LA MATEMATICA E L'INFINITO
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
LA MATEMATICA E L’INFINITO Carlo Toffalori (San Pellegrino, 5 settembre 2006) L’Infinito/l’Eterno: argomento di - Religione; - Filosofia: “Quando considero la breve durata della mia vita, sommersa nell’eternità che la precede e che la segue, il piccolo spazio che occupo e financo che vedo, inabissato nell’infinita immensità degli spazi che ignoro e che mi ignorano, io mi spavento e stupisco di trovarmi qui piuttosto che là, non essendoci alcuna ragione perché sia qui piuttosto che là, oggi piuttosto che allora.” (B. Pascal, Pensiero 205) - Poesia: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte nell’ultimo orizzonte il guardo esclude. Ma sedendo e mirando, interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete io nel pensier mi fingo; ove per poco il cuor non si spaura. E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando: e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei. Così tra questa immensità si annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.” (G. Leopardi, Canto XII, L’Infinito) - Fisica (misura dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, il Big Bang) Ma che relazione tra Infinito (in-de-finito, in-de-terminato) e Matematica (la scienza che tutto cerca di definire e determinare)? 1. Intuire l’Infinito Prima dei Greci, la Matematica è soprattutto legata ai problemi pratici di tutti i giorni (Indù, Cinesi, Babilonesi, Egiziani): non c’è posto per l’astrazione e per l’Infinito. Con i Greci, la Matematica diventa una Scienza. Il gusto greco per le proporzioni e l’armonia trascende le questioni pratiche e le conferisce la dignità della teoria astratta. I numeri naturali “finiti” 0, 1, 2, 3, 4, 5, … sono la chiave per misurare la natura e stabilire i suoi rapporti e le sue leggi. Ma in questa visione c’è spazio per l’Infinito?
Secondo i greci infinito ( apeiron) = indefinito, indeterminato (dunque imperfetto). Il concetto di infinito ha connotazioni negative. Pitagora: il numero naturale è la base di tutto (opinione che vedremo condivisa da autorevoli personaggi anche molti secoli dopo) 1 = la mente, 2 = l’opinione (rompe l’unità), 3 = la completezza (l’inizio, il mezzo, la fine), 4 = la giustizia (il quadrato, l’esatto), 5 = il matrimonio (pari + dispari, femmina + maschio), 10 = la perfezione (punto + retta + piano + spazio, 1 + 2 + 3 + 4). Platone: il Bene è (de)finito. Aristotele: fa una distinzione sottile tra Infinito potenziale ed Infinito Attuale: “l’Infinito ha una esistenza potenziale, non esiste un Infinito attuale” (Fisica). Ad esempio l’insieme dei numeri naturali è infinito potenzialmente (perché non c’è un massimo naturale), ma non attualmente: possiamo seguirne indefinitamente la sequenza 0, 1, 2, 3, …, ma non possiamo coglierne la totalità. Tuttavia anche nel mondo greco ci sono spunti verso l’infinito. Zenone di Elea, IV secolo a. C., Paradosso del corridore (l’Infinitesimo, l’Infinitamente divisibile, l’Infinito): un corridore non potrà mai raggiungere il suo traguardo, perché prima dovrà arrivare a metà percorso, e poi a metà della metà del tragitto rimanente, e così via: la strada da fare è infinitamente divisibile. Ci sono infiniti addendi da sommare 1/2 + 1/4 + 1/8 + 1/16 + … Possono avere una somma finita? Euclide dà un’elegante dimostrazione del fatto che i numeri primi 2, 3, 5, 7, 11, … (quelli maggiori di 1 che sono divisibili solo per 1 per se stessi) sono infiniti. Pitagora è soprattutto famoso per il suo Teorema. Se lo applichiamo al caso di un triangolo rettangolo isoscele di lato 1 troviamo che la misura della ipotenusa è √2= 1,4142… dunque un numero che non si può esprimere come rapporto m/n di due naturali m e n: è ir- razionale, alogos, inesprimibile. Di più, ha bisogno di uno sviluppo decimale infinito e imprevedibile per essere rappresentato. Archimede (287-212 a. C.) si interessa di π = 3,1415…
