La disinformazione online, la crisi del rapporto pubblico-esperti e il rischio della privatizzazione della censura nelle azioni dell'Unione ...

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ISSN 1826-3534

      LA DISINFORMAZIONE ONLINE
             24 APRILE 2020

 La disinformazione online, la crisi del
 rapporto pubblico-esperti e il rischio
della privatizzazione della censura nelle
  azioni dell’Unione Europea (Code of
         practice on disinformation)

                   di Matteo Monti
        Dottore di ricerca in Diritto pubblico comparato
              Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa
La disinformazione online, la crisi del rapporto
           pubblico-esperti e il rischio della
       privatizzazione della censura nelle azioni
        dell’Unione Europea (Code of practice on
                     disinformation)*
                                               di Matteo Monti
                            Dottore di ricerca in Diritto pubblico comparato
                                  Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa

Abstract [It]: Questo saggio si propone di analizzare gli strumenti sviluppati dall'UE per contrastare la diffusione
di notizie false su Internet e di esplorarne limiti e rischi. Il primo paragrafo esplora il paradigma europeo della
libertà di informazione guardando alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Nel secondo
paragrafo viene analizzato il Code of practice on disinformation. Nel terzo paragrafo, infine, il Codice è esaminato
nel più ampio contesto delle leggi di contrasto alle fake news degli Stati membri e degli strumenti dell'UE per
regolamentare la rimozione dei contenuti online, concentrandosi sul problema della privatizzazione della censura.
Le conclusioni suggeriscono che le autorità indipendenti dovrebbero partecipare ai processi previsti dal Codice.

Abstract [En]: This paper aims at analysing the framework of legal tools enacted by the European Union (EU)
to offset the spread of fake news on the Internet, investigating their limits and risks. The first paragraph explores
the European paradigm of the freedom of information by looking at the ECtHR case law. Then, in the second
paragraph, the Code of practice on disinformation is subsequently analysed. Finally, in the third paragraph, the
Code is examined in the broader context of both the Member States’ laws on fake news and the EU tools to
regulate the removal of online content, with a specific focus on the problem of the privatisation of censorship.
The final remarks suggest that independent authorities should participate in the processes set out in the Code.

Sommario: 1. Introduzione. 2. Il quadro normativo-costituzionale dell’azione europea contro la disinformazione.
3. Genesi e sviluppo del Code of practice on disinformation dell’Unione Europea. 4. Il trend della privatizzazione della
censura nella lotta alla disinformazione fra normative nazionali e unionali. 5. I rischi della privatizzazione della
censura nella lotta alla disinformazione e il necessario apporto di authorities (o giudici).

1. Introduzione
Negli ultimi anni si è assistito al progressivo consolidamento di un sistema mediale ormai dominato
dall’avvento delle Internet platforms1, «enclosures» di successo della Rete2, le quali hanno inevitabilmente

* Articolo sottoposto a referaggio.
1 Non a caso si è parlato di «Platformisation of news distribution» per quanto riguarda l’evoluzione dell’informazione
online: B. MARTENS - L. AGUIAR - E. GOMEZ-HERRERA - F. MUELLER-LANGER, The digital transformation of
news media and the rise of disinformation and fake news, (JRC Tecnhical Reports 2018) accessibile al sito: <
https://ec.europa.eu/jrc/sites/jrcsh/files/jrc111529.pdf >, p. 15.
2 S. ZIZEK, First as Tragedy, Then as Farce, New York, Verso Books, 2009, p. 144. Riprendendo una metafora impiegata

da Yen (A.C. YEN, Western Frontier or Feudal Society?: Metaphors and Perceptions of Cyberspace, Berkeley Technology Law Journal,

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messo anche alla prova le categorie giuridico-costituzionali – fra cui la differenza tra informazione del
giornalismo e propaganda politica3, o quella fra media e non media4 – su cui si erano basate molte delle
ricostruzioni dogmatiche e normative concernenti i limiti alla libertà d’espressione e informazione. Questa
trasformazione dell’ecosistema mediale ha anche impattato sul rapporto fra pubblico ed esperti,
determinandone, o forse accrescendone, la crisi di fiducia e finendo per mettere in discussione alcuni
meccanismi che potevano dirsi alla base del discorso pubblico e, più in generale, della democrazia, come
formatasi e sviluppatasi negli ultimi settant’anni5: in particolare, rispetto alla fiducia nella tecnica e nel
dato fattuale come cardine del confronto politico, ma anche del funzionamento della vita pubblica e del
vivere insieme. L’esempio più eclatante di questa crisi di fiducia è forse quello dei mezzi di informazione,
che hanno perso la loro valenza di cerniera fra le élite e la massa a favore della comunicazione sulla Rete6.
In questo scenario, si è assistito ad un aumento esponenziale della circolazione di disinformazione – fake
news –7, in primo luogo sulle Internet platforms8. A ciò si è risposto con lo sviluppo di un’azione di contrasto

17, 2002), ci si potrebbe domandare se oggi non si assista ad una vero e proprio periodo feudale nella gestione della
Rete, dominato dai contrasti di potere tra diversi duchi e conti – le Internet platforms – e un Re – lo Stato di diritto –
limitato ad un ruolo di moral suasion (cfr. anche J. GRIMMELMANN, Virtual World Feudalesim, in Yal L. J. Pocket Part, n.
118/2009).
3    Cfr. C. WARDLE, Understanding Information Disorder, First Draft, 2019, consultabile al link <
https://firstdraftnews.org/wpcontent/uploads/2019/10/Information_Disorder_Digital_AW.pdf?x76701>.                                  J.
BAYER (a cura di), Disinformation and propaganda – impact on the functioning of the rule of law in the EU and its Member States
(Policy Department for Citizens' Rights and Constitutional Affairs Directorate General for Internal Policies of the Union
PE 608.864), 2019. Ma si veda anche G. ZICCARDI, Tecnologie per il potere, Milano, pp. 187 e ss.; cfr. L. RAINIE – J.
ANDERSON – J. ALBRIGHT, The Future of Free Speech, Trolls, Anonimity and Fake News Online (Pew Research Center,
2017) consultabile al link . Infine, si veda in questo numero R. BRACCIALE – F. GRISOLIA, Information
Disorder: acceleratori tecnologici e dinamiche sociali, in questo fascicolo.
4 Per una ricostruzione della dottrina rispetto alla qualificazione dei motori di ricerca: A. KOLTAY, New Media and

