LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO NORMATIVO DAL PUNTO DI VISTA DELL'EQUITÀ
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STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/2000 LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO NORMATIVO DAL PUNTO DI VISTA DELL’EQUITÀ FOSCO GIOVANNONI * Introduzione Il tema affrontato e discusso in questo scritto è quello della equità nel contesto della riforma del sistema previdenziale pubblico. I recenti (e meno recenti) interventi di modifica della normativa hanno creato un insieme di problemi (soprattutto di carattere equita- tivo) che possono essere analizzati e valutati con grande chiarezza uti- lizzando alcune problematiche sorte e discusse nell’ambito della ana- lisi economica delle Legal transitions (con particolare riferimento alle norme che regolano il sistema tributario). Al centro dell’attenzione e dell’analisi è il problema del mutamento delle norme previdenziali e delle sue conseguenze in termini di equità. Il lavoro è fondamentalmente diviso in due parti. Nella prima parte, dopo una breve introduzione di carattere gene- rale, si chiarisce la basilare differenza fra disegno e riforma di un «sistema normativo» per passare poi a discutere il problema dell’e- quità in quei due differenti contesti. La ricerca dei caratteri minimi che ogni intervento equo dovrebbe rispettare, si svolge rifacendosi sia al caso di assenza che di presenza di norme (tributarie ma anche pre- videnziali). Nel particolare e realistico contesto della riforma si consi- derano i due approcci alternativi della protezione e del rischio e si recupera l’equità orizzontale (cioè uno dei due caratteri dell’equità, forse quello più importante) come non-discriminazione di fronte ai mutamenti di normativa. Le tematiche affrontate e chiarite vengono poi riprese nel contesto specifico del caso italiano per mostrare, in tutta la seconda parte, a quali (gravi) iniquità abbia portato un’evoluzione della normativa previdenziale del tipo di quella realizzata. Non senza considerare (e ————————————— * Associato di Scienza delle finanze presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Siena. L’autore, pur restando il solo responsabile di eventuali errori e omissioni, desidera rin- graziare il professor A. Petretto dell’Università di Firenze, che ha letto e commentato una prima versione di questo lavoro. 145
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/2000 proporre) una semplice ed equa alternativa che avrebbe, fra l’altro, anche avuto il merito di evitare fenomeni di autoselezione difficilmen- te auspicabili. In una breve parte conclusiva si avanza una spiegazione (ma, ovviamente, non una giustificazione) dell’accaduto in termini di cate- gorie che con l’equità non sembrano aver proprio nulla da spartire. 1. Equità e riforme normative 1.1. Considerazioni preliminari Nell’ottica dell’economia del benessere gli interventi di politica economica vengono valutati e giudicati quasi esclusivamente (o, almeno, principalmente) in termini di efficienza e di equità. Natu- ralmente anche altri aspetti possono essere importanti come, in primo luogo, la loro efficacia macroeconomica o, come, in secondo, la sem- plicità di attuazione, ma i due indicati più sopra hanno, in quel conte- sto, un ruolo privilegiato e quasi esclusivo. Rispetto al primo (cioè all’efficienza), il secondo appare ancora oggi abbastanza sottodimensionato, anche se, in anni recenti, un cer- to fervore di studi lo ha notevolmente arricchito. La ragione che meglio spiega questa evidente disparità d’interesse è forse da ricercare nel fatto che una 1 delle definizioni (quella normalmente proposta dagli economisti) di efficienza (la cosiddetta efficienza paretiana) è facilmente accettabile. Anche se in essa è «implicito» un giudizio di valore sicuramente discutibile, il fatto che esso sembri «radicato» nel- la società la rende, se non immune da osservazioni critiche, abbastan- za al riparo da radicali contestazioni. Diversamente da essa «la defi- nizione» dell’equità appare più problematica e complessa; mentre il consenso sulle varie definizioni proposte è assai meno ampio. Seguendo un’utile distinzione 2 si può dire, con la massima sinteti- cità, che i più recenti contributi guardano all’equità o dal punto di vista delle procedure o da quello del risultato a seconda che si ponga l’accento sulle regole che permettono la distribuzione agli individui di risorse e diritti ovvero sulle quantità a loro attribuite nel corso del processo distributivo. Ma l’uno o l’altro punto di vista (o tipo di approccio) non pare possano svolgere un ruolo importante nel conte- sto del nostro problema. C’è, tuttavia, un altro filone di studi i cui risultati e le cui proble- matiche sembrano adattarsi abbastanza bene al tema della riforma previdenziale. È un insieme di ricerche che trova origine in problemi relativi alle riforme di un sistema tributario per svilupparsi, poi, in contesti più generali relativi alle riforme di altri «sistemi normativi» ————————————— ¹ «Una» perché non l’unica possibile: sono state proposte infatti anche altre definizio- ni di efficienza. ² Si veda I. Musu, 1996. 146
F. GIOVANNONI, LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO ... (anche differenti, cioè, da quelli che regolano i tributi). Feldstein 3 pri- ma e Kaplow 4 poi possono essere forse considerati gli studiosi che per primi hanno affrontato e discusso questo problema. La distinzione- base di Feldstein è quella fra disegno e riforma di un sistema normati- vo (nel caso specifico l’insieme delle norme che regolano il sistema tributario). «Disegnare» significa introdurre per la prima volta delle norme (tributarie); si tratta della introduzione ex novo di un insieme di regole (relative ai tributi) in un mondo che ne sia – per dir così – completamente privo 5. «Riformare» (l’esistente) significa, invece, mutare alcune regole (senza escludere, almeno in linea di principio, che la modifica possa riguardare la totalità delle stesse) esistenti (in un certo momento). Questa distinzione apparentemente insignificante è ben lungi dall’essere irrilevante e costituisce la base di considerazio- ni relative all’equità di notevole importanza (e rilevanza) come fra poco cercheremo di mostrare. Il tema dell’equità è probabilmente