cioè del rapporto tra la lunghezza di una circonferenza e quella del diametro. Anzi Archimede inaugura tecniche innovative per il suo calcolo: la sua idea è quella di approssimare la lunghezza della circonferenza - per difetto, tramite i perimetri dei poligoni regolari inscritti, - per eccesso, tramite i perimetri dei poligoni regolari circoscritti. Al crescere del numero n dei lati dei poligoni, la misurazione diventa sempre più corretta, e si farebbe precisa se n arrivasse all’infinito. Per n = 96, Archimede giunge comunque alla stima 3,14103… < π < 3,14271… Il metodo di Archimede prefigura un procedimento di approssimazione infinito. Ma π, come già la radice di 2, non si può esprimere come frazione. Questo era ancora ignoto ai Greci e Archimede, ma oggi sappiamo che π è, appunto, irrazionale (Lambert, 1761), anzi trascendente (incapace cioè di risolvere qualunque polinomio con coefficienti razionali e una sola variabile, Lindemann 1882); in particolare non è possibile costruire con riga e compasso un segmento di lunghezza uguale a quello della circonferenza, a partire dal diametro. 2. Definire l’Infinito Il simbolo ∞ fu introdotto da J. Wallis nel 1656 (Arithmetica Infinitorum). Con gli infiniti, compaiono naturalmente in Matematica i loro inversi: gli infinitesimi. I. Newton (1642-1727) e G. Leibniz (1646-1716) inaugurano il Calcolo Differenziale, utile, ad esempio, per dare un adeguato fondamento matematico allo studio fisico di grandezze variabili come velocità e accelerazione, e adoperano - ∞ per infinito (potenziale, rassicura Leibniz) - dt per infinitesimo (o, per dirla con l’espressione di Newton, “flussione”). La novità è contestata. C’è chi non è convinto. G. Berkeley (1685-1753), nell’opera “The analyst: or a discourse addressed to an infidel Mathematician” (rivolta a E. Halley, collaboratore di Newton, scopritore della famosa cometa) definisce “infinitesimi = fantasmi di entità evanescenti”. Ma D’Alembert (autore dell’Encyclopédie) è più possibilista: “Andate avanti: la fede vi arriverà”. In realtà già nel Medio Evo si era giunti a calcolare somme di infiniti addendi. Nicola Oresme (1323?-1382), vescovo e studioso francese, dimostra nel modo che segue che la somma di 1+1/2+ 1/3+1/4 + 1/5 +1/6 +1/7 +1/8 +… è infinita: si ha 1+1/2+ 1/3+1/4 + 1/5 +1/6 +1/7 +1/8 +…> > 1+1/2+ 1/4+1/4 + 1/8 +1/8 +1/8 +1/8+…= = 1+1/2+ 1/2 + 1/2 +…
e la somma di infiniti addendi uguali a ½ è ovviamente infinita. Divagazione: consideriamo però la somma che deriva dal paradosso di Zenone: S = 1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2n + … Moltiplicando a sinistra e a destra 2 S = 1 + 1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2n-1 + … Sottraendo la prima eguaglianza dalla secondo, otteniamo S = 2S – S = 1 + 1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2n-1 + … - (1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2n + …) = 1 Così infiniti addendi (tutti positivi) hanno una somma finita 1. Possiamo così cercare di spiegare il Paradosso di Zenone: infinitamente divisibile non implica infinito, oppure eterno. Il corridore dunque percorre 1/ 2 + 1/ 4 + 1/ 8 + … +1/ 2 + … = 1 e completa uno spazio finito in un tempo finito. Commento. Forse Zenone aveva