggi personali. Vengono posizionate in modo che siano visibili dall’ospite anche da disteso. Il consumo delle verdure prodotte sarà gradito e completo in fatto di quantità; - La cura della terra a distanza: con gli amici che vengono a far visita all’ospite si consiglia una sorta di “corrispondenza”, vale a dire che visto il piacere dimostrato dai signori si invita a fotografare lo sviluppo delle coltivazioni (per chi ne avesse) e mostrarle in foto all’ospite ogni qualvolta venissero a fargli visita, chiedendo consigli sulla cura di quello spazio. Si è osservato che il consumo del pasto è diventato più gradevole e raggiunge quantitativi maggiori se l’ospite è convinto di mangiare (ed anzi, aver offerto) qualcosa di proprio. Con la messa in atto di questi progetti, Vito si sente occupato ed appagato: i suoi momenti “morti”, tra colazione pranzo e cena, sono ora occupati dal suo ruolo di “portinaio”, dall’attivo compito manuale di costruzione di perle di carta (che svolge anche da solo in camera e dal quale sono nati diversi quadri di cui va molto fiero, per la struttura e per i visitatori), dalla cura dell’orto e dalla ritualità dell’assaggio prima dei pasti, impreziosito tra l’altro di prodotti delle sue stesse coltivazioni. Hanno assunto un ruolo attivo anche gli amici, che lo vengono a trovare più frequentemente portando gli sviluppi delle proprie coltivazioni, supportate “per corrispondenza”. Ad oggi il signor Vito vive con felicità la vita comunitaria in struttura, non ha più dimostrato inappetenza o rifiuto del pasto che assume in oltre 1600kcal al giorno (valore più che accettabile) salvo durante le sporadiche febbri, ed i benefici sono riscontrabili anche nel mantenimento del ritmo sonno-veglia. In conclusione: Nell’anziano il rifiuto del pasto può essere secondario ad inappetenza derivante dalla mancanza di fatica e movimento, cosa che compromette anche la qualità della sua vita in struttura comunitaria. Come soluzione e prevenzione al problema, si consigliano delle attività di natura occupazionale che affatichino accettabilmente l’ospite, soprattutto se manuali, come la manipolazione di oggetti atta alla costruzione di qualcosa di tangibile e gratificante, con la consapevolezza che non possa mettersi in pericolo. Per appagare l’ospite, lo si può eleggere ad un ruolo all’interno della struttura che aumenti la propria autostima (es. portinaio) e lo stesso valga con inerenza all’alimentazione (es. assaggiatore di pietanze). A doppia valenza sia occupazionale che di stimolazione dell’appetito si possono proporre anche attività di costruzione e coltivazione quotidiana di un orto, col coinvolgimento dei care-givers. 15
L’attività manuale che funge da stimolazione sensoriale tattile e da momento di vago affaticamento si rivela essere un’ottima strada da percorrere anche nei pazienti con demenza, non comunicanti e/o non recettivi, nei quali la causa di rifiuto del pasto possa essere ricondotta per esclusione a quella in questione. Causa I.R.P.A.I. 04 PRESENTA DIFFICOLTÀ A PERCEPIRE L'APPETITO, IN PASSATO MANGIAVA PICCOLI PASTI PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA: Una categoria di soggetti che possono essere particolarmente a rischio di malnutrizione per rifiuto del pasto sono quelli che hanno consolidato, nel vissuto, l’abitudine di consumare piccoli pasti o che mangiavano poco frequentemente nel corso della giornata. In genere questo “schema” deriva da una particolare costituzione fisica e/o dal metabolismo, che rende sufficiente una ridotta necessità di introito calorico: infatti in questi individui il BMI può rivelare una condizione di sottopeso falso-positiva, cioè che è stata mantenuta tale ed in salute nel corso di tutta la vita, considerabile dunque come una “normalità”.