Freedom of Expression, Oxford, 2019, pp. 115 e ss.; e per quanto riguarda i social networks: Ivi, pp. 157 e ss. In particolare,
sulla natura “omnicomprensiva” di Facebook l’autore afferma: «Facebook has not only occupied the news and traditional
journalism – it has occupied everything, from political campaigns to the banking system, from the entertainment industry
to trade». Ivi, p. 156. Sul concetto di media cfr. V. ZENO-ZENCOVICH, Il concetto di “media” nel XXI secolo, in S. SICA
- V. ZENO-ZENCOVICH (a cura di), Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, (V ed.), Milano, 2019.
5 Cfr. T. NICHOLS, The Death of Expertise. The Campaign Against Established Knowledge and Why It Matters, Oxford, 2017 e

R.L. HASEN, Cheap Speech and What it Has Done (To American Democracy), in First Amend. L. Rev., n. 16/2017.
6 «I mezzi di comunicazione, la “libera stampa” di cui parlava Croce, che giocava un ruolo di educazione, di filtro, di

guida ha perduto il “ruolo di cerniera tra élite e massa” (…), a favore del web, che permette di arrivare alle notizie senza
filtro». S. CASSESE, La manifattura del consenso, in Il Foglio, 6 Agosto 2019. Per approfondimenti: I. CRAM, Citizens
Journalists. Newer Media, Republican Moments and the Constitution, Cheltenham, 2015. L’aspetto positivo che assume e può
assumere il giornalismo dei cittadini è anche sottolineato dalla Cedu rispetto per esempio a Youtube: Cedu, Cengiz and
Others v Turkey, 1 Marzo 2016, § 52.
7 In questa sede, fake news e disinformazione sono usati come sinonimi per intendere notizie di cronache false create ad

hoc. Sulla complessità della questione v. M. CAVINO, Il triceratopo di Spielberg. Fake news, diritto e politica, in questo fascicolo.
Sulle modalità di circolazione della disinformazione sulle piattaforme si veda G. RUFFO – M. TAMBUSCIO, Capire la
diffusione della disinformazione e come contrastarla, in questo fascicolo.
8 Sulla “Deinstitutionalization of the Press” v. L. LEVI, Social Media and the Press, in North Carolina Law Review, 90, 2012,

1553-1572; sulle più recenti evoluzioni e conseguenze: ID., Real “Fake News” and Fake “Fake News”, in First Amendment
Law Review, 16, 2018, pp. 234 e ss.

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multilivello, che è transitata dai timidi tentativi italiani9 all’iniziativa più decisa dell’Unione Europea.
Proprio nel «rapporto della potenza giuridica con altre potenze»10 serve rilevare come l’Unione Europea
sia probabilmente il soggetto che maggiormente è in grado di influenzare l’operato delle piattaforme
digitali, dato il ruolo che sta assumendo nella regolazione della Rete e la forza economico-giuridica di cui
gode rispetto ai singoli stati membri11. Fino ad ora, però, negli interventi di regolazione della libertà di
espressione online da parte dell’Unione Europea, la soluzione al problema è stata quella di una sostanziale
«decostituzionalizzazione della libertà di espressione»12 con l’attribuzione di funzioni tipicamente “statali”
alle piattaforme digitali.
Obiettivo di questo saggio è compiere un’analisi dell’azione dell’Unione Europea nell’ambito del
contrasto alla diffusione della disinformazione online. Nel primo paragrafo si affronterà il quadro
normativo costituzionale in cui l’Unione ha sviluppato la sua azione; ad esso seguirà un secondo paragrafo
che si focalizza sugli strumenti approntati nell’ordinamento unionale per contrastare la diffusione di fake
news, prestando particolare attenzione all’aspetto della ricostruzione del rapporto pubblico-esperti. Nel
terzo paragrafo si analizzerà la problematica della privatizzazione della censura e dei rischi per la libertà
d’espressione e d’informazione nell’affidare funzioni “paracostituzionali” così delicate per la democrazia
– come quelle in ambito di informazione – a soggetti privati quali i giganti della Rete. Le conclusioni
daranno conto di alcuni aspetti importanti dell’azione dell’Unione Europea e dei suoi limiti.

2. Il quadro normativo-costituzionale dell’azione europea contro la disinformazione
Nel panorama multilivello della lotta alle fake news, si assiste ad un doppio binario di contrasto alla
disinformazione online: le iniziative dei governi nazionali e quella dell’Unione Europea13. Il quadro
giuridico costituzionale nel quale quest’ultima azione si sta sviluppando non è sempre chiaro e deve

9 Si rimanda al numero monografico della Rivista Medialaws 1/2017 per una panoramica di contributi sul c.d. Ddl
Gambaro; per quanto riguarda il c.d. Ddl Zanda Filippin si permetta un rimando a M. MONTI, La proposta del ddl Zanda-
Filippin sul contrasto alle fake news sui social network: profili problematici, in diritticomparati.it, 7 dicembre 2017.
10 N. IRTI, Il diritto nell'età della tecnica, Napoli, 2007, p. 13. Cfr. F. FRACCHIA, Le fake news come luogo di osservazione dei

fenomeni della tecnologia e delle reti nella prospettiva del diritto, in questo fascicolo.
11 Questo è particolarmente evidente dal punto di vista della privacy. Per varie suggestioni sul ruolo egemone del diritto

dell’Unione e sui rischi di questa egemonia o “imperialismo” giuridico: K. KOWALIK-BAŃCZYK - O. POLLICINO,
Migration of European Judicial Ideas Concerning Jurisdiction Over Google on Withdrawal of Information, in German Law Journal, 17,
3, 2015; F. BIGNAMI - G. RESTA, Transatlantic Privacy Regulation: Conflict and Cooperation, in Law and Contemporary Problems,
n. 8/2015; K.A. HOUSER - W.G. VOSS, GDPR: The End of Google and Facebook Or a New Paradigm in Data Privacy, in
Richmond Journal of Law & Technology, n. 1/2018.
12 Espressione coniata da D. TAMBINI – D. LEONARDI – C.T. MARSDEN, Codifying Cyberspace: Communications Self-

Regulation in the Age of Internet Convergence, Londra, 2007, p. 275 (trad. mia).
13 Rispetto alla cui normativa si è ventilato anche un problema di fake news nel settore anti-trust: S. HUBBARD, Fake

News is a real Antitrust Problem, in C.L. Int. Antitrust Chronicle, 2017 e contra: S.B. SACHER – J.M. Yun, Fake News is Not
an Antitrust Problem, in C.L. Int. Antitrust Chronicle, 2017.

