LA SCIENZA AL TEMPO DEL - TERRORE di Moreno Pasquinelli

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LA SCIENZA AL TEMPO DEL - TERRORE di Moreno Pasquinelli
LA SCIENZA AL TEMPO DEL
TERRORE di Moreno Pasquinelli
                               Premetto che non ho nulla
                               contro    il   mito.   Ben    al
                               contrario,      condivido     la
                               rivalutazione del mito che fece
                               Giambattista Vico nella sua
                               Scienza Nuova, per cui non solo
                               non c’è una muraglia tra
                               storia   vera e storia falsa;
                               per cui l’attività mitopoietica
e fantastica è una funzione decisiva dello spirito, esprime
una visione del mondo, e per questo esso è creativo di realtà.

Se c’è invece un mito da contrastare è proprio quello della
scienza perché esso si camuffa come anti-mito per eccellenza,
come sola forma di sapere certo, indiscutibile, veritativo. E’
insomma lo “scientismo”che va combattuto.

Basta guardarsi attorno in questi giorni di presunta pandemia
da Covid-19: il decisore politico attua provvedimenti
draconiani senza precedenti, e non lo fa solo in nome della
sua discutibile idea di “salute pubblica”, ma giustifica con
solenne fermezza che il suo atto di forza lo chiede la
scienza.

Niente di nuovo sotto il cielo. Non è forse vero che decenni
di austerità e drastici tagli alla spesa pubblica sono stati
compiuti dai governi in nome della scienza — nella fattispecie
lo stuolo di economisti neoliberisti che ci spiegavano come lo
Stato ed i poteri politici dovevano togliersi di mezzo e
lasciar fare il mercato? Di qui la famigerata “governance”,
ovvero i tecnici al potere, in quanto i soli tutelati a
leggere i fondi di caffè per interpretare i misteriosi segni
della smithiana “mano invisibile”. I tecnici, i sacerdoti
della scienza economica, per sua natura evidentemente “non-
democratica”.

Ai tempi del Corona virus è la stessa antifona, cambia solo la
sfera dove si applicano i dispositivi biopolitici di controllo
sociale: ci si affida ai virologi, agli intettivologi, agli
epidemiologi, ai pneumologi (notare la raccapiricciante e
autistica compartimentazione) come certe comunità primitive si
affidavano agli sciamani, depositari dei saperi in quanto
medium con l’ultraterreno. Che poi queste teste d’uovo,
malgrado il loro pitagorismo magico, interpretino i numeri a
seconda di come gli vien meglio non conta, ci pensa il
decisore politico a stabilire quale sia la verità ufficiale, i
numeri da giocare al lotto.

Ma cos’è “scienza”? Cosa si intende per verità scientifica?

Il discorso qui si farebbe lungo, ci sono di mezzo discipline
toste come la filosofia della scienza, la gnoseologia,
l’epistemologia, e non è proprio il caso di farla lunga.
Tuttavia alcune cose vanno dette, per evitare di prendere come
oro colato questa o quella opinione (doxa), questa o quella
spiegazione   “scientifica”.

Anticamente si parlava di scienza come epistéme, quindi di
conoscenza certa, sempre vera, frutto di deduzioni logiche
indubitabili. Poi arriveranno Galileo, Bacone, Newton e Comte.
Il metodo deduttivo venne rimpiazzato da quello induttivo
della sperimentazione: scienza era l’osservazione dei fenomeni
e la capacità di spiegarne le cause con leggi naturali
invarianti.

L’empirismo moderno, in tutte le sue sfaccettature, in
particolare il positivismo, seguirà questo sentiero: un
enunciato o un sistema di enunciati, per essere considerati
scientifici e provvisti di significanza conoscitiva, debbono
accettare il principio di verificazione.

Poi venne K.Popper che rovesciò il paradigma e invertì il
principio di verificazione con quello di falsificazione, per
cui un’ipotesi o una teoria sarebbero da considerarsi
scientifici se e solo se suscettibili di essere smentite dai
fatti dell’esperienza. Un rovesciamento, quello popperiano,
che restava tuttavia entro il perimetro concettuale
sperimentalistico e neopositivistico.

Nonostante di acqua sotto i ponti, dai tempi di Popper, ne sia
passata parecchia, è un fatto che il potere, avendo bisogno di
una fonte potente di legittimazione, ha riportato in auge
l’idea che “la scienza” sia non solo neutrale, ma la sola
disciplina che possa pretendere di affermare la verità, che
dia una garanzia di assoluta validità e il massimo grado di
certezza. Assistiamo al revival del neopositivismo: nessun
limite o freno al dispiegamento della conoscenza
“scientifica”, l’unica che possa garantire il progresso, anzi
l’unica che abbia la salvifica missione di evitare all’umanità
la catastrofe – qui vale il salmo 41: “Abyssus abyssum
invocat”: l’abisso chiama l’abisso …

Quanto mai calzante l’ammonimento di L.Pareyson:

