La sentenza Apple: un primo commento "a caldo" - 14/2020 Note e Studi - Assonime

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La sentenza Apple: un primo commento "a caldo" - 14/2020 Note e Studi - Assonime
14/2020

                                                                                 Note e Studi

                                    La sentenza Apple: un primo commento “a caldo”
                                               di Ivan Vacca e Tamara Gasparri
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La sentenza Apple: un primo commento “a caldo”                                        14/2020

                                    ABSTRACT

                                    Con la recente sentenza del 15 luglio 2020 emessa dal Tribunale UE sul caso Apple
                                    (Irlanda e a. contro Commissione europea, cause T-778/16 e T-892/16) è stata
                                    respinta la tesi della Commissione europea che aveva contestato all’Irlanda di avere
                                    concesso, con due accordi di ruling del 1991 e del 2007, vantaggi fiscali selettivi –
                                    qualificabili come aiuti di Stato – per oltre 13 miliardi di euro (oltre interessi) a favore di
                                    Apple Sales International (ASI) e Apple Operations Europe (AOE).

                                    È parso utile fornire, con il presente Note e Studi, un primo sintetico commento in
                                    ordine alle conclusioni raggiunte dal giudice europeo facendo seguito ad alcune
                                    riflessioni, a carattere generale, già svolte su questa delicata e complessa tematica
                                    nella nostra circolare n. 19 del 2018.

                                    PROVVEDIMENTI COMMENTATI

                                    Sentenza del Tribunale UE, Settima Sezione ampliata, del 15 luglio 2020, Irlanda e
                                    a. contro Commissione europea, cause T-778/16 e T-892/16
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La sentenza Apple: un primo commento “a caldo”      14/2020

                                    INDICE

                                    1. Introduzione                                  p. 4

                                    2. Il caso Apple                                 p. 4

                                    3. La contestazione della Commissione europea    p. 6

                                    4. Il decisum del Tribunale UE                   p. 9
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La sentenza Apple: un primo commento “a caldo”                                                     14/2020

                                    1. Introduzione

                                    Con la recente sentenza della General Court UE sul caso Apple1 è stata respinta la tesi
                                    della Commissione europea che aveva contestato all’Irlanda di avere concesso, con
                                    due tax ruling del 1991 e del 2007, vantaggi fiscali selettivi – qualificabili come aiuti di
                                    Stato – per oltre 13 miliardi di euro (oltre interessi) a favore di Apple Sales International
                                    (ASI) e Apple Operations Europe (AOE)2.

                                    Riservandoci sin d’ora la possibilità di svolgere, in prosieguo, più meditati
                                    approfondimenti sui complessi contenuti di questa sentenza, ci limitiamo in questa
                                    sede a fornire un primo rapido commento in ordine alle importanti conclusioni in essa
                                    contenute, dando seguito alle nostre precedenti osservazioni sul caso Apple e sulle
                                    altre fattispecie di ruling che sono state poste all’attenzione della Commissione
                                    Europea in questi ultimi anni. Intendiamo riferirci, in particolare, alla nostra circolare n.
                                    19 del 2018, in cui avevamo illustrato le principali caratteristiche degli accordi di ruling
                                    tramite i quali alcuni Stati membri dell’Unione avevano riconosciuto, a torto o a ragione,
                                    non indifferenti vantaggi fiscali alle principali multinazionali della new economy. Come
                                    evidenziato in tale circolare, infatti, le tecniche più avanzate di questi ruling sono
                                    riuscite ad isolare dal complessivo utile societario un rilevante ammontare di extra-
                                    profitto considerato a vario titolo “apolide” e, come tale, escluso dalla potestà
                                    impositiva di qualsiasi ordinamento nazionale. Si tratta, cioè, di profitti che
                                    costituiscono l’output di complessi schemi di pianificazione fiscale resi possibili sia dal
                                    formalismo che caratterizzava all’epoca i criteri di transfer pricing di comune
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                                    applicazione prima del recente restyling delle Actions 8-10 del BEPS, sia ancor oggi
                                    dalla crescente inadeguatezza degli attuali principi di fiscalità internazionale rispetto ai
                                    nuovi modelli di business della new economy.