visto al di là dei calcoli matematici: la nostra vita non è come il suo corridore (sempre tesa ad un obiettivo mai raggiunto né raggiungibile)? Finita la divagazione, torniamo alla storia dell'infinito. Il grande matematico svizzero del ‘700 Leonhard Euler (Eulero, nella versione italiana del cognome) si interessò anche alle somme infinite. Va sottolineato che, alla sua epoca, non si disponeva ancora di una precisa e rigorosa teoria generale per questi calcoli. Così si potevano ottenere conclusioni singolari come la seguente. Guido Grandi (1671-1742), monaco camaldolese, allievo di G. Saccheri. Nel 1703, applicando (scorrettamente) le idee usate per l’esempio di Zenone alla somma (con termini anche negativi!) 1–1+1–1+1–1+ … conclude 1 – 1 + 1 – 1 + 1 – 1 + 1 + … = 1/2. Nel 1710, nella nota Deo veritatis, luminum patri, scientiarum domino, geometriae praesidi, per spiegare questa conclusione scrive: “Due fratelli ereditano dal padre una pietra preziosa di inestimabile valore, che il testamento proibisce di vendere; essi stabiliscono perciò, di comune accordo, che la pietra venga custodita alternativamente un anno dal primo ed un anno dal secondo. Se ora si conviene che questa regola debba valere tra le due famiglie per l’eternità, ne risulta che a ciascuno dei fratelli la pietra verrà data infinite volte e poi tolta pure infinite volte; in tal modo ciascuno dei due fratelli finirà proprio per avere metà possesso della pietra”. La ulteriore osservazione
(1 – 1) + (1 – 1) + (1 – 1) + … = 0 e la conseguenza 0 = 1/2 gli serve anzi per giustificare la creazione del mondo. Leibniz non è convinto della dimostrazione di Grandi, ma non ha dubbi sul risultato. Così nel suo Acta Eruditorum,1713, propone un differente ragionamento di prova: “Se si interrompe la serie dopo un numero pari di termini, si ottiene la somma 0; se la si interrompe dopo un numero dispari, si ottiene 1. Ma la somma è infinita, e poiché non possiamo attribuire all’infinito né il carattere di numero pari, né quello di numero dispari, la serie non può avere per somma né 0 né 1. Ora, il calcolo delle probabilità insegna che, se due valori sono ugualmente probabili per una grandezza, si deve prendere come valore di essa la media aritmetica dei due: perciò noi dobbiamo attribuire alla somma proprio il valore 1/2”. E’ facile sorridere adesso di questi ragionamenti: oggi l’analisi matematica classica ci dice che gli addendi in questione non hanno una somma definita. Ma non dobbiamo infatti dimenticare che, in quegli anni, mancava una teoria generale di convergenza e divergenza delle serie. Così Leibniz e dopo di lui Eulero potevano ben ritenere, insieme ad altri grandi dei loro tempi, che ogni serie infinita di addendi deve avere una somma (finita o infinita).. Il tragitto verso chiare definizioni e sicure conclusioni richiese dunque ancora qualche tempo e in realtà riuscì ad evolversi in modo soddisfacente solo a metà dell’ottocento, grazie all’opera di: - A. Cauchy (1789-1857), che nel suo Cours d’Analyse (1821) definì le somme infinite e i prodotti infiniti, e diede vari criteri per riconoscere quando il loro risultato è finito; - K. Weierstrass (1815-1895) che propose nel 1861 il classico approccio epsilon-delta per il Calcolo Differenziale e mostrò come usare in questo ambito infiniti ed infinitesimi, anche se in modo solo potenziale e non attuale. Del resto il dettato aristotelico sull’Infinito attuale era ancora largamente condiviso. Ad esempio, colui che è comunemente ritenuto il massimo matematico esistito, C. F. Gauss (1777-1855), ancora nel 1831 in una