LA MATEMATICA E L'INFINITO

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LA MATEMATICA E L’INFINITO
                         Carlo Toffalori (San Pellegrino, 5 settembre 2006)

L’Infinito/l’Eterno: argomento di

-   Religione;

-   Filosofia: “Quando considero la breve durata della mia vita, sommersa nell’eternità che la
    precede e che la segue, il piccolo spazio che occupo e financo che vedo, inabissato nell’infinita
    immensità degli spazi che ignoro e che mi ignorano, io mi spavento e stupisco di trovarmi qui
    piuttosto che là, non essendoci alcuna ragione perché sia qui piuttosto che là, oggi piuttosto che
    allora.” (B. Pascal, Pensiero 205)

-   Poesia:
                               “Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
                                   e questa siepe, che da tanta parte
                              nell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
                                  Ma sedendo e mirando, interminati
                                   spazi di là da quella, e sovrumani
                                     silenzi, e profondissima quiete
                                 io nel pensier mi fingo; ove per poco
                                il cuor non si spaura. E come il vento
                              odo stormir tra queste piante, io quello
                                      infinito silenzio a questa voce
                               vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
                                    e le morte stagioni, e la presente
                               e viva, e il suon di lei. Così tra questa
                                  immensità si annega il pensier mio:
                             e il naufragar m’è dolce in questo mare.”
(G. Leopardi, Canto XII, L’Infinito)

-   Fisica (misura dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, il Big Bang)

Ma che relazione tra Infinito (in-de-finito, in-de-terminato) e Matematica (la scienza che tutto
cerca di definire e determinare)?

1. Intuire l’Infinito

Prima dei Greci, la Matematica è soprattutto legata ai problemi pratici di tutti i giorni (Indù, Cinesi,
Babilonesi, Egiziani): non c’è posto per l’astrazione e per l’Infinito.

Con i Greci, la Matematica diventa una Scienza. Il gusto greco per le proporzioni e l’armonia
trascende le questioni pratiche e le conferisce la dignità della teoria astratta. I numeri naturali
“finiti” 0, 1, 2, 3, 4, 5, … sono la chiave per misurare la natura e stabilire i suoi rapporti e le sue
leggi. Ma in questa visione c’è spazio per l’Infinito?
Secondo i greci

                infinito ( apeiron) = indefinito, indeterminato (dunque imperfetto).

Il concetto di infinito ha connotazioni negative.

Pitagora: il numero naturale è la base di tutto (opinione che vedremo condivisa da autorevoli
personaggi anche molti secoli dopo)

1 = la mente,
2 = l’opinione (rompe l’unità),
3 = la completezza (l’inizio, il mezzo, la fine),
4 = la giustizia (il quadrato, l’esatto),
5 = il matrimonio (pari + dispari, femmina + maschio),
10 = la perfezione (punto + retta + piano + spazio, 1 + 2 + 3 + 4).

Platone: il Bene è (de)finito.

Aristotele: fa una distinzione sottile tra Infinito potenziale ed Infinito Attuale: “l’Infinito ha una
esistenza potenziale, non esiste un Infinito attuale” (Fisica). Ad esempio l’insieme dei numeri
naturali è infinito potenzialmente (perché non c’è un massimo naturale), ma non attualmente:
possiamo seguirne indefinitamente la sequenza 0, 1, 2, 3, …, ma non possiamo coglierne la totalità.

Tuttavia anche nel mondo greco ci sono spunti verso l’infinito.

Zenone di Elea, IV secolo a. C., Paradosso del corridore (l’Infinitesimo, l’Infinitamente divisibile,
l’Infinito): un corridore non potrà mai raggiungere il suo traguardo, perché prima dovrà arrivare a
metà percorso, e poi a metà della metà del tragitto rimanente, e così via: la strada da fare è
infinitamente divisibile. Ci sono infiniti addendi da sommare

                                     1/2 + 1/4 + 1/8 + 1/16 + …

Possono avere una somma finita?

Euclide dà un’elegante dimostrazione del fatto che i numeri primi 2, 3, 5, 7, 11, … (quelli maggiori
di 1 che sono divisibili solo per 1 per se stessi) sono infiniti.