                                    2. Il caso Apple

                                    In sintesi, ricordiamo che Apple Sales International (ASI) e Apple Operations Europe
                                    (AOE) erano due società di diritto irlandese, fiscalmente non residenti, tuttavia, né in
                                    Irlanda né in altre giurisdizioni. Queste società erano controllate indirettamente dalla
                                    capogruppo statunitense e, rispettivamente, detenevano – in forza di un accordo di
                                    ripartizione dei costi di ricerca e sviluppo (cost contribution agreement) – i diritti d’uso
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                                       Sentenza del Tribunale UE, Settima Sezione ampliata, del 15 luglio 2020, Irlanda e a. contro
                                    Commissione europea, cause T-778/16 e T-892/16.
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                                      In virtù dei ruling, l’effective tax rate delle due società pari all’1 per cento dei profitti nel 2003, era
                                    ulteriormente sceso fino allo 0,005% nel 2014.

                                                                                                                                                 4
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo”                                                         14/2020

                                    per la vendita e la fabbricazione dei prodotti Apple al di fuori del Nord e del Sud
                                    America, in cambio di contributi annuali a favore della consociata USA che svolgeva le
                                    attività di ricerca e sviluppo; contributi che venivano dedotti dalla base imponibile in
                                    Irlanda e che arrivavano a finanziare anche oltre la metà del totale dei costi di ricerca di
                                    tutto il gruppo.

                                    In particolare, ASI era, contrattualmente, l’unica responsabile delle vendite per
                                    l’Europa, il Medio Oriente, l’Asia e l’India e fatturava tutte le cessioni dei prodotti che,
                                    materialmente, erano effettuate dai negozi Apple dei vari Paesi delle predette zone
                                    geografiche. Irlandese per costituzione, ASI era fiscalmente una società “apolide” che
                                    si assumeva svolgesse la propria attività di vendita dall’Irlanda tramite una stabile
                                    organizzazione.

                                    Alla luce di questa configurazione, gli accordi conclusi con l’Amministrazione
                                    finanziaria irlandese prevedevano che gli utili che ASI realizzava in tutto il mondo – ma
                                    lo stesso identico schema era valido anche per AOE – fossero idealmente “ripartiti” tra
                                    la branch irlandese e la casa-madre “apolide” e fossero, quindi, assoggettati a
                                    tassazione in Irlanda soltanto in minima parte; in misura sufficiente, cioè, a remunerare
                                    le funzioni meramente routinarie svolte dalla stabile organizzazione insediata in Irlanda
                                    che era di per sé priva di assets di valore, posto che la titolarità del diritto d’uso della
                                    proprietà intellettuale (e, cioè, del marchio Apple) apparteneva giuridicamente alla casa
                                    madre (rectius: “sede centrale” della società).

                                    Di conseguenza, mentre i profitti (tassabili) attribuiti alla branch erano commisurati ai
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                                    costi da essa sostenuti più un piccolo margine e rimanevano sostanzialmente invariati
                                    nel corso degli anni, tutto il rimanente extra-profitto era, invece, assegnato virtualmente
                                    alla “sede centrale” della società. Una “Sede centrale” – precisava la Commissione –
                                    che “non era ubicata in nessun Paese, non aveva né dipendenti, né Uffici propri e le
                                    cui attività consistevano esclusivamente in sporadiche riunioni del consiglio di
                                    amministrazione” e il cui reddito non era tassato anywhere.

                                    In base, dunque, ad un metodo di analisi meramente unilaterale3 dell’attività della
                                    branch irlandese, gli accordi di ruling avevano stabilito che le funzioni e gli assets

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                                      Si tratta del metodo c.d. TNMM (Transactional Net Margin Method) che le Guidelines OCSE sui prezzi di
                                    trasferimento (prima del restyling effettuato a seguito delle Actions 8-10 del BEPS) ritenevano appropriato
                                    per la ripartizione dei profitti derivanti da attività svolte in modo integrato da due entità del gruppo (o da più
                                    parti della stessa impresa). Il metodo si limita a stimare quale margine potrebbe essere considerato
                                    congruo per una sola delle due società (o, come nel caso di specie, per una delle parti di una stessa
                                    impresa) che hanno concorso al risultato e, nello specifico, per la società (o la parte dell’impresa) che
                                    svolge (o si assume svolga) le funzioni meno complesse, lasciando, invece, che tutto il restante profitto sia
                                    attribuito all’altra consociata (o all’altra parte dell’impresa) indipendentemente dalla valutazione delle

