La concentrazione Microsoft-Skype (vs Facebook-WhatsApp?)

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schede            139

La concentrazione
Microsoft-Skype (vs
Facebook-WhatsApp?)
Ovvero una guerra per bande alle spalle
delle Telcos

Tribunale dell’Unione Europea, IV Sezione, sentenza 11 dicembre 2013, causa
T-79/12; Cisco Systems e Messagenet/Commissione.

      I. A mo’ di premessa. Che il comparto delle comunicazioni elettroniche
evolva oramai a ritmi impressionanti e sia caratterizzato da modelli di business
non sempre immediatamente decifrabili rappresenta la più classica afferma-
zione nel segno dell’ovvietà. L’ultimo episodio in ordine di tempo è costituito
dalla recentissima acquisizione da parte di Facebook Inc. di WhatsApp, la
società che ha sviluppato l’applicazione di messaggistica per telefoni mobili
più diffusa al mondo, per 19 miliardi di dollari. I numeri e le implicazioni sono
risultati ancora una volta sorprendenti, anche per chi abbia una qualche con-
suetudine con le dinamiche della Silicon Valley. Il colosso di Palo Alto conta in-
fatti 1,2 miliardi di utenti a livello planetario, WhatsApp 450 milioni (con un au-
mento di circa 1 milione di utenti al giorno) che nel solo 2013 si sono scambiati
7.000 miliardi di messaggi: dunque, un bacino che equivale figurativamente a
diversi continenti. Eppure, lo scalpore che si è generato a tutte le latitudini è da
ricondurre alla circostanza che tale somma sia stata corrisposta per una start-
up fondata nel 2009, con poche decine di dipendenti e con un servizio (per ora
erogato senza pubblicità) sostanzialmente gratuito. Inoltre, l’entità è superiore
alla capitalizzazione in borsa di gruppi industriali consolidati (Telecom Italia,
ad esempio, si attesta a 11 miliardi), e – venendo ai richiami immediatamente
apparsi sulla stampa – pari ad oltre il doppio di ciò che era sembrato l’acquisto
più oneroso registrato in epoche recenti: quello avvenuto nel 2011 da parte di
Microsoft – per 8,5 miliardi di dollari – nei confronti di Skype.
      Insomma, di là dalle strategie che la piattaforma attiva nei social network
intenderà sviluppare e sulle modalità precise attraverso le quali conseguire

Mercato concorrenza regole / a. XVI, n. 1, aprile 2014
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      redditività, sono sempre più evidenti la rapidità e ruvidità con le quali i co-
      lossi del capitalismo digitale abbiano inteso fare concorrenza, tra loro e nei
      confronti degli operatori di comunicazione «tradizionali», in tutti i segmenti
      che interessano tale ampio comparto. In ordine sparso. Google ha lanciato
      il suo servizio Voip e ha rilevato nel 2011 Motorola (suddivisa in due entità
      e in seguito parzialmente ceduta, ma senza importanti privative intellettuali,
      a Lenovo); Microsoft, oltre a Skype, ha acquisito Nokia; Facebook continua
      ad implementare una specifica applicazione – Facebook Messenger – per
      consentire agli utenti di effettuare anche le telefonate. Altri ancora emulano
      processi simili o si avvalgono di specifici accordi commerciali. In breve, si
      tratta di un processo di integrazione totale di piattaforme tra loro differenti,
      i cui elementi caratterizzanti sono rappresentati dalla caratura degli attori,
      dall’estrema celerità e incidenza dei cambiamenti che sono suscettibili di
      generare e dal fatto che la selezione darwiniana in atto – a meno di dar
      luogo a problemi analoghi a quelli prodotti dalla fusione AOL-TimeWar-
      ner – rischia di stravolgere e soppiantare in poco tempo l’intero comparto
      delle comunicazioni (sia per la messaggistica, sia anche per le chiamate),
      con effetti rimarchevoli per gli operatori tradizionali. Tra i quali, in primis,
      quelli europei.