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bilanciarsi con i diritti fondamentali nazionali14. In questo senso, l’operato dell’UE lascia margini di
manovra agli stati membri per agire in maniera più rigorosa – come hanno fatto Germania e Francia e
come si è tentato di fare in Italia –. Da questo punto di vista, il più recente Action Plan against Disinformation
specifica15 – come già prima il Code of Practice on disinformation – che l’obiettivo dell’UE è quello di colpire
contenuti “legali” – e si immagina che con questa dizione si intenda contenuti non sanzionabili
penalmente – senza tuttavia entrare in contrasto con le normative UE o nazionali. Si tratta, insomma, di
un intervento che punta ad essere coerente con la non ingerenza in settori non armonizzati, volto a non
impattare sui diritti fondamentali nazionali e a non usare la Carta dei diritti per espandere l’ambito di
applicazione del diritto europeo16.
Ciò detto, è allora possibile analizzare la compatibilità dell’azione UE con i diritti fondamentali della Carta
di Nizza e della CEDU, senza mancare di svolgere però qualche necessaria considerazione preliminare.
In particolare, serve rilevare come l’attenzione per i diritti fondamentali di prima generazione si sia
sviluppata nell’ambito unionale solo a partire dalla Carta di Nizza, che al suo art. 1117 prevede sia il diritto
alla libertà di espressione che quello di ricevere opinioni e informazioni senza ingerenza da parte
dell’autorità pubblica, ricalcando in questa sua sezione l’art. 10 della CEDU18. In questo senso, serve
ricordare che l’art. 52 co. 319 della Carta di Nizza dispone che qualora la Carta faccia riferimento a diritti
già presenti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo questi vadano interpretati in maniera

14 E. CANNIZZARO, Towards a Uniform Standard of Protection of Fundamental Rights in Europe?, in European Papers, 2, 2017.
Cfr. S. MANGIAMELI, La garanzia dei diritti fondamentali nell’ordinamento europeo e le funzioni nazionali, in dirittifondamentali.it,
1, 2020; V.B. NASCIMBENE, La tutela dei diritti fondamentali nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Eurojus.it, 2016.
Sull’ultimo “scontro-confronto” fra portata dei diritti fondamentali nazionali e unionali: G. MARTINICO – G.
REPETTO, Fundamental Rights and Constitutional Duels in Europe: An Italian Perspective on Case 269/2017 of the Italian
Constitutional Court and Its Aftermath, in European Constitutional Law Review, n. 4/2019.
15 Joint communication to the European Parliament, the European Council, the Council, the European Economic and

Social Committee and the Committee of the Regions, Action Plan against Disinformation, 5 dicembre 2018, JOIN (2018)
36, p. 1.
16 Corte di Giustizia dell’UE, Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, C-617/10.
17 M. OROFINO, La libertà di espressione tra Costituzione e Carte europee dei diritti, Torino, 2014, pp. 86 e ss. F. DONATI,

Art. 11, in R. BIFULCO - M. CARTABIA - A. CELOTTO (a cura di), L’Europa dei diritti. Commento alla Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, Bologna, 2001; R. MASTROIANNI - G. STROZZI, Art. 11 Libertà di espressione e di
informazione, in R. MASTROIANNI - O. POLLICINO - S. ALLEGREZZA - F. PAPPALARDO - O. RAZZOLINI
(a cura di), Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, Milano, 2017.
18 A. CARDONE - M. OETHEIMER, Art. 10, in S. BARTOLE - P. DE SENA - V. ZAGREBELSKY (a cura di),

Commentario breve alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Padova, 2011. «A tal proposito, la Corte di giustizia ha tratto
indicazioni rilevanti dalla giurisprudenza della Corte EDU ai fini della definizione dei contenuti e dei limiti della libertà
di espressione. Nell’Unione europea non possono, quindi, essere consentite misure incompatibili con il rispetto dei diritti
fondamentali dell’uomo in tal modo riconosciuti e garantiti». Così B. NASCIMBENE – F. ROSSI DAL POZZO,
L’evoluzione dei diritti e delle libertà fondamentali nel settore dei media. Diritto dell’Unione europea e orientamenti giurisprudenziali, in
eurojus.it, 4, 2019, p. 136.
19 Cfr. Ivi, pp. 139-140.

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analoga a quelli convenzionali o, meglio, intendendo quelli convenzionali come minimum standard20, con la
conseguente possibilità di espansione delle libertà e dei diritti garantiti dalla CEDU21. Essendo la
giurisprudenza unionale nell’ambito della libertà di informazione e dei suoi limiti 22 circoscritta ai soli
ambiti di applicazione della Carta e data la necessità della presente analisi di uno studio di profili differenti
– in primis il bilanciamento fra libertà di informazione e altri beni giuridici e in secundis i limiti e
l’inquadramento della stampa nel modello democratico europeo – si procederà, dunque, a un esame delle
decisioni della CEDU.
In questo senso, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nell’ambito dei media, è
stata caratterizzata dal riconoscimento di un diritto ad essere informati23, dalla necessaria garanzia del
pluralismo24, dalla “richiesta” di un comportamento etico da parte dei giornalisti25 e dall’imposizione di
un obbligo di controllo delle fonti rispetto ai contenuti informativi diffusi26. In questo scenario, sono
state formalizzate la categoria del diritto di cronaca e quella del diritto di critica, il quale richiede
comunque un’aderenza ai fatti per essere protetto dall’art. 10 CEDU27. In quest’ottica, si può, infatti,
osservare che «a distinction needs to be made between statements of fact and value judgments in that,
while the existence of facts can be demonstrated, the truth of value judgments is not susceptible of proof.
The requirement to prove the truth of a value judgment is impossible to fulfil and infringes freedom of
opinion itself, which is a fundamental part of the right secured by Article 10 (…). The classification of a
statement as a fact or as a value judgment is a matter which in the first place falls within the margin of
appreciation of the national authorities, in particular the domestic courts (…). However, where a
statement amounts to a value judgment, the proportionality of an interference may depend on whether
there existed a sufficient “factual basis” for the impugned statement: if there was not, that value judgment

20 Cfr. M. DE VISSER - A.P. VAN DER MEI, Flexibility and Differentiation: A Plea for Allowing National Differentiation in
the Fundamental Rights Domain, in B. DE WITTE-A. OTT-E.VOS (a cura di), Between Flexibility and Disintegration,
Cheltenham, 2017.
21 V. SALVATORE, L’Unione Europea, in La libertà di espressione, una prospettiva di diritto comparato, Studio Servizio Ricerca

del Parlamento europeo, Bruxelles, 2019, p. 6. Si consideri sempre l’autonomia dei due ordinamenti rimarcata dal parere
della Corte di Giustizia dell’UE, n. 2/2013.
22 O. POLLICINO, Freedom of Expression and the European Approach to Disinformation and Hate Speech: The Implication of the

Technological         Factor,            in          Liber          Amicorum          per          Pasquale           Costanzo,
, 2020, p. 9. Per le decisioni della Corte di
giustizia in materia B. NASCIMBENE – F. ROSSI DAL POZZO, L’evoluzione dei diritti, cit.
23 Ex pluribus: Cedu, Observer and Guardian v. the United Kingdom, 26 Novembre 1991, § 59; Guerra and Others v. Italy, 19

Febbraio 1998, § 53.
24 Ex pluribus: Cedu, Centro Europa 7 srl and Di Stefano v Italy, 7 Giugno 2012, §§ 129-134.
25 Ex pluribus: Cedu, Fressoz e Roire c. Francia, 21 Gennaio 1991, § 54; Mcvicar v. The United Kingdom, 7 Maggio 2002, § 73.

