La sentenza Apple: un primo commento "a caldo" - 14/2020 Note e Studi - Assonime
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14/2020 Note e Studi La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” di Ivan Vacca e Tamara Gasparri ASSONIME - Riproduzione riservata
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 ABSTRACT Con la recente sentenza del 15 luglio 2020 emessa dal Tribunale UE sul caso Apple (Irlanda e a. contro Commissione europea, cause T-778/16 e T-892/16) è stata respinta la tesi della Commissione europea che aveva contestato all’Irlanda di avere concesso, con due accordi di ruling del 1991 e del 2007, vantaggi fiscali selettivi – qualificabili come aiuti di Stato – per oltre 13 miliardi di euro (oltre interessi) a favore di Apple Sales International (ASI) e Apple Operations Europe (AOE). È parso utile fornire, con il presente Note e Studi, un primo sintetico commento in ordine alle conclusioni raggiunte dal giudice europeo facendo seguito ad alcune riflessioni, a carattere generale, già svolte su questa delicata e complessa tematica nella nostra circolare n. 19 del 2018. PROVVEDIMENTI COMMENTATI Sentenza del Tribunale UE, Settima Sezione ampliata, del 15 luglio 2020, Irlanda e a. contro Commissione europea, cause T-778/16 e T-892/16 ASSONIME - Riproduzione riservata 2
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 INDICE 1. Introduzione p. 4 2. Il caso Apple p. 4 3. La contestazione della Commissione europea p. 6 4. Il decisum del Tribunale UE p. 9 ASSONIME - Riproduzione riservata 3
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 1. Introduzione Con la recente sentenza della General Court UE sul caso Apple1 è stata respinta la tesi della Commissione europea che aveva contestato all’Irlanda di avere concesso, con due tax ruling del 1991 e del 2007, vantaggi fiscali selettivi – qualificabili come aiuti di Stato – per oltre 13 miliardi di euro (oltre interessi) a favore di Apple Sales International (ASI) e Apple Operations Europe (AOE)2. Riservandoci sin d’ora la possibilità di svolgere, in prosieguo, più meditati approfondimenti sui complessi contenuti di questa sentenza, ci limitiamo in questa sede a fornire un primo rapido commento in ordine alle importanti conclusioni in essa contenute, dando seguito alle nostre precedenti osservazioni sul caso Apple e sulle altre fattispecie di ruling che sono state poste all’attenzione della Commissione Europea in questi ultimi anni. Intendiamo riferirci, in particolare, alla nostra circolare n. 19 del 2018, in cui avevamo illustrato le principali caratteristiche degli accordi di ruling tramite i quali alcuni Stati membri dell’Unione avevano riconosciuto, a torto o a ragione, non indifferenti vantaggi fiscali alle principali multinazionali della new economy. Come evidenziato in tale circolare, infatti, le tecniche più avanzate di questi ruling sono riuscite ad isolare dal complessivo utile societario un rilevante ammontare di extra- profitto considerato a vario titolo “apolide” e, come tale, escluso dalla potestà impositiva di qualsiasi ordinamento nazionale. Si tratta, cioè, di profitti che costituiscono l’output di complessi schemi di pianificazione fiscale resi possibili sia dal formalismo che caratterizzava all’epoca i criteri di transfer pricing di comune ASSONIME - Riproduzione riservata applicazione prima del recente restyling delle Actions 8-10 del BEPS, sia ancor oggi dalla crescente inadeguatezza degli attuali principi di fiscalità internazionale rispetto ai nuovi modelli di business della new economy. 2. Il caso Apple In sintesi, ricordiamo che Apple Sales International (ASI) e Apple Operations Europe (AOE) erano due società di diritto irlandese, fiscalmente non residenti, tuttavia, né in Irlanda né in altre giurisdizioni. Queste società erano controllate indirettamente dalla capogruppo statunitense e, rispettivamente, detenevano – in forza di un accordo di ripartizione dei costi di ricerca e sviluppo (cost contribution agreement) – i diritti d’uso 1 Sentenza del Tribunale UE, Settima Sezione ampliata, del 15 luglio 2020, Irlanda e a. contro Commissione europea, cause T-778/16 e T-892/16. 2 In virtù dei ruling, l’effective tax rate delle due società pari all’1 per cento dei profitti nel 2003, era ulteriormente sceso fino allo 0,005% nel 2014. 4