lettera a Schumacher scriveva: “Io devo protestare veementemente contro l’uso dell’infinito come qualcosa di definito: questo non è permesso in Matematica. L’infinito è solo un modo di dire, ed intende un limite cui certi rapporti possono approssimarsi vicino quanto vogliono, crescendo indefinitamente”. Ma pochi decenni dopo l’Infinito attuale doveva irrompere finalmente in Matematica, grazie a G. Cantor (1845-1918) ed ai suoi numeri transfiniti. La teoria di Cantor era stata già anticipata per certi versi, 2 secoli prima, da Galileo. Paradosso di Galileo. Galileo considerò i numeri naturali ed osservò che, in esso, l’insieme dei quadrati perfetti è più piccolo dell’insieme di tutti i numeri, e pur tuttavia ci sono tanti quadrati quanti numeri: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, … 0, 1, 4, 9, 16, 25, 36, …
Infatti ogni numero ha il suo (unico) quadrato. D’altra parte ci sono tanti numeri (2, 3, 5, 6, 7, …) che non sono quadrati. “Io non veggo che ad altra decisione si possa venire che a dire infiniti essere tutti i numeri, infiniti i quadrati, … né la moltitudine de’ quadrati essere minore di quella di tutti numeri, né questa essere maggiore di quella, ed, in ultima conclusione, gli attributi di eguale, maggiore e minore non aver luogo negl’infiniti ma solo nelle quantità terminate”. E’ da notare che Galileo tratta comunque gli infiniti in modo attuale, sia pure riconoscendo loro leggi particolari. Un celebre argomento divulgativo immaginato da D. Hilbert (1862-1943) per spiegare la teoria di Cantor negli anni successivi alla sua formulazione è il seguente. L’Albergo di Hilbert. Abbiamo un albergo completo, in cui ogni stanza N ha il suo ospite N. Arriva un nuovo cliente. “Nessun problema” dice il portiere, “ sistemiamo l’ospite 0 nella camera 1, l’ospite 1 nella camera 2, l’ospite 2 nella camera 3, … l’ospite N nella camera N+1, … e lasciamo la camera 1 al nuovo arrivato”. Il tutto è lecito se l’albergo è infinito. L’argomento di Hilbert sottolinea come un insieme infinito, come quello dei naturali, possa avere tanti elementi quanti un suo sottoinsieme proprio: quello dei naturali diversi da 0, o quello dei quadrati perfetti. In questo si conferma l’osservazione di Galileo. Ovvia spiegazione (???): tutti gli insiemi infiniti hanno lo stesso numero (infinito) di elementi. Tuttavia gli esempi appena proposti sono notevoli: mostrano infatti che in ambiti infiniti - è impossibile contare tutti gli elementi (come i naturali, o i loro quadrati), - è possibile confrontare e dire, ad esempio, che ci sono tanti naturali quanti quadrati perché ogni naturale ha il suo quadrato (unico) e ogni quadrato corrisponde ad un unico naturale. In generale possiamo convenire che due insiemi infiniti A e B “hanno lo stesso numero di elementi” esattamente quando sono in corrispondenza biunivoca (da intendersi come una corrispondenza analoga a quella tra naturali e quadrati). Ma allora ci accorgiamo che esistono insiemi infiniti A e B tali che A è sottoinsieme proprio di B eppure ha gli stessi elementi di B (cioè è in corrispondenza biunivoca con B). Si contraddice così il principio aristotelico in base a cui “il tutto è maggiore delle sue parti”. Ad esempio: • l’insieme N dei naturali è in corrispondenza biunivoca con N −{0} (albergo di Hilbert); • N è in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei quadrati perfetti (paradosso di Galileo). Anzi, si potrebbe scegliere la proprietà di essere in corrispondenza biunivoca con un sottoinsieme più piccolo come la maniera per definire un insieme infinito (R. Dedekind).