Sui codici di condotta e il rispetto della veridicità dei fatti (come controllo sulle fonti): T.LAITILA, Journalistic Codes of
Ethics in Europe, in European Journal Of Communication, 1995.
26 Cedu, Fuchsmann v Germany, 19 Ottobre 2017, § 43. In relazione all’applicazione del principio di ragionevolezza: Prager

and Oberschlick v. Austria, 26 Aprile 1995, § 37.
27 Da ultimo: Cedu, GRA Stiftung gegen Rassismus und Antisemitismus v Switzerland, 9 Gennaio 2018, § 68.

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may prove excessive (…). In order to distinguish between a factual allegation and a value judgment it is
necessary to take account of the circumstances of the case and the general tone of the remarks, bearing
in mind that assertions about matters of public interest may, on that basis, constitute value judgments
rather than statements of fact»28. Da questo passaggio e dalla giurisprudenza della Corte, sembra dunque
possibile affermare che sussiste una differenza fra il diritto di cronaca, il quale necessita una stretta
aderenza ai fatti29, e il diritto di critica, in cui è previsto un maggior grado di libertà rispetto alla narrazione
di eventi. Il problema di questa giurisprudenza – come di quelle nazionali nella medesima materia – è la
sua “storicità”: essa, infatti, rispondeva a un ecosistema mediatico in cui i ruoli mediali erano più marcati
e riconoscibili e in cui l’operato della stampa era ben distinguibile da quello della propaganda politica30.
Era dunque più semplice legittimare una censura (ex post) della disinformazione in base al paradigma del
diritto a ricevere informazioni e all’obbligo dei giornalisti di controllare le fonti e agire coerentemente coi
doveri della stampa. Nel mondo di Internet è invece venuto meno il discrimen fra i giornalisti professionisti
e i media tradizionali e i fruitori di notizie, essendo cadute le barriere di ingresso che avevano
caratterizzato gli ambienti mediali predigitali. In questo scenario, serve tuttavia rilevare che la Corte EDU
appare impegnata ad estendere la nozione di media nell’ambiente digitale31 e di conseguenza «[t]he broad
definition of the ‘media’ adopted by the Court suggests that new media engaged in the spread of ‘fake
news’ would be held to account for failing to act in good faith and to verify untruthful allegations»32. Se
dal punto di vista della qualificazione soggettiva dello status di media la Corte appare orientata

28 Ibidem.
29 Che prevede tuttavia possibilità di “esagerazioni”: Cedu, Prager e Oberschlick c. Austria, 26 Aprile 1995, § 38. Nell’ambito
del c.d. political speech l’aderenza ai fatti allarga le sue maglie e si ammorbidisce il necessario controllo sulle fonti,
soprattutto dove lo speaker si basi su fonti giornalistiche o presunte tali: «[h]owever, from the domestic courts’ findings
it can be seen that this statement of fact was not produced or published by the applicant himself and was referred to by
him in conversations with others as a personalised assessment of factual information, the veracity of which he doubted.
The domestic courts failed to prove that he was intentionally trying to deceive other voters and to impede their ability
to vote during the 1999 presidential elections. Furthermore, Article 10 of the Convention as such does not prohibit
discussion or dissemination of information received even if it is strongly suspected that this information might not be
truthful. To suggest otherwise would deprive persons of the right to express their views and opinions about statements
made in the mass media and would thus place an unreasonable restriction on the freedom of expression set forth in
Article 10 of the Convention». Cedu, Salov v. Ukraine, 6 Dicembre 2005, § 113.
30I sistemi europei si sono sempre basati sul tentativo di fare questa distinzione fra political speech e libertà di informazione:

«[u]nlike in the US practice, European constitutions and the individual legal systems actively try to separate the freedom
of speech from the freedom of the press». A. KOLTAY, New Media, cit., p. 45.
31 Cfr. Par. 6 e 7 della Recommendation CM/Rec(2011)7 of the Committee of Ministers to member states on a new

notion of media e si veda l’appendice. In questo contesto, la Corte non sembra aver considerato in maniera diversa
l’operato dei media tradizionali online (ex multis Cedu, Case of Times Newspapers ltd (nos. 1 and 2) v. the United Kingdom, 10
Marzo 2009, § 42), espandendo invece determinati aspetti di responsabilità nelle sentenze Cedu, Delfi v. Estonia, 16
Giugno 2015 e Magyar Tartalomszolgáltatók Egyesülete and Index.Hu Zrt v v Hungary, 2 Maggio 2016.
32 I. KATSIREA, “Fake news”: reconsidering the value of untruthful expression in the face of regulatory uncertainty, in Journal of Media

Law, n. 2/2018, p. 173. Cfr. sull’espansione in ambito europeo della nozione di media e sui problemi di inquadramento:
A. KOLTAY, New Media, cit., pp. 46 e ss.

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all’inquadramento di molte delle nuove forme mediali come mezzi di comunicazione soggetti alle regole
del giornalismo, questo è sembrato avvenire anche per i giornalisti – riconoscibili come tali – che agiscono
in maniera autonoma su Internet, come nel caso degli interventi di un professionista dell’informazione
su un forum33. Questa interpretazione estensiva consente l’inquadramento e l’applicazione della
giurisprudenza sui media34 e sul giornalismo a fenomeni quali blog, siti web – che diffondono news come
una testata giornalistica – o all’attività individuale su Internet posta in essere da giornalisti, come i
commenti su un forum (che si immagina potrebbero essere estesi ai post di Facebook e ai cinguettii di
Twitter). Naturalmente, questa estensione dei principi della stampa non può essere estesa a Internet nel
suo complesso35.
Cionondimeno, nel mondo di Internet l’autoproduzione di notizie36 sta subendo un’ulteriore evoluzione
e, soprattutto sui social networks, le notizie (la cronaca) e le fake news iniziano a diffondersi con maggiore
frequenza mediante post o cinguettii scritti da non giornalisti (che non contengono richiami a siti esterni
di “informazione”) o attraverso meme37 e, in generale, mediante forme di comunicazione più difficilmente
riconducibili a strumenti analoghi a quelli di informazione (come invece lo erano i blog, la stampa online
alternativa, le video inchieste/interviste). Se, infatti, era tutto sommato semplice traslare i principi della
stampa alla diffusione di notizie tramite blog, siti di informazione, video (anche qualora poi condivisi sui
social networks), oggi questa operazione risulta più difficile, dato che ormai l’autoproduzione di cronaca
(e fake news) sembra orientarsi verso forme che non richiedono più la “simulazione” di un lavoro
giornalistico. Viene cioè meno quel criterio soggettivo – e.g. la presenza di un sito che simulava un’attività
informativa o il carattere professionale del soggetto diffusore (un giornalista o presunto tale) – che poteva