uno dei meno facili e semplici della intera «economia normativa». Una trattazione, anche solo sin- tetica di esso, va oltre gli obiettivi di questo lavoro. Le brevi conside- razioni che sviluppiamo qui sono, perciò, solo funzionali al tema che ci interessa. Il problema esplicativo che sorge nell’ambito dei sistemi tributari consiste nell’individuare i caratteri che tali sistemi dovrebbe- ro avere per potersi definire equi. Le due basilari caratteristiche sono, come è noto, quelle conosciute come «equità orizzontale» ed «equità verticale». In termini generali un sistema è orizzontalmente equo se è in grado di assicurare un’uguaglianza di trattamento per un’ugua- glianza di posizioni ed è verticalmente equo se tratta (generalmente) coloro che non sono uguali in maniera non uguale (essendo, poi, sot- tinteso che coloro che sono in posizione migliore dovrebbero essere trattati peggio di coloro che sono in posizione peggiore). Queste due definizioni sono, in questa forma, scarsamente operative e, perciò, non risolvono in maniera definitiva il problema. Semplicemente lo spostano alla ricerca dei caratteri che rendono uguali (e diverse) le situazioni individuali. Il disegno di un buon sistema tributario non può, comunque, pre- scindere dal rispettare i due caratteri più sopra richiamati (pena, per dir così, la sua iniquità). 1.2. L’equità orizzontale 1.2.1. Se dovessimo costruire ex novo un sistema tributario il nostro primo obiettivo dovrebbe allora essere quello di individuare i ————————————— ³ Si veda M. Feldstein, 1976a e M. Feldstein, 1976b. ⁴ L. Kaplow, 1986; L. Kaplow, 1989a e L. Kaplow, 1992. ⁵ Ci sarebbe da chiedere (scherzando?) se mai una situazione del genere (riferita, cioè, ai tributi) sia esistita. Ma questo è un altro (e forse non piccolo) problema. 147
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/2000 caratteri che rendono uguali le posizioni (o le situazioni) individuali. È noto da tempo 6 che una tale (perfetta) uguaglianza è impossibile da realizzare: se essa infatti si verificasse non sarebbe possibile distingue- re fra le «due» (o «più») situazioni. Anche se esiste sempre una qual- che differenziazione fra le posizioni individuali non pare, tuttavia, impossibile (ma, forse, nemmeno difficilissimo)7 individuare i caratte- ri che rendono possibili le unificazioni fra le varie situazioni. Nell’ambito della finanza pubblica questo problema, in buona misu- ra, si identifica con quello della ricerca della base imponibile: è il red- dito o la spesa o il patrimonio ovvero sono i consumi (senza escludere una miscela di tutti o solo alcuni di questi) gli elementi con cui istitui- re, principalmente, le uguaglianze (e le disuguaglianze) cui siamo interessati? Se gli elementi citati, pur fondamentali, non sono gli unici (come pare evidente) quali altri (e in che misura) concorrono alla isti- tuzione della stessa (uguaglianza)? 1.2.2. Il problema dell’equità orizzontale che nel disegno presenta i caratteri succintamente richiamati più sopra assume, nel caso della riforma (di norme esistenti), peculiarità dalle importanti (e forse ina- spettate) conseguenze. È stato, probabilmente, Feldstein il primo ad evidenziarle. Se pur svolte nel contesto della riforma tributaria le sue considerazioni hanno certamente una portata più ampia e tale da ren- derle importanti anche in differenti contesti. L’idea fondamentale dello studioso americano sembra essere (per ciò che ci riguarda) quella che i cambiamenti di norme esistenti in un certo momento creano iniquità orizzontali «perché gli individui si regolano sulla normativa esistente» 8. Le scelte, una volta fatte, posso- no diventare irreversibili (come potrebbe essere il caso dell’istruzione) o reversibili solo a prezzo di «perdite sostanziali» (come nel caso più specifico dell’occupazione e della preparazione professionale). Con grande sinteticità : «[C]ommitments involving property may be easily reversed but the sale of assets will involve a capital loss» 9. Se questo è vero non può allora apparire proprio provocatoria la proposta di chi 10, in presenza di un mutamento normativo (di carattere tributa- rio), proponesse un indennizzo per «i danni» derivanti da esso (cioè dal mutamento) ovvero, in alternativa, richiedere allo Stato di tener presente (con appropriate norme transitorie) che le decisioni prese nel ————————————— ⁶ Almeno da Cusano (senza escludere che anche prima si avesse conoscenza del fatto che non possono esistere «cose» assolutamente uguali ... senza essere la stessa cosa). Si veda la voce «Identità degli indiscernibili» in N. Abbagnano, 1998. ⁷ Per un punto di vista critico, almeno mantenendosi sulle generali, si può vedere P. Westen, 1982. ⁸ Si veda M. Feldstein, 1976b, pag. 95. ⁹ M. Feldstein, 1976b, pagg. 95-96. L’aspetto sottolineato nel testo non è l’unico del- l’analisi di Feldstein anche se – ai nostri fini – è quello più importante. ¹⁰ Ancora M. Feldstein, 1976a. 148
F. GIOVANNONI, LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO ... vecchio contesto (in presenza, cioè, della normativa allora esistente) devono essere in qualche modo salvaguardate 11. Un punto di vista completamente diverso (da quello ora succinta- mente illustrato) oltreché critico verso di esso può «ricavarsi» da alcu- ni contributi di Kaplow 12. Anche se l’analisi di questo studioso è, almeno negli studi qui considerati, principalmente rivolta al proble- ma dell’efficienza le sue considerazioni sono importanti in generale e riguardano abbastanza direttamente i temi da noi affrontati. L’esposizione che qui verrà data (di quel punto di vista) non vuole essere, in alcun modo, né una interpretazione autentica di esso né (e tantomeno) una trattazione esaustiva; vuole, invece, semplicemente rifarsi ad alcune problematiche sollevate col fine (pressoché esclusivo) di mostrare se (e perché) esse indeboliscono «l’approccio della prote- zione». Chi volesse difendere lo status quo o meglio invocare protezione per le scelte in esso compiute dovrebbe (presumibilmente) almeno provare che una situazione di garanzia (data, almeno entro certi limi- ti, da una norma costituzionale 13) per i mutamenti normativi è migliore della situazione in cui tale garanzia è assente. Ma non potrebbe invocare semplicemente la circostanza che la protezione è opportuna