Si può però obiettare che la precedente osservazione non è poi così sorprendente: tutti gli insiemi infiniti, appunto perché infiniti, hanno lo stesso numero (infinito) di elementi. Cantor confermò questa impressione, con alcuni esempi anche sorprendenti. Dimostrò infatti quanto segue. - N è in corrispondenza biunivoca con l’insieme Z degli interi …, -2 , -1, 0 , 1, 2, …: ci sono tanti naturali quanti interi, anche se gli interi sembrano “raddoppiare” i naturali 1, 2, … con i loro opposti negativi –1, -2, … …, -3, -2, -1, 0, 1, 2, 3, … …, 5, 3, 1, 0, 2, 4, 6, … - N è in corrispondenza biunivoca con l’insieme delle frazioni m/n con m e n naturali primi tra loro e n diverso da 0. Le frazioni sembrano enormemente di più. Ma proviamo a ordinarle prima secondo la somma m+n e poi, a parità di somma, secondo m. Troviamo una lista 0/1, 1/1, 1/ 2, 2/1, 1/3, 3/1, 1/ 4, 2/3, 3/2, 4/1, … da cui è facile dedurre una corrispondenza biunivoca con N 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, … - L’intera retta reale R è in corrispondenza biunivoca con ogni suo segmento aperto, ad esempio con l’insieme ]-π/2, π/2[ dei reali compresi tra -π/2 e π/2 (chi ha un po’ di confidenza con i grafici delle funzioni trigonometriche e in particolare con quello della tangente può facilmente intuire il perché). - Ci sono tanti punti in un segmento, quanti nel quadrato o nel cubo che lo hanno per lato (anche se geometricamente la dimensione cambia). Tutti questi esempi sembrano confermare l’assunto generale che tutti gli insiemi infiniti “hanno lo stesso numero di elementi”. Ma, nel 1874, Cantor dimostrò che non esiste nessuna corrispondenza biunivoca tra N e R: si sono “più” reali che naturali, e comunque il modo di essere infiniti dei primi è diverso da quello dei secondi. Non tutti gli infiniti sono uguali. Anzi, negli anni successivi, Cantor perfezionò la sua teoria e scoprì dovizie di numeri infiniti. Nel 1899 uscì la edizione francese del suo libro sui “Numeri transfiniti”. Vi si introducevano in modo rigoroso i numeri infiniti in Matematica e si elaborava una loro aritmetica, mostrando che essi possono essere sommati, moltiplicati, ordinati proprio come gli usuali numeri naturali, anche se con regole particolarissime e imprevedibili, talora diametralmente opposte a quelle valide in N. La reazione di Cantor a tutte le sue scoperte: G. Cantor: “Lo vedo, ma non ci credo”. Altri commenti entusiastici. B. Russell (1910): “La soluzione delle difficoltà che in passato circondavano l’infinito matematico è probabilmente la massima conquista che la nostra epoca ha da vantare”.
D. Hilbert: “Nessuno ci porterà via dal Paradiso che Cantor ci ha creato”. L’inferno di Cantor: - l’ostracismo di Kronecker (1832-1891), che pure era stato il suo maestro: “Gli interi sono i soli numeri creati da Dio” (si ricordi Pitagora); - la depressione per la difficoltà dei suoi studi e gli ostacoli incontrati dalle sue teorie; - la morte in un istituto psichiatrico. 3. Dominare l’Infinito? David Hilbert (1862-1943) aveva accolto con entusiasmo, come abbiamo già visto, il lavoro di Cantor e la conseguente introduzione dell’infinito attuale in matematica. Il ruolo di Hilbert fu anche fondamentale nella rielaborazione della Geometria Euclidea. Sotto questo punto di vista, Hilbert aveva propugnato l’importanza del metodo assiomatico: sviluppare conseguentemente non solo la Geometria, ma tutta la Matematica secondo - assiomi - regole di ragionamento che permettono di sviluppare le dimostrazioni ed ottenere i teoremi. Così Hilbert riprendeva la vecchia impostazione di Euclide, sia pure con alcune differenze sostanziali che discuteremo tra poco. Nel 1925, in un trattato Sull’Infinito, Hilbert ribadì questa sua visione e formulò il suo Programma di sviluppo della Matematica: essa può trattare qualunque argomento (numeri naturali, numeri reali, geometria, anche numeri infiniti) purché lo doti anzitutto di - assiomi - regole di ragionamento