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 per la vendita e la fabbricazione dei prodotti Apple al di fuori del Nord e del Sud America, in cambio di contributi annuali a favore della consociata USA che svolgeva le attività di ricerca e sviluppo; contributi che venivano dedotti dalla base imponibile in Irlanda e che arrivavano a finanziare anche oltre la metà del totale dei costi di ricerca di tutto il gruppo. In particolare, ASI era, contrattualmente, l’unica responsabile delle vendite per l’Europa, il Medio Oriente, l’Asia e l’India e fatturava tutte le cessioni dei prodotti che, materialmente, erano effettuate dai negozi Apple dei vari Paesi delle predette zone geografiche. Irlandese per costituzione, ASI era fiscalmente una società “apolide” che si assumeva svolgesse la propria attività di vendita dall’Irlanda tramite una stabile organizzazione. Alla luce di questa configurazione, gli accordi conclusi con l’Amministrazione finanziaria irlandese prevedevano che gli utili che ASI realizzava in tutto il mondo – ma lo stesso identico schema era valido anche per AOE – fossero idealmente “ripartiti” tra la branch irlandese e la casa-madre “apolide” e fossero, quindi, assoggettati a tassazione in Irlanda soltanto in minima parte; in misura sufficiente, cioè, a remunerare le funzioni meramente routinarie svolte dalla stabile organizzazione insediata in Irlanda che era di per sé priva di assets di valore, posto che la titolarità del diritto d’uso della proprietà intellettuale (e, cioè, del marchio Apple) apparteneva giuridicamente alla casa madre (rectius: “sede centrale” della società). Di conseguenza, mentre i profitti (tassabili) attribuiti alla branch erano commisurati ai ASSONIME - Riproduzione riservata costi da essa sostenuti più un piccolo margine e rimanevano sostanzialmente invariati nel corso degli anni, tutto il rimanente extra-profitto era, invece, assegnato virtualmente alla “sede centrale” della società. Una “Sede centrale” – precisava la Commissione – che “non era ubicata in nessun Paese, non aveva né dipendenti, né Uffici propri e le cui attività consistevano esclusivamente in sporadiche riunioni del consiglio di amministrazione” e il cui reddito non era tassato anywhere. In base, dunque, ad un metodo di analisi meramente unilaterale3 dell’attività della branch irlandese, gli accordi di ruling avevano stabilito che le funzioni e gli assets 3 Si tratta del metodo c.d. TNMM (Transactional Net Margin Method) che le Guidelines OCSE sui prezzi di trasferimento (prima del restyling effettuato a seguito delle Actions 8-10 del BEPS) ritenevano appropriato per la ripartizione dei profitti derivanti da attività svolte in modo integrato da due entità del gruppo (o da più parti della stessa impresa). Il metodo si limita a stimare quale margine potrebbe essere considerato congruo per una sola delle due società (o, come nel caso di specie, per una delle parti di una stessa impresa) che hanno concorso al risultato e, nello specifico, per la società (o la parte dell’impresa) che svolge (o si assume svolga) le funzioni meno complesse, lasciando, invece, che tutto il restante profitto sia attribuito all’altra consociata (o all’altra parte dell’impresa) indipendentemente dalla valutazione delle 5
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 immateriali in grado di generare gli extra-profitti non erano ad essa riferibili e, quindi, non erano localizzati in Irlanda. Tutti i rischi e gli Intangibles erano attribuibili alla sede centrale di Apple Sales International che si assumeva prendesse tutte le decisioni strategiche attinenti alla proprietà intellettuale in qualche altro luogo fuori dall’Irlanda: e ciò, nonostante che, come detto, i rilevanti contributi versati alla società statunitense per la ricerca e lo sviluppo di tali intangibles fossero computati in deduzione dalla base imponibile della stabile organizzazione stessa. Il Tribunale UE ha respinto la contestazione mossa dalla Commissione sul presupposto che essa non sarebbe riuscita a dimostrare che la massa dei profitti che l’accordo di ruling aveva considerato non tassabili in Irlanda fosse invece da considerare prodotta sul territorio nazionale irlandese. Nella prospettiva del giudice europeo, quindi, l'Irlanda si sarebbe limitata – in modo del tutto legittimo – ad applicare le proprie imposte sui (pochi) profitti che, in base ai criteri OCSE di comune applicazione, erano da considerare di propria pertinenza. In definitiva, il Tribunale non contesta che le regole sugli aiuti di Stato vadano rispettate anche in materia fiscale, ancorché questa sia una materia rimessa alla competenza dei singoli Stati, e che dunque possano essere censurati anche in questo campo eventuali vantaggi selettivi. Tuttavia, proprio in quanto si tratta di limitare scelte impositive rimesse alla discrezionalità degli Stati, deve essere a maggior ragione fornita in questo settore una prova diretta e completa dell’esistenza dell’aiuto di Stato: prova che nella fattispecie la Commissione non aveva prodotto e sotto questo profilo, ad avviso del ASSONIME - Riproduzione riservata Tribunale, resta di conseguenza irrilevante anche la circostanza che la parte preponderante dei profitti conseguiti dalle due società – e, cioè, i profitti realizzati senza presenza fisica in tutte le giurisdizioni del mondo diverse dal continente americano – possa rimanere del tutto esclusa da imposizione. 