Pitagora è soprattutto famoso per il suo Teorema. Se lo applichiamo al caso di un triangolo
rettangolo isoscele di lato 1 troviamo che la misura della ipotenusa è

                                            √2= 1,4142…

dunque un numero che non si può esprimere come rapporto m/n di due naturali m e n: è ir-
razionale, alogos, inesprimibile. Di più, ha bisogno di uno sviluppo decimale infinito e
imprevedibile per essere rappresentato.

Archimede (287-212 a. C.) si interessa di

                                            π = 3,1415…
cioè del rapporto tra la lunghezza di una circonferenza e quella del diametro. Anzi Archimede
inaugura tecniche innovative per il suo calcolo: la sua idea è quella di approssimare la lunghezza
della circonferenza
- per difetto, tramite i perimetri dei poligoni regolari inscritti,
- per eccesso, tramite i perimetri dei poligoni regolari circoscritti.
Al crescere del numero n dei lati dei poligoni, la misurazione diventa sempre più corretta, e si
farebbe precisa se n arrivasse all’infinito. Per n = 96, Archimede giunge comunque alla stima

                                    3,14103… < π < 3,14271…

Il metodo di Archimede prefigura un procedimento di approssimazione infinito.

Ma π, come già la radice di 2, non si può esprimere come frazione. Questo era ancora ignoto ai
Greci e Archimede, ma oggi sappiamo che π è, appunto, irrazionale (Lambert, 1761), anzi
trascendente (incapace cioè di risolvere qualunque polinomio con coefficienti razionali e una sola
variabile, Lindemann 1882); in particolare non è possibile costruire con riga e compasso un
segmento di lunghezza uguale a quello della circonferenza, a partire dal diametro.

2. Definire l’Infinito

Il simbolo ∞ fu introdotto da J. Wallis nel 1656 (Arithmetica Infinitorum). Con gli infiniti,
compaiono naturalmente in Matematica i loro inversi: gli infinitesimi. I. Newton (1642-1727) e G.
Leibniz (1646-1716) inaugurano il Calcolo Differenziale, utile, ad esempio, per dare un adeguato
fondamento matematico allo studio fisico di grandezze variabili come velocità e accelerazione, e
adoperano

-   ∞ per infinito (potenziale, rassicura Leibniz)

-   dt per infinitesimo (o, per dirla con l’espressione di Newton, “flussione”).

La novità è contestata. C’è chi non è convinto. G. Berkeley (1685-1753), nell’opera “The analyst:
or a discourse addressed to an infidel Mathematician” (rivolta a E. Halley, collaboratore di
Newton, scopritore della famosa cometa) definisce

                           “infinitesimi = fantasmi di entità evanescenti”.

Ma D’Alembert (autore dell’Encyclopédie) è più possibilista:

                                “Andate avanti: la fede vi arriverà”.

In realtà già nel Medio Evo si era giunti a calcolare somme di infiniti addendi.

Nicola Oresme (1323?-1382), vescovo e studioso francese, dimostra nel modo che segue che la
somma di 1+1/2+ 1/3+1/4 + 1/5 +1/6 +1/7 +1/8 +… è infinita: si ha

                              1+1/2+ 1/3+1/4 + 1/5 +1/6 +1/7 +1/8 +…>

                            > 1+1/2+ 1/4+1/4 + 1/8 +1/8 +1/8 +1/8+…=

                             = 1+1/2+     1/2   +        1/2         +…
e la somma di infiniti addendi uguali a ½ è ovviamente infinita.

Divagazione: consideriamo però la somma che deriva dal paradosso di Zenone:

                                S = 1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2n + …

Moltiplicando a sinistra e a destra

                             2 S = 1 + 1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2n-1 + …

Sottraendo la prima eguaglianza dalla secondo, otteniamo

  S = 2S – S = 1 + 1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2n-1 + … - (1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2n + …) = 1

Così infiniti addendi (tutti positivi) hanno una somma finita 1. Possiamo così cercare di spiegare il
Paradosso di Zenone: infinitamente divisibile non implica infinito, oppure eterno. Il corridore
dunque percorre

                                1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2 + … = 1

e completa uno spazio finito in un tempo finito.