          II. Background: la decisione del 2011. Venendo al caso, tutto inizia nel
      settembre 2001 allorché Microsoft Corp. (nel prosieguo, Microsoft) notifica
      alla Commissione Ue l’intenzione di acquisire il controllo di Skype Global
      Sàrl (di seguito, Skype), la società attiva nella fornitura di servizi e software
      di comunicazione via Internet per la messaggistica, le videochiamate e le
      chiamate audio. È la maggiore acquisizione effettuata dal colosso di Redmond
      nella sua storia, che si inserisce nell’ambito della più generale strategia volta
      a rafforzare la presenza proprio nel contesto delle tecnologie e dei servizi di
      comunicazione. Anche la cifra erogata – come ricordato pari a 8,5 miliardi
      di dollari – è da primato: sebbene Skype conti oltre 170 milioni di utenti, la
      quotazione corrisponde a circa 32 volte l’Ebitda.
          Sennonché, a seguito della notifica, Cisco Systems Inc. (di seguito, Cisco)
      e Messagenet SpA (società italiana che fornisce servizi e programmi di co-
      municazione) – che saranno i ricorrenti al Tribunale per l’annullamento della
      decisione – presentano alla Commissione osservazioni volte a dimostrare gli
      effetti anticoncorrenziali della fusione, chiedendo di non concedere l’auto-
      rizzazione se non assicurando che Skype venga rimossa da Windows Office
      e che la piattaforma possa essere accessibile (rendendo noto il codice che
      garantisce l’interoperabilità e, dunque, le chiamate) ai concorrenti.
          La Commissione, tuttavia, ritiene che i 25 giorni a disposizione per operare
      la valutazione (fase 1) siano sufficienti a dichiarare che l’operazione è piena-
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mente compatibile con il mercato interno1. In proposito, sono sostanzialmente
due le questioni sulle quali si appuntano i rilievi di Cisco e Messagenet, e
la stessa attenzione da parte dell’istituzione comunitaria. La prima attiene al
rischio di assistere a perniciosi effetti orizzontali nel mercato delle comuni-
cazioni tra privati, ovviamente conseguenti alla concentrazione, in grado di
danneggiare l’attività dei concorrenti. In sintesi. Il timore è che l’integrazione
tra l’attività di Skype nel segmento delle comunicazioni tra privati con l’a-
nalogo servizio offerto da Microsoft – Windows Live Messenger – avrebbe
fatto acquisire alla nuova entità un potere di mercato tale da compromettere
irreversibilmente la concorrenza. Nell’operare il test della dominanza, la Com-
missione evidenzia che i segmenti interessati dalla fusione sono tre: nel primo,
quello della messaggistica istantanea, la sovrapposizione avrebbe condotto a
una quota di mercato aggregata lievemente superiore all’interno dello spazio
economico europeo (sommando il 30-40% di Windows Live Messanger con il
5% di Skype); e un’analoga prospettazione viene rilevata nel segmento delle
chiamate vocali, la cui quota si sarebbe andata complessivamente ad attestare
leggermente al di sopra della «soglia d’allarme», il 50% (con Skype tra il 40-50%
e Windows Live Messenger con il 5%). Più rimarchevole era indubbiamente il
terzo segmento – quello delle videochiamate da Pc basati su Windows – nel
quale l’incremento avrebbe comportato il raggiungimento di una quota di mer-
cato compresa tra l’80 e il 90%: giungendo a tale soglia, un indizio certamente
non risolutivo ma in taluni casi tale da accreditare quasi automaticamente
ipotesi di monopolizzazione, sommando il 30-40% di Microsoft al 40-50% de-
tenuto da Skype. Eppure la Commissione, pur avvalorando tale articolazione
complessiva (sulla base dei dati forniti dalle parti e di questionari rivolti ai
concorrenti), ritiene non sussistano rischi di natura competitiva. E il torno
argomentativo, che appare in filigrana in tutta la decisione, poggia proprio su
