La Marina di Cassano tra 600' ed 800' - Telestreet Arcobaleno

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La Marina di Cassano tra 600’ ed 800’

Che cosa rappresentasse per la marineria del Piano di Sorrento la Marina di Cassano tra il 600 e l’800 è
facile da intuire ed affiora con estrema chiarezza da antichi atti notarili ( tratti dall’Archivio di Stato e
dall’Archivio Notarile)e dalla raccolta dei documenti custoditi nella Basilica di S.Michele : il reale
centro della vita economica del paese .

D’altronde il primo nucleo abitato di Piano di Sorrento si era sviluppato non distante, immediatamente
al di sopra del costone tufaceo nel quale è incassata Marina di Cassano , intorno agli antichi rioni di
S.Giovanni ( dove nel 1326 le famiglie Cota e Maresca avevano edificato la omonima cappella
gentilizia) ,Cassano e Gottola collegati attraverso un asse viario formato dai vicoletti di Gottola e
S.Margherita prima con lo slargo dov’era( ed è) la chiesa di S.Michele (con l’annesso Convento di
S.Maria della Misericordia ) e, poi, con il centro indicato in tutti gli atti notarili come Carotto . Nel
600 non esisteva ovviamente P.zza Cota ma uno spiazzo più ridotto ( di sicuro nella prima metà del
‘700 l’area oggi occupata dal Comune e quella a lato occupata dal palazzo Maresca, edificato nel
1844, era costituita da giardini di proprietà di Don Saverio Lauro,Ufficiale di Dogana, che li aveva
ereditati da sua padre Giovan Battista Lauro deceduto nel 1736 ) .

Da qui si dipartivano due ulteriori diramazioni ,via Casa Rosa ( dal nome dell’antica famiglia di
maestri d’ascia della Marina di Cassano ,i De Rosa) e via del Lauro ( perché abitato dalla antica
famiglia Lauro) entrambi confluenti su via Bagnulo . Questa , fino alla metà dell’800, era poco più di
un viottolo stretto che , percorso in direzione del mare, ricollegava nuovamente il centro di Carotto ai
rioni più vicini alla Marina di Cassano ed alla Marina stessa.

In alcuni atti notarili del Notaio Michelangelo D’Urso, uno del 13 febbraio 1732 ed un altro dell’ottobre
1734, vi è espresso riferimento alla piazza di Carotto segnalata come luogo di contrattazioni
commerciali e sede di uffici pubblici tanto da avere un posto di gendarmeria .In altri documenti
notarili,sempre risalenti al XVIII secolo, a firma del Notaio Biagio Massa, si fa pure menzione ad un
ufficio giudiziario chiamato Reale Corte della Bagliva ( di cui ho trovato anche un riferimento alla fine
del XVIII secolo allorquando era retto dal Magnifico Beniamino Russo. La Giurisdizione della
Bagliva fu abrogata sotto il Regno di Giuseppe Bonaparte nel 1808) , di Uffici di Dogana e della
Gabella della farina.
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Discesa a Marina di Cassano in una foto anni 30 del 900

L’atto del 1732 contiene un testimoniale fatto stilare        da   tale Capitano Antonio Maresca per
precostituirsi prova in una vertenza commerciale con tale Antonio De Martino della città di Nocera con
cui si era incontrato per affari nella piazza di Carotto . Con l’atto del 1734, invece, il Notaio D’Urso
raccolse prova della lagnanza elevata al posto di guardia di Carotto dai sig.ri Onofrio e Camillo De
Ponte ( i De Ponte costituivano un’antica ed illustre famiglia del Piano di Sorrento che ha espresso
capitani,armatori,avvocati    e notai. Aveva propria cappella gentilizia nella Chiesa di S.Michele
sormontata da un quadro di un pittore del 600 ,Giacomo de Castro. La cappella fu eliminata durante i
lavori di ristrutturazione dell’edificio religioso nel 1886 ). I due De Ponte, nell’occasione agivano quali
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eletti del Piano nel parlamentino di Sorrento posto in Sedil Dominova e lamentavano inadeguata                 (
probabilmente sulle attività mercatali) attività di controllo.

        E ,nondimeno , due episodi , descritti in altri atti ,di cui uno del Notaio Antonino Arcangelo
Massa del 23.8.1733 ed un altro del notaio Crescenzo Pollio del 15.5.1743, meglio ci offrono idea
di quale potessero essere le interrelazioni tra il centro di Carotto e la sua Marina.
        Nel 1733 il Capitano Costantino Lauro ( figlio del cap. Giuseppe e di Grazia Maresca),
giunto alla Marina con il suo bastimento, vi sbarcò alcune partite di stoccafisso nonché polvere da
sparo e canne per costruire pistole e fucili . Quanto sbarcato venne trasportato al mercato di
Carotto che, probabilmente, si teneva proprio in parte dell’area oggi occupata da P.zza Cota . Ivi fu
posto in vendita a commercianti non solo locali ma anche provenienti da altre località limitrofe . In
pratica anche all’epoca Piano di Sorrento era ( come oggi) il centro commerciale dell’intera
Penisola ed anche oltre.
Nel 1743 il Capitano Andrea Buonocore della città di Vico Equense conciliò sulla suo bastimento una lite
giudiziaria sorta con commercianti di grano del Piano di Sorrento. In precedenti viaggi il Capitano
Buonocore ( di questo Andrea Buonocore fu figlio un Filippo Buonocore , notaio e segretario
dell’ultimo Feudatario di Vico Equense ,il principe Ravaschieri. Di Filippo fu figlio un altro
Andrea ,capitano, che sposerà nel 1787                Angela Lauro figlia del cap. Gennaro Console
dell’Imperatore d’Austria e del Granduca di Toscana nella città di C/mmare di Stabia . Ultimo
particolare : nella chiesa di Bonea vi è un calice d’argento,usato per contenere le ostie, che reca
la sottoscrizione :donato dal cap.Andrea Buonocore ) aveva preso accordi con grossisti del Piano
per trasportare dalla Puglia a Cassano e di qui al mercato ( di Carotto) partite significative di grano. Nei
fatti,tuttavia , quel grano ,invece ,fu venduto a Napoli dove Capitan Andrea aveva fatto prima tappa
provenendo dalla Puglia.
I commercianti di Carotto avevano convenuto in giudizio innanzi alla Gran Corte della Vicaria il capitano
Buonocore perché rispondesse del proprio inadempimento . Questi si era difeso sostenendo che ,giunto nel
porto di Napoli, la folla tumultuante aveva assalito la nave costringendolo a cedere loro anche quelle partite
di carico che si era impegnato a scaricare successivamente a Cassano .
Alla fine i litiganti riuscivano a conciliare stragiudizialmente la lite con i buoni uffici del Notaio Crescenzo
Pollio. Questi recatosi    ,insieme ai rappresentanti dei commercianti ,direttamente sul bastimento         del
Buonocore ( in rada nella Baia di Cassano) raccolse la volontà delle parti di comporre la lite. Il Capitano si
obbligò con i grossisti del Piano di effettuare altro viaggio in Puglia ed al ritorno di fare sosta in rada a
Cassano onde scaricare la parte del carico da destinare al mercato di Carotto e , solo in secondo momento,
ripartire per il porto di Napoli per le ulteriori consegne concordate con i grossisti della Capitale.
        Il mercato che si teneva a Carotto era, dunque, una sorte di fiera dove era possibile
comprare di tutto , dai prodotti della terra agli animali da cortile , dalle stoffe alle spezie, dalla
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polvere da sparo alle armi ed anche tessuti in seta ed altro ancora . Una piccola ma opportuna
digressione: Da un atto del Notaio Massa del 1763 risulta che in Bagnulo esistevano alcune filande
che lavoravano il baco da seta per trasformarlo in tessuto finito ( alcune ,di taluni Maresca,
piuttosto sviluppate rimasero in attività fino alla seconda metà dell’800 ) ed,anche , una fabbrica
artigianale, gestita da tale Aniello Guida, che con particolari telai produceva calzette di seta, quelli
che gli uomini abitualmente indossavano a vista sotto i pantaloni. Il Guida era talmente bravo e noto
in zona che a lui erano indirizzati quei giovani che avessero voglia di impararne l’arte compreso un
Francesco Massa. Questi divenne forse anche più bravo del maestro , gli successe nell’attività salvo
poi, il 24 agosto del 1771, cederla , con atto per Notar Biagio Massa, al capitano Antonino Cacace
ed al di lui padre Baldassarre Cacace che rilevarono telai e maestranze. E’ certo che anche le
calzette in seta prodotte a Bagnulo venivano commerciate sulla piazza di Carotto.