Commento. Forse Zenone aveva visto al di là dei calcoli matematici: la nostra vita non è come il suo
corridore (sempre tesa ad un obiettivo mai raggiunto né raggiungibile)?

Finita la divagazione, torniamo alla storia dell'infinito. Il grande matematico svizzero del ‘700
Leonhard Euler (Eulero, nella versione italiana del cognome) si interessò anche alle somme infinite.
Va sottolineato che, alla sua epoca, non si disponeva ancora di una precisa e rigorosa teoria generale
per questi calcoli. Così si potevano ottenere conclusioni singolari come la seguente.

Guido Grandi (1671-1742), monaco camaldolese, allievo di G. Saccheri. Nel 1703, applicando
(scorrettamente) le idee usate per l’esempio di Zenone alla somma (con termini anche negativi!)

                                      1–1+1–1+1–1+ …

conclude

                                 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 + … = 1/2.

Nel 1710, nella nota Deo veritatis, luminum patri, scientiarum domino, geometriae praesidi, per
spiegare questa conclusione scrive:

“Due fratelli ereditano dal padre una pietra preziosa di inestimabile valore, che il testamento
proibisce di vendere; essi stabiliscono perciò, di comune accordo, che la pietra venga custodita
alternativamente un anno dal primo ed un anno dal secondo. Se ora si conviene che questa regola
debba valere tra le due famiglie per l’eternità, ne risulta che a ciascuno dei fratelli la pietra verrà
data infinite volte e poi tolta pure infinite volte; in tal modo ciascuno dei due fratelli finirà proprio
per avere metà possesso della pietra”.

La ulteriore osservazione
(1 – 1) + (1 – 1) + (1 – 1) + … = 0

e la conseguenza 0 = 1/2 gli serve anzi per giustificare la creazione del mondo.

Leibniz non è convinto della dimostrazione di Grandi, ma non ha dubbi sul risultato. Così nel suo
Acta Eruditorum,1713, propone un differente ragionamento di prova:

“Se si interrompe la serie dopo un numero pari di termini, si ottiene la somma 0; se la si
interrompe dopo un numero dispari, si ottiene 1. Ma la somma è infinita, e poiché non possiamo
attribuire all’infinito né il carattere di numero pari, né quello di numero dispari, la serie non può
avere per somma né 0 né 1. Ora, il calcolo delle probabilità insegna che, se due valori sono
ugualmente probabili per una grandezza, si deve prendere come valore di essa la media aritmetica
dei due: perciò noi dobbiamo attribuire alla somma proprio il valore 1/2”.

E’ facile sorridere adesso di questi ragionamenti: oggi l’analisi matematica classica ci dice che gli
addendi in questione non hanno una somma definita. Ma non dobbiamo infatti dimenticare che, in
quegli anni, mancava una teoria generale di convergenza e divergenza delle serie. Così Leibniz e
dopo di lui Eulero potevano ben ritenere, insieme ad altri grandi dei loro tempi, che

               ogni serie infinita di addendi deve avere una somma (finita o infinita)..

Il tragitto verso chiare definizioni e sicure conclusioni richiese dunque ancora qualche tempo e in
realtà riuscì ad evolversi in modo soddisfacente solo a metà dell’ottocento, grazie all’opera di:

-   A. Cauchy (1789-1857), che nel suo Cours d’Analyse (1821) definì le somme infinite e i
    prodotti infiniti, e diede vari criteri per riconoscere quando il loro risultato è finito;
-   K. Weierstrass (1815-1895) che propose nel 1861 il classico approccio epsilon-delta per il
    Calcolo Differenziale e mostrò come usare in questo ambito infiniti ed infinitesimi, anche se in
    modo solo potenziale e non attuale.

Del resto il dettato aristotelico sull’Infinito attuale era ancora largamente condiviso. Ad esempio,
colui che è comunemente ritenuto il massimo matematico esistito, C. F. Gauss (1777-1855), ancora
nel 1831 in una lettera a Schumacher scriveva:

“Io devo protestare veementemente contro l’uso dell’infinito come qualcosa di definito: questo non
è permesso in Matematica. L’infinito è solo un modo di dire, ed intende un limite cui certi
rapporti possono approssimarsi vicino quanto vogliono, crescendo indefinitamente”.