Molto spesso si sottovaluta il rifiuto del pasto nei pazienti in questione, poiché viene dato per assunto che “già di per sé ha sempre mangiato poco”. In realtà, la condizione può rivelarsi pericolosa: infatti se normalmente l’apporto calorico è da ritenersi oggettivamente nel limite inferiore di norma, esso può facilmente precipitare nella riduzione o nell’annullamento con la comorbilità del decadimento fisiologico legato alla senilità, cioè anoressia dell’invecchiamento (si vedano le ragioni ad essa legate nella causa 01), diminuzione del volume dello stomaco e mancanza di fatica e di movimento. All’interno della struttura socio-assistenziale, risultano di maggiore minaccia anche tutte le altre cause che possono portare al rifiuto del pasto (siano esse organiche quali febbre e diarrea o emotive come depressione), perché ogni digiuno va a consumare risorse in un quadro, come appunto detto, al limite inferiore di norma sotto il profilo di immagazzinamento calorico. CASO: La signora Nina ha 85 anni ed è istituzionalizzata da 4. Ha difficoltà nel comunicare per afasia mista derivante da demenza, che ne compromette in diversa misura input ed output linguistico (il linguaggio è dunque deficitario sia in comprensione che in produzione) e riduce l’efficacia degli ausili di CAA per incapacità ad organizzare lo spazio, riconoscere l’oggetto e gestirlo. Dopo circa cinque giorni che rifiuta il pasto, avviene la compilazione della tabella alimentare, che monitora con schemi “a torta” il quantitativo assunto dalla signora. Nello stesso periodo dell’inappetenza si osserva che l’ospite presenta febbre che la costringe a letto e stipsi che le impone misure invasive atte a stimolare l’evacuazione. La causa del rifiuto del pasto viene dunque ricondotta a malessere fisico, che una volta risolto dovrebbe potenzialmente ridurre il problema. Infatti, con il ritorno dello stato di benessere, la signora ricomincia a nutrirsi con piccoli pasti. Il problema riscontrato dall’equipe sta nel BMI che rivela malnutrizione lieve: l’Indice di Massa Corporea indica che Nina sia sottopeso. Tale dato è stato trascurato dal team della struttura comunitaria poiché la signora è sempre risultata identica a sé stessa, vale a dire che dall’ingresso ad oggi è apparsa magra ma stabile, consumando pasti ridotti e facendo capire nei momenti più responsivi che essi siano sufficienti a saziarsi ed essere in forze. Nel colloquio con le figlie, esse riportano che effettivamente la madre è sempre stata magra ed abituata a mangiare poco, anche solo un terzo della portata, sin dalla giovane età. Dalla raccolta di dati anamnestici e dalle indagini psicologiche, non si rileva anoressia in atto o pregressa, né inferenze di natura sanitaria: Nina di per sé è in salute. Ciò che spaventa di più è il fatto che, per quanto siano considerati “normali” il BMI basso e la necessità di assumere poco cibo, ogni malessere che causi digiuno riduce la massa fisica già poco consistente, rendendo la signora più vulnerabile e fragile. IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO: 17
La causa del rifiuto della maggior parte del pasto durante la condizione di salute viene ricondotta ad una difficoltà nel percepire l’appetito “propria” della signora, che ha dimostrato nel corso di tutta la vita abituandosi a consumare piccoli pasti. Il cambio di abitudini consolidate per oltre 80 anni si prospetta a prescindere arduo, e dunque si applicano tutte le strategie viste nei tre capitoli precedenti. Di queste, quattro attività sono gradite ma non fungono da vero e proprio “passe- partout” (vale a dire intervento valido ma aspecifico), poiché seppur accettate non portano ad una significativa riduzione del rifiuto del pasto: - Stimolazione sensoriale olfattiva con discriminazione dell’odore a vista schermata e reminiscenza; - Consumo del pasto in ambienti diversi, all’interno della struttura; - Terapia occupazionale di stampo manuale e progetto orto; - Elezione ad un ruolo gratificante. La signora Nina è ben lieta di partecipare a quanto proposto, poiché si suppone abbia un