perché uno sceglie sulla base della normativa vigente, senza cadere in un ragionamento «circolare» 14. Infatti è la stessa protezione ad «assicurare» le aspettative derivanti dalla normativa vigente 15. L’analisi di Kaplow tende a provare la superiorità di una situazio- ne su un’altra dallo specifico punto di vista dell’efficienza. Può forse considerarsi un’analisi dal punto di vista del disegno delle politiche (o delle norme) di «transizione delle norme». Essa è basata su talune ipotesi 16 (la principale delle quali, almeno per ciò che ci riguarda, è quella che la riforma normativa è desiderabile) e su un’assimilazione «forte» (che vuole i rischi derivanti dalle future politiche portate avanti dallo Stato siano sostanzialmente assimilabili agli altri, quelli cioè non direttamente legati all’azione governativa). La dimostrazio- ne della inefficienza di una politica di protezione (da parte dello ————————————— ¹¹ In una prospettiva di questo genere anche un «vantaggio tributario» (specifico di un cespite) acquista un carattere molto peculiare. Esso infatti dopo essersi «riflesso» nel prezzo del cespite stesso, viene trasferito ad un eventuale acquirente che proprio in virtù delle «riflessioni» lo ha ora ... «comprato». ¹² Si veda: L. Kaplow, 1986; L. Kaplow, 1989a e L. Kaplow, 1992. ¹³ È evidente che nemmeno una norma costituzionale dà garanzia assoluta non poten- dosi escludere che anch’essa venga modificata (per dar via libera ai mutamenti delle «norme normali»). ¹⁴ Si veda Kaplow, 1986, pag. 522. ¹⁵ Cfr. M. Graetz, 1985, pag. 1823. Sotto il profilo fattuale i comportamenti saranno determinati anche dal fatto che si pensi ad una situazione di protezione (o meno). ¹⁶ Per tutta l’argomentazione si rinvia ovviamente a Kaplow, 1986. 149
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/2000 Stato) nei confronti di questi rischi ruota essenzialmente sul fatto che essa stimolerebbe comportamenti tendenti a non tener conto, in modo corretto, di essi (come invece avviene, per tutti i rischi, nelle normali situazioni di mercato) 17. Questa analisi, che pur è stata sotto- posta a osservazioni critiche su cui non è il caso di soffermarsi in que- sta sede 18, presenta qualche difficoltà e qualche limite (riconosciuti l’una e l’altro dallo stesso autore) in contesti e circostanze particolari. Nell’ordine: una difficoltà sembra essere rappresentata dal fatto che l’assenza di «norme protettive» (ad esempio di carattere costituziona- le) potrebbe determinare lo sviluppo di norme discriminatorie nei confronti di qualche minoranza; un limite sembra invece quello (logi- co) che una superiorità non significa la necessità di una immediata e meccanica applicazione a riforme che stanno per essere intraprese. La quale ultima cosa è abbastanza evidente se si pensa che quella supe- riorità è, in ogni caso, tale perché stimolerebbe comportamenti effi- cienti ex ante e non può applicarsi ovviamente a scelte già fatte (e diventate irreversibili) 19. È cioè qualcosa di specifico; una superiorità relativa al disegno (come si è già accennato) di un sistema di transi- zione: è migliore (dovendo scegliere fra le due possibili alternative) quella che non prevede alcun «intervento protettivo» dello Stato nel caso che la normativa, che regola un particolare istituto, debba esser mutata 20. Nessuno dei due approcci sembra, dal punto di vista dell’equità, sicuramente superiore all’altro. Ognuno sottolinea un’esigenza impor- tante. Una normativa mutevole può certamente creare problemi a coloro che hanno preso le loro decisioni confidando su una «stabilità» nor- mativa che, poi, non si realizza. Anche se non sarebbe assurdo chie- dersi perché, dal punto di vista dell’equità, non sia lecita quella situa- zione in cui ognuno scelga sapendo che, nella scelta, è implicito un rischio (il rischio che la normativa possa mutare). In fondo esistono giochi equi nei quali si vince o si perde; né sono definiti equi solo quelli in cui il giocatore vince sempre. Ma una superiorità dell’un punto di vista sull’altro non sembra configurarsi con grande evidenza, almeno se restiamo nell’ambito di una valutazione basata sul criterio dell’equità (e, in particolare, dell’e- quità orizzontale). Il primo approccio risponde, al mutamento normativo con forme di garanzia tendenti a tutelare alcuni diritti (che, perciò, in quanto ————————————— ¹⁷ Non tenendo conto dei rischi si avrebbero investimenti più grandi di quanto non sarebbe efficiente. ¹⁸ Si veda M. Ramseyer e M. Nakazato, 1989. ¹⁹ Si veda Kaplow, 1986, pag. 557. ²⁰ Quale che sia, naturalmente la forma con cui tale «protezione» possa manifestarsi e concretizzarsi. 150
F. GIOVANNONI, LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO ... tali, possono considerarsi «acquisiti»), il secondo «risolve» il proble- ma nell’ambito del rischio connesso con molte scelte (e, almeno in maniera implicita, non considera «acquisito» alcun «diritto»). Anche considerando sullo stesso piano i due differenti modi di affrontare e risolvere, dal punto di vista dell’equità, il problema, uno potrebbe propendere per la seconda soluzione (l’approccio del rischio) in virtù e in conseguenza della sua maggior attrattiva dal punto di vista della efficienza. Tuttavia, in contesti nei quali possono verificarsi «discriminazioni arbitrarie» 21 un vincolo quale quello imposto dalla equità orizzontale può essere tutt’altro che irrazionale o irragionevole e, proprio in questa specifica circostanza, potrebbe trovare piena e fondata giustificazione. Queste considerazioni, ben lungi dall’essere definitive, lasciano intravedere come il problema possa considerarsi «aperto»; esse dovrebbero, in ogni caso, aver chiarito i termini della questione. 