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                                    immateriali in grado di generare gli extra-profitti non erano ad essa riferibili e, quindi,
                                    non erano localizzati in Irlanda. Tutti i rischi e gli Intangibles erano attribuibili alla sede
                                    centrale di Apple Sales International che si assumeva prendesse tutte le decisioni
                                    strategiche attinenti alla proprietà intellettuale in qualche altro luogo fuori dall’Irlanda: e
                                    ciò, nonostante che, come detto, i rilevanti contributi versati alla società statunitense
                                    per la ricerca e lo sviluppo di tali intangibles fossero computati in deduzione dalla base
                                    imponibile della stabile organizzazione stessa.

                                    Il Tribunale UE ha respinto la contestazione mossa dalla Commissione sul presupposto
                                    che essa non sarebbe riuscita a dimostrare che la massa dei profitti che l’accordo di
                                    ruling aveva considerato non tassabili in Irlanda fosse invece da considerare prodotta
                                    sul territorio nazionale irlandese. Nella prospettiva del giudice europeo, quindi, l'Irlanda
                                    si sarebbe limitata – in modo del tutto legittimo – ad applicare le proprie imposte sui
                                    (pochi) profitti che, in base ai criteri OCSE di comune applicazione, erano da
                                    considerare di propria pertinenza.

                                    In definitiva, il Tribunale non contesta che le regole sugli aiuti di Stato vadano rispettate
                                    anche in materia fiscale, ancorché questa sia una materia rimessa alla competenza dei
                                    singoli Stati, e che dunque possano essere censurati anche in questo campo eventuali
                                    vantaggi selettivi. Tuttavia, proprio in quanto si tratta di limitare scelte impositive
                                    rimesse alla discrezionalità degli Stati, deve essere a maggior ragione fornita in questo
                                    settore una prova diretta e completa dell’esistenza dell’aiuto di Stato: prova che nella
                                    fattispecie la Commissione non aveva prodotto e sotto questo profilo, ad avviso del
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                                    Tribunale, resta di conseguenza irrilevante anche la circostanza che la parte
                                    preponderante dei profitti conseguiti dalle due società – e, cioè, i profitti realizzati
                                    senza presenza fisica in tutte le giurisdizioni del mondo diverse dal continente
                                    americano – possa rimanere del tutto esclusa da imposizione.

                                    3. La contestazione della Commissione europea

                                    In verità, la Commissione europea era perfettamente consapevole di questa situazione,
                                    del fatto cioè che veniva “drenata” in Irlanda ricchezza prodotta dagli affari condotti in
                                    vari Paesi del mondo. Anzi, la Commissione ne era a tal punto consapevole, che nelle
                                    proprie conclusioni aveva addirittura previsto la possibilità di ridurre l’importo

                                    funzioni da essa svolte e dei rischi effettivamente assunti e anche laddove essa fosse una mera cash box
                                    Cfr. in argomento il Note e Studi Assonime n. 17 del 2016 (e, in particolare, l’Allegato 1), nonché il Note e
                                    Studi Assonime n. 15 del 2017.