3. La contestazione della Commissione europea In verità, la Commissione europea era perfettamente consapevole di questa situazione, del fatto cioè che veniva “drenata” in Irlanda ricchezza prodotta dagli affari condotti in vari Paesi del mondo. Anzi, la Commissione ne era a tal punto consapevole, che nelle proprie conclusioni aveva addirittura previsto la possibilità di ridurre l’importo funzioni da essa svolte e dei rischi effettivamente assunti e anche laddove essa fosse una mera cash box Cfr. in argomento il Note e Studi Assonime n. 17 del 2016 (e, in particolare, l’Allegato 1), nonché il Note e Studi Assonime n. 15 del 2017. 6
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 complessivo della contestazione, laddove altri Paesi, diversi dall’Irlanda, avessero rivendicato di avere diritto ad una quota dei predetti extra-profitti apolidi. Precisamente, la Commissione aveva osservato che “l’ammontare delle imposte non versate che le autorità irlandesi devono recuperare verrebbe ridotto se altri paesi dovessero imporre a Apple di versare maggiori imposte sugli utili registrati da Apple Sales International e Apple Operations Europe. Ciò potrebbe verificarsi se ritenessero, sulla scorta delle informazioni emerse dall’indagine della Commissione, che i rischi commerciali, le vendite e altre attività di Apple avrebbero dovuto essere registrati nelle rispettive giurisdizioni”. Ed è, forse, questa ammissione che aveva reso la posizione della Commissione più debole in materia specifica di prova dell’esistenza di un aiuto di Stato. Se la stessa Commissione ha ritenuto, infatti, che la tassazione dei profitti in questione potrebbe essere legittimamente rivendicata da altri Stati, evidentemente non è stata fornita la prova diretta e inconfutabile che tali profitti appartenessero alla giurisdizione irlandese. Occorre, tuttavia, aggiungere che in questo modo, evidentemente, la Commissione aveva inteso sottolineare che il meccanismo attraverso cui erano stati estrapolati questi extra-profitti era di per sé “artificioso” (e, dunque, selettivo) perché, come meglio è precisato nelle considerazioni svolte nella circolare n.19 del 2018, questo meccanismo permetteva di “segregare” ai soli fini fiscali – all’interno della società irlandese regolarmente costituita e attiva in Irlanda in base al diritto societario nazionale – una stabile organizzazione soggetta ad imposta e una sede centrale che, invece, sarebbe stata priva di residenza fiscale in Irlanda ed in qualsiasi altra giurisdizione ed alla quale era riconosciuta la titolarità formale dei diritti di proprietà intellettuale e di tutto l'enorme extra-profitto realizzato; profitto realizzato ASSONIME - Riproduzione riservata proprio in virtù dei ricavi fatturati in tutto il mondo (escluso il continente americano) da questa stessa stabile organizzazione ed eccedente la remunerazione ritenuta di pertinenza delle attività routinarie attribuibili a tale stabile organizzazione. In un certo senso l’offensiva della Commissione europea intendeva evitare che questi extra-profitti – extra-profitti in merito ai quali, ricordiamo, oggi si discute la corretta ripartizione nel contesto dei lavori sul PILLAR 1 presso l’Inclusive Framework on BEPS 4 – rimanessero esclusi da ogni imposizione: una iniziativa, dunque, consapevolmente adottata dalla Commissione nelle more, appunto, della individuazione di nuovi criteri di collegamento territoriale, più coerenti con gli attuali modelli di business in grado di 4 Nel contesto dei lavori dell’Inclusive Framework on BEPS, il c.d. PILLAR 1 si occupa della elaborazione dei new taxing rights idonei a catturare, attraverso criteri innovativi di collegamento territoriale e di allocazione dei profitti, i nuovi fattori che contribuiscono alla formazione dei profitti dei grandi gruppi multinazionali. Questi nuovi criteri, di cui abbiamo diffusamente trattato nella circolare Assonime n. 31 del 2019, prevedono il riconoscimento di una quota di tali profitti anche alle c.d marketing jurisdictions. 7