33 «In the present case, it is not clear whether the applicant intended to post these statements in his capacity as a journalist
providing information to the public, or whether he simply expressed his personal opinions as an ordinary citizen in the
course of an Internet debate. Nevertheless, it is clear that, by posting under the username “Eynulla Fatullayev”, the
applicant, being a popular journalist, did not hide his identity and that he publicly disseminated his statements by posting
them on a freely accessible popular Internet forum, a medium which in modern times has no less powerful an effect
than the print media». Cedu, Fatullayev v. Azerbaijan, 4 Ottobre 2010, § 95.
34 Anche se il metodo del giornalismo oggettivo può variare in ragione dei nuovi strumenti: Cedu, Delfi v. Estonia, 16

Giugno 2015, § 134.
35 In un obiter la Corte ha infatti affermato: «[t]he Internet is an information and communication tool particularly distinct

from the printed media, especially as regards the capacity to store and transmit information. The electronic network,
serving billions of users worldwide, is not and potentially will never be subject to the same regulations and control».
Cedu, Editorial Board of Pravoye Delo and Shtekel v. Ukraine, 05 Agosto 2011, § 63.
36 Fenomeno già evidenziato in D. CROTEAU, The Growth of Self-Produced Media Content and The Challenge to Media Studies,

in Critical Studies in Media Communication, 23, 4, 2006; K. JAKUBOWICZ, A New Notion of Media? Media and Media-like
Content                and              Activities           on             new             Communication               Services,
 ( Strasbourg ,
Council of Europe , 2009 ); I. CRAM, Citizens Journalists, cit.
37     Per       una      definizione:      Atlante     Treccani,      Di     meme     in    meme,      1    marzo        2019,
.

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legittimare una sorta di “equiparazione” – de iure condendo – dei soggetti diffusori di notizie sul web ai
giornalisti.
Questa trasformazione rende dunque ancor più difficoltoso distinguere, ad esempio, le espressioni
inquadrabili come propaganda politica da quelle considerabili come libertà d’informazione – perlomeno
nella forma in cui tradizionalmente intesa – secondo una situazione ben descritta dal concetto di
information disorder38. La tendenza emergente ad affidarsi a nuove forme di comunicazione informativa
potrebbe inoltre essere letta come l’ennesima prova della crisi del rapporto fra giornalisti e cittadini:
talvolta non serve nemmeno più la fonte (il sito web che simulava perlomeno di essere un portale di
informazione o la trasmissione della notizia dal profilo di un giornalista o di un “esperto”), ma è
sufficiente il mero post su Facebook, anche privo di immagini attinenti all’evento, perché la notizia sia
creduta39.
Anche se non in relazione alle tematiche della Rete appena sottolineate, la Corte EDU ha però
riconosciuto che l’obbligo di agire in buona fede deve essere tenuto altresì dai soggetti che non siano
giornalisti di professione quando intervengono nel dibattito pubblico: «[t]he Court reiterates that the
protection of the right of journalists to impart information on issues of general interest requires that they
should act in good faith and on an accurate factual basis and provide “reliable and precise” information
in accordance with the ethics of journalism (…). The same principles must apply to others who engage in public
debate» (enfasi aggiunta)40. La Corte ha inoltre affermato l’estensione di quest’“obbligo” anche ad alcuni
attori mediali online41 e, in questa prospettiva, non si può non ricordare come già Balkin considerasse ad
esempio Google e Facebook come media companies42. Seguendo la ricostruzione di Katsirea43 si potrebbe
dunque ritenere che la qualificazione di soggetto tenuto al rispetto degli obblighi di verificazione delle
fonti e di tutte quelle responsabilità tipiche del giornalismo potrebbe traslarsi sui soggetti che decidano
di intraprendere iniziative “assimilabili” a quelle del giornalismo.

38 C. WARDLE, Understanding Information Disorder, cit., pp. 6-7.
39 Cfr. D. MOCANU - L. ROSSI - Q. ZHANG - M. KARSAI - W. QUATTROCIOCCHI, Collective attention in the age of
(mis)information, in Computers in Human Behavior, n. 51/2015.
40 Cedu, Braun v Poland, 4 Febbraio 2015, § 40.
41 Come per esempio un «self-regulatory body of internet service provider»: «[t]he Court notes that both the first

applicant, as a self-regulatory body of internet service providers, and the second applicant, as a large news portal,
provided forum for the exercise of expression rights, enabling the public to impart information and ideas. Thus, the
Court shares the Constitutional Court’s view according to which the applicants’ conduct must be assessed in the light
of the principles applicable to the press». Cedu, Magyar Tartalomszolgáltatók Egyesülete and Index.hu Zrt v v Hungary, 2 Maggio
2016, § 61.
42 «In the second decade of the twenty-first century, the most powerful media companies are platforms like Google and

Facebook». J.M BALKIN, Old-School/New-School Speech Regulations, in Harvard Law Review, 127, 2014, p. 2304.
43 I. KATSIREA, “Fake news”, cit., p. 173.

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Da ultimo, una recente decisione della CEDU, che ha destato polemiche per il primo uso del termine
“fake news” in una giurisprudenza europea, ha sì dipanato alcuni dubbi, ma ha anche sollevato alcune
preoccupazioni. Si tratta di un caso del 2007 relativo alla diffusione di critica politica attraverso volantini
in cui si riportavano eventi e fatti ritenuti inesatti da parte di una corte polacca, la quale – tramite un
procedimento di urgenza44 – obbligava il candidato sindaco che li aveva diffusi al pagamento di una multa
e a una rettifica pubblica. Come rimarcato dalla CEDU, le limitazioni imponibili al discorso politico –
come in questo caso – sono inferiori rispetto ad altre forme di espressione45; al contempo, la Corte
ammetteva che «est nécessaire de lutter contre la dissémination d’informations fallacieuses à propos des
candidats aux élections afin de préserver la qualité du débat public en période préélectorale»46. In
conclusione, il principio su cui si basa la decisione appare essere, anche rispetto a questa forma di diritto
di critica/political speech, la necessità della sussistenza della diligenza nella ricerca dei fatti e la non creazione
ad hoc di fatti mai avvenuti. L’onore probatorio in capo al candidato sindaco condannato, ritenuto
eccessivo e sproporzionato, ha fatto, però, propendere la Corte per l’individuazione di una lesione dell’art.
10 della CEDU47 (anche a causa dei toni utilizzati e dell’eccessività della pena irrogata). La Corte tuttavia
appare aver legittimato nei rationales e negli obiter dicta che contornano la decisione – e la cosa desta qualche
preoccupazione – l’inserimento del discorso puramente politico nell’ambito del concetto di fake news48,
terminologia che dovrebbe essere associata – a causa degli obblighi del giornalismo a cui si lega e al ruolo
della stampa come cane da guardia della democrazia – alla diffusione di cronaca49 e non al political speech,
che “legittimamente” e fisiologicamente (non eticamente, probabilmente) può impiegare bufale e bugie50
con il solo limite della diffamazione (etc…).