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                                    complessivo della contestazione, laddove altri Paesi, diversi dall’Irlanda, avessero
                                    rivendicato di avere diritto ad una quota dei predetti extra-profitti apolidi. Precisamente,
                                    la Commissione aveva osservato che “l’ammontare delle imposte non versate che le
                                    autorità irlandesi devono recuperare verrebbe ridotto se altri paesi dovessero imporre a
                                    Apple di versare maggiori imposte sugli utili registrati da Apple Sales International e
                                    Apple Operations Europe. Ciò potrebbe verificarsi se ritenessero, sulla scorta delle
                                    informazioni emerse dall’indagine della Commissione, che i rischi commerciali, le
                                    vendite e altre attività di Apple avrebbero dovuto essere registrati nelle rispettive
                                    giurisdizioni”. Ed è, forse, questa ammissione che aveva reso la posizione della
                                    Commissione più debole in materia specifica di prova dell’esistenza di un aiuto di
                                    Stato. Se la stessa Commissione ha ritenuto, infatti, che la tassazione dei profitti in
                                    questione potrebbe essere legittimamente rivendicata da altri Stati, evidentemente non
                                    è stata fornita la prova diretta e inconfutabile che tali profitti appartenessero alla
                                    giurisdizione irlandese. Occorre, tuttavia, aggiungere che in questo modo,
                                    evidentemente, la Commissione aveva inteso sottolineare che il meccanismo
                                    attraverso cui erano stati estrapolati questi extra-profitti era di per sé “artificioso” (e,
                                    dunque, selettivo) perché, come meglio è precisato nelle considerazioni svolte nella
                                    circolare n.19 del 2018, questo meccanismo permetteva di “segregare” ai soli fini fiscali
                                    – all’interno della società irlandese regolarmente costituita e attiva in Irlanda in base al
                                    diritto societario nazionale – una stabile organizzazione soggetta ad imposta e una
                                    sede centrale che, invece, sarebbe stata priva di residenza fiscale in Irlanda ed in
                                    qualsiasi altra giurisdizione ed alla quale era riconosciuta la titolarità formale dei diritti
                                    di proprietà intellettuale e di tutto l'enorme extra-profitto realizzato; profitto realizzato
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                                    proprio in virtù dei ricavi fatturati in tutto il mondo (escluso il continente americano) da
                                    questa stessa stabile organizzazione ed eccedente la remunerazione ritenuta di
                                    pertinenza delle attività routinarie attribuibili a tale stabile organizzazione.

                                    In un certo senso l’offensiva della Commissione europea intendeva evitare che questi
                                    extra-profitti – extra-profitti in merito ai quali, ricordiamo, oggi si discute la corretta
                                    ripartizione nel contesto dei lavori sul PILLAR 1 presso l’Inclusive Framework on BEPS
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                                      – rimanessero esclusi da ogni imposizione: una iniziativa, dunque, consapevolmente
                                    adottata dalla Commissione nelle more, appunto, della individuazione di nuovi criteri di
                                    collegamento territoriale, più coerenti con gli attuali modelli di business in grado di

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                                      Nel contesto dei lavori dell’Inclusive Framework on BEPS, il c.d. PILLAR 1 si occupa della elaborazione
                                    dei new taxing rights idonei a catturare, attraverso criteri innovativi di collegamento territoriale e di
                                    allocazione dei profitti, i nuovi fattori che contribuiscono alla formazione dei profitti dei grandi gruppi
                                    multinazionali. Questi nuovi criteri, di cui abbiamo diffusamente trattato nella circolare Assonime n. 31 del
                                    2019, prevedono il riconoscimento di una quota di tali profitti anche alle c.d marketing jurisdictions.

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                                    creare ricchezza ovunque, a prescindere da qualsiasi presenza fisica sulla singola
                                    giurisdizione.

                                    In questa prospettiva, la Commissione aveva messo in discussione il metodo utilizzato
                                    per la ripartizione interna degli utili tra la stabile organizzazione e la “sede centrale” di
                                    ASI e AOE; metodo ritenuto non corrispondente all’effettiva realtà economica di tali
                                    società. In particolare, l’assegnazione degli utili sarebbe stata, secondo la
                                    Commissione, “artificiale” e priva di “factual or economic justification”, tenuto conto che
                                    la “sede centrale” non aveva “la capacità operativa di gestire l’attività di distribuzione,
                                    né peraltro nessun’altra attività sostanziale”5.

                                    In sostanza, la Commissione implicitamente aveva operato un “rovesciamento” dello
                                    schema utilizzato nei ruling che le società di Apple avevano concluso in Irlanda, dando
                                    rilievo al fatto che i profitti effettivamente realizzati da ASI e AOE (e risultanti dai loro
                                    bilanci) non avrebbero potuto, comunque, essere attribuiti a sedi centrali prive di
                                    qualsiasi attività. La prospettiva da cui partiva la Commissione emerge in modo chiaro
                                    nel discorso tenuto il 4 aprile 2016 davanti alla Commissione TAXE 2 del Parlamento
                                    europeo, dal Commissario per la Concorrenza, Margrethe Vestager, la quale aveva
                                    insistito proprio sugli effetti distorsivi del metodo unilaterale utilizzato nella gran parte
                                    dei ruling relativi ai prezzi di trasferimento; metodo che richiedeva di determinare i
                                    profitti attribuibili alle attività di una sola entità del gruppo (o di una sola parte
                                    dell’impresa, come nel caso della stabile organizzazione di ASI o di AOE), lasciando
                                    che tutto il restante profitto fosse tassato altrove o non tassato per niente presso
                                    un’altra società del gruppo (o presso la sede centrale di ASI o AOE): i ruling “decide on
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                                    an appropriate profit for the activities of just one company of a group. As for the profit
                                    that remains, it might be taxed somewhere else – or it might not be taxed at all. This
                                    creates a potential for loopholes”.

