LA FAME, L'APPETITO, L'INGORDIGIA, I POVERI - Auser Monza Brianza

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LA FAME, L’APPETITO,
         L’INGORDIGIA, I POVERI
Giovan Battista Vico affermava che: "Per lunga scorsa di secoli gli anni si
annoverarono con le messi del grano, il quale si trova essere stato il primo
oro del mondo".
Mi piace continuare sottolineando che, per lungo e immemorabile tempo e
sino a pochi decenni fa, benedetta era considerata quella tavola sulla quale
si riusciva a posare, ogni giorno, fragrante pane bianco.
Il pane era custodito nella "panera" , mobile a ribalta, presente in tutte le
case, che nei suoi due scomparti ospitava un altro tesoro: la farina di
granoturco utilizzata soprattutto durante i lunghi e freddi mesi invernali,
per fumanti, dorate polente.
I morsi della fame, avvertiti sin dall'alba, si placavano così: candida e
bollente scodella di latte appena munto la mattina, pane o polenta a pranzo,
minestra la sera; alimenti fondamentali che dovevano soddisfare gli
appetiti del robusto nucleo famigliare di allora.
L'orto e il pollaio contribuivano raramente ad insaporire questa modesta,
quotidiana tavola; la pietanza che trovava invece sempre posta sul desco
era, infatti, l'appetito, se non addirittura nelle famiglie più disagiate, la
fame.
Non di rado le giovani bocche rumoreggiavano durante l'immancabile taglio

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della fetta di polenta o ricevendo il solito mestolo serale di zuppa e il
padre usciva allora, solennemente, con l'affermazione, pronunciata
presumibilmente con l'angoscia nel cuore: "o mangi questa minestra o salti
la finestra".
L'ammonimento non era perentorio, bensì scaturiva da un'amara quanto
rassegnata considerazione: questo era quanto riusciva a garantire
quotidianamente con il suo duro lavoro, con i sacrifici mal ripagati,
faticando dall'alba al tramonto giust'appunto per evitare a tutti i morsi
della fame, almeno.
Occasionale abbondanza la offriva l'ingegno e l'abilità del genitore che
pescava lucci, carpe o anguille nel fiume li vicino o rincasava con un cesto di
funghi o una gabbia di lumache; alla madre trasformare, con l'aiuto delle
verdure dell'orto, quelle prede, quei raccolti in profumate e saporite
pietanze.
Esistevano pero altri importanti condimenti che aiutavano a superare le
angustie: l'amore, il rispetto, il timore di Dio.
Nelle case dove albergavano queste virtù era fragrante anche ciò che
mancava.

56) Il sapore della fame
Sa te ghe fam, al pan al sa da lasagne.
Per chi ha fame il pane ha lo stesso gusto delle lasagne.
“Questo si, questo no, uffa non mi piace, non ne voglio".
Non si comportava certamente così il contadino e nemmeno suo figlio
quando, rientrando dai campi, si gettavano sulla fumante polenta dorata,
vero sole, al centro della tavola.
Che cosa condiva quel piatto?
Spesso niente, anzi no, una pietanza gustosissima: l'appetito, il morso della
fame, avvertito magari in stalla mentre staccava il cavallo dal carro.

57) Senza scelta
O magia stà minestra o salta da la finestra.
O mangi questa minestra O salti dalla finestra.
Mi raccontava un amico che una sera, erano gli anni cinquanta, davanti al
solito piatto di minestra manifesto il suo disappunto al padre.

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Il risultato fu che, sospendendo per un momento di scodellare la cena, suo
padre gli mollo il mestolo sulla zucca.
Il messaggio, commento ancora l'amico, fu persuasivo.
Per un padre, a quei tempi, non era certo cosa facile riempire
quotidianamente i dieci piatti allineati sulla tavola; imperdonabile quindi
lamentarsi della zuppa quotidiana.

58) Il pane, una medicina
L'e mei andà dal prestinè che dal spisier.
Meglio andare dal panettiere che dal farmacista,
Capitava spesso di sentire le mamme, mentre attendevano al forno la
cottura del pane, lamentarsi così: "Ma quanta mangiano i miei figli, Simone
soprattutto, una bocca ... , cosa mi costa mantenerli tutti".
La risposta delle amiche era pressappoco così: "Rosina, meglio spendere dal
panettiere che dal farmacista".
Quando c'e l'appetito, non manca la salute,

59) La biada dell’uomo
La minestra l’è la biada di ‘òman.
La minestra è la biada dell'uomo.
Il buon contadino curava con amore il proprio orto, seminava patate,
fagioli, carote, piselli, verze, cavoli, sedano, prezzemolo, peperoni e altro
ancora.
Una brava moglie, da quella naturale dispensa, traeva il necessario per
minestre che variavano con le stagioni: verdi a primavera, ricche,
leguminose in estate, dal profumo inebriante di verza in inverno.
Era un piatto garantito, caldo, nutriente, ristoratore, quotidiano, proprio
come la biada dell'amico cavallo.

60) Sacco vuoto, sacco pieno
Sach veui stà minga dris.
Sacco vuoto non sta in piedi.
Capitava spesso anche allora di vedere dei giovani ciondolare indolenti,
cascare su una panca, appoggiarsi al muro, sbadigliare.
Quello che potrebbe sembrare, a prima vista, il comportamento di un
nottambulo, di un pigro, in realtà era il risultato di uno stomaco vuoto, che

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protestava, languiva.
Il povero giovane che non era riuscito a riempire il suo "sacco" faticava a
stare in piedi e purtroppo quello stato precario, soprattutto in certe
famiglie numerose, poteva durare a lungo.