44 Censura giustificata dalla Corte anche se non pienamente nella deminutio di garanzie processuali: «[e]lle note que le
caractère sommaire et urgent de la procédure en question se justifie par la nécessité de faire en sorte que “fake news” et
les propos qui nuisent à la réputation des candidats aux élections et qui sont susceptibles de fausser le résultat du vote
soient au plus vite rectifiés. Cependant, elle rappelle avoir dit que l’examen des litiges liés aux élections, aussi souhaitable
qu’il soit, ne devrait pas entraîner la diminution indue des garanties procédurales offertes aux parties à la procédure et
en particulier aux défendeurs». Brzeziński c. Pologne, 25 luglio 2019, § 35.
45 Ivi, § 53.
46 Ivi, § 55.
47 «Cela étant dit, la Cour ne peut souscrire aux constatations des juridictions nationales selon lesquelles le requérant en

l’espèce était tenu de démontrer la véracité de ses déclarations. La Cour estime qu’obliger le requérant à satisfaire à des
exigences plus rigoureuses en la matière que celles “de diligence requise” ne se justifiait pas, eu égard aux principes
consacrés dans sa jurisprudence et aux circonstances de l’espèce. La Cour observe que, de par leur approche, les
juridictions nationales ont privé le requérant de la protection de l’article 10 de la Convention». Ivi, § 58.
48 «La Cour rappelle dans ce contexte que l’article 10 § 2 de la Convention ne laisse guère de place pour des restrictions

à la liberté d’expression dans le domaine du discours politique ou des questions d’intérêt général. Les limites de la critique
admissible sont plus larges à l’égard d’un homme politique, visé en cette qualité, que d’un simple particulier». Ivi, § 53.
49 Si veda nota 7; e in relazione al Code v. infra.
50 Cfr. R. BELLAMY, Lies, Deception and Democracy, in Biblioteca della libertà, LIV, n. 225-226/2019. In questo numero si

veda: F. D’AGOSTINI – I. GRONCHI, Filosofia, verità e democrazia, in questo fascicolo, par. 2.

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In questo scenario, si può in ogni caso confermare la posizione di quella parte della dottrina che ha
evidenziato che le fake news – come (non) notizie inventate e diffuse come vere – non possono dirsi
espressione coperta dal paradigma dell’art. 11 della Carta di Nizza o da quello dell’art. 10 della CEDU51.
Ovviamente la non protezione, come nell’ordinamento italiano, non corrisponde alla possibilità di
sanzionare penalmente tali espressioni in assenza di pericoli per l’ordine pubblico, ma legittima un’azione
di contrasto che arrivi anche alla censura, come rimozione di contenuti dalle Internet platforms52.
In conclusione, sembra potersi affermare, usando le parole di Pollicino, che «[t]he real challenge in
Europe is not then – as in the US – if the issue of fake news can be tackled legally, but rather how this can
be done in order to avoid a disproportionate restriction on the fundamental rights at stake, above all the
freedom of speech»53.

3. Genesi e sviluppo del Code of practice on disinformation dell’Unione Europea
Nel contesto sopra descritto, la lotta alla disinformazione in ambito unionale è partita da un fenomeno
endogeno, ossia i tentativi esteri di destabilizzazione dell’Unione54. Nel 2017 una risoluzione del
Parlamento Europeo ha impegnato la Commissione a «to analyse in depth the current situation and legal
framework with regard to fake news and to verify the possibility of legislative intervention to limit the
dissemination and spreading of fake content»55. Nel gennaio 2018 fu istituito un High Level Expert Group
il cui rapporto finale certificò l’atteggiamento “tutorio” europeo rispetto alla diffusione di informazioni,
evidenziando come la Corte di Strasburgo avesse ritenuto il ruolo del giornalista e dei media come
protetto nell’esercizio di una attività tesa alla diffusione di informazioni non inventate56. Proprio
nell’ambito del report “A multi-dimensional approach to disinformation” fu proposto – fra altre cose57 –
il primo piano sistemico per ricostruire la fiducia fra esperti (soprattutto con attenzione per i giornalisti)

51 O. POLLICINO, Fake News, Internet and Metaphors (to be handled carefully), in MediaLaws Review, n. 1/2017, p. 25;
un’attenta ricostruzione fornita di ampia giuisprudenza è fatta da I. KATSIREA, “Fake news”, cit., pp. 159-188.
52 Cfr. A. RENDA, The legal framework to address “fake news”: possible policy actions at the EU level, PE 619.013, 2018.
53O. POLLICINO, Fundamental Rights as Bycatch – Russia’s Anti-Fake News Legislation, in Verfassungsblog, 2019 consultabile

al sito: .
54       European         Council        conclusions,         19-20      March         2015,       consultabile      al     sito
.
55 European Parliament resolution of 15 June 2017 on online platforms and the digital single market (2016/2276(INI)),

p. 9 § 36.
56 «At the same time, the Strasbourg Court has noted that “the safeguard afforded by Article 10 to journalists in relation

to reporting on issues of general interest is subject to the proviso that they are acting in good faith and on an accurate
factual basis and provide ‘reliable and precise’ information in accordance with the ethics of journalism”». A multi-
dimensional approach to disinformation. Report of the independent High Level Expert Group on fake news and online disinformation.
2018, available at , p.18.
57 Le soluzioni erano legate ad un approccio volto non solo a considerare le notizie giornalistiche, ma anche la

propaganda politica secondo quel concetto di information disorder sopra esposto.