Capitani discutono sul molo di un porto della Puglia. Indossano calzette tipo quelle realizzate
nella piccola fabbrica di Bagnulo

Queste notizie avvalorano l’idea che lo slargo dove confluivano via S.Margherita, via Casa Rosa e via
Casa Lauro( anticamente semplicemente via Lauro), indiscutibilmente meno esteso dell’attuale Piazza
Cota, fosse nel 600 e nel 700 punto di riferimento per attività commerciali e, pure, sede di uffici
pubblici. Inoltre appare verosimile che nel XVIII secolo la coltura degli agrumi non fosse, nell’area,
ancora preminente ma ve ne fossero altre importanti come ,appunto, quella del baco da seta alla quale
era connessa la produzione di tessuti pregiati.

Quanto al rione di S.Giovanni ( di cui ho diffusamente trattato nel precedente articolo imperniato sulla
omonima Cappella) va ricordato come probabilmente già ai primi del ‘200 avesse caratteristiche di
piccolo centro urbano ben definito . Almeno questo è quanto lascia intendere la nota con cui ,nel
1828, il canonico Don Agnello Cota aveva ricostruito il contenuto dell’atto fondativo (del 1326)
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della Cappella di S. Giovanni (estratto dagli archivi della Curia di Sorrento ) ,. Nel corpo dell’atto
Don Agnello Cota accennava ad un decreto emesso , a richiesta della famiglia Maresca, dalla
Curia di Sorrento già           il 21 febbraio 1231 con cui si autorizzavano interventi nell’area di
S.Giovanni.

Il che,dunque, consolida la tesi che in pieno medioevo S.Giovanni avesse già fisionomia di nucleo
urbano formato da una serie di case edificate una accanto all’altra e tutte prospicienti il pubblico
viottolo.

Brigantino in rada a Cassano alla fine dell’800. In alto sul lato sinistro si intravede l’antico sentiero.
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La foto è della seconda metà dell’800.Si intravede sulla parte sinistra della foto un sentiero in uscita da un piccolo tunnel. Questa
doveva essere parte dell’antico tracciato poi crollato

I rioni di S.Giovanni, Cassano, Gottola e Bagnulo erano collegati alla vicina Marina di Cassano non
già dalle odierne rampe carrabili ( realizzate oltre la metà dell’800) bensì da un sentiero che aveva
inizio dallo stesso vicoletto di S.Giovanni e, attraversando un fondo che, a fine ‘700, era proprietà
della famiglia Massa, raggiungeva l’antico borgo marinaro. Altro accesso esisteva e tuttora esiste
ed è costituito dalla stradina pedonale che si sviluppa lungo il Vallone di S.Giuseppe a confine con
S.Agnello.

I terreni circostanti il rione di S.Giovanni erano ,con buona probabilità, tra XVII e XVIII secolo,
proprietà delle varie famiglie Maresca o patrimonio del patronato della omonima Cappella..

Un atto del 30 ottobre 1733 redatto dal Notaio Antonino Arcangelo Massa ( in attività nel Piano di
Sorrento dal 1720 al 1734) ci consente , indirettamente , di conoscere che                                      dalla     stradina
proveniente dal rione S.Giovanni si accedeva , attraverso un percorso che si snodava,almeno in
parte, in galleria e ,poi, lungo il costone tufaceo ( il tracciato è ben visibile sulla foto ottocentesca
della pagina precedente) fino all’arenile dove vi erano i cantieri per la costruzione di bastimenti .
Tutt’intorno vari monazzeni in parte                     allocati in grotte ricavate nel tufo . In questi                    locali
generalmente si custodivano                 attrezzature e materiali necessari alla costruzione,riparazione o
armamento dei bastimenti ( il che risulta anche da un atto del Notaio Massa del 1775. Tale
capitano Francesco Maresca prelevò stoppa e catrame dal monazeno di Capitan Michele Maresca
per calafatare la propria polacca prima del varo). Alcuni di questi monazeni , prossimi all’area di
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cantiere , originariamente, nel 600, di proprietà del capitano Pietro Massa e dei fratelli,il Canonico
Don Nicolò Massa ed il Capitano Giovanni Massa, furono ereditati, nel 1715 , dai nipoti e da
questi venduti al Capitano Pietro Antonio Maresca. Questi , destinatario nel 1734 e nel 1737 (il 18
febbraio del 1737) di privilegi per servigi resi a Carlo di Borbone,aveva sposato , nel 1712 , la
figlia del capitano Giovanni Massa, Caterina.

Gli altri figli ( intendo del cap.Giovanni Massa) , i capitani Martino, Alessio, Aniello e Antonio
(Massa) possedevano ciascuno un bastimento ed erano assidui avventori della Marina di Cassano tanto
da comparire, in qualità di testi, in più di un atto notarile ivi stipulato per dirimere vicende relative alla
costruzione dei bastimenti o per altre vicende commerciali . Era quella dei Massa, dal 1735 Cavalieri
dell’Ordine di Malta, una delle famiglie più antiche di Carotto compatrona ,con i Maresca ed i
Cacace , della chiesa di S.Michele .

All’interno di S.Michele i Massa avevano il diretto patronato sulla Cappella di S.Caterina, posta in
fondo alla navata destra , eretta ,per la prima volta nel 1393 ( all’interno del precedente edificio religioso
romanico sostituito nel 1570 dall’attuale), da tale Pandolfo Massa .

Lo ricorda la targa marmorea apposta all’ingresso della cappella nel 1885 dal Notaio Antonino Maresca (
nipote del Capitano Michele Maresca di cui parlerò nel prosieguo). Gli avvenimenti che determinarono
l’apposizione della targa sono singolari perché consequenziali ad un processo civile intentato da alcuni
Massa ,nel 1867 ,innanzi al Tribunale di Napoli contro la           Parrocchia di S.Michele. I      vari Massa
rivendicavano , in forza del testamento lasciato nel 1393 da Pandolfo ,il patronato sulla cappella gentilizia di
S.Caterina e, soprattutto, la proprietà del patrimonio collegato . La Corte di Appello di Napoli ,con sentenza
del 1883 ,definì la lite riconoscendo ai Massa i diritti sul patrimonio annesso alla cappella ed , a tal fine,
delegò per la pubblicazione della sentenza sulla Gazzetta del Regno d’Italia il Notaio Antonino Maresca .
Anche quest’ultimo era parte nel giudizio quale discendente, attraverso sua nonna Caterina (Massa), da
Pandolfo Massa.
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Stampa del 700 raffigurante un bastimento in navigazione sulla costa napoletana