quanto si accennava nelle battute iniziali circa l’estrema rapidità di sviluppo di
tali mercati. Di là dai primi due segmenti – nei quali Microsoft o Skype avreb-
bero rispettivamente apportato un incremento modesto – viene affermato che
anche nel terzo segmento non può ritenersi che una quota cumulativa tanto
elevata sia sufficiente ad indicare un potere di mercato tale da pregiudicare
gli assetti concorrenziali futuri. Il fattore dirimente per approdare a tale con-
clusione sta proprio nel riscontro che il mercato interessato dall’operazione è
caratterizzato da un elevato dinamismo e risulta in piena espansione. Nei primi
due segmenti, nota la Commissione, vi è concorrenza da parte di altri attori
e le quote di Microsoft e Skype hanno per altro fatto registrare una flessione
nel corso del recente passato. Ma anche il segmento delle videochiamate, pur

      1
        Decisione C(2011)7279 che dichiara compatibile con il mercato interno e con l’accordo
sullo Spazio economico europeo (See) l’operazione di concentrazione tra imprese diretta
all’acquisizione di Skype da parte di Microsoft, caso COMP/M.6281 – Microsoft/Skype.
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      a fronte di una quota congiunta attorno al 90%, è in sostanziale evoluzione,
      oltre ad essere caratterizzato da cicli di innovazione brevi, e con l’attiva pre-
      senza di soggetti quali Facebook e Google in grado di rendere vulnerabile
      la posizione di Microsoft/Skype. Non solo, viene rimarcato che in un conte-
      sto altamente innovativo, anche quote congiunte particolarmente elevate non
      possono considerarsi indicative di un potere di mercato, posto che, qualora la
      nuova entità decidesse di rallentare o bloccare le innovazioni, i consumatori
      non avrebbero difficoltà a migrare su piattaforme o fruire di servizi alternativi,
      offerti – sempre gratuitamente – dai concorrenti attuali o potenziali. Infine, la
      presenza di Microsoft sul segmento dei tablet e degli smartphone, dove sono
      attivi Google ed Apple, non è altrettanto forte come in quello delle videochia-
      mate tramite Pc, e ciò contribuisce a rendere difficile che si possa assistere ad
      effetti pregiudizievoli sugli assetti concorrenziali futuri. In definitiva, ribadisce
      la Commissione in diversi passaggi, le quote di mercato sono solo una proxy
      per rilevare il potere di mercato e, in tale circostanza, assume invece un peso
      specifico rilevante la caratura dinamica del mercato, che non può far ritenere
      sussistano rischi che la fusione generi distonie competitive in nessuno dei tre
      segmenti del mercato delle comunicazioni via Internet.
           Un esito del tutto analogo è quello a cui si approda in relazione al se-
      condo profilo, considerato parimenti critico da Cisco e Messagenet. Le due
      società, infatti, lamentavano che la concentrazione avrebbe potuto dar luogo
      ad effetti anticoncorrenziali di natura conglomerale sul mercato della comu-
      nicazione via Internet per le imprese. Più in chiaro. I timori erano in tal
      caso da ricondurre al fatto che la fusione avrebbe consentito a Microsoft di:
      a) riservare al suo prodotto destinato al mercato delle comunicazioni delle
      imprese – Lync – un grado di interoperabilità preferenziale con Skype e, a
      spiovere, con la sua ampia base installata di utenti. Quanto dire che Micro-
      soft avrebbe avuto un forte incentivo a degradare il livello di interoperabilità
      di Skype con i servizi concorrenti, riservandosi un vantaggio concorrenziale
      rispetto agli utenti professionali; b) legare i propri prodotti – in particolare il
      sistema operativo Windows – con Skype, limitando attraverso tale ipotetico
      tying la capacità di competere dei concorrenti; e, infine, c) realizzare un
      bundling commerciale sempre tra Skype e Windows, o con Office.