1.3. L’equità verticale La seconda caratteristica che un sistema tributario dovrebbe avere (per potersi definire almeno non iniquo: per l’equità piena le due sole condizioni sono sufficienti?) è quella dell’equità verticale. Per essa non pare che la distinzione fra disegno e riforma sia così determinan- te e gravida di conseguenze (come per quella orizzontale). Se conside- rata in un contesto di disegno l’equità verticale pare svolgere l’impor- tante ruolo di discriminare, ma solo sulla base di una diversità di situazioni oggettivamente caratterizzate da quegli elementi che, nel caso dell’equità orizzontale, servivano a istituire le uguaglianze. Naturalmente il problema diventa complesso nel momento in cui gli elementi di diversità (cui far riferimento) siano più di uno (e non sia- no convergenti) perché, in questi casi, è possibile che occorra attribui- re ad essi una sorta di ponderazione che naturalmente può essere dif- ficile. Anche in un contesto di riforma l’equità verticale può svolgere un ruolo non irrilevante. Una normativa che si sviluppasse discriminan- do non sulla base di quegli elementi ritenuti fondamentali per le iden- tificazioni di situazioni migliori o peggiori, ma sulla base di categorie non solo esterne ad essi ma addirittura in contrasto, difficilmente potrebbe trovare giustificazione. 1.4. Il problema della riforma Le tematiche più sopra richiamate saranno, nel seguito, «utilizza- te» per l’analisi della riforma previdenziale. ————————————— ²¹ Si vedano su questo punto le osservazioni di R. Musgrave, 1976 e L. Kaplow, 1989b. Di quest’ultimo (che, nell’articolo citato, è un critico abbastanza radicale dell’e- quità orizzontale) si veda, in particolare, la nota 2. 151
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/2000 Dovrebbe essere evidente fin d’ora, comunque, quali aspetti siano cruciali per essa: anzitutto il tema della uguaglianza e della disugua- glianza di situazioni sia in un contesto di disegno che di riforma. E poi quale ruolo (basilare) giochi il rischio di mutamenti di normative, essendo il contesto nel quale ci troviamo, se non altro per ragioni di realismo, proprio quest’ultimo. Si vedrà, tuttavia, che, anche nell’am- bito della riforma, un ruolo fondamentale è svolto dalla uguaglianza vuoi perché il problema dell’identificazione di «situazioni» è primario vuoi perché esiste un altro e non meno importante aspetto: l’ugua- glianza di fronte al rischio di mutamento. Come forse già queste osservazioni evidenziano, l’analisi che segue è abbastanza diversa dai temi spesso dibattuti nella letteratura che affronta i temi della previdenza, in particolare quello del confronto fra un sistema a ripartizione e uno a capitalizzazione 22. Infatti, men- tre in un contesto di disegno la soluzione a quel problema può essere vista come «la» soluzione del problema in un contesto di riforma ciò che appare rilevante è il problema della transizione dall’uno all’altro. Così anche ammettendo la superiorità del sistema a capitalizzazione su quello a ripartizione non si vede come si possa eludere il tema di chi (e perché) debba pagare, in futuro, «le pensioni a ripartizione» di chi (e perché) debba pagare «i diritti pensionistici pregressi» e così di seguito. Il tema della riforma, visto come l’aspetto fondamentale della transizione normativa, ha, invece, al centro della sua attenzione pro- prio il problema dell’onere del mutamento. Un onere che – almeno così sembra – non può che essere distribuito sulla base di regole fon- date su principi di equità. 2. Equità e riforma previdenziale 2.1. Considerazioni introduttive I problemi più sopra affrontati e discussi possono aiutare a com- prendere le profonde e gravi iniquità che le più recenti riforme previ- denziali hanno posto in essere. Molte delle problematiche in prece- denza trattate si adattano anche, mutatis mutandis, al caso in discus- sione. Prima di procedere in questa direzione appare, tuttavia, oppor- tuna una brevissima disamina della situazione esistente anteriormen- te al ’92. Essa è fatta solo funzionalmente alle considerazioni che svi- lupperemo e non ha, perciò, alcuna pretesa di sistematicità, comple- tezza o quant’altro. Le tre riforme degli anni 1992-98 spesso sinteticamente identificate col nome dei presidenti del consiglio dell’epoca in cui sono state fatte ————————————— ²² Una chiara e semplice introduzione ai principali temi e problemi del «sistema pen- sionistico» può essere trovata nel cap. 12 del recente manuale di Artoni. Si veda R. Artoni, 1999. 152
F. GIOVANNONI, LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO ... (Amato, Dini, Prodi) hanno profondamente modificato il quadro normativo esistente nella prima metà del ’92. Un quadro normativo che, pur con modifiche di una qualche continuità e di una certa rile- vanza 23, aveva caratteri ben delineati. Esistevano, com’è noto, diversi regimi ognuno dei quali era caratterizzato da un insieme di regole relative principalmente al metodo di calcolo della pensione, al contri- buto a carico del lavoratore (e a quello del datore di lavoro), all’età pensionabile, alla pensione di anzianità. 2.2. Diversità delle normative previdenziali e sue conseguenze Questi regimi, anche se (come si è detto) avevano subito delle modifiche (molto spesso migliorative dal punto di vista del lavorato- re) nel corso degli anni avevano una ben precisa caratterizzazione 24, tant’è che, ad esempio, per taluni di essi si potrebbe parlare di un trat- tamento «più generoso» 25 rispetto ad altri. A meno di non voler fare ipotesi poco realistiche pare, tuttavia, dif- ficile supporre che questa «evidente disparità» di trattamento previden- ziale non sia stata avvertita e che di essa «il mercato» non abbia tenuto conto. Di essa e non solo di essa ché la scelta relativa al tipo di lavoro sarà stata determinata non solo dal regime previdenziale, ma anche da una molteplicità di elementi fra i quali le entità attese della retribuzio- ne, le prospettive di carriera, la piacevolezza dello stesso lavoro, la diffi- coltà d’accesso ad esso non sono certamente i meno importanti. Questo insieme di elementi avrà perciò determinato l’allocazione finale di quel fattore. Anche senza voler escludere la presenza di altre caratte- ristiche pare molto difficile ipotizzare che quelle non abbiano svolto un ruolo rilevante. Se questo si è in buona misura verificato l’allocazione finale può apparire come il risultato di tutti quei caratteri (e di altri ancora nell’esemplificazione tralasciati, perché forse meno decisivi) cui si accennava più sopra. Il trattamento previdenziale «generoso» ha un prezzo: a parità di quasi tutto il resto potrebbe «pagarsi» con una minor retribuzione e, se anche questa dovesse essere simile (cioè, davve- ro, a parità di tutto), con un «accesso» più difficoltoso (ad esempio una prova concorsuale particolarmente impegnativa) e via dicendo. Tuttavia, se si guarda in quest’ottica «il privilegio» o «la genero- sità» acquistano un carattere ben differente da quello normalmente sottolineato. Isolare un aspetto (il trattamento previdenziale) e istitui- re i confronti solo su di esso non pare giustificato: spesso, tuttavia, quello che è stato fatto è proprio questo, un confronto fra alcuni ele- menti di un regime e i corrispondenti elementi dell’altro (in particola- ————————————— ²³ Si veda O. Castellino, 1996. ²⁴ Castellino sostiene che negli anni 1955-90 questo principio di differenziazione nor- mativa si era «rafforzato». Si veda O. Castellino, 1998, pag. 22. ²⁵ Il condizionale non appare ingiustificato perché - come cercheremo di mostrare - l’espressione è ambigua. 153