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e cittadini, in particolare attraverso il richiamo al rafforzamento del principio di trasparenza online, al
favor per le notizie giornalistiche (mediante la messa in evidenza delle stesse58), agli incentivi economici
agli editori e alla costruzione del fact-checking online59. A latere di questi strumenti promozionali, si
suggeriva, inoltre, di incentivare un’educazione informatica sia per i giovani che per gli adulti60. In questo
senso, tutte le proposte furono tese all’esclusione di un ruolo dell’autorità pubblica, delegando l’azione
principale alle piattaforme digitali. La comunicazione UE “Contrastare la disinformazione online: un approccio
europeo”61 riprese l’esigenza di ricostruire una dimensione tecnologica che favorisse le fonti credibili di
informazione, cercando di ricostruire quel tradizionale e dominante ruolo del giornalismo come
gatekeeper62, da affiancarsi alla necessità di un’alfabetizzazione mediatica della popolazione63.
Più strettamente in relazione alla questione in esame, il report dell’High Level Expert Group poneva dunque
le basi per il Code of practice on disinformation e per la ricostruzione del rapporto di fiducia fra giornalisti e
internauti, attraverso alcuni accorgimenti, fra cui: aumentare la visibilità dei contenuti «affidabili»64;
suggerire news autentiche65; e rendere possibile e facile agli internauti il collegamento con i sistemi di fact-
checking66. Il Code of practice on disinformation 67, emanato nel settembre del 2018, parte infatti da queste
premesse e fornisce una serie di strumenti importanti per la lotta alla disinformazione.
Il primo elemento di rilievo del Code è il tentativo definitorio del fenomeno fake news. Il Code inquadra
infatti la disinformazione come l’insieme di contenuti verificabili come falsi e di informazioni ingannevoli
che siano creati, presentati e diffusi per ragioni economiche o politiche e che possono causare minacce
ai processi democratici e a determinati beni pubblici (salute, ambiente, sicurezza)68. Ancora più importante

58 Ivi, p. 23.
59 Ivi, p. 28.
60 Ivi, pp. 25-27.
61 COM (2018) 236 final, Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale

Europeo e al Comitato delle Regioni, Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo, 2018, in eur-lex.europa.eu.
62 Ivi, pp. 8-10.
63 Ivi, pp. 13 e ss.
64 «6. Platforms should, in cooperation with public and private European news outlets, where appropriate take effective

measures to improve the visibility of reliable, trustworthy news and facilitate users’ access to it». A multi-dimensional
approach to disinformation, cit., p. 33.
65 «7. Where appropriate, trending news items should, if technically feasible, be accompanied by related news

suggestions». Ibidem.
66 «Platforms should, where appropriate, provide user-friendly tools to enable users to link up with trusted fact-checking

sources and allow users to exercise their right to reply». Ibidem.
67 Sull’elaborazione si rimanda per approfondimenti a G. PAGANO, Il Code of Practice on Disinformation. Note sulla natura

giuridica di un atto misto di autoregolazione, in federalism.it, n. 11/2019, pp. 5-6.
68«As provided under the Commission’s Communication, for the purpose of this Code, the Commission as well as the

High Level Expert Group in its report define “Disinformation” as “verifiably false or misleading information” which,
cumulatively, (a) “Is created, presented and disseminated for economic gain or to intentionally deceive the public”; and
(b) “May cause public harm”, intended as “threats to democratic political and policymaking processes as well as public
goods such as the protection of EU citizens’ health, the environment or security”». Code of Practice on Disinformation,
consultabile al sito < https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/news/code-practice-disinformation>, p. 1.

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è il momento definitorio in negativo: «[t]he notion of “Disinformation” does not include misleading
advertising, reporting errors, satire and parody, or clearly identified partisan news and commentary, and
is without prejudice to binding legal obligations, self-regulatory advertising codes, and standards
regarding misleading advertising»69. Questa definizione in negativo contribuisce infatti a dipanare molti
dubbi e permette di escludere che vi possa essere una volontà di colpire la satira e la propaganda politica70.
Per quanto riguarda le misure proposte dal Codice, serve in primo luogo rilevare come queste prendono
in considerazione un ecosistema mediatico – quello delle Internet platforms – in cui le notizie partitiche
rischiano di essere scambiate per notizie giornalistiche – mentre nel passato un volantino partitico
difficilmente poteva essere confuso per un articolo di giornale –. Per questo le misure del Code insistono,
in primis, su una serie di obblighi di trasparenza in relazione ai contenuti politici e, al contempo,
predispongono una serie di “suggerimenti” volti al contrasto delle fake news. Fra questi “suggerimenti”
si possono ricordare: chiudere gli account falsi, regolare l’uso dei bot, garantire l’integrità del servizio
rispetto agli account che diffondono disinformazione; incentivare e dare priorità a informazioni
pertinenti, autentiche, accurate e autorevoli; favorire la reperibilità delle fonti autorevoli ed espressione
di diversi punti di vista (pluralismo); diminuire l’incentivo economico alla diffusione di fake news.
In questo senso, il Code ha quindi proposto una serie di soluzioni per ricostruire il ruolo degli esperti
nell’agorà digitale. Rispetto alla monetizzazione della disinformazione e alle pubblicità il Codice
suggerisce alle piattaforme la possibilità di avvalersi di fact-checking organizations che forniscano “certificati”
di affidabilità o aiutino a monitorare il flusso di notizie71. Il Codice incentiva inoltre la distinzione fra
esperti e politica, richiedendo che «all advertisements should be clearly distinguishable from editorial
content, including news, whatever their form and whatever the medium used»72. Per quanto riguarda la
misura della chiusura degli accounts falsi – l’unica forma attuale di rimozione di contenuti informativi,
ancorché indiretta –, serve osservare come la stessa non imponga una rimozione esplicita delle fake
news73, anzi, come specificato, i firmatari «should not be compelled by governments, nor should they
adopt voluntary policies, to delete or prevent access to otherwise lawful content or messages solely on
the basis that they are thought to be “false”»74. Come si dirà, però, le misure prese nell’applicazione del
Codice non sono esenti da profili che sembrano favorire una privatizzazione della censura: rimuovere

69 Ibidem.
70  Sulla necessità di distinguere le varie forme espressive si permetta un richiamo a: M. MONTI, Le “bufale” online e
l’inquinamento del public discourse, in P. PASSAGLIA - D. POLETTI, Nodi virtuali, legami informali: Internet alla ricerca di regole,
Pisa, 2017.
71 Code of Practice on Disinformation, cit., p. 5.
72 Ivi, p. 5
73 Ivi, p. 6.
74 Ibidem.

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una pagina o un profilo ha ovvi effetti sui contenuti che trasmette ed escludere un soggetto da questi
particolari mass media o piazze pubbliche75 – quali sono le Internet platforms – gli impedisce di raggiungere
l’audience che si era costruito. Infine, con lessico privatistico, nella sezione “Empowering consumers”76,
il Codice incentiva la ricostruzione del rapporto pubblico-esperti attraverso determinate azioni quali: i.
favorire la reperibilità dei contenuti affidabili e differenziati per viewpoints; ii. investire in tecnologie «to
prioritize relevant, authentic, and authoritative information where appropriate in search, feeds, or other
automatically ranked distribution channels»; iii. permettere agli utenti di comprendere quando sono
oggetto di targettizzazione politica; iv. favorire «the assessment of content through indicators of the
trustworthiness of content sources, media ownership and verified identity. These indicators should be
based on objective criteria and endorsed by news media associations, in line with journalistic principles
and processes».
Il Codice propone quindi alle Internet platforms firmatarie, fra cui Google e Facebook, un’auto-
regolamentazione eterodiretta che finisce per “responsabilizzare” questi soggetti mediali in relazione al
paradigma della libertà di informazione77. Questa forma di “responsabilizzazione” finisce però per
assegnare alle Internet platforms un ruolo «paracostituzionale»78 in assenza di forme di regolamentazione, di
cornici normative o di controllo da parte di soggetti pubblici (giudici o authorities), aprendo così la strada
ad una «privatizzazione della censura»79, già avviata in questo settore e in altri campi limitrofi.