e poi sulla loro base formi sequenze finite di affermazioni (dimostrazioni) e deduca i suoi teoremi come i passi finali di queste sequenze. Gli assiomi sono quindi i fondamenti da cui si parte per la costruzione: sono enunciati che non si dimostrano, ma si assumono come verità basilari per sviluppare tutta la teoria. Ma è qui che l’impostazione di Hilbert si differenzia da quella di Euclide. - Per Euclide il criterio che suggerisce e avvalora gli assiomi è la loro evidenza: si accetta per vero quello che ci pare universalmente condivisibile. Ma quale evidenza può guidarci quando si studiano i numeri infiniti? - Per Hilbert il criterio da seguire per accreditare gli assiomi e i teoremi che ne seguono è la loro coerenza, e cioè l’assenza di contraddizioni. Un sistema matematico che vuole parlare dell’Infinito è autorizzato purché lo faccia con proprietà, evitando ogni stupidaggine e incoerenza. Come certificare la coerenza di una teoria matematica (ad esempio di una teoria che parla dell’infinito):
- cercare una certificazione esterna; - autocertificarsi. Per Hilbert, la strada da seguire (soprattutto quando si parla di infinito) è la seconda: la teoria deve essere capace di autocertificare la propria coerenza (quando si tratta di ciò che sembra trascenderci, come l’Infinito, dobbiamo dimostrare da soli di esserne realmente all’altezza). In conclusione secondo Hilbert ogni teoria matematica deve fissare anzitutto in modo appropriato e coerente - i fondamenti da cui partire (gli assiomi), - i metodi con cui ragionare (le regole di deduzione), dopo di che Matematica (anche quella che coinvolge l’infinito) è esclusivamente quello che si può dedurre meccanicamente (magari col solo uso del computer) all’interno della teoria. La critica di Poincaré: “Così può fare geometria anche un cieco”. Ma secondo il programma hilbertiano l’uomo può dominare l’infinito elaborandone un’opportuna teoria (come quella di Cantor) e poi autocertificando la propria capacità di parlarne, cioè la coerenza della teoria stessa. Kurt Gödel (1906-1978), Brno. Nel 1923, si iscrisse all’Università di Vienna, dove nel 1930 ottenne il dottorato in Matematica. Il suo contributo più grande è una coppia di Teoremi (chiamati di Incompletezza) dimostrati nel 1931. Con essi, Gödel affossò il programma di Hilbert. Infatti Goedel provò: Nessuna ragionevole teoria matematica che sappia trattare almeno i numeri naturali e sia priva di contraddizioni sarà capace di autocertificare la propria assenza di contraddizioni. Di più, incontrerà problemi che non sarà capace di risolvere. L’uomo non può dominare completamente la Matematica e comprenderne i fondamenti in modo tale da ridurla ad un gioco di deduzione al computer. Si giunge alla crisi del programma hilbertiano: l’infinito torna trascendente, l’uomo non sa dominarlo. Conclusione (?): la Matematica può intuire l’infinito, discuterlo, ed anche definirlo (Cantor). Non può comunque dominarlo. Ma in realtà i teoremi di Gödel hanno conseguenze anche peggiori: prova infatti che la Matematica non sa dominare completamente neppure la teoria dei numeri naturali (l’ambito apparentemente innocuo gradito anche a Pitagora e Kronecker): un sistema matematico che pretenda di trattarli e soddisfi le altre ipotesi di Gödel si imbatterà comunque in problemi che non saprà risolvere e non riuscirà comunque a certificare da solo la sua coerenza. “L’ultimo passo della ragione è riconoscere che vi sono infinite cose che la superano” (B. Pascal, Pensiero 188-267) “Noi abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo; ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdità, per sapere che è finito” (J. Borges)
Due riferimenti bibliografici che possono essere utili S. Leonesi – C. T. – S. Tordini, Matematica, Miracoli e Paradossi, Lettera Matematica Pristem 46, pp. 31-42 S. Leonesi – C. T. – S. Tordini, La Matematica dell’Infinito, Lettera Matematica Pristem 48, pp. 37- 48
Puoi anche leggere