           Tuttavia, seguendo l’approccio valutativo offerto dalla Comunicazione
      sulle concentrazioni non orizzontali, che come è noto ha introiettato la
      prassi applicativa ed è stato maggiormente tarato su valutazioni di analisi
      economica, la Commissione ha anzitutto ribadito il favor nei confronti delle
      concentrazioni di tipo conglomerale e il convincimento che tale tipologia
      di concentrazione non propizi circostanze tali da danneggiare il gradiente
      competitivo. Nello specifico, infatti, vengono tolti (rapidamente) dal giro tutti
      i presupposti necessari a far scattare l’allarme concorrenziale. La nuova entità
      risultante dalla concentrazione non deriverebbe alcun incentivo a perseguire
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alcuna delle tre teoriche strategie. Non avrebbe senso degradare l’interopera-
bilità di Skype rispetto a piattaforme non-Windows, viene evidenziato, poiché
il valore di Skype (e di tale marchio) risiede proprio nella caratteristica di es-
sere multi-piattaforma. Perseguire itinerari differenti avrebbe dunque l’effetto
di avvantaggiare i prodotti e gli operatori concorrenti. E il medesimo risultato
si determinerebbe nei casi di tying o di bundling commerciale tra Skype
e i prodotti Microsoft. Gli utenti migrerebbero verso piattaforme o servizi
alternativi. Inoltre, quanto agli analoghi timori sollevati in particolare dalle
società di telecomunicazione in relazione ai servizi alle imprese, la Commis-
sione evidenzia che Microsoft (con Lync) non ha una presenza ingombrante,
che Skype non è particolarmente utilizzato in tale specifico segmento, tanto
più nel contesto dei call center, e che continuando Skype ad essere offerto
gratuitamente si preserverà inalterata la facoltà delle aziende di adottarlo per
comunicare con la clientela, o di utilizzare programmi o piattaforme di co-
municazione alternativi. In breve, la probabilità che vengano messe in pratica
le tre ipotetiche strategie anticompetitive è limitata: non vi sono incentivi da
parte di Microsoft, non sussiste la capacità per questa via di pregiudicare la
concorrenza, e tanto meno di produrre un impatto significativo sul mercato.
Quanto basta a concedere l’autorizzazione incondizionata alla fusione. Per
chi abbia seguito l’itinerario della Commissione nelle controversie sull’integra-
zione di Internet Explorer e Media Player (anch’essi forniti gratuitamente) con
il sistema operativo Windows, l’agilità di argomentazione che qui si riscontra,
soprattutto attorno alla capacità di switching degli utenti e al rilievo accordato
al dinamismo del mercato, lascia quantomeno sorpresi.

    III. Al Tribunale. Si arriva così al ricorso presentato da Cisco e Message-
net dinanzi al Tribunale Ue per l’annullamento della decisione2. I motivi del
ricorso poggiano sui due principali profili analizzati dalla Commissione: la
valutazione degli effetti orizzontali della fusione nel mercato delle comunica-
zioni tra privati; e gli effetti conglomerali, in particolare tra i servizi Lync di
Microsoft e la base di utenti di Skype. Entrambi respinti dalla Corte.
    Più in dettaglio. Quanto agli effetti orizzontali, il Tribunale decide di
seguire senza alcun apprezzabile scarto l’impostazione della Commissione,
con ciò dichiarando infondate tutte le censure addotte dalle parti: sulle quote
di mercato, sugli effetti di rete e sul danno alla concorrenza. Anche per i
giudici del Lussemburgo, infatti, il comparto delle comunicazioni per privati
è un «[...] settore recente in piena espansione caratterizzato da cicli di inno-

     2
       V. Ricorso proposto il 15 febbraio 2012 – Cisco Systems e Messagenet/Commissione, causa
T-92/12, in Guue 14.4.2012, C109/31. Nel ricorso figura anche un terzo motivo relativo al fatto che,
secondo le ricorrenti, la Commissione Ue non avesse ottemperato all’obbligo di fornire adeguati
motivi per giustificare l’autorizzazione alla concentrazione nella prima fase, senza considerare
necessario che le parti assumessero specifici impegni.