75  Per riprendere l’espressione «modern public square» usata dalla Corte Suprema statunitense in Packingham v. North
Carolina, 582 U.S. (2017).
76 Code of Practice on Disinformation, cit., pp. 6 e ss.
77 Sulle distorsioni che l’avvento di questi mezzi hanno determinato si permetta un richiamo a: M. MONTI, Regolazione,

Internet e tecnica: le implicazioni di motori di ricerca e social networks sulla libertà di informazione, in Federalismi, n. 24/2017.
78 Espressione usata in relazione alle piattaforme da O. POLLICINO, Google rischia di “vestire” un ruolo paracostituzionale,

in www.ilsole24ore.it, 14 maggio 2014.
79 Su cui si veda: D. TAMBINI – D. LEONARDI - C. MARSDEN, The privatisation of censorship: self regulation and freedom

of expression, in D. TAMBINI – D. LEONARDI - C. MARSDEN, Codifying cyberspace: communications self-regulation in the age
of internet convergence, Abingdon, 2008. Per un’analisi della questione al tempo dell’avvento della piattaforme digitali: G.L.
CONTI, Manifestazione del pensiero attraverso la rete e trasformazione della libertà di espressione: c'è ancora da ballare per strada?, in
Rivista AIC, n. 4/2018. Per una disamina di come questa tendenza stia avanzando sia in materia di privatizzazione della
censura de jure che de facto all’epoca delle Internet platforms: M. MONTI, Privatizzazione della censura e Internet platforms: la
libertà d'espressione e i nuovi censori dell'agorà digitale, in Rivista italiana di informatica e diritto, n. 1/2019. In questo ambito, come
rilevato, l’assenza di regolazione lascia paradossalmente ampi spazi di discrezionalità alle corporations: «[b]ut, ironically, in
the new Information Society, preventing government from enacting speech-focused regulation means that powerful
private interests will hold enormous power to shape how individuals interact with each other and perceive the world».
A. TUTT, The New Speech, in Hastings Constitutional Law Quarterly, n. 41/2014, p. 241.

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4. Il trend della privatizzazione della censura nella lotta alla disinformazione fra normative
nazionali e unionali
La tendenza che appare dominante nello scenario europeo della lotta alla disinformazione è quella del
favor per l’affidamento alle stesse piattaforme digitali del controllo e della censura delle fake news, senza
interventi pubblici. Questo trend è stato inaugurato dalla disciplina tedesca del NetzDG, che prevede che
dopo la segnalazione dell’utente di determinati contenuti illegali (compresi alcuni reati integranti una
punizione del falso fattuale)80 siano i social networks a provvedere alla rimozione dei contenuti segnalati
dagli utenti81. Le problematiche della privatizzazione della censura sono state evidenziate dalla dottrina
tedesca in relazione a questa procedura82: «[d]urch die Löschungen von Meinungen seitens der Betreiber
sozialer Netzwerke wird auch die Informationsfreiheit (Art. 5 Abs. 1 Satz 1 GG) aller Nutzer
beeinträchtigt»83.
Una simile impostazione era stata in parte proposta in Italia dal c.d. ddl Gambaro84, che imponeva, oltre
alla possibilità di segnalazione delle fake news da parte degli utenti, un monitoraggio autonomo da parte
dei gestori delle piattaforme informatiche – di non certa compatibilità con le normative unionali –, ma,
soprattutto, dal c.d. ddl Zanda-Filippin, fortemente ispirato al NetzDG tedesco85. Quest’ultimo ddl
prevedeva la rimozione di contenuti senza alcun intervento da parte delle autorità pubbliche, ma solo
eventualmente con la supervisione di un organismo di autoregolamentazione86.
In tutte queste discipline vi è «un fortissimo spazio di discrezionalità, tale da poter insinuare la
trasfigurazione della funzione di selezione in un’attività censoria o comunque svolta secondo
un’impostazione “di tendenza” e “orientata”. Il tutto in uno scenario assai diverso, idoneo a

80 «Offences that resemble the spreading of fake news are intentional defamation (§ 187 StGB), treasonous forgery (§
100a StGB) and forgery of data (§ 269 StGB)». V. CLAUSSEN, Fighting hate speech and fake news. The Network Enforcement
Act (NetzDG) in Germany in the context of European legislation, in MediaLaws, n. 3/2018, p. 118; cfr. A. HELDT, Reading
between the lines and the numbers: an analysis of the first NetzDG reports, in Internet Policy Review, 8, n. 2/2019.
81 Gesetz zur Verbesserung der Rechtsdurchsetzung in sozialen Netzwerken (Netzwerkdurchsetzungsgesetz - NetzDG),

2017, § 2 e 3.
82 Sul rischio effettivo di una rimozione a tappetto di tutti i contenuti segnalati: «[h]ierdurch wird faktisch ein System der

„Löschung im Zweifelsfall“ etabliert, da wirtschaftlich handelnde Unternehmen – und nur solche werden nach § 1 Abs.
1 NetzDG erfasst – gar nicht anders handeln können. Im Schrifttum wird die Gefahr der Zweifelsfall-Löschung zum
Teil als „Chilling“-Effekt oder „Einschüchterung“ bewertet. Näherliegend ist jedoch die Annahme, dass
Netzwerkbetreiber schlicht auf Grund einer ökonomischen Risikoabwägung auf Beschwerden hin eine Löschung bereits
ohne kostenintensive inhaltliche Prüfung vornehmen, da die wirtschaftlichen Folgen einer unberechtigten Löschung im
Vergleich zu hohen Bußgeldern und der Einrichtung juristisch geschulter Personalstellen im drei- oder vierstelligen
Bereich marginal sind». M. LIESCHING, Die Durchsetzung von Verfassungs- und Europarecht gegen das NetzDG - Überblick
über die wesentlichen Kritikpunkte, in MultiMedia und Recht, n. 1/2018, p. 27.
83 Ivi, p. 28.
84 Art. 7, co. 2, Ddl Gambaro, S. 2688 - 17ª Legislatura. L’unica forma minima di controllo era quella Commissione

parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, ex art. 8 della stessa proposta.
85 Art. 2, Ddl Zanda-Filippin, S. 3001 - 17ª Legislatura.
86 Art. 3 ddl Zanda Filippin.

295                                              federalismi.it - ISSN 1826-3534                                |n. 11/2020
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