Ma pochi decenni dopo l’Infinito attuale doveva irrompere finalmente in Matematica, grazie a G.
Cantor (1845-1918) ed ai suoi numeri transfiniti.

La teoria di Cantor era stata già anticipata per certi versi, 2 secoli prima, da Galileo.

Paradosso di Galileo. Galileo considerò i numeri naturali ed osservò che, in esso, l’insieme dei
quadrati perfetti è più piccolo dell’insieme di tutti i numeri, e pur tuttavia ci sono tanti quadrati
quanti numeri:

                                        0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, …

                                       0, 1, 4, 9, 16, 25, 36, …
Infatti ogni numero ha il suo (unico) quadrato. D’altra parte ci sono tanti numeri (2, 3, 5, 6, 7, …)
che non sono quadrati.

“Io non veggo che ad altra decisione si possa venire che a dire infiniti essere tutti i numeri, infiniti
i quadrati, … né la moltitudine de’ quadrati essere minore di quella di tutti numeri, né questa
essere maggiore di quella, ed, in ultima conclusione, gli attributi di eguale, maggiore e minore non
aver luogo negl’infiniti ma solo nelle quantità terminate”.

E’ da notare che Galileo tratta comunque gli infiniti in modo attuale, sia pure riconoscendo loro
leggi particolari.

Un celebre argomento divulgativo immaginato da D. Hilbert (1862-1943) per spiegare la teoria di
Cantor negli anni successivi alla sua formulazione è il seguente.

L’Albergo di Hilbert. Abbiamo un albergo completo, in cui ogni stanza N ha il suo ospite N.
Arriva un nuovo cliente. “Nessun problema” dice il portiere, “ sistemiamo

                                        l’ospite 0 nella camera 1,
                                        l’ospite 1 nella camera 2,
                                      l’ospite 2 nella camera 3, …
                                    l’ospite N nella camera N+1, …

e lasciamo la camera 1 al nuovo arrivato”. Il tutto è lecito se l’albergo è infinito.

L’argomento di Hilbert sottolinea come un insieme infinito, come quello dei naturali, possa avere
tanti elementi quanti un suo sottoinsieme proprio: quello dei naturali diversi da 0, o quello dei
quadrati perfetti. In questo si conferma l’osservazione di Galileo.

Ovvia spiegazione (???): tutti gli insiemi infiniti hanno lo stesso numero (infinito) di elementi.

Tuttavia gli esempi appena proposti sono notevoli: mostrano infatti che in ambiti infiniti

-   è impossibile contare tutti gli elementi (come i naturali, o i loro quadrati),
-   è possibile confrontare e dire, ad esempio, che ci sono tanti naturali quanti quadrati perché ogni
    naturale ha il suo quadrato (unico) e ogni quadrato corrisponde ad un unico naturale.

In generale possiamo convenire che due insiemi infiniti A e B “hanno lo stesso numero di elementi”
esattamente quando sono in corrispondenza biunivoca (da intendersi come una corrispondenza
analoga a quella tra naturali e quadrati).

Ma allora ci accorgiamo che esistono insiemi infiniti A e B tali che A è sottoinsieme proprio di B
eppure ha gli stessi elementi di B (cioè è in corrispondenza biunivoca con B). Si contraddice così il
principio aristotelico in base a cui “il tutto è maggiore delle sue parti”. Ad esempio:

•      l’insieme N dei naturali è in corrispondenza biunivoca con N −{0} (albergo di Hilbert);
•      N è in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei quadrati perfetti (paradosso di Galileo).

Anzi, si potrebbe scegliere la proprietà di essere in corrispondenza biunivoca con un sottoinsieme
più piccolo come la maniera per definire un insieme infinito (R. Dedekind).
Si può però obiettare che la precedente osservazione non è poi così sorprendente: tutti gli insiemi
infiniti, appunto perché infiniti, hanno lo stesso numero (infinito) di elementi. Cantor confermò
questa impressione, con alcuni esempi anche sorprendenti. Dimostrò infatti quanto segue.