                                    In altri termini, la Commissione metteva in evidenza l’inadeguatezza di un metodo che
                                    si limitava a valutare il contributo di una sola parte dell’impresa senza altresì
                                    considerare quale potesse essere il valore effettivamente apportato alla creazione della
                                    ricchezza comune dall’altra parte della stessa impresa, avuto riguardo alle funzioni
                                    esercitate e ai rischi da essa assunti. E proprio questo metodo unilaterale di
                                    determinazione dei prezzi di trasferimento – non riflettendo ciò che sarebbe stato

                                    5
                                      Rilevava, in particolare, la Commissione che “le uniche attività che possono essere collegate alle “sedi
                                    centrali” sono poche decisioni dei membri del consiglio d’amministrazione (molti dei quali lavoravano
                                    contemporaneamente a tempo pieno come dirigenti di Apple Inc. – la capogruppo statunitense, n.d.r.)
                                    riguardanti la distribuzione dei dividendi, questioni amministrative e la gestione di tesoreria. Queste attività
                                    generavano utili in termini di interessi che … costituiscono gli unici utili attribuibili alle “sedi centrali””.

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                                    convenuto tra imprese terze, le quali avrebbero sicuramente preteso, ad avviso della
                                    Commissione, che fosse valutato, sulla base delle rispettive funzioni, il contributo di
                                    ciascuna di esse – avrebbe procurato un vantaggio selettivo censurabile come aiuto di
                                    Stato.

                                    4. Il decisum del Tribunale UE

                                    Il Tribunale UE rileva, al riguardo, che il metodo adottato dai ruling era comunemente
                                    accettato e condiviso a livello OCSE e che la Commissione ha erroneamente concluso
                                    che le autorità fiscali irlandesi avrebbero concesso un vantaggio selettivo ad ASI e
                                    AOE. Nella prospettiva della Commissione europea, infatti, le autorità irlandesi
                                    avrebbero dovuto assegnare l’utilizzo economico delle licenze IP del gruppo Apple e i
                                    conseguenti profitti alle succursali in Irlanda. Secondo il giudice europeo, invece, la
                                    Commissione avrebbe errato nel giungere a tali conclusioni poiché aveva utilizzato un
                                    approccio “di esclusione” (cfr. in particolare punti 186 e 259 della sentenza) su basi
                                    presuntive: basandosi, cioè, sul presupposto che le sedi centrali di ASI e AOE erano
                                    presumibilmente prive di una struttura idonea a gestire le licenze di proprietà
                                    intellettuale del gruppo Apple, la Commissione sarebbe giunta all’erronea conclusione
                                    che i profitti riferibili a tali licenze dovessero essere assegnati alle branch irlandesi.

                                    Per il Tribunale UE, come abbiamo già osservato, la Commissione avrebbe dovuto
                                    dare, viceversa, la prova “diretta” che le succursali irlandesi di ASI e AOE avevano
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                                    effettivamente il controllo delle licenze IP del gruppo Apple, che tali succursali avevano
                                    realmente svolto le funzioni di gestione e assunto i relativi rischi e che, di
                                    conseguenza, tutti i profitti realizzati da ASI e AOE avrebbero dovuto essere riferiti alle
                                    attività di tali succursali. In assenza di una simile prova – conclude il giudice europeo –
                                    non può essere affermato “a monte” che, emanando i ruling fiscali contestati, le autorità
                                    fiscali irlandesi abbiano concesso a ASI e AOE un vantaggio ai sensi dell'art. 107 del
                                    TFUE; sicché – aggiunge il giudice – non è neppure necessario esaminare “a valle”
                                    l’ulteriore profilo della selettività delle misure controverse e della loro eventuale
                                    giustificazione (cfr. punti 312 e 313 della sentenza)6.