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      vazione brevi e nei quali grandi quote di mercato possono rivelarsi effimere.
      In siffatto contesto dinamico, le grandi quote di mercato non sono neces-
      sariamente indicative di un potere di mercato e, pertanto, del pregiudizio
      duraturo alla concorrenza che il regolamento n. 139/2004 mira a prevenire»
      (§ 69). Per altro, oltre a ricalcare in toto le argomentazioni della Commissione,
      vien fatto notare che le cifre inserite nella decisione mostrano una fluttua-
      zione nel volgere di pochi mesi della quota di mercato detenuta da Microsoft
      con Windows Live Messenger. Non rileva, come sostengono le ricorrenti,
      che l’indice Herfindahl-Hirschman sia elevato e che ciò avrebbe dovuto sug-
      gerire l’apertura di una fase di analisi più accurata, quanto piuttosto che
      la pressione concorrenziale derivante da piattaforme diverse da quella dei
      Pc – come quella degli smartphone e dei tablet – indichi l’esistenza di una
      vivace concorrenza. Pertanto, anche la sussistenza di una quota di mercato
      aggregata rilevante e di un elevato livello di concentrazione nel segmento
      ristretto delle videochiamate, «di cui la Commissione ha tenuto conto solo
      come ipotesi di lavoro» (§ 74), non possono consentire di ravvisare un potere
      di mercato tale da permettere a Microsoft/Skype di ostacolare significativa-
      mente la concorrenza.
           Parimenti infondata è per la Corte la censura di Cisco e Messagenet volta
      a ritenere che la concentrazione avrebbe prodotto rilevanti effetti di rete, a
      loro volta in grado di rafforzare la posizione dominante della nuova entità nel
      segmento delle chiamate audiovisive. Anche in tal caso, sottolineano i giudici,
      si tratta di «[...] software gratuiti facili da scaricare e che occuperebbero poco
      spazio sui dischi rigidi [degli utenti]» (§ 79). E, in tale prospettiva, è erroneo ri-
      tenere che l’appartenenza degli utenti stessi a gruppi interconnessi di limitate
      dimensioni creerebbe problemi di passaggio da un programma ad un altro, o
      l’utilizzazione contemporanea di più applicazioni. Insomma, quand’anche si
      manifestassero tali effetti, essi non sarebbero sufficienti ad elevare le barriere
      all’ingresso nel mercato.
           Infine, anche l’argomento del danno alla concorrenza conseguente alla fu-
      sione – legato a possibili aumenti di prezzo per la fruizione del servizio o per gli
      inserzionisti pubblicitari; o, ancora, in termini di riduzione della qualità – viene
      respinto risolutamente. A tal riguardo, il collegio, oltre ad evidenziare che simili
      prospettazioni non siano state dimostrate dai ricorrenti, sottolinea una volta di
      più come in presenza di tali eventualità sia gli utenti sia anche altri operatori
      potrebbero rispettivamente scegliere di utilizzare applicazioni differenti o di
      avvantaggiarsi della scelta di Microsoft/Skype di elevare i prezzi per servizi
      erogati gratuitamente o di dar luogo ad una diminuzione della qualità. Quanto
      dire, forse in modo vagamente fideistico, che ogni tentativo di esercitare potere
      di mercato da parte della nuova entità le si rivolterebbe contro. Al netto, però,
      la Commissione non ha commesso alcun errore manifesto di valutazione nel
      concludere che la fusione non avrebbe pregiudicato la concorrenza.