Oltre ai monazeni i Massa possedevano terreni che si estendevano sul sovrastante costone oggi noto
come Ripa di Cassano. Nel secolo successivo,nel 1837, proprio l’acquisto da parte di Francesco
Ciampa (padre del più noto F.sco Saverio tra i maggiori armatori del Sud Italia nel corso dell’800)
di un magazzeno semidiruto già proprietà Massa ( per l’esattezza di Don Andrea Massa) segnerà
l’inizio, dell’avventura armatoriale dei Ciampa che attraverso la figura dell'esponente più noto,
Francesco Saverio, saranno capaci di costruire nel XIX secolo una delle maggiori flotte mercantili
italiane post unitarie.
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Nel ‘600 ed ancor più nel ‘700 Marina di Cassano era il reale centro motore dell’economia del Piano,
pullulante di attività, abitualmente frequentata da padroni marittimi e capitani del Piano ma anche della

vicina Vico Equense e, persino, di Napoli. Poteva rivelarsi fondamentale possedere un fondaco o un
magazzino alla Marina di Cassano anche più che non un palazzo al centro di “Carotto”. Infatti oltre alle
famiglie Maresca e Massa vi possedevano case e monazeni un’altra importante stirpe marinara, i
Lauro. Dal testamento del 1775 di Don Saverio Lauro risulta che questi fosse proprietario di case e
monazeni intorno alla chiesa della Madonna delle Grazie comprese alcune camere poste proprio al di
sopra.

   Parte del caseggiato appartenuto a Don Saverio Lauro e la Chiesa della Madonna delle Grazie

Tra il XVII ed il XVIII secolo vi fu un deciso impulso alle attività cantieristiche che ,se nei secoli
precedenti , erano limitate alla costruzione di naviglio più leggero dalla fine del ‘600 in poi saranno
volte al varo di bastimenti di stazza sempre maggiore in grado di affrontare navigazioni prolungate ed,
in qualche     caso, oceaniche. Nella cantieristica erano impegnate centinaia di maestranze tra
carpentieri,falegnami, calafati, tessitori di velame, maestri d’ascia e quanti altri avessero competenze
utile all’impostazione ed al varo dei bastimenti.

Un’attività che, come puntualizzano alcuni atti notarili ,era fiorente da secoli . Da un atto del Notaio
Paolo De Ponte del 3 febbraio 1698 si apprende del varo ,per conto del Magnifico Don Arcangelo
Maresca ( Questi potrebbe essere quel giureconsulto vissuto tra ‘600 e ‘
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700 la cui lastra sepolcrale fu eliminata nel corso dei lavori di ristrutturazione della Chiesa di
S.Michele nel 1886(??). Solitamente l’appellativo di Magnifico era dato a Notai,Medici e soggetti che
rivestivano una qualche carica pubblica nella Universitas o nel Governo della Chiesa di S.Michele) di
una tartana della capacità di 2.300 tomoli. Il tomolo era una antica misura di capacità, corrispondente
a circa 55 dei nostri decimetri cubi ,una tartana di 2.300 tomoli aveva una porta di circa 80-90
tonnellate. Don Arcangelo cedette la maggior parte delle quote di proprietà del bastimento ( detti
legni) al capitano Lorenzo Astarita che ne assunse,pertanto, il patronaggio e ,con esso, il comando.
Parte delle quote , in misura minore , furono acquistate dal capitano Andrea Lauro che aveva anticipato
circa 400 ducati per la costruzione del bastimento.

Da altro atto del 29 ottobre 1714 si apprende della costruzione ,sempre a Cassano, di un pinco della
portata di 1.800 tomoli denominato “S.Michele Arcangelo,la SS Annunziata e l’Anime del Purgatorio”
per conto del capitano Bartolomeo Maresca ( del fu Marc’Antonio) che,però, ne cedeva alcune quote al
Dott.Fisico Aniello Murlo ( i Murlo erano un’antica famiglia del Piano che ha espresso Governatori
della Chiesa di S. Michele, Religiosi e Sindaci e che , fino al 1886, esercitava il patronato su una
propria cappella gentilizia all’interno della chiesa di S.Michele). Nell’atto il Capitano Bartolomeo
Maresca dichiarava ,anche,di aver ricevuto per la costruzione del Pinco un prestito dal Dott.Fisico
Antonino Maresca ( peraltro fratello di importanti Capitani quali Pietro Antonio,Nicolo’ ed Ignazio
Maresca) ma di averglielo restituito e questi ,a sua volta, lo aveva reimpiegato per la costruzione di una
tartana.

Si tratta di atti indubbiamente singolari ,provano come alle attività marittime nel Piano di Sorrento
partecipassero anche soggetti che normalmente avrebbero dovuto occuparsi d’altro quali due medici e
un giureconsulto !

Nel corso del 700’ le imbarcazioni assumono stazza e dimensioni sempre maggiori con costi di
costruzione notevolmente superiori a quelli indicati nei due atti del Notaio de Ponte.

A fine secolo XVIII una polacca aveva costi non inferiori a 3-3500 ducati. Fu tale il prezzo pagato il 3
febbraio 1776 a Mastro Giosuè De Rosa dal cap. Mattia Lauro per una polacca della capacità di
5.000-5.500 tomoli . In qualche caso , per bastimenti con capacità di carico superiore a 7-8000 tomoli,
i costi non furono inferiori a 4-5.000 ducati. Il 19 aprile 1783 il Maestro D’Ascia Nicola Castellano ,
con atto del Notaio Massa, si impegnò a costruire per conto dei capitani Tommaso e Baldassarre
Maresca nonché del cap. Nicola De Rosa una polacca lunga in carena 70 palmi ed il costo fu
concordato in 4.923 ducati.
Somme notevolissime se paragonate al valore stimato per un palazzo di importanti dimensioni nel
centro di Carotto. Nel 1756 il palazzo dei Maresca ( quelli cosiddetti Mangiagalline) in via Bagnulo
,certamente diverso dall’odierno ma comunque con decine di stanza compreso un salone delle feste , fu
valutato da due tecnici incaricati della stima (dagli eredi del Dott.Fisico Antonino Andrea Maresca che
stavano procedendo alla divisione dei suoi beni ) del valore di poco meno di 2.000 ducati.

A Cassano, comunque, si varavano tartane di stazza generalmente superiore a quelle costruite in altri
analoghi cantieri del Regno e,poi, pinchi, polacche e barche di dimensioni più ridotte come le feluche
normalmente adibite al traffico interno al Golfo. Per vero devo segnalare che da un contratto del
Notaio Biagio Massa del 22 agosto 1784 affiora che, in quell’anno, il capitano Giosuè Iaccarino fu
Silvestro, insieme a tali Bartolomeo e Nicola Iaccarino nonché ad un Michele Maresca fu Antonio,
commissionarono al Maestro d’ascia Raffaele Castellano la costruzione di una feluca alquanto
notevole nelle dimensioni, lunga in carena ben 51 palmi, da destinare ai collegamenti con il porto di
Napoli. Le feluche assicuravano regolari collegamenti con il porto di Napoli. Bisogna tener conto che
all’epoca tartane, polacche e pinchi non potevano attraccare a Cassano perché mancava il molo .La
mercanzia diretta al mercato di Carotto veniva sbarcata con l’ausilio di barconi che facevano la spola
tra i bastimenti all’ancora e l’arenile. Con lo stesso sistema i bastimenti spesso facevano alcuni
rifornimenti prima di intraprendere un viaggio. Le navi di Cassano avevano come porti di riferimento
Napoli ed ,in qualche caso, C/mmare di Stabia. E,quindi, capitani e marinai, dopo aver attraccato la nave
alle banchine del porto di Napoli ,raggiungevano il Piano di Sorrento unicamente con il servizio di
trasporto passeggeri assicurato dalle feluche ( un servizio che fin dal ‘600 era assicurato,tra gli altri,
anche dagli Aponte antenati del patron della MSC Gianluigi Aponte).