                                    6
                                       In altri termini, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare “in positivo” che questi profitti
                                    rappresentavano il valore delle attività effettivamente realizzate dalle stabili organizzazioni irlandesi avuto
                                    riguardo, da una parte, alle attività e alle funzioni esercitate dalle succursali e, dall’altra, alle decisioni
                                    strategiche prese al di fuori di esse. In assenza di tale dimostrazione, proprio alla luce del principio di
                                    libera concorrenza condiviso in sede OCSE, il livello di imposizione applicato dalle autorità irlandesi
                                    corrisponderebbe, secondo il Tribunale, a quello che sarebbe stato ottenuto a condizioni di libero mercato,

                                                                                                                                                   9
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                                    In verità, occorre per completezza osservare che la Commissione – consapevole,
                                    come detto, della complessità del tema relativo alle corrette modalità di ripartizione ed
                                    attribuzione dei profitti che le società irlandesi realizzavano nei vari Paesi del mondo
                                    agendo “da remoto” – si era “calata” proprio nella prospettiva del metodo unilaterale
                                    (“ad excludendum”) adottato nei ruling per dimostrare che il risultato degli accordi in
                                    questione poteva essere messo in discussione seguendo per l’appunto questa stessa
                                    prospettiva.

                                    In questo senso, infatti, la Commissione – lo abbiamo già accennato – aveva
                                    implicitamente operato un “rovesciamento” dello schema dei ruling: l’approccio
                                    utilizzato dalla Commissione, cioè, è stato di partire dalla valutazione di quella che,
                                    sulla base delle proprie funzioni, poteva essere considerata la corretta remunerazione
                                    di libera concorrenza attribuibile alle sedi centrali delle società ASI e AOE al fine di
                                    determinare per differenza tutti i restanti profitti attribuiti alle branch, piuttosto che
                                    partire dalla valutazione – come negli accordi di ruling – delle branch, da cui ricavare
                                    (parimenti ad excludendum) l’ammontare degli profitti di tali sedi centrali.

                                    Sotto questo profilo, si potrebbe dunque dire che il punto centrale in discussione era
                                    proprio questo e, cioè, quale fosse, in base ad una corretta applicazione di questo
                                    metodo unilaterale di comune accettazione in tema di transfer pricing, la parte
                                    dell’impresa da considerare, effettivamente meno complessa (e come tale da
                                    assumere come punto di osservazione e di valutazione): se tale parte, cioè, fosse la
                                    sede centrale titolare “giuridica” dei diritti di licenza e dunque titolare della proprietà
                                    intellettuale, oppure fosse la branch che – assumendo su di sé e computando in
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                                    deduzione dalla propria base imponibile irlandese tutti i costi di ricerca e sviluppo
                                    riferibili a quelle stesse licenze in base al cost contribution agreement con la società
                                    statunitense (per un ammontare talmente rilevante da coprire, in certi esercizi, fino alla
                                    metà dei costi di ricerca e sviluppo dell’intero gruppo) – ne sosteneva i rischi e poteva,
                                    quindi, essere in ipotesi considerata (in base allo stesso approccio OCSE) la
                                    “proprietaria economica” delle licenze stesse.

                                    Da più parti è stato osservato come questa decisione del Tribunale rappresenti una
                                    rilevante battuta di arresto dell’operato della Commissione, per lo meno sotto il profilo
                                    politico, in quanto viene posto sostanzialmente nel nulla l’impegno da essa profuso
                                    negli ultimi anni nella lotta ai fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva e di
                                    concorrenza fiscale sleale tra Stati UE. Anche se, come abbiamo già sottolineato, sul

                                    di talché la contestazione della Commissione riguardante il godimento da parte di ASI e AOE di un
                                    vantaggio selettivo qualificabile come aiuto di Stato sarebbe priva di fondamento.

                                                                                                                                  10
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo”                                    14/2020

                                    piano giuridico, il Tribunale non nega che la disciplina degli aiuti di Stato vada
                                    rispettata anche in materia fiscale, tutta la questione incentrandosi semplicemente sul
                                    corretto uso dei mezzi di prova.

                                    Preme solo aggiungere che, in via di principio, la Commissione ha ancora aperta la
                                    possibilità di presentare appello alla Corte di Giustizia, limitatamente alle questioni di
                                    diritto.
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