ottimo valore a livello occupazionale, e riferisce (sempre nei momenti più responsivi) di sentire incrementata la qualità del proprio tempo speso in struttura, ma l’aumentata serenità e fatica fisica non hanno indotto l’ospite ad un consumo del pasto maggiore. Sono risultate vincenti, invece, tra le passe-partout cinque attività sotto riportate (si veda argomentazione delle stesse nei capitoli precedenti): - Piccoli pasti dilazionati nella giornata; - Scelta degli alimenti più appetenti ed uso di integratori; - Sala da thè come momento edonistico per l’idratazione; - Attività dove l’ospite prepara da solo i propri alimenti; - Coinvolgimento della famiglia nel supporto alle compensazioni. Il denominatore comune sembra risiedere nella presentazione, in varia forma e setting, di spuntini variati, sintetizzando le tecniche in una “Strategia del Buffet”: se si dà per assunto che il rifiuto del pasto derivi da inappetenza legata allo scarso bisogno alimentare, abitudini ad esso legate e demotivazione per non riuscire a consumare un’intera portata, è possibile proporre in svariati momenti della giornata piatti contenenti piccoli bocconi, o gli stessi singolarmente in momenti di svago (compleanni, tombola, spazio-bar collettivo, regalo dei familiari ecc.). Si è proceduto stimando un apporto calorico ideale per la signora Nina pari a 1000kcal/die (lievemente sotto la norma delle rituali 1200 per femmina anziana ipomobile di media statura), consigliando anche un impiego di 2-4 litri di liquidi (rispettivamente proporzionati tra inverno ed estate). Osservando la reazione positiva dell’ospite di fronte ad un piatto presentato “ridotto e multiforme nei cibi” nei tre pasti principali della giornata e la sua accettazione delle merende, si è calcolato un apporto medio di 650-700kcal giornaliere e circa 1 litro d’acqua. La famiglia, intervistata e ricevente counselling, ha portato alla luce diversi alimenti giudicati appetenti da Nina, impegnandosi oltretutto a portarli di persona ed accompagnare l’ospite negli spazi dedicati alla
convivialità nei quali vengono offerte vivande (chiosco, sala da thè, spazio-bar e passeggiate all’aperto anche al di fuori della struttura). Ponendo attenzione ad offrire spuntini anche durante le attività educative, l’apporto giornaliero è aumentato a 850-900kcal ed 1,5 litri d’acqua. Con la dietista sono stati introdotti degli integratori (es. olio come condimento, preparato proteico al gusto di cioccolata nel caffè e nella colazione, bevande zuccherate ecc.), superando la garanzia delle 1000kcal/die+2litri di liquidi. A distanza di due mesi, Nina non ha dimostrato più perdita di peso o rifiuto del pasto, nemmeno dopo momenti di malessere. Ad oggi la demenza è ingravescente e richiede, accanto alle misure di stimolazione cognitiva-sensoriale anche l’attivazione dei neuroni specchio per imitazione, seguendo in rapporto 1:1 la signora e consumando gli spuntini assieme, in setting molto più semplificato e meno inquinato. In conclusione: L’anziano che ha consolidato nel vissuto la ritualità di mangiare piccoli pasti è particolarmente vulnerabile alla malnutrizione nel momento in cui, scoraggiato dalla difficoltà di consumare la portata completa, sviluppa inappetenza e rifiuto del cibo. Si raccomanda di rispettare le sue abitudini, invogliando la nutrizione con approccio naturalistico tramite la “Strategia del Buffet”, nella quale viene presentato un piatto con poche ma varie pietanze più volte durante la giornata, scegliendo le vivande che più gradisce in una dieta pensata specificamente per essere calorica anche attraverso l’uso di integratori come ingredienti/condimento. Il momento del pasto e dell’idratazione può essere reso maggiormente piacevole attraverso l’utilizzo di una sala da thè, chiosco e feste come momenti ludici ed edonistici; si sono dimostrate efficaci anche attività nelle quali l’ospite prepara e manipola gli alimenti, ed il coinvolgimento della famiglia nel supporto a queste compensazioni “passe-partout”. Nel caso in cui sia presente una demenza importante che rende inefficaci