Nel registro dei deceduti custodito a S.Michele ho rinvenuto il verbale di un naufragio di una feluca
sulla punta di Scutolo avvenuto nel 1660. Il Capitano Antonino Maresca, insieme ad altri 5 passeggeri
(presumibilmente marinai del suo bastimento), in quel drammatico 13 novembre del 1660 , si era
imbarcato al porto di Napoli su una feluca diretta a Cassano. Le cattive condizioni del mare
provocarono il naufragio dell’imbarcazione sul promontorio roccioso di Scutolo e la morte di tutti i
passeggeri. Solo dopo alcuni giorni ne fu ritrovato, intatto, il corpo sulla spiaggia di Alimuri e dopo
essere stato consegnato ai genitori ( ne era padre Giovan Battista) ed alla nonna Portia De Ponte ( che
aveva invocato S.Lucia a che se ne ritrovasse almeno il corpo) fu seppellito all’interno della Chiesa di
S.Michele nella Cappella di S.Eustacchio patronato della famiglia Maresca ( Mangiagalline).
Anche un episodio terribile come questo conferma dei traffici che si svolgevamo alla Marina di
Cassano a quel tempo quotidianamente collegata con la Capitale del Vicereame da un servizio di
feluche che attraccava in un’area oggi meglio nota come Porta di Massa posta di fronte ai resti delle
antiche fortificazione dinanzi all’antica P.zza del Mercato ( la stessa dove si eseguirono nel 1799
numerose delle condanne a morte di patrioti della Repubblica Partenopea).
Nel quartiere che nei tempi antichi si sviluppava intorno alla marina ( in gran parte distrutto dai
bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale) nel ‘600 e nel ‘700 vi erano le sedi degli antichi
banchi Napoletani frequentati da capitani ed armatori del Piano di Sorrento che           normalmente vi
aprivano conti attraverso i quali effettuavano transazioni commerciali e,più generalmente, i pagamenti.
Gli stessi, non raramente , possedevano alloggi nei pressi della Marina o ,comunque , nei quartieri più
vicini, dove erano soliti fermarsi quando giungevano in città per meglio seguire i propri affari e le
attività marittime nelle quali erano impegnati i bastimenti di loro proprietà. Del resto è sufficiente dare
uno sguardo ad alcuni contratti di nolo dei bastimenti dei Lauro,dei Maresca ,dei Cacace, dei Cafiero e
via dicendo per rendersi conto che il grosso dei noli, almeno fino ad oltre la metà del ‘700, i capitani
del Piano lo concordassero            con     grossisti napoletani       (Scherillo, Ruggiero, Maney,
Boragine,Berio,Ventapane eccc..) . Non pochi viaggi erano,poi, al servizio dell’Eletto del Popolo
,l’autorità alla quale era demandato l’approvvigionamento della capitale. Alcuni capitani come quelli
della famiglia Maresca (Mangiagalline) o i Lauro ( i capitani Costantino Lauro e Michele Maresca,
cugini tra loro, avevano residenza nella città di Napoli) mantenevano                  forti legami con
l’Amministrazione Pubblica e ,per essa, con l’Eletto del Popolo per il quale eseguivano numerosi viaggi
dalla Puglia e dal Molise trasportando da porti come Vasto,Barletta, Gallipoli e Trani derrate di grano o
anche olio per la Capitale.

       Un contratto del 1698 ,stipulato dal Notaio Paolo De Ponte, fa emerge la natura delle attività di
quel ramo della famiglia Maresca che nel 1730 riceverà dall’Amministrazione vicereale Austriaca il
titolo di Duca e ,nel 1735, acquisirà il feudo di Serracapriola. All’epoca questo ramo dei Maresca era
intento a commerciare grossi quantitativi di olio e vino ( in parte venduti anche nella città di Roma)ed ,
infatti, con contratto del 3 febbraio 1698, Ludovico Maresca , padre del futuro Duca Nicola e nonno del
più celebre Duca Antonino( ambasciatore di Ferdinando IV alla Corte della zarina Caterina la
Grande) si impegnò a noleggiare un bastimento del Piano di Sorrento per trasportare da Gallipoli a
Napoli ,per conto del commerciante Valerio de Martino, una grossa partita di olio accuratamente stivato
in botti. Un contratto di fornitura particolarmente remunerativo di circa 15-16.000 ducati.
Porto di Gallipoli in una veduta di Philipp Hackert
       Ma non necessariamente grano ed olio finivano a Napoli,in molti casi i bastimenti di Cassano
raggiungevano Livorno,Genova, ed anche a Marsiglia , Cartagena,Malaga ,Siviglia o altri porti
mediterranei o ,ancora, porti atlantici quali Cadice,Lisbona e La Corugna ( Nel 1977 dai registri di
capitaneria risulta un viaggio del capitano Michele Maresca al comando della polacca “Madonna
delle Grazie” ,varata a Cassano , con circa 25 uomini di equipaggio, verso Cartagena,Malaga e ,poi,
Lisbona e La Corugna ). Il rifornimento di grano assicurato da tartane,pinchi e polacche costruite a
Cassano e di proprietà di capitani che,in pratica, si erano formati in quella Marina, era determinante per
l’approvvigionamento della Capitale.

          Fine XVIII secolo - Porto di Brindisi – polacche all’ancora in attesa di caricare il grano
A tal proposito ritengo stimolante raccontarvi quanto avvenne nel 1764 allorquando si verificò
nel Regno una grave carestia e la produzione granaria di Puglia e Molise non fu sufficiente a coprire le
richieste di approvvigionamento di Napoli e dintorni. Regnava Ferdinando IV di cui era ministro il
Marchese Bernardo Tanucci già Ministro di Carlo e da questi ( allorché nel 1759 andò in Spagna
divenendone Re con il titolo di Carlo III) lasciato nel governo del Regno proprio al fine di
assicurarsene,anche dalla Spagna , il controllo. La scarsità di grano nelle provincie adriatiche del reame
mise in allarme il governo di Sua Maestà borbonica tanto che Tanucci scrisse direttamente al Console
di Napoli nella città di Trieste , Don Giuseppe Hensel de Gramont, intimandogli di comprare per conto
del governo anche partite di grano proveniente da Croazia, Stiria o Ungheria . il Console diede
assicurazioni al Ministro Segretario di Stato di aver provveduto e chiese ed ottenne dal proprio governo
le provvidenze per gli acquisti ma il grano non arrivò nella capitale e ciò provocò un inchiesta a carico
del Console da parte del Procuratore del Re Don Giuseppe Guidotti. Questi rinfacciò all’Hensel De
Gramont di aver assicurato la partenza di vari bastimenti carichi di grano dal porto di Trieste per Napoli
ma senza che alcuno di questi bastimenti fosse giunto a destinazione.