-   N è in corrispondenza biunivoca con l’insieme Z degli interi …, -2 , -1, 0 , 1, 2, …: ci sono tanti
    naturali quanti interi, anche se gli interi sembrano “raddoppiare” i naturali 1, 2, … con i loro
    opposti negativi –1, -2, …

                                    …, -3, -2, -1, 0, 1, 2, 3, …
                                    …, 5, 3, 1, 0, 2, 4, 6, …

-   N è in corrispondenza biunivoca con l’insieme delle frazioni m/n con m e n naturali primi tra
    loro e n diverso da 0. Le frazioni sembrano enormemente di più. Ma proviamo a ordinarle prima
    secondo la somma m+n e poi, a parità di somma, secondo m. Troviamo una lista

                     0/1, 1/1, 1/ 2, 2/1, 1/3, 3/1, 1/ 4, 2/3, 3/2, 4/1, …

    da cui è facile dedurre una corrispondenza biunivoca con N

                       0,      1,    2,   3,     4,   5,   6,    7,    8,   9, …

-   L’intera retta reale R è in corrispondenza biunivoca con ogni suo segmento aperto, ad esempio
    con l’insieme ]-π/2, π/2[ dei reali compresi tra -π/2 e π/2 (chi ha un po’ di confidenza con i
    grafici delle funzioni trigonometriche e in particolare con quello della tangente può facilmente
    intuire il perché).

-   Ci sono tanti punti in un segmento, quanti nel quadrato o nel cubo che lo hanno per lato (anche
    se geometricamente la dimensione cambia).

Tutti questi esempi sembrano confermare l’assunto generale che tutti gli insiemi infiniti “hanno lo
stesso numero di elementi”.

Ma, nel 1874, Cantor dimostrò che non esiste nessuna corrispondenza biunivoca tra N e R: si sono
“più” reali che naturali, e comunque il modo di essere infiniti dei primi è diverso da quello dei
secondi. Non tutti gli infiniti sono uguali.

Anzi, negli anni successivi, Cantor perfezionò la sua teoria e scoprì dovizie di numeri infiniti. Nel
1899 uscì la edizione francese del suo libro sui “Numeri transfiniti”. Vi si introducevano in modo
rigoroso i numeri infiniti in Matematica e si elaborava una loro aritmetica, mostrando che essi
possono essere sommati, moltiplicati, ordinati proprio come gli usuali numeri naturali, anche se con
regole particolarissime e imprevedibili, talora diametralmente opposte a quelle valide in N.

La reazione di Cantor a tutte le sue scoperte:

G. Cantor: “Lo vedo, ma non ci credo”.

Altri commenti entusiastici.

B. Russell (1910): “La soluzione delle difficoltà che in passato circondavano l’infinito matematico
è probabilmente la massima conquista che la nostra epoca ha da vantare”.
D. Hilbert: “Nessuno ci porterà via dal Paradiso che Cantor ci ha creato”.

L’inferno di Cantor:

-   l’ostracismo di Kronecker (1832-1891), che pure era stato il suo maestro: “Gli interi sono i soli
    numeri creati da Dio” (si ricordi Pitagora);
-   la depressione per la difficoltà dei suoi studi e gli ostacoli incontrati dalle sue teorie;
-   la morte in un istituto psichiatrico.

3. Dominare l’Infinito?

David Hilbert (1862-1943) aveva accolto con entusiasmo, come abbiamo già visto, il lavoro di
Cantor e la conseguente introduzione dell’infinito attuale in matematica. Il ruolo di Hilbert fu anche
fondamentale nella rielaborazione della Geometria Euclidea. Sotto questo punto di vista, Hilbert
aveva propugnato l’importanza del

                                        metodo assiomatico:

sviluppare conseguentemente non solo la Geometria, ma tutta la Matematica secondo

-   assiomi
-   regole di ragionamento

che permettono di sviluppare le dimostrazioni ed ottenere i teoremi. Così Hilbert riprendeva la
vecchia impostazione di Euclide, sia pure con alcune differenze sostanziali che discuteremo tra
poco.

Nel 1925, in un trattato Sull’Infinito, Hilbert ribadì questa sua visione e formulò il suo Programma
di sviluppo della Matematica: essa può trattare qualunque argomento (numeri naturali, numeri reali,
geometria, anche numeri infiniti) purché lo doti anzitutto di

-   assiomi
-   regole di ragionamento

e poi sulla loro base formi sequenze finite di affermazioni (dimostrazioni) e deduca i suoi teoremi
come i passi finali di queste sequenze.
Gli assiomi sono quindi i fondamenti da cui si parte per la costruzione: sono enunciati che non si
dimostrano, ma si assumono come verità basilari per sviluppare tutta la teoria.
Ma è qui che l’impostazione di Hilbert si differenzia da quella di Euclide.