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 creare ricchezza ovunque, a prescindere da qualsiasi presenza fisica sulla singola giurisdizione. In questa prospettiva, la Commissione aveva messo in discussione il metodo utilizzato per la ripartizione interna degli utili tra la stabile organizzazione e la “sede centrale” di ASI e AOE; metodo ritenuto non corrispondente all’effettiva realtà economica di tali società. In particolare, l’assegnazione degli utili sarebbe stata, secondo la Commissione, “artificiale” e priva di “factual or economic justification”, tenuto conto che la “sede centrale” non aveva “la capacità operativa di gestire l’attività di distribuzione, né peraltro nessun’altra attività sostanziale”5. In sostanza, la Commissione implicitamente aveva operato un “rovesciamento” dello schema utilizzato nei ruling che le società di Apple avevano concluso in Irlanda, dando rilievo al fatto che i profitti effettivamente realizzati da ASI e AOE (e risultanti dai loro bilanci) non avrebbero potuto, comunque, essere attribuiti a sedi centrali prive di qualsiasi attività. La prospettiva da cui partiva la Commissione emerge in modo chiaro nel discorso tenuto il 4 aprile 2016 davanti alla Commissione TAXE 2 del Parlamento europeo, dal Commissario per la Concorrenza, Margrethe Vestager, la quale aveva insistito proprio sugli effetti distorsivi del metodo unilaterale utilizzato nella gran parte dei ruling relativi ai prezzi di trasferimento; metodo che richiedeva di determinare i profitti attribuibili alle attività di una sola entità del gruppo (o di una sola parte dell’impresa, come nel caso della stabile organizzazione di ASI o di AOE), lasciando che tutto il restante profitto fosse tassato altrove o non tassato per niente presso un’altra società del gruppo (o presso la sede centrale di ASI o AOE): i ruling “decide on ASSONIME - Riproduzione riservata an appropriate profit for the activities of just one company of a group. As for the profit that remains, it might be taxed somewhere else – or it might not be taxed at all. This creates a potential for loopholes”. In altri termini, la Commissione metteva in evidenza l’inadeguatezza di un metodo che si limitava a valutare il contributo di una sola parte dell’impresa senza altresì considerare quale potesse essere il valore effettivamente apportato alla creazione della ricchezza comune dall’altra parte della stessa impresa, avuto riguardo alle funzioni esercitate e ai rischi da essa assunti. E proprio questo metodo unilaterale di determinazione dei prezzi di trasferimento – non riflettendo ciò che sarebbe stato 5 Rilevava, in particolare, la Commissione che “le uniche attività che possono essere collegate alle “sedi centrali” sono poche decisioni dei membri del consiglio d’amministrazione (molti dei quali lavoravano contemporaneamente a tempo pieno come dirigenti di Apple Inc. – la capogruppo statunitense, n.d.r.) riguardanti la distribuzione dei dividendi, questioni amministrative e la gestione di tesoreria. Queste attività generavano utili in termini di interessi che … costituiscono gli unici utili attribuibili alle “sedi centrali””. 8
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 convenuto tra imprese terze, le quali avrebbero sicuramente preteso, ad avviso della Commissione, che fosse valutato, sulla base delle rispettive funzioni, il contributo di ciascuna di esse – avrebbe procurato un vantaggio selettivo censurabile come aiuto di Stato. 4. Il decisum del Tribunale UE Il Tribunale UE rileva, al riguardo, che il metodo adottato dai ruling era comunemente accettato e condiviso a livello OCSE e che la Commissione ha erroneamente concluso che le autorità fiscali irlandesi avrebbero concesso un vantaggio selettivo ad ASI e AOE. Nella prospettiva della Commissione europea, infatti, le autorità irlandesi avrebbero dovuto assegnare l’utilizzo economico delle licenze IP del gruppo Apple e i conseguenti profitti alle succursali in Irlanda. Secondo il giudice europeo, invece, la Commissione avrebbe errato nel giungere a tali conclusioni poiché aveva utilizzato un approccio “di esclusione” (cfr. in particolare punti 186 e 259 della sentenza) su basi presuntive: basandosi, cioè, sul presupposto che le sedi centrali di ASI e AOE erano presumibilmente prive di una struttura idonea a gestire le licenze di proprietà intellettuale del gruppo Apple, la Commissione sarebbe giunta all’erronea conclusione che i profitti riferibili a tali licenze dovessero essere assegnati alle branch irlandesi. Per il Tribunale UE, come abbiamo già osservato, la Commissione avrebbe dovuto dare, viceversa, la prova “diretta” che le succursali irlandesi di ASI e AOE avevano ASSONIME - Riproduzione riservata effettivamente il controllo delle licenze IP del gruppo Apple, che tali succursali avevano realmente svolto le funzioni di gestione e assunto i relativi rischi e che, di conseguenza, tutti i profitti realizzati da ASI e AOE avrebbero dovuto essere riferiti alle attività di tali succursali. In assenza di una simile prova – conclude il giudice europeo – non può essere affermato “a monte” che, emanando i ruling fiscali contestati, le autorità fiscali irlandesi abbiano concesso a ASI e AOE un vantaggio ai sensi dell'art. 107 del TFUE; sicché – aggiunge il giudice – non è neppure necessario esaminare “a valle” l’ulteriore profilo della selettività delle misure controverse e della loro eventuale giustificazione (cfr. punti 312 e 313 della sentenza)6. 