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/2000 re il regime previdenziale pubblico e quello privato) e dove le differen- ze erano più marcate ed evidenti. Quanto precede non è né vuole essere, tuttavia, «la dimostrazione» che non esistevano, prima delle innovazioni legislative iniziate nel ’92 dei regimi «più favorevoli» ai lavoratori di altri, ma, più semplicemente che una tale «prova» non può certo essere data solo guardando ad alcuni (ancorché significativi) elementi di esso in un contesto astratto e isolato dalle conseguenze che le diversità (tutte le diversità) stesse han- no determinato 26. Dove dei due aspetti «contesto astratto» e «isola- mento delle conseguenze» il più rilevante può, quasi certamente, con- siderarsi quest’ultimo: ma tutti e due sono ovviamente importanti. Queste osservazioni possono essere viste come una semplice appli- cazione ed estensione di quelle illustrate in precedenza in relazione ai «privilegi tributari» pur, forse, con l’ovvia variante che, nel caso di questi ultimi, il processo di capitalizzazione (con il conseguente, invo- cato, indennizzo nell’eventualità di modifica) appare più chiaro, lineare e, intuitivamente più evidente. Ma, nella sostanza, l’argomen- tazione non sembra molto differente. Anche nell’ottica (meno favorevole?) del rischio (e, cioè, della pos- sibilità di perdite secche, senza indennizzo; nel caso di mutamento di normativa) la natura del privilegio appare nettamente diversa da quella implicita nell’argomentazione degli «abolizionisti». Infatti anche in questo caso «il privilegio» viene «acquistato» (se pur a prez- zo differente e, quasi sempre, più basso rispetto al «caso protetto») perché la possibilità (quale che sia la probabilità del suo verificarsi) che le norme siano mantenute (e dunque «il vantaggio» non elimina- to) non verrà, di certo, regalata. Naturalmente ex post, in caso di abo- lizione, troppo si sarà «speso», mentre, nel caso opposto, è vero il contrario 27. Ma anche in questa circostanza non si vede perché sia in sé giustificata la rimozione di un «vantaggio» per godere del quale (pur con probabilità che scompaia) si è pagato qualcosa (un qualcosa strettamente collegato con quella probabilità) 28. 2.3. Necessità di mutamento delle normative previdenziali Naturalmente accettando il punto di vista del rischio nessun vin- colo può porsi alle modifiche e il mutamento di normativa (lecito per ————————————— ²⁶ L’espressione «più favorevole» (come l’argomento svolto chiarisce) è solo funziona- le alla identificazione di una situazione e non contiene alcun giudizio di merito. ²⁷ Il caso non appare, nella sostanza, differente da quello analizzato più sopra: la sem- plice probabilità (più alta) di mutamento non pare aggiungere o togliere niente alla logica dell’argomento. ²⁸ Una possibile critica al punto di vista qui sostenuto potrebbe essere quella di nega- re, in via empirica, la rilevanza delle considerazioni. Non pare facile, tuttavia, darne una dimostrazione; anzi la frequente constatazione delle basse retribuzioni del settore pubblico è stata (spesso) spiegata con gli altri «vantaggi» in esso «goduti». 154
F. GIOVANNONI, LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO ... altre ragioni che non siano almeno quelle dell’abolizione del «privile- gio») può avvenire senza problemi. Lo Stato può (e deve avere la libertà di) modificare le norme che regolano il sistema previdenziale quando nuovi scenari di politica economica lo impongono. Ed è non solo bene che non paghi nulla a coloro che si erano regolati sulle vec- chie norme (e avevano perciò confidato sul non mutamento), ma anche che si sappia, in via preventiva 29, che questa regola è la regola seguita in casi di transizione. Dei due argomenti che, forse, con maggior frequenza vengono avanzati (ma, soprattutto, sono stati avanzati) 30 per chiedere il muta- mento della normativa previdenziale (quello macroeconomico del risparmio di spesa 31 e quello della omogeneizzazione delle regole per motivi di equità) solo il primo sembra dunque conservare la sua vali- dità. Il secondo non sembra, se la interpretazione è corretta, un argo- mento molto fondato e robusto e la sua forza sembra di carattere emotivo più che razionale 32. Il motivo del risparmio di spesa appare invece giustificato o, comunque, può ritenersi tale 33. Senza entrare nel merito del problema relativo alla entità dello stesso si può dire che era largamente diffusa la convinzione che il sistema previdenziale italiano, così come struttu- rato all’inizio degli anni Novanta (cioè prima dell’inizio delle riforme) fosse, per usare l’estrema sinteticità di un manuale 34, «esposto a rischio di squilibrio finanziario molto forte» e che, perciò, un sensibi- le rallentamento della spesa non fosse più rinviabile. Questo dato esterno influenza e determina la modifica normativa indicandone, in maniera inequivocabile, la direzione. Molti sono, naturalmente, i pos- sibili modi in cui si può procedere, a parità di risparmio globale, e ben differenti sui diversi soggetti sono gli oneri a seconda della via scelta. Un esempio, volutamente paradossale, che consente, con alta probabilità, almeno nel breve periodo, un risparmio potrebbe essere ————————————— ²⁹ Perché è bene che la regola di transizione venga fissata e conosciuta preventivamen- te è spiegato in Kaplow, 1986, pag. 559. ³⁰ Anche altri argomenti sono stati proposti ma quelli analizzati qui sono forse i più rilevanti. ³¹ L’espressione «risparmio di spesa» (o altre analoghe) non deve intendersi alla lette- ra, cioè come diminuzione (di essa) in assoluto, ma in senso lato e generico, cioè come «rallentamento della (sua) dinamica di crescita», «(suo) abbassamento in rapporto al PIL» e simili. Senza escludere che una riforma possa anche, nel momento in cui viene fatta, far diminuire, se pur provvisoriamente, il livello assoluto. ³² Altro e differente problema è, naturalmente, la omogeneizzazione per i nuovi assun- ti. Per essi ci possono essere motivi perché essa venga istituita: in questo caso, infatti, il problema sopra evidenziato non esiste. Un rapidissimo cenno a un vantaggio del siste- ma omogeneo è in Castellino, 1998, pag. 22. ³³ La necessità dello stesso può essere giustificata in vario modo, ad es. l’inopportu- nità da parte dello Stato di trasferire risorse al settore. ³⁴ La citazione è tratta da Bosi, 1996, pag. 146. 155