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     Ancor più sbrigativa, ma non meno perentoria, è l’interpretazione del
secondo motivo dedotto dalle ricorrenti, quello relativo al fatto che la fusione
avrebbe propiziato effetti conglomerali anticoncorrenziali nei mercati di co-
municazione per le imprese. La Corte, dopo aver sottolineato che «[...] la teoria
degli effetti di conglomerato addotta dalla Cisco nel procedimento ammini-
strativo è complessa e astratta [...], mentre le concentrazioni che danno luogo
a conglomerati non pongono in linea generale problemi di concorrenza» (§
112), ribadisce che non vi è alcuna prova che le ipotetiche strategie escludenti
avrebbero potuto ragionevolmente realizzarsi, quantomeno nei tre anni suc-
cessivi alla fusione, l’arco temporale che la Commissione aveva correttamente
preso a riferimento. E ciò soprattutto in relazione all’ipotesi di sviluppare un
grado di interoperabilità preferenziale tra Lync e Skype, a danno di prodotti
alternativi. In sostanza: non è dato rilevare alcun ostacolo significativo alla
concorrenza che, stando alla liturgia comunitaria, sia la conseguenza diretta
ed immediata della concentrazione. Tanto più che non sono evidenti i van-
taggi precisamente conseguibili da una maggiore interoperabilità tra i due
prodotti tali da acuire i timori competitivi; mentre le ricorrenti hanno sotto-
stimato la pressione concorrenziale già presente nel mercato anche da parte
di altri importanti soggetti, quali Ibm; oltre a non premurarsi di fornire alcun
elemento in grado di dimostrare concretamente quali benefici avrebbe potuto
conseguire la nuova entità a seguito di eventuali strategie di preclusione del
mercato.
     Anche per il Tribunale, dunque, i rischi di effetti anticompetitivi conglo-
merali lamentati dalle ricorrenti sono, in un mercato dinamico e in piena
evoluzione, delle ipotesi prossime alla speculazione, senza alcuna tangibile
evidenza e in ogni caso non interpretabili quali sbocchi diretti ed immediati
della fusione. Conformemente a quanto anche la Commissione aveva stabilito.
In soldoni, respinti con perdite su tutto il fronte.

     IV. Un paio di chiose. Quali indicazioni è possibile derivare dal caso? Dal
punto di vista tecnico, e in prospettiva generale, il giudizio assume particolare
rilievo nel mostrare come la valutazione delle concentrazioni in mercati carat-
terizzati da una rapida crescita, cicli tecnologici brevi e quote di mercato varia-
mente instabili non sarà imprescindibilmente legata al riscontro dell’ampiezza
delle quote di mercato aggregate e dal livello di concentrazione raggiunto
dalle parti. Piuttosto, sembra che la Commissione, ora con l’avallo del Tribu-
nale Ue, sarà maggiormente incline a considerare la capacità dei concorrenti
di attrarre la clientela e a valorizzare la facoltà per gli utenti di migrare in tali
ambienti competitivi – a quanto sembra, adottando un approccio variamente
indulgente – da un servizio o da una piattaforma a servizi e piattaforme alter-
native. La quota di mercato aggregata delle parti – in termini assoluti e rispetto
ai concorrenti – e l’incremento delle quote, considerati certamente non suffi-
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      cienti a decretare il potere di mercato, ma altrettanto indubbiamente spesso
      reputati approssimazioni affidanti nella prassi applicativa al fine di operare
      tale determinazione, sembrano perdere rilievo in settori innovativi e dinamici.
      Essi possono essere ritenuti quali semplici indizi di una forza concorrenziale.
      Circostanza che sembra suffragare analoghe determinazioni della Commis-
      sione, come nel caso Cisco/Tandenberg (COMP/M.5669, 29 marzo 2010), dove
      una quota congiunta compresa tra il 50 e 60% non è stata ritenuta preoc-
      cupante in termini concorrenziali poiché veniva salvaguardato un livello di
      interoperabilità tale da non accrescere le barriere all’entrata per i concorrenti.