                                      Porto di Trieste tra XVIII e XIX secolo

        In un punto dell’atto di accusa il Procuratore del Re cita una corrispondenza del mese di
febbraio del 1764 tra l’Hensel ed il Marchese Tanucci. Il Console aveva scritto al Tanucci : “Così se
volete avere che il vostro capitano Michele Maresca a me carissimo io posso servirvi e dargli il carico
da voi ricercato………       e vi prego di far capitale di me che mi troverete sempre disposto ai vostri
comandi e forse a maggior vantaggio di quel che avete finora sperimentato dal vostro corrispondente”.
Ovviamente non era vero, il capitano Michele Maresca non ne sapeva nulla ed il Procuratore del
Re si indusse a procedere nei confronti del Console e dei rivenditori di grano triestini ed ,in particolare,
del negoziante ebreo Vitalevi ritenuto complice della truffa. La corrispondenza è di particolare rilievo
storico perché prova come alcuni capitani di Cassano , in questo caso il Maresca, avessero rapporti
stretti con personaggi del calibro di Tanucci che del Regno era Primo Ministro e Segretario di Stato e
come quei capitani fossero noti anche su piazze commerciali importanti come Trieste. Non a caso il
Console non trovò di meglio per rassicurare Tanucci che garantirgli di essersi rivolto al “vostro
Capitano Michele Maresca a me carissimo”. Parole che rimarcano,appunto, la familiarità dei capitani di
Cassano con le alte sfere del governo borbonico. Per ironia della sorte da verifiche che ho eseguito sul
registro del porto di Napoli del 1764 emerge che realmente , in quell’anno, il capitano Maresca era con
il suo bastimento a Trieste e vi era giunto scortato, insieme ad altri due bastimenti di cui uno del
capitano Domenico Cafiero ed un altro greco, dalla flottiglia da guerra di capitan Giuseppe Martinez .
Capitano di Bastimenti del Piano del XVII secolo. Sul retro immagine della Madonna

            Particolare di un dipinto di Philip Hackert – Mercantile in navigazione nell’Adriatico
        Dal secondo quarto del XVIII secolo ho trovato documenti che testimoniano di viaggi anche
oltre lo stretto di Gibilterra seppur ,con tutta probabilità, con carico diverso. Nel 1749 una polacca
costruita alla Marina di Cassano, al comando del Capitano Francesco Maresca ( figlio di Ignazio e
nipote di Giovan Camillo del ceppo soprannominato Mangiagalline,in pratica un cugino di Capitan
Michele), navigò dalla Puglia a Londra e da qui fino alle colonie inglesi del Nord America in particolare
si reco’ nella Carolina e negli anni 1762 e 1763 altra polacca, al comando del Capitano
Antonio Cacace, effettuò numerosi viaggi dalla Puglia ,dove si riforniva di olio in botti ,necessario per
l’illuminazione pubblica, per Londra e Nord Europa fermandosi ,al ritorno, con prodotti nordeuropei a
Salerno ,all’epoca sede di una importante fiera . Il viaggio in America del 1749 del Capitano
Francesco Maresca è il primo del genere , di cui si abbia notizia ufficiale, effettuato da un bastimento
del Regno di Napoli . Il che non significa che non possano esserci stati precedenti analoghe traversate
,più semplicemente che si tratta del primo di cui si ha una qualche traccia .

                    Particolare dell’Atto del Notaio G.M. De Lauro del 17 settembre 1756

        Si ha notizia di altro viaggio in quel periodo verso le Americhe e per l’esattezza verso la
Martinica di una polacca procidana al comando del Capitano Michele Di Costanzo che approdò
appunto nelle Antille Francesi ma successivamente ,nel 1756.

        E, quindi , i bastimenti costruiti a Cassano ( come del resto quelli costruiti all’Alimuri), erano
costruzioni navali di tutto rispetto in grado di affrontare navigazioni complesse e difficili. Pinchi,tartane
e polacche , solitamente varate sulla spiaggia di Alimuri o alla Marina di Cassano, erano opera di
abilissimi maestri d’ascia di cui ,attraverso gli atti notarili, è possibile conoscere i nominativi di quelli
maggiormente attivi .

Nella costruzione primeggiava, almeno nel corso del XVIII secolo , la famiglia De Rosa o Di Rosa di
cui fu celebre Capo Maestro d’Ascia Giovan Battista, egualmente validi maestri d’ascia furono il
fratello di questi Francesco e ,successivamente, il figlio di quest’ultimo       Giosuè. Ma       abili capi
maestri d’ascia furono anche        Gabriele Iaccarino , Nicola e         Giuseppe Castellano, Raffaele
Castellano, forse anche       un Salvatore (?)De Maio ed altri ancora. Nel cantiere di Alimuri
primeggiavano già nel XVIII secolo i Mauro . Da un atto del Notaio Biagio Massa del 14.10.1780
risulta che il capo Maestro D’Ascia Agostino Mauro avesse costruito sugli scali di Alimuri una
polacca della capacità di carico di 6.000 tomoli per conto del capitano Salvatore Cafiero ( dovrebbe
trattarsi del capostipite di quel Comandante Salvatore Cafiero che negli anni 50 acquisì da Angelo
Scinicariello   la proprietà di una flotta già in attività dal 1880) .Una piccola quota di questo
bastimento varato all’Alimuri fu acquistato da capitan Michele Maresca “Mangiagalline”).

       Della famiglia De Rosa alcuni furono notevoli ed apprezzati capitani ed armatori ed in
particolare nel corso del 700 si distinsero i capitani Nicolo’ ed Antonino (De Rosa) che armarono
pinchi e tartane tutte varate ,manco a dirlo, alla marina di Cassano ad opera del Maestro d’Ascia
Giovan Battista De Rosa, Il capitano Antonino fu pure notevole uomo d’affari come chiarirò nel
prosieguo di questo racconto.

       .

       Il portale d’ingresso del palazzo dei de Rosa ed ,al lato, il particolare del vano luce
circoscritto da cornice in pietra pipernoide

       Maestri d’Ascia e Capitani di questa famiglia ebbero dimora in via Casa Rosa, alle spalle
delle proprietà della famiglia Lauro poste sull’attuale via Casa Lauro. Di alcuni dei fabbricati abitati
dai De Rosa è possibile tuttora apprezzare le essenziali linee settecentesche. Di particolare pregio
appare questo portale in pietra pipernoide del vano luce sovrastante il magazzino al civico       di via
Casa Rosa ( il giorno che i nostri Comuni ,invece di perdere tempo a finanziare feste e festicciole
inutili, impiegheranno qualche denaro a censire portali, fregi antichi e quanto ci è stato
tramandato del paese antico sarà sempre troppo tardi !).
I De Rosa furono in modo particolare attivi intorno alla metà del 700. Il 6 gennaio 1761 con atto
per Notar Biagio Massa il Capo maestro d’ascia Giovan Battista De Rosa si impegnava con il capitano
Alessio Cafiero ad allungare la carenza della sua tartana di 4 palmi fino a portarla ad una lunghezza in carena
di 65 palmi. Vi propongo di seguito copia della nota sottoscritta di pugno dal capitan Alessio Cafiero e da
Mastro Giovan Battista de Rosa .

          .