“Lo scienziato ha certamente il diritto incontestabile di
dichiarare che il sapere scientifico è l’unico adatto agli
oggetti della sua ricerca; ma non può estendere e
assolutizzare il sapere scientifico sino a pretendere che sia
considerato come l’unica forma di sapere possibile. Se lo fa,
con ciò stesso, cessa di fare della scienza, perché la
proposizione “non c’è altra forma di sapere che il sapere
scientifico” non è una proposizione scientifica, bensì una
proposizione filosofica […] egli fa dunque della filosofia, ma
lo fa senza saperlo, cioè fa della filosofia acritica e
inconsapevole, insomma della cattiva filosofia”. [Verità e
interpretazione, Mursia 1971, pag.196]

Tornando al punto. Dopo Popper (e contro Popper) s’è fatta
avanti   quella   che   viene   definita   epistemologia
postpositivistica, ovvero, restando all’abusato suffisso,
post-popperiana (Khun, Lakatos, Feyerabend, Hanson).

Cosa sostengono gli epistemologi post-popperiani? Provo a
riassumerlo in nove tesi:

(1) Non regge, ad un’analisi rigorosa della storia delle
scienze, l’idea tradizionale del progresso scientifico, né
nella forma di un’accumulazione crescente di certezze, né in
quella popperiana della cosiddetta approssimazione graduale
alla verità. Non possono essere comprese davvero le teorie
scientifiche e la loro significanza se non collocandole in
quadri e strutture concettuali più ampi quali sono appunto i
paradigmi (Khun) o, per dirla con Bachelard, cito a memoria:
la storia della scienza non procede in maniera cumulativa e
lineare ma tramite rivoluzioni teoriche e fratture (rupture),
che annullano i pilastri concettuali precedenti;

(2) E’ destituita di fondamento l’idea che la scienza dia
risposte valide al di là della storia, del contesto sociale e
culturale dato. Gli asserti scientifici hanno invece carattere
storico-temporale, una portata necessariamente relativa;

(3) Si deve quindi tenere in considerazione, quando si giudica
il discorso scientifico, dell’organizzazione economico-
sociale, della struttura dei rapporti sociali e della loro
natura classista, dei soggetti che finanziano e orientano,
seguendo i loro specifici interessi, i programmi di ricerca
scientifica; infine si deve considerare sempre l’ideologia
dominante. Si tratta di fattori decisivi che condizionano
l’opera dello scienziato, e co-determinano i risultati del suo
lavoro. C’è sempre una relazione stringente tra attività
scientifica e relazioni sociali, tra essa e il mondo dei
valori nel momento dato;

(4) In sede di giudizio sul lavoro e sul sapere scientifici
non vanno quindi presi in considerazione solo gli aspetti
logico-astratti ma pure quelli concreti;

(5) Non hanno fondamento un’epistemologia e una filosofia
della scienza senza la storia della scienza;

(6) Non vale la dicotomia fra scienza e metafisica, non esiste
una linea netta di demarcazione tra discorso scientifico e
pseudo-scientifico, occorre invece un approccio olistico, che
consideri il legame tra attività scientifica ed altre sfere
sociali, la politica anzitutto;

(7) E’ una credenza illusoria che esista un linguaggio
osservativo (dei fenomeni) neutrale. L’uomo che osserva, tanto
più se scienziato, non è una macchina fotografica.
L’osservatore non è mai neutrale, né “oggettivo”, il suo
vedere dipende in modo costitutivo da una costellazione di
assunzioni teoriche, se non addirittura dalla sua ideologia;

(8) Di contro all’idea che possa esistere una base empirica
neutrale in grado di fungere da criterio di “verificabilità” o
“falsificabilità”, è vero invece che ogni osservazione è
carica di teoria sottostante e implica un ruolo attivo dell’Io
(Theory ladenness);

(9) Il valore di un asserto o ipotesi scientifica non va
misurato in termini di “verità”, bensì in base al “consenso”
che tali asserti o ipotesi ottengono nelle circostanze
storico-sociali date.

Quanto detto mi pare sia degno di attenzione, più che mai
adesso, quando il potere, non si limita a dichiarare lo Stato
d’eccezione e ad porre agli arresti domiciliari sessanta
milioni di cittadini, lo fa giustificando questa mossa col
discorso per cui “ce lo chiede la scienza”. Mossa
inopinatamente sovranista, se ci pensate, visto che prima il
motivetto era… “ce lo chiede l’Europa”.

Se quanto scritto ha valore ognuno avrà capito che niente,
tanto meno in un mondo terremotato da decenni di neoliberismo
e di supremazia del “pensiero unico”, tanto meno dentro lo
Stato d’eccezione, può pretendere di essere neutrale, meno che
mai lo sono epidemiologi, virologi e infettivologhi forgiati
nelle officine della “scienza normale” ed a libro paga del
regime.

Non dico che tutto quanto essi affermano sia falso, dico che
non potendo sputare sul piatto dove mangiano non possono certo
smentire il decisore politico. Per cui, seguendo questa volta
Cartesio,    dubitare non è solo lecito ma un obbligo, al
contempo morale, politico e scientifico.
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