6 In altri termini, la Commissione avrebbe dovuto dimostrare “in positivo” che questi profitti rappresentavano il valore delle attività effettivamente realizzate dalle stabili organizzazioni irlandesi avuto riguardo, da una parte, alle attività e alle funzioni esercitate dalle succursali e, dall’altra, alle decisioni strategiche prese al di fuori di esse. In assenza di tale dimostrazione, proprio alla luce del principio di libera concorrenza condiviso in sede OCSE, il livello di imposizione applicato dalle autorità irlandesi corrisponderebbe, secondo il Tribunale, a quello che sarebbe stato ottenuto a condizioni di libero mercato, 9
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 In verità, occorre per completezza osservare che la Commissione – consapevole, come detto, della complessità del tema relativo alle corrette modalità di ripartizione ed attribuzione dei profitti che le società irlandesi realizzavano nei vari Paesi del mondo agendo “da remoto” – si era “calata” proprio nella prospettiva del metodo unilaterale (“ad excludendum”) adottato nei ruling per dimostrare che il risultato degli accordi in questione poteva essere messo in discussione seguendo per l’appunto questa stessa prospettiva. In questo senso, infatti, la Commissione – lo abbiamo già accennato – aveva implicitamente operato un “rovesciamento” dello schema dei ruling: l’approccio utilizzato dalla Commissione, cioè, è stato di partire dalla valutazione di quella che, sulla base delle proprie funzioni, poteva essere considerata la corretta remunerazione di libera concorrenza attribuibile alle sedi centrali delle società ASI e AOE al fine di determinare per differenza tutti i restanti profitti attribuiti alle branch, piuttosto che partire dalla valutazione – come negli accordi di ruling – delle branch, da cui ricavare (parimenti ad excludendum) l’ammontare degli profitti di tali sedi centrali. Sotto questo profilo, si potrebbe dunque dire che il punto centrale in discussione era proprio questo e, cioè, quale fosse, in base ad una corretta applicazione di questo metodo unilaterale di comune accettazione in tema di transfer pricing, la parte dell’impresa da considerare, effettivamente meno complessa (e come tale da assumere come punto di osservazione e di valutazione): se tale parte, cioè, fosse la sede centrale titolare “giuridica” dei diritti di licenza e dunque titolare della proprietà intellettuale, oppure fosse la branch che – assumendo su di sé e computando in ASSONIME - Riproduzione riservata deduzione dalla propria base imponibile irlandese tutti i costi di ricerca e sviluppo riferibili a quelle stesse licenze in base al cost contribution agreement con la società statunitense (per un ammontare talmente rilevante da coprire, in certi esercizi, fino alla metà dei costi di ricerca e sviluppo dell’intero gruppo) – ne sosteneva i rischi e poteva, quindi, essere in ipotesi considerata (in base allo stesso approccio OCSE) la “proprietaria economica” delle licenze stesse. Da più parti è stato osservato come questa decisione del Tribunale rappresenti una rilevante battuta di arresto dell’operato della Commissione, per lo meno sotto il profilo politico, in quanto viene posto sostanzialmente nel nulla l’impegno da essa profuso negli ultimi anni nella lotta ai fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva e di concorrenza fiscale sleale tra Stati UE. Anche se, come abbiamo già sottolineato, sul di talché la contestazione della Commissione riguardante il godimento da parte di ASI e AOE di un vantaggio selettivo qualificabile come aiuto di Stato sarebbe priva di fondamento. 10
La sentenza Apple: un primo commento “a caldo” 14/2020 piano giuridico, il Tribunale non nega che la disciplina degli aiuti di Stato vada rispettata anche in materia fiscale, tutta la questione incentrandosi semplicemente sul corretto uso dei mezzi di prova. Preme solo aggiungere che, in via di principio, la Commissione ha ancora aperta la possibilità di presentare appello alla Corte di Giustizia, limitatamente alle questioni di diritto. ASSONIME - Riproduzione riservata 11
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