Mi sembra opportuno a questo punto ,seppur fugacemente , dare qualche indicazione sulla figura di capitan
Alessio che dei capitani Nicolò ed Antonino De Rosa aveva sposato la sorella Andriana .Fu, senza dubbio
alcuno        ,insieme a Costantino Lauro( figlio di Capitan Giuseppe e Grazia Maresca), Michele
Maresca(Mangiagalline, figlio di capitan Piero Antonio e Caterina Massa ), Saverio Lauro(figlio di capitan
Giovan Battista e di Caterina Maresca),il capitano Antonio Cacace ed altri ancora , uno dei personaggi più
in vista del Piano di Sorrento intorno al terzo quarto del XVIII secolo. Con la gestione di diverse tartane ed,
a partire dal 1760,di qualche polacca ( di cui affidava il comando ai figli Giuseppe,Nicola e Vincenzo. E’
singolare l’atto del Notaio Massa del 13 luglio 1775 con cui Alessio affida al figlio Nicola il comando della
Tartana “S.Francesco di Paola ,Santa Maria e San Giuseppe “conferendogli piena facoltà di stipulare
noli e quant’altro) costituì un notevole patrimonio personale raggiungendo una prominente posizione
sociale che lo indusse ,con atto per Notar Biagio Massa del 3 febbraio 1770 , ad acquistare dalla Sig.ra
Teresa Comentano Cota il diritto di interro, per sé ed i propri discendenti, nella cappella della Madonna del
Soccorso all’interno della Chiesa di S.Michele, patronato della famiglia Cota . Ormai Capitan Alessio era
entrato a pieno titolo in quella cupola oligarchica di famiglie (di capitani ed armatori)del Piano di Sorrento
che amministravano la Insigne Real Collegiata di S.Michele esercitando , all’interno dell’edificio religioso,
il patronato su una della cappelle gentilizie ivi esistenti. Successivamente acquisterà numerose proprietà e tra
queste dal patrizio sorrentino Antonino Vulcano nel terziere di Meta ,a Ponte Maggiore, anche un grande
fondo appartenente al patronato annesso alla cappella gentilizia dei Vulcano nella cattedrale di Sorrento
.

Questo interessante personaggio era in grado di immettersi in attività commerciali ed imprenditoriali
anche non direttamente connesse con l’attività marittima. Le sue capacità                 marinaresche erano
indiscusse negli ambienti della Marina di Cassano.

Nel 1772 ,come risulta da atto per notar Massa del 26 gennaio 1773 ,Capitan Alessio entra in società
con i capitani Costantino,Antonino e Mariano Lauro, nonché con i Capitani Salvatore,Michele e Giosuè
Cacace ,con il Capitano Antonino De Rosa,con i sig,ri Ottavio Balsamo e Biagio Starita per gestire la
gabella della farina del Piano e della Citta di Sorrento. Tutti i soci che avevano costituito un capitale
sociale di 35.000 ducati ,una somma realmente considerevole per l’epoca, certamente non casualmente,
nominarono Alessio cassiere della società affidando al Cap.Salvatore Cacace il compito di stilare il
bilancio annuale. Ad ogni socio venne ,comunque, attribuito un preciso compito . La società, poi, si
affidò per la domiciliazione e l’assistenza allo studio dell’avvocato Tommaso di Costanzo di Napoli
ed a quello dell’avv. Giuseppe Paolo De Ponte ( della antica ed illustre famiglia De Ponte del Piano di
Sorrento) definito esperto in materia societaria. Sembra quasi un negozio dei nostri giorni. Ma
veniamo nuovamente ai de Rosa.

Il 28 giugno 1761 i Capitani Nicola De Rosa, per 13 legni, ed Antonino De Rosa ,per 2 legni(la
proprietà dei bastimenti era divisa in quote detti legni), concordarono con il Maestro d’Ascia
Giovan Battista De Rosa la costruzione di un pinco lungo in carena 60 palmi.

Nel 1763 , da altro atto del Notaio Biagio Massa( 22 ottobre 1763) ,emerge che il Capitano Alessio
Cafiero pattuì con Giovan Battista De Rosa la costruzione di una tartana lunga in carena 60
palmi,larga 25 palmi,alta a poppa palmi 18 ec…. ben specificando che il bastimento dovesse avere
le stesse caratteristiche costruttive di quello in precedenza costruito e varato per capitan Michele
Cafiero.

E’ probaile che la Tartana ordinata a mastro Giovan Battista fosse simile

Questo contratto è tuttavia insolito , il committente, ovvero il Capitano Cafiero,accettò su di sé
l’onere di provvedere all’acquisto ed alla fornitura del legname occorrente alla costruzione della
nave nonché al suo trasporto fino al cantiere del De Rosa. Un patto che plausibilmente gli
consentiva di risparmiare sul costo finale del bastimento e che Mastro Giovan Battista non ebbe
difficoltà alcuna ad accogliere dati i rapporti di     parentela che lo legavano al committente .
Significativamente il contratto è sottoscritto anche dai capitani Nicola ed Antonino De Rosa che ,in
tal modo, offrivano garanzia sul rispetto degli accordi accettati.

Quanto fossero stretti i rapporti tra i Cafiero ed i De Rosa lo prova un ulteriore episodio descritto
nell’atto del Notaio Biagio Massa dell’agosto precedente (1763) .In pratica un testimoniale di
avaria marittima subito da una tartana di proprietà di capitan Alessio ma al comando del di lui
figlio Vincenzo mentre era in navigazione nel Golfo di Taranto. Questi testimoniali resi innanzi al
Notaio e sottoscritti da tre membri dell’equipaggio, quasi sempre dal timoniere ,dallo scrivano e
dal nostromo , erano atti indispensabili per presentare denunzia di avaria al Consolato del Mare (
una giurisdizione speciale del regno) e ,poi, conseguire           il risarcimento dei danni dalla Real
Compagnia delle Assicurazioni Marittime ( istituto voluto da Carlo di Borbone nel 1751) . Innanzi
al Notaio i tre membri dell’equipaggio testimoniavano delle modalità con cui il bastimento aveva
subito l’avaria generalmente originata da cattive condizioni del mare o da altri accidenti naturali
ma , non di rado , anche da atti di pirateria.

E fu proprio quando accadde in quell’estate del 1763 a capitan Vincenzo Cafiero a influenzare
Capitan Alessio in alcune scelte di cui racconterò di qui a poco. Mentre era in navigazione nel golfo
di Taranto , fu assalito da due bastimenti corsari del Nord Africa ( uno sciabecco ed una galeotta),.

 Nonostante nello scontro a fuoco un colpo di cannone delle unità corsare avesse reciso di netto
la parte superiore del trinchetto del bastimento di capitan Vincenzo questi con coraggio ordinava ai
marinai ,pur sotto incessanti tiri di artiglieria delle due unità corsare ,di montare subitamente altro
albero con nuove vele . Il che consentì loro di aumentare la velocità e sfuggire ad una cattura che
avrebbe comportato di certo la riduzione in schiavitù per l’intero equipaggio .

    La tartana di lì a dieci giorni riuscì a raggiungere, seppur parzialmente danneggiata dai colpi inferti
dalle navi corsare, la Marina di Cassano. A bordo era imbarcato , con funzioni di scrivano ,un
Melchiorre De Rosa di certo nipote o figlio di Mastro Giovan Battista.

Un episodio che , comprensibilmente, restò impresso nella mente di Capitan Alessio tanto da indurlo ad
inserire nel testamento che il giorno 11 gennaio 1770 sottoscrisse innanzi al Notaio Biagio Massa una
singolare postilla. Nel nominare i figli maschi Nicola,Vincenzo e Giuseppe suoi eredi universali
raccomandò loro di creare un fondo cassa comune ( circa 200 ducati a testa) dal quale attingere per
eventualmente pagare il riscatto di chiunque di essi fosse stato catturato dai corsari turchi . Una
preoccupazione giustificata dai tempi e dai pericoli che la pirateria comportava per i traffici marittimi
nel Mediterraneo ed ,in questo caso, dettata dal ricordo di quanto era occorso al figlio appena 7 anni
prima, nel 1763.

Chiunque,a quei tempi, intraprendesse un viaggio in mare era ben conscio che il suo bastimento poteva
essere assalito dai Pirati , in qualche caso ,addirittura, anche poco fuori dal Golfo di Napoli.