61) Ormoni
La carna che cress la sta mai ferma.
La carne che cresce non sta mai lerma.
L'adolescenza è tempo d'intemperanza. Anche a tavola, o meglio, con il
cibo.
A un giovane che cresce, non possono bastare i pasti: il suo corpo si
sviluppa a vista d'occhio e per sostenere questa crescita, sopperire alle
energie che bruciano troppo in fretta, deve mangiare frequentemente
anche fuori dagli orari canonici.
Con buona pace della mamma.
62) A tavola con dispiacere
Quant un puaret el maia una gaina. O l'e mala, o l’e malada la gaina.
Se un povero diavolo mangia una gallina. O è ammalato lui o lo è la gallina.
La situazione, in casa del contadino, è classica: non gira il becco di un
quattrino.
Se per colmo della sfortuna si ammala anche il povero “paisan”, sono guai
seri per la famiglia, ma, se poi ad aggravare la situazione, arriva anche
un'epidemia a decimare il pollaio,per la famiglia la fame è certa.
Per la povera gallina nessuna via di fuga; con molto dispiacere le tireranno
il collo rimpiangendo le sue preziose uova quotidiane, che qualche spicciolo
lo garantivano, mentre sulla tavola, eccezionalmente, finirà un grasso
brodo nutriente e carne di pollo che aiuteranno l'ammalato a superare la
probabile bronchite.
Le altre due occasioni in cui si poteva tirare tranquillamente il colla alla
gallina erano la festa patronale e uno sposalizio.

63) Stracchino
La buca l'e minga straca se la sa no de vaca.
La bocca non e sazia se non sa di vacca.
Esclamazione da fine pasto pantagruelico.

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Il padrone di casa, rubicondo, annuncia l'arrivo del formaggio; l'ospite
ormai sazio tenta una resistenza: " ... basta, sono pieno come un uovo!". Ma
non intenerisce nessuno, anzi, per troncare ogni altra contestazione,
l'amico esclama: "Non si può finire un pranzo, senza il formaggio (gusto
della vacca)".
In tavola arriva naturalmente un'altra bottiglia di frizzante Barbera.

64) I poveri hanno la testa dura
Poarèt si, ma sempre col so onur.
Povero si ma sempre con il proprio onore.
Poveri lo erano quasi tutti, ma non tutti i poveri erano uguali.
C'erano i trasandati, gli ubriaconi, quelli che avevano perso ogni speranza
per il futuro; ma per fortuna esistevano anche i dignitosi, i testardi, tenaci
nel conservare la propria dignità, soprattutto capaci di fare della loro
povertà un punto di forza.
L'armonia famigliare, forse, la pregiudiziale.

65) Dignitosamente poveri
La poertà a l'è n’un vissi.
La povertà non è un vizio.
L'orgoglio dei poveri, degli ultimi!
La fortuna è una dea bendata che spesso, proprio per cecità, trascura i più
bisognosi.
Essere poveri, però, non è e non deve essere una colpa; a volte, anzi, le
ristrettezze economiche, le rinunce obbligate, forgiano animi forti che
sanno tenere alta la testa, idee e morale anche di fronte ai potenti, la cui
ricchezza magari non ha origini trasparenti.

66) Rivalità fraterna
Amur de fradei, amur de cortei
Amore di fratelli, amore di coltelli.
C'e del vero nel sostenere che esistono feroci rivalità fraterne? Purtroppo
si.
Spesso, a rompere l'armonia ci pensa quel mostro chiamato interesse,
denaro, ricchezza.
Allora poteva essere una pertica di terreno, o un filare di pioppi, una vigna,

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un toro e questi contenziosi economici creavano violenti alterchi, conflitti
anche all'interno dello stesso nucleo famigliare con divisioni che, a volte,
non si sanavano nemmeno di fronte alla morte.
Possiamo dire oggi che la situazione sia mutata?
È proprio vero: parenti serpente!!!

67) Sorprendere
Fa l'of feura dal cavagneù.
Fare l'uovo fuori dal cesto.
Che cosa succede quando un tirchio riconosciuto tale supera se stesso,
magari con un'offerta generosa ad una festa di beneficenza o, ancora, un
pigro sorprende tutti per un'impresa che nessuno mai gli attribuirebbe?
l'effetto è simile a quello della massaia che trovava un uovo (ai tempi era
una ricchezza che contribuiva ai limitati bilanci personali delle donne) fuori
dal tradizionale cesto di cova.
Per una volta, diremmo in termini economici, una sopravvenienza attiva!

68) Casalinghe comodità
Ca nostra le la pusè bela.
Casa nostra è la più bella.
Lo diceva sempre la buonanima della mia vicina “Neta sigareta”, che abitava
in una casa decorosa, ma certamente modesta rispetto ad altre.
Al rientro da una visita all'amica che le aveva mostrato la sua nuova villa o
alla collega andata a vivere nel condominio nuovo con l'ascensore e il
citofono, salendo le scale della sua abitazione, sede nel passato di un
convento, soffermandosi nel largo pianerottolo antistante l'ingresso,
ansimante, ritrovava il piacere delle proprie mura e ripeteva soddisfatta
che solo a casa propria ci si sente a proprio agio.
Del resto lo diceva anche il poeta “parva sed apta mihi” (piccola ma adatta
a me).

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