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/2000 quello di «annullare» la dinamica di accesso all’insieme dei pensionati o comunque di consentire tali accessi solo a condizioni estremamente difficili da realizzare. In pratica chi è in pensione continua a percepir- la e gli attuali lavoratori attendono di realizzare le difficili condizioni. Un altro esempio potrebbe essere quello di un taglio percentuale di tutte le pensioni in godimento a una certa data e di quelle future (in godimento da quella data in poi): anche questo, sotto ipotesi abba- stanza realistiche, potrebbe essere un modo per risparmiare. E via di questo passo. 2.4. Caratteri fondamentali della «riforma equa» Il problema sembra allora quello di vedere se alcune possibilità, cioè alcuni modi di procedere al risparmio, sono più corretti, dal pun- to di vista equitativo, di altri e perché; muovendoci naturalmente in un contesto di riforma (della normativa vigente). Ci sono presumibil- mente molti modi «equi» di procedere a seconda del concetto di equità che si accetta. Se, tuttavia, l’equità non può prescindere dalle caratteristiche più sopra analizzate un vincolo forte pare imporsi e la scelta appare quasi obbligata. Anzitutto è da ricordare e sottolineare in via preventiva che il con- testo entro il quale vogliamo muoverci è quello della riforma normati- va finalizzata al risparmio di spese. Un risparmio di spesa che sarebbe praticamente inesistente se tenessimo conto in maniera piena e completa dei «diritti acquisiti» dai soggetti interessati (di cui l’indennizzo, che può essere visto come un modo di tenerne conto, evidenzia, forse al meglio, l’inefficacia). Ciò porta, di necessità, l’analisi a muoversi in un contesto (per dir così) à la Kaplow. Tuttavia, anche in questa prospettiva, un recupero sostanziale, almeno dello spirito dell’«uguale trattamento di uguali», sembra non solo possibile ma auspicabile e altamente significativo. Un comportamento da parte dello Stato identico, almeno in linea di principio, nei confronti di tutti per ciò che riguarda le modifiche della normativa vigente appare la condizione minima da rispettare perché possa parlarsi di non-discriminazione fra i soggetti e dunque di equità orizzontale. Anche muovendoci nella prospettiva del rischio, connesso al muta- mento della normativa vigente, non pare allora che si possa, in linea generale, considerare differente la posizione di alcuni soggetti rispetto a quella di altri. Questo punto di vista (come accennato già sopra) appare anche, in qualche misura, condiviso dai sostenitori della irrile- vanza della normativa vigente, per ciò che riguarda il mutamento, purché non ci sia, nella nuova normativa, un atteggiamento discrimi- natorio nei confronti di qualcuno. È questo, forse, un modo indiretto per recuperare e difendere una parità di trattamento ad un livello più sostanziale e profondo di quello in cui si muovono le considerazioni 156
F. GIOVANNONI, LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO ... precedentemente illustrate relative alla tax reform e nell’ipotesi in cui il mutamento non possa, di necessità, assicurare la salvaguardia delle scelte fatte. Detto in altre parole una fondamentale parità di fronte alla legge non può non essere una parità di fronte alle (necessarie) modifiche della legge stessa. Le norme che regolano il sistema previdenziale modificando in futuro (da una certa data in poi: in generale la data dell’entrata in vigore) i loro caratteri non possono non coinvolgere tutti i soggetti che a quella data hanno già iniziato il rapporto con il sistema previdenziale stesso. 2.5. Riforma equa: scelte passate e future Prima di procedere ad una più precisa puntualizzazione di quanto affermato finora in modo astratto è forse opportuna una distinzione fra i soggetti coinvolti nell’analisi. Questa distinzione (considerando i fini cui è rivolta) può essere fatta così: a) i nuovi assunti; b) i lavorato- ri; c) i pensionati. Tutti questi tre insiemi si considerano definiti al momento in cui deve entrare in vigore la nuova legge. I caratteri e i problemi più sopra discussi possono ora essere ricon- siderati in relazione agli insiemi specificati. 2.5.1. Cominciamo dall’insieme dei nuovi assunti (o meglio coloro che non hanno ancora iniziato alcun rapporto con il sistema previ- denziale). Costoro non hanno operato (si potrebbe dire) scelte rile- vanti per ciò che riguarda la previdenza. Perciò massima potrebbe considerarsi nei loro confronti la libertà del legislatore per quello che concerne la normativa (previdenziale appunto) che lo dovrà riguarda- re. A rigore questo non è completamente e pienamente corretto per- ché alcune scelte (principalmente, anche se non esclusivamente, quelle relative al curriculum scolastico) potrebbero esser state influenzate dalla normativa precedente. Tuttavia tali legami e influenze non sem- brano così importanti e decisivi: anche se ciò è vero la loro rilevanza appare modesta. È, semmai, un altro l’aspetto che non può essere tra- scurato e che, in qualche misura attenua e frena la libertà del legisla- tore. Se è vero, infatti, che «nei paesi democratici i governi si basano in buona parte sulla accettazione volontaria delle norme» 35 è anche vero che una normativa troppo squilibrata a sfavore di quella che può ritenersi solo una minoranza ma consistente non è facile da rendere operativa 36. In senso lato il problema fondamentale pare, perciò, per gli appar- ————————————— ³⁵ L’espressione è di Stiglitz. Si veda Stiglitz, 1992, pag. 38. Anche se le recenti riforme sicuramente severe con i giovani sono passate senza la loro minima opposizione. ³⁶ Cfr. Bosi, 1996, il quale parla (per le riforme del caso italiano) di «profonda ingiu- stizia fra le generazioni» (pag. 149). 157