.
Il passo del testamento dove Capitan Alessio impone ai propri figli di costituire un fondo per
riscattare chi di essi fosse stato catturato dai corsari

Analogo infortunio sarebbe capitato , nel 1772, nelle acque dello stretto di Messina ,ad una polacca
del Cap.Michele Maresca che ,nell’occasione riusci’ ad assestare qualche buon colpo sui bastimenti
corsari e, comunque, a prendere velocemente il largo allontanandosi dal passaggio praticato da
qualsiasi bastimento provenisse dall’Adriatico . I bastimenti del Piano , per prammatica reale del
1751, erano tutti armati con almeno 4 cannoni ed a bordo avevano comunque un’armeria idonea alla
difesa . Circostanza che emerge con chiarezza dal testamento del Capitano Giovan Battista Lauro
del 1736 che lasciò in eredità ai figli ,oltre a beni mobili ed immobili,bastimenti e quant’altro,anche
12 cannoni di bordo ,sciabole d’arrembaggio ,pistole e fucili custoditi in quei magazzini che
possedeva intorno alla chiesa della Madonna delle Grazie e che saranno ereditati da suo figlio Don
Saverio ufficiale di dogana. ,

Bisogna immaginare che i capitani del Piano di Sorrento fossero uomini pronti a qualsiasi evenienza
, abili nell’arte del navigare ma, al momento opportuno, in grado di usare le armi per difendere se
stessi ed i propri interessi.
Cannoni di bordo dei bastimenti di Cassano

E, quindi, di certo adusi ad usare l’artiglieri di bordo e le armi individuali come sciabole, pistole e
così via . La pirateria esercitata dai cosiddetti Barbareschi,che avevano i loro covi in Nord Africa e
principalmente nei porti di Algeri,Tunisi e Tripoli ,era un problema serio per i traffici mercantili del
Regno e ,dunque, per i bastimenti di Cassano. Con il termine “Barbareschi” ,da Berberia o terra dei
Berberi, erano indicati tutti quei pirati che si annidavano nel Nord Africa anche se non tutti erano
originari dei paesi rivieraschi dell’altra sponda del Mediterraneo. Gli equipaggi delle navi corsare
oltre a nordafricani erano formati da turchi,albanesi,greci,montenegrini ed anche europei come
francesi,spagnoli, olandesi ed inglesi. Tutti agivano muniti di patente di corsa rilasciata dalle
autorità del Nord Africa a ciò autorizzate dal Sultano di Costantinopoli.

Non appena insediato Carlo , conscio del pericolo per i traffici mercantili del Regno, equipaggiò
una piccola squadra navale che ,al comando di Giuseppe Martinez, detto capitan Peppe ( proveniva
dalla città di Siviglia da una nobile famiglia ,i Martinez,di cui era il figlio cadetto), contrastò
efficacemente le incursioni corsare che cessarono,però ,del tutto solo con l’occupazione ,nel 1830,
dell’Algeria da parte della Francia .
Capitan Giuseppe Martinez

   Il dipinto, conservato in un’abitazione locale, mostra uno sciabecco algerino abbordato da una fregata francese nel 1830

         Capitan Peppe , con sciabecchi armati ,conseguì buoni risultati nella lotta che il Regno
intraprese per contrastare la pirateria nordafricana. In più di una circostanza riuscì a catturare il naviglio
corsaro prendendone prigionieri i membri dell’equipaggio che, a loro volta schiavizzati, furono utilizzati
nei lavori della costruzione della Reggia di Caserta. Di tanto in tanto i mercantili napoletani erano
costretti a viaggiare in convoglio con la scorta di Capitan Martinez, ed è quanto si verificò, come ho
anticipato poc’anzi, nel 1764 quando partì da Napoli un convoglio con tre mercantili, di cui due
regnicoli ed uno della Sublime Porta (Impero Ottomano), comandato da un capitano greco. Dei due
bastimenti napoletani, entrambi del Piano di Sorrento, uno era comandato dal Capitan Michele Maresca
e l’altro da capitan Domenico Cafiero.12 Indubitabilmente esponenti di importanti stirpi marinare della
costiera.
Per meglio comprendere quale fosse la sorte di chi veniva catturato dai pirati magrebini vi propongo
la lettura di un verbale stipulato nel 1795 davanti al Console Generale Spagnolo di Algeri. In
quell’anno o nel precedente fu catturato dai corsari del Nord Africa di stanza ad Algeri, su un
bastimento del Piano di Sorrento dell’armatore Michele Maresca, un marinaio , tale Crescenzo
Esposito, coniugato con Diana De Rosa ( dovrebbe essere sempre della storica famiglia di maestri
d’ascia di Cassano, probabilmente una figlia o nipote di Mastro Giovan Battista). Quest’ultima
chiese all’armatore di intercedere per ottenere la liberazione del marito ma la cosa si rivelò tutt’altro
che semplice perché il Regno di Napoli non aveva rappresentanza diplomatica presso il Bey di
Algeri che a sua volta dipendeva dal Gran Sultano di Costantinopoli e,dunque,non c’era altro modo
che affidarsi , dati gli ottimi rapporti tra i due reami entrambi retti dai Borboni, alla Spagna che
aveva in Algeri un proprio Console Generale. A questo punto fu inviato ad Algeri ,con la somma
occorrente per il riscatto,duecento ducati d’argento, il capitano Giuseppe Monteverdi ,toscano,
verosimilmente dimorante nello Stato dei Presidi. Una piccola entità statale formata da alcune
piazzeforti     toscane     quali    Orbetello,Porto       Ercole,Porto      S.Stefano      ,dal    promontorio
dell’Argentario,Ansedonia e più tardi anche da Porto Longone all’epoca amministrato dal Re di
Napoli che lo aveva ereditato dalla Spagna con il famoso trattato di Utrecht ( del 1713) che aveva
messo fine alla guerra di successione spagnola.

Del conferimento dell’incarico il Console Spagnolo redasse verbale sottoscritto tra gli altri dallo
stesso Monteverdi e dal Cancelliere Don Felix Claveria . E’ un documento avvincente e mostra
come non fosse affatto infrequente che marinai del Piano venissero catturati dai corsari magrebini
e tradotti ad Algeri,Tunisi o Tripoli per poi restarvi un certo tempo fino a che non veniva pagato il
riscatto. E lascio immaginare che cosa poteva essere la prigionia in quelle carceri .

        2
           ANC. 1266,1754,20-21. prile 1718 – L’università di Crotone arma a sue spese la tartana di Domenico
Cafiero “con gente armata e monitioni” per dare la caccia ad alcune tartane turche, che hanno predato due barche a
Capo di Neto. L’episodio registrato all’Archivio di Stato di Crotone è del 1718. Ignoro se il Domenico Cafiero in
questione abbia un qualche legame con quello che,nel 1764, naviga in convoglio con Capitan Michele Maresca sotto la
scorta di Capitan Martinez.
La pirateria non diede tregua ai bastimenti napoletani ,come ho già detto, fino ai primi decenni
dell’800 ed è proprio del 1800 il testamento con cui il Dott.Fisico Pietro Lauro (         della nota
famiglia di capitani ed armatori aventi la dimora in via del Lauro oggi via Casa Lauro) disponeva
dei suoi beni in favore di suo nipote il Dott.Fisico Domenico Lauro . Il Dott. Pietro viveva a
Napoli anche se aveva casa a Carotto ,in un palazzo attaccato alla Cappella della Libera in
S.Margherita. E sempre a riprova che all’attività marittima nel Piano di Sorrento si dedicava anche
chi non era direttamente impegnato nella navigazione questo medico aveva gestito, per oltre 20
anni, a partire dal 1775, con un tal Presta, un fondaco a Gallipoli dove veniva stivato il grano poi
imbarcato sui bastimenti di Cassano . Nel descrivere i beni lasciati in eredità al nipote Pietro Lauro
menziona anche di una polacca costruita a Cassano che ,però,lui stesso definisce in quasi totale
disarmo perché semidistrutta da un assalto dei corsari turchi nel 1799.
Circostanza che conferma come il pericolo della pirateria sussistesse fino ai primi del XIX secolo.