queste procedure è possibile stimolare l’imitazione del gesto di portare il bolo alla bocca (con medesima dieta speciale) mangiando assieme al paziente, con l’obiettivo di attivare i neuroni specchio. Causa I.R.P.A.I. 05 NON ACCETTA LA STRUTTURA E LA CONDIZIONE DI ISTITUZIONALIZZATO PRESENTAZIONE DEL PROBLEMA: L’anziano può non accettare il proprio nuovo schema fisico e funzionale che lo costringe ad una condizione di assistenza. Il rifiuto mentale può riguardare non solo la condizione di ricovero ed istituzionalizzazione, ma anche quella di un aiuto domiciliare. Il problema riguarda intuibilmente soggetti lucidi o sufficientemente coscienti da poter rendersi conto della propria situazione (comprese demenze lievi o demenze vascolari nei momenti di vigilanza ed orientamento). L’orgoglio viene messo alla prova in un costante rinforzo negativo, riscontrabile nelle limitazioni delle proprie autonomie, cioè in svariati momenti della giornata l’anziano può avere 19
amara conferma del bisogno di un supporto umano che non desidera. Ne consegue la perdita dell’autostima e la mortificazione, che può manifestarsi nella rabbia e nell’aggressività (usata come sfogo o come negazione) o con l’insorgere di uno stato depressivo. In entrambi i casi, la volontà di non alimentarsi è un comportamento frequente, riconducibile rispettivamente ad una forma di protesta, di opposizione verso un aiuto o di abbandono del sé. CASO: Il signor Elvio ha 81 anni. Prima del suo ingresso in struttura, viene riportato dai familiari un importante disturbo del comportamento, descritto come aggressivo ed oppositivo. Ciò è un tratto della sua personalità che asseconda da tutta la vita, ma che si accentua quando viene proposta l’ipotesi di inserimento in una comunità geriatrica, evento tuttavia dovuto a causa delle difficoltà nel deambulare (con ripetute cadute e ricoveri), nell’assolvere in autonomia le proprie necessità e la mancanza di una rete familiare che possa dedicarsi al suo supporto. È di particolare importanza da parte dell’assistente sociale la visita pre-ingresso e l’accompagnamento in struttura, momenti nei quali Elvio accoglie nella propria casa parte dei professionisti (in questo caso psicologa, vice-direttore ed appunto assistente sociale a dirigere l’incontro) che spiegano lui i vantaggi della vita in casa di riposo per stimolarne l’interesse e la concretizzazione. All’ingresso l’ospite non manifesta segni di demenza (non riportata in Cartella Clinica) ma scopre sin da subito atteggiamenti provocatori: rifiuta il pasto, lancia la protesi dentale addosso agli operatori rompendola, li percuote nell’igiene e nei passaggi posturali ed urina ovunque capiti. Viene messo in atto un counselling (in)formativo atto a stimolare l’approccio del personale al signore con gentlecare e validation, in modo da applicare una contenzione di tipo ambientale: infatti, a causa dei disturbi cardiaci, è molto difficile stilare un piano di trattamento farmacologico. Coerentemente a ciò, in un primo momento, viene fatto scegliere all’ospite quando, dove e cosa mangiare, compresi gli spazi esterni come il giardino, nei limiti del quadro sanitario (deve essere accompagnato, sorvegliato e non può assumere alcolici). Il reparto a cui è assegnato è protetto e le vie di fuga sono filtrare da chiavi e codici per accedervi, purtuttavia approfittando di un momento di distrazione di un visitatore, che non controllò la chiusura dell’ascensore, Elvio riesce a fuggire allontanandosi dall’edificio e cadendo rovinosamente al di fuori di esso. Ad un mese dall’accoglienza, Elvio mostra già i segni di malnutrizione dovuti al costante digiuno. IPOTESI DI SOLUZIONE E TRAINING RIABILITATIVO: Il rifiuto del pasto è interpretabile palesemente come una forma di provocazione dovuta alla mancanza di accettazione da parte del signor Elvio di sé e della sua condizione di istituzionalizzato: vede la sua permanenza in struttura comunitaria come qualcosa di imposto e vi si sente prigioniero. Il servizio di psicologia valuta
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