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/2000 tenenti a questo insieme, un problema di equità intergenerazionale. Un insieme di regole relative principalmente ai contributi, alle presta- zioni e ai diritti che fosse palesemente e fortemente squilibrato a sfa- vore delle nuove generazioni, oltre che intergenerazionalmente iniquo potrebbe essere tale da stimolare comportamenti (come l’evasione contributiva o addirittura l’emigrazione) che potrebbero (il condizio- nale è d’obbligo) rendere di fatto ingestibile la situazione. Precisare i caratteri di un tale equilibrio e ricercare le condizioni che devono verificarsi perché esista equità fra le generazioni va, tutta- via, oltre lo scopo del presente scritto e non sarà perciò discusso 37. Dal punto di vista dell’equità all’interno della stessa generazione non pare, comunque, che una normativa fissata ex novo per coloro che non hanno ancora iniziato alcun rapporto con il sistema previ- denziale (non hanno, cioè, fatto scelte basate sulle norme che lo rego- lavano) presenti i problemi tipici degli appartenenti agli altri due insieme, cioè quei problemi che conducono alla necessità di distingue- re fra i diritti e le prestazioni (vedi oltre). 2.5.2. Al contrario di questi soggetti quelli appartenenti agli altri due insiemi hanno operato scelte basandosi sulla normativa esistente al momento in cui le scelte sono state fatte. Considerando il nostro contesto si dovrebbe tuttavia dire, per maggior precisione, sulla «nor- mativa vigente in senso lato», cioè anche sull’eventualità che essa potesse subire, in futuro, dei mutamenti. Ora se la normativa deve essere modificata per ragioni esterne (in questo caso principalmente o quasi esclusivamente per risparmi di spesa) e se, come pare evidente, la normativa nuova riguarderà (non potrà che riguardare) i periodi futuri, non c’è alcuna ragione perché, e relativamente a questi ultimi periodi, essa non debba coinvolgere ambedue gli insiemi (e, cioè, i soggetti appartenenti a b) e c)). I quali saranno da una certa data in poi (la data d’entrata in vigore delle nuove norme) trattati secondo le nuove regole e la non-discriminazione sarà assicurata e realizzata. Un’ovvia e importante conseguenza di questo è che, almeno in linea generale, non si dovrebbero fare (è profondamente iniquo fare) muta- menti che riguardano alcuni diritti (v. oltre). Può essere, infatti, prati- camente impossibile (tanto per fare un importante esempio) trattare allo stesso modo due soggetti «uguali» (si vedrà più sotto quali sono le variabili rilevanti per stabilire l’uguaglianza), ma appartenenti ai due insiemi b) e c) relativamente alle condizioni anagrafiche che assi- curano il diritto alla pensione. Le modifiche che devono essere intro- dotte dovranno riguardare, naturalmente da una certa data in poi, i trattamenti ed essi dovranno coinvolgere sia i soggetti dell’uno (cioè di b)) che quelli dell’altro insieme (cioè di c)). ————————————— ³⁷ Il tema è affrontato in E. Somaini, 1996. 158
F. GIOVANNONI, LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO ... Una possibile obiezione, forse la più importante che potrebbe essere fatta, con qualche (apparente) fondamento, a questo punto di vista, è quella che, almeno in linea di principio, il soggetto apparte- nente all’insieme b) ha, in confronto all’altro, una più ampia possibi- lità di scelta (restare o lasciare) mentre l’altro non può che subire l’o- nere delle nuove regole. E, dunque, appunto per questo necessiterebbe di protezione. L’obiezione perde, però, gran parte della sua forza ed è più apparente che reale alla luce (almeno) delle seguenti osservazioni. Nulla vieta alla nuova normativa (che dovrebbe abbassare i tratta- menti per molti: v. oltre) di dare la possibilità a chi lo desidera di «rientrare» (con ciò assicurando sostanzialmente perfetta parità fra i soggetti). La parità non è perfetta perché si può pensare a una mag- gior difficoltà del «rientro» rispetto al «mantenimento»? C’è da consi- derare, tuttavia, che: 1) chi optasse per il rientro avrebbe, in ogni caso e fino al momento in cui il rientro non si concretizza, goduto di un periodo di riposo pagato, una parte del quale (quella fino all’abbassa- mento del trattamento) l’altro (a lui uguale) non ha avuto (e non avrà mai), e che: 2) chi perdesse il lavoro ad un’età, incompatibile con il diritto alla pensione nella nuova normativa (alternativa a quella qui proposta che non tocca il diritto), non sarebbe soccorso da nessuno. C’è poi da tener presente una situazione di fatto che «attenua» ulteriormente l’obiezione: nel caso italiano gran parte dei «giovani» appartenenti all’insieme c) sono ex-dipendenti pubblici: per essi non dovrebbe esser particolarmente difficile creare (quando già non esi- sta) una normativa ad hoc tendente a favorire, facilitare e non ritarda- re l’eventuale rientro 38. 2.6. L’uguaglianza fra i soggetti e la riforma Se si accetta di non toccare i diritti (o, meglio, alcuni diritti), ma solo i trattamenti com’è opportuno procedere? Il problema da risolve- re in via preliminare è, naturalmente, quello di individuare le caratteri- stiche che, in questo specifico contesto, rendono «uguali» gli individui. Pare difficile affermare che due (o più) soggetti a parità di età ana- grafica, anzianità contributiva, tipo e rapporto di lavoro (ivi compre- so il momento di inizio dello stesso) e contributi versati non debbano avere parità di trattamento 39 in futuro. E ancora pare difficile affer- mare che un soggetto (diciamolo il primo) che abbia più in qualche carattere (nel caso del momento d’inizio che abbia iniziato prima) e non meno in qualche altro di un altro (diciamolo il secondo) non ————————————— ³⁸ Sui caratteri di questa normativa non è questa la sede per discutere. ³⁹ Anche l’entità della pensione già riscossa dovrebbe essere un elemento da valutare con attenzione e «ponderare» cioè tenere nella «dovuta» considerazione (naturalmente col segno negativo: maggiore è tale entità minore dovrebbe essere, a parità di tutto il resto, il trattamento futuro). 159