Ma ritorniamo nuovamente all’attività cantieristica per la quale Marina di Cassano andava
giustamente famosa. Di sicuro interesse ,anche per i suoi risvolti giuridici , appare l’atto stipulato
dal Notaio Biagio Massa in data 11 settembre 1763 , che descrive dei contrasti sorti sulla buona
esecuzione dei lavori di costruzione di una polacca tra il committente ,il capitano Antonino
Maresca di Tommaso( credo possa trattarsi di un membro di quel ramo della famiglia Maresca
detto del “Grancane” imparentato sia con l’altro,quello dei Duchi di Serracapriola sia con quello
soprannominato “Mangiagalline”.Questa famiglia deve il soprannome alla circostanza di aver
noleggiato, durante la guerra di Crimea del 1856, bastimenti al Sultano di Costantinopoli e
,dunque, al Gran Kan) ed i maestri Giovan Battista De Rosa ,Giosuè De Rosa e Gabriele Iaccarino .

Capitan Antonino aveva stabilito con Mastro Giovan Battista di acquistare per suo conto tutto il
legname occorrente alla costruzione della nave ed ,all’uopo, si era rivolto al grossista di legnami
napoletano Giuseppe Maresca ( dal cognome è probabile se non certo che fosse però anche lui del
Piano di Sorrento).

I Capi Maestri D’Ascia Giovan Battista De Rosa ,Giosuè De Rosa e Gabriele Iaccarino,però,in fase
di montaggio del fasciame , si avvidero che il legname era di scarsa o mediocre qualità ed allora ,
per evitare future liti giudiziarie o per precostituirsi una prova della loro non responsabilità ,
convocarono in cantiere , alla Marina di Cassano, alla presenza del Notaio Biagio Massa che
preparò il verbale della riunione , il     committente ,capitano Antonino Maresca , il venditore
Giuseppe Maresca ed una commissione di esperti formata dai capitani Nicola ed Antonino De
Rosa nonché dal Capitano Giovan Battista Paturzo . I tre capitani congiuntamente confermarono
quanto paventato dai Mastri d’Ascia De Rosa e Iaccarino e cioè che il legname non fosse idoneo
all’uso. Del loro giudizio tecnico il Notaio ne fece verbale . In buona sostanza appare questo
procedimento , sia pur davanti ad un Notaio e non davanti ad un Giudice come sarebbe avvenuto ai
nostri giorni, una forma atipica di accertamento tecnico preventivo eventualmente fruibile ,poi, nel
caso una delle parti avesse inteso promuovere giudizio di risarcimento danni , come prova innanzi
alla Gran Corte della Vicaria.

In realtà le parti o chi di essa aveva maggior interesse, attraverso il giudizio tecnico formulato dai
tre esperti, si precostituiva una prova di cui poter fruire in un ipotizzabile futuro giudizio.
La perizia sottoscritta dai maestri d’ascia Gabriele Iaccarino e Nicola Castellano e controfirmata
dal Notaio Biagio Massa

Analoga o ,quantomeno, simile è la vicenda che affiora da un altro atto notarile del 26 agosto 1764
stipulato innanzi allo stesso Notaio Biagio Maresca. Il Capitano Michele Maresca di Salvatore
aveva commissionato al Capo Maestro d’ascia Giovan Battista De Rosa ed ai suoi collaboratori ,il
fratello Francesco ed il figlio di questi Giosuè ,di costruire una tartana con l’ulteriore incombenza
di dover procurare loro il legname necessario..

Il che puntualmente faceva il nostro Mastro Giovan Battista che acquistava le tavole in parte da un
rivenditore di C/mmare di Stabia, tale Gennaro Longobardo, ed in parte provvedendo a far tagliare
dei pini sul fondo di Don Carlo Massa ( in località Legittimo) trasformati,poi, in tavole nella
segheria di tale Gioacchino Veniero .In seguito ,però, allorquando Capitan Michele si recava in
cantiere a Cassano per constatare lo stato dei lavori , si avvedeva che alcune tavole del fasciame non
apparivano di buona qualità e contestava il vizio ai costruttori.

Per evitare la lite giudiziaria innanzi alla Gran Corte della Vicaria ( in pratica l’antica sede dei
Tribunali in Napoli in Castelcapuano in attività fino a poco meno di 15 anni fa) tutti gli interessati
concordavano di ricorrere ad una procedura di tipo arbitrale. Ciascuna di esse nominava un proprio
esperto,Mastro Giovan Battista si faceva assistere da altro noto maestro d’ascia, Mastro Gabriele
Iaccarino, il Capitano Maresca      dal   Maestro d’ascia Nicola Castellano. I due esperti ebbero
mandato dal costruttore e dall’armatore di periziare il fasciame al fine di verificarne lo stato e
quantificare l’eventuale danno . La riunione si svolse sul cantiere ,alla Marina di Cassano, alla
presenza del Notaio Biagio Massa che provvide a redigerne verbale. I periti concordarono che il
capitano Maresca avesse ,almeno in parte ,ragione e Mastro Giovan Battista, nel prenderne atto si
obbligava ,insieme al fratello Francesco, a restituirgli circa 204 ducati del prezzo pattuito per la
costruzione della polacca.

                                           Polacca spagnola

Ma il cantiere di Cassano non conosceva soste ed ai fratelli Giovan Battista e Francesco De Rosa in
attività dagli anni 40 del ‘700 subentra in qualità di capo Maestro d’ascia , nell’ultimo quarto del
secolo, il figlio di quest’ultimo ,Giosuè De Rosa .

                                     Polacche all’ancora a Cassano
Ed a lui tocca, nel 1786 , l’incombenza di dover costruire una nuova polacca per capitan Saverio
Maresca di Carl’Antonio in sostituzione di una precedente andata in disarmo . Questi nel mese di
giugno di quell’anno ottenne dal capitano Michele Maresca ( cosiddetto Mangiagalline ,uno dei più
influenti capitani del Piano. Dismessi intorno al 1785 i panni del marinaio diventerà un banchiere
e sarà nominato nel 1799 Tesoriere Generale del più importante Banco Napoletano,per l’appunto
il S.Giacomo e Vittoria),mercé trasferimento di fede di credito tratta sul Banco S.Giacomo e
Vittoria , un prestito di duecento ducati che ,a sua volta , consegnò a suo figlio, il capitano Saverio
Maresca. Era quella la somma chiesta da Mastro Gesuè de Rosa in acconto per la costruzione della
nuova polacca , della portata di 6.000 tomoli di grano , denominata “Immacolata Concezione e
S.Giuseppe” .

Capitan Saverio non possedeva ,tuttavia, l’intera somma , circa 4.400 ducati, occorrente per la
costruzione del bastimento e così ne cedette quote di proprietà , legni, al grossista napoletano
Francesco Saverio Maney che ,in cambio, si impegnò a fornirgli            il legname necessario alla
costruzione compreso l’albero di maestra ordinato a Livorno.

Il Maney accordò a Capitan Saverio , in quanto maggior caratista , la facoltà di noleggiare la nave
a chicchessia salvo a ripartire poi gli utili in rapporto alle rispettive quote di partecipazione sulla
proprietà del bastimento. Pose,tuttavia, un codicillo e cioè chiese di poterne fruire per propri noli
allorquando il bastimento si trovava già ancorato nel porto a Napoli o in quello di C/mmare di
Stabia oppure era in rada a Cassano .
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