-   Per Euclide il criterio che suggerisce e avvalora gli assiomi è la loro evidenza: si accetta per
    vero quello che ci pare universalmente condivisibile. Ma quale evidenza può guidarci quando si
    studiano i numeri infiniti?
-   Per Hilbert il criterio da seguire per accreditare gli assiomi e i teoremi che ne seguono è la loro
    coerenza, e cioè l’assenza di contraddizioni. Un sistema matematico che vuole parlare
    dell’Infinito è autorizzato purché lo faccia con proprietà, evitando ogni stupidaggine e
    incoerenza.

Come certificare la coerenza di una teoria matematica (ad esempio di una teoria che parla
dell’infinito):
-   cercare una certificazione esterna;
-   autocertificarsi.

Per Hilbert, la strada da seguire (soprattutto quando si parla di infinito) è la seconda: la teoria deve
essere capace di autocertificare la propria coerenza (quando si tratta di ciò che sembra trascenderci,
come l’Infinito, dobbiamo dimostrare da soli di esserne realmente all’altezza).

In conclusione secondo Hilbert ogni teoria matematica deve fissare anzitutto in modo appropriato e
coerente
- i fondamenti da cui partire (gli assiomi),
- i metodi con cui ragionare (le regole di deduzione),
dopo di che Matematica (anche quella che coinvolge l’infinito) è esclusivamente quello che si può
dedurre meccanicamente (magari col solo uso del computer) all’interno della teoria.

La critica di Poincaré: “Così può fare geometria anche un cieco”.

Ma secondo il programma hilbertiano l’uomo può dominare l’infinito elaborandone un’opportuna
teoria (come quella di Cantor) e poi autocertificando la propria capacità di parlarne, cioè la coerenza
della teoria stessa.

Kurt Gödel (1906-1978), Brno. Nel 1923, si iscrisse all’Università di Vienna, dove nel 1930 ottenne
il dottorato in Matematica. Il suo contributo più grande è una coppia di Teoremi (chiamati di
Incompletezza) dimostrati nel 1931. Con essi, Gödel affossò il programma di Hilbert. Infatti Goedel
provò:

Nessuna ragionevole teoria matematica che sappia trattare almeno i numeri naturali e sia priva di
contraddizioni sarà capace di autocertificare la propria assenza di contraddizioni. Di più,
incontrerà problemi che non sarà capace di risolvere.

L’uomo non può dominare completamente la Matematica e comprenderne i fondamenti in modo
tale da ridurla ad un gioco di deduzione al computer.

Si giunge alla crisi del programma hilbertiano: l’infinito torna trascendente, l’uomo non sa
dominarlo.

Conclusione (?): la Matematica può intuire l’infinito, discuterlo, ed anche definirlo (Cantor). Non
può comunque dominarlo.

Ma in realtà i teoremi di Gödel hanno conseguenze anche peggiori: prova infatti che la Matematica
non sa dominare completamente neppure la teoria dei numeri naturali (l’ambito apparentemente
innocuo gradito anche a Pitagora e Kronecker): un sistema matematico che pretenda di trattarli e
soddisfi le altre ipotesi di Gödel si imbatterà comunque in problemi che non saprà risolvere e non
riuscirà comunque a certificare da solo la sua coerenza.

“L’ultimo passo della ragione è riconoscere che vi sono infinite cose che la superano” (B. Pascal,
Pensiero 188-267)

“Noi abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello
spazio e fermo nel tempo; ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di
assurdità, per sapere che è finito” (J. Borges)
Due riferimenti bibliografici che possono essere utili

S. Leonesi – C. T. – S. Tordini, Matematica, Miracoli e Paradossi, Lettera Matematica Pristem 46,
pp. 31-42

S. Leonesi – C. T. – S. Tordini, La Matematica dell’Infinito, Lettera Matematica Pristem 48, pp. 37-
48
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