STUDI E NOTE DI ECONOMIA 1/2000 abbia diritto a un trattamento futuro almeno pari a (o anche, miglio- re di) quest’ultimo (il secondo appunto). La nuova normativa non dovrebbe, perciò, discriminare fra sog- getti «uguali» in conseguenza di caratteri che li rendono sì diversi, ma che sono chiaramente irrilevanti (presentazione di una domanda entro una certa data o, addirittura, in un particolare giorno) sotto il profilo sostanziale (anche se quella caratteristica ha fatto passare un soggetto dall’insieme b) all’insieme c)). Il non-rispetto di questa «duplice condizione» di equità orizzonta- le (diversità nei confronti del rischio di mutamento normativo e diver- sità nel trattamento di soggetti uguali) ha portato a conseguenze aberranti e incredibilmente inique nel caso italiano. Ad esempio sog- getti che hanno maggiore età anagrafica, maggiore anzianità contri- butiva, stesso rapporto di lavoro (iniziato in certi casi dagli uni prima degli altri) e (conseguentemente) maggiori contributi di altri possono non avere diritto nel futuro immediato (ma anche in quello meno immediato) ad alcuna «prestazione previdenziale» garantita invece a questi ultimi. I quali fra l’altro possono aver già goduto (al contrario di quelli!) di numerose prestazioni previdenziali. Il problema, formulato in maniera un po’ più astratta e precisa è quello della riscrittura, a gioco iniziato, delle regole previdenziali per due insiemi di soggetti ognuno dei quali ha operato scelte che sono «irreversibili» praticamente alla stessa maniera. L’analogia fra le situa- zioni potrebbe addirittura trasformarsi in completa uguaglianza se un’appropriata norma atta a consentire eventuali rientri fosse posta in essere. Ma anche in assenza di essa non si vede assolutamente perché i rischi connessi con i mutamenti normativi (mutamenti che andranno, perciò, a regolare fatti futuri) non debbano essere ugualmente soppor- tati da tutti i soggetti, cioè perché per alcuni il rischio di mutamento non possa e debba configurarsi. Se i diritti (in senso lato, cioè anche quelli relativi ai trattamenti) nascono da norme e le norme possono (e devono!) essere mutate non si vede perché tutte le norme in grado di realizzare l’obiettivo prefissato (cioè il risparmio di spesa) non possa- no (e debbano!) prima essere individuate e poi cambiate in maniera coerente e conforme e, per ciò che riguarda soggetti uguali, uguale. La situazione opposta porterebbe al configurarsi di due tipi di «diritti»: quelli acquisiti dai soggetti cui alcune norme hanno promes- so un certo trattamento previdenziale e quelli «acquisiti» da altri sog- getti cui altre norme «hanno promesso» (per modo di dire natural- mente) qualcosa che in qualunque momento è in procinto di attenuar- si o, addirittura, di scomparire. Bisognerebbe naturalmente spiegare 40 ————————————— ⁴⁰ Ma l’onere della prova non può non spettare a quelli che sostengono, direttamente o indirettamente, che il modo di procedere corretto e equo è quello di considerare separati i due insiemi b) e c). 160
F. GIOVANNONI, LA RIFORMA PREVIDENZIALE. ANALISI ECONOMICA DEL MUTAMENTO ... perché debba esistere una tale duplicità di norme che regolano la previ- denza (quelle, per dir così, di serie A e quelle di serie B) e quale sia la «logica» che fonda tale differenziazione. O, per dirla in altri termini ancora, occorrerebbe mostrare dove la discriminazione trovi fonda- mento, quali, cioè, siano le regole (o i principi) di equità che la sorreg- gono (ovvero, ma si fa sempre per dire, la giustificano). Se vogliamo porre il quesito in forma di domanda: perché la logica delle attese futu- re e dei rischi connessi con i mutamenti dovrebbe limitarsi solo ad alcu- ni individui se sotto il profilo delle scelte e del loro grado di reversibilità la situazione è analoga? Perché l’insieme delle norme che regolano le condizioni (previdenziali) dei lavoratori in servizio può essere modifica- to e quello che regola le condizioni dei pensionati non può esserlo? 41 Il fatto che un tale «fondamento equitativo» non sembra esistere non significa naturalmente che una spiegazione, per la discriminazio- ne, non possa essere trovata, come sarà brevemente chiarito più avanti. 2.7. Due aspetti negativi delle riforme Strettamente connesso con il fatto di aver operato in maniera tan- to assurdamente discriminatoria c’è un altro aspetto di indubbio inte- resse che pur non riguardando l’equità, evidenzia la irragionevolezza della scelta: è un aspetto certamente negativo e può, perciò, conside- rarsi come un altro elemento a sfavore di essa. Se, infatti, l’obiettivo è il risparmio di «spesa pensionistica» ogni fattore che, direttamente o indirettamente, contribuisca a farla crescere non può essere giudicato in maniera positiva. Nello specifico contesto di interventi di riforma che si ripetono, la discriminazione fra l’insieme dei diritti (intesi nella loro globalità, comprensivi cioè dei trattamenti) dell’uno e dell’altro gruppo di soggetti (con «acquisizioni» vere per c) e non vere per b)) ha, infatti, stimolato, con ogni probabilità, l’uscita anticipata dall’uno (quello dei soggetti con diritti acquisiti per modo di dire) e l’entrata nell’altro (quello dei soggetti con veri diritti acquisiti) da parte di chi sarebbe altrimenti rimasto. Questo fenomeno di autoselezione avreb- be, invece, avuto direzione più conforme all’obiettivo del risparmio 42 in presenza di scelte di fondo diverse (ad esempio del tipo di quella suggerita più oltre) pur nel caso di interventi di riforma ripetuti 43. Un altro elemento funzionale, invece, a una miglior comprensione delle iniquità della linea d’intervento seguita è il seguente, relativo ————————————— ⁴¹ Verrebbe anche da chiedersi se mai in una «posizione originaria» (in cui i giudizi eti- ci dovrebbero più facilmente manifestarsi) si sceglierebbero regole costituzionali che permettono un’evoluzione della normativa per cui una siffatta discriminazione fra sog- getti sia consentita: ma questo pare un discorso piuttosto complesso. ⁴² È implicitamente assunto che, nel breve periodo, l’uscita anticipata faccia crescere la spesa. ⁴³ Si veda O. Castellino, 1998, pagg. 26-27, dove il fenomeno è descritto e valutato con chiarezza ed efficacia. 161
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