           Un ulteriore elemento di interesse attiene invece alle valutazioni afferenti
      alle strategie e agli effetti che la concentrazione è suscettibile di generare. Si
      tratta, naturalmente, di analisi prospettiche, nelle quali l’istituzione opera una
      complessa valutazione di probabilità sulle conseguenze economiche che pos-
      sono discendere dalla fusione. Eppure, oltre a questa fisiologica alea, sembra
      potersi ritenere che tale esercizio diventi ancor più imperscrutabile proprio
      nei suddetti mercati. Anche in Intel/McAfee (COMP/M.5984, 26 gennaio 2011),
      ad esempio, la Commissione si era trovata a valutare gli eventuali effetti pre-
      giudizievoli della concorrenza scaturenti dalla sovrapposizione tra il maggiore
      produttore al mondo di processori, con il secondo più importante produt-
      tore di software antivirus. In quella circostanza, seguendo il medesimo (three
      stage) process indicato nella comunicazione sulle operazioni non orizzontali
      e seguito nella presente vicenda, si era tuttavia ritenuto che Intel avrebbe de-
      rivato gli incentivi a degradare l’interoperabilità proprio per favorire McAfee.
      Da tale considerazione era infatti discesa l’adozione di specifici impegni. Men-
      tre, come si è osservato, la valutazione prospettica ha qui fatto propendere
      per un orientamento di segno nettamente opposto, basato sull’assunto che
      la medesima strategia avrebbe determinato una contrazione delle vendite per
      Microsoft/Skype.
           Sennonché, anche l’analisi dell’eventuale tying appare in tale circostanza
      piuttosto innovativa, soprattutto se raffrontata ai casi Microsoft del 2004 e
      2009, circa i profili dell’integrazione tra il sistema operativo con, rispettiva-
      mente, il media player e Internet Explorer. Ciò che in quel caso era risultato
      pivotale in termini di danno alla concorrenza – il ruolo del sistema operativo
      per le applicazioni – sembra nel caso attuale molto più sfumato, posto che
      (ora) gli utenti possono agevolmente fruire di applicazioni alternative a Skype.
           Infine, una seconda sollecitazione, molto più generale e che non può che
      essere qui evocata di scorcio, attiene al fatto che le dinamiche nelle quali si
      inserisce anche questa vicenda vedano sostanzialmente relegati in un ruolo
      di spettatori i protagonisti europei delle comunicazioni. In sostanza: nessuno
      degli attori principali di tale rivoluzione intona l’inno alla gioia. E, con l’acqui-
      sizione di Nokia e Skype (entrambe con natali comunitari), sembra che siano
      rimaste in campo solo le società di telecomunicazione. Proprio nei confronti
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delle quali sono stati rivolti calorosi inviti – si passi l’eufemismo – a modificare
radicalmente i relativi modelli di business per renderli maggiormente adatti
ad affrontare le sfide dell’ambiente digitale. In proposito, Neelie Kroes ha
offerto una ruvida requisitoria nei confronti delle Telcos europee e una molto
inferiore critica verso i ritardi e gli errori nel completamento del mercato
europeo (delle comunicazioni), invitandole a riconsiderare in toto le proprie
strategie economico-commerciali e a non riposare sui modelli del passato3.
Di tenore simile, ma più tarato sui guasti del digital single market, è da ultimo
apparso il recente intervento di Jean-Claude Juncker, teso ad evidenziare che
in presenza di 28 mercati nazionali, con altrettante autorità ed impianti di
regolazione, e facendo affidamento su una policy volta a propiziare una qual-
che concorrenza soprattutto all’interno di ognuno di tali segmenti nazionali,
si rischia di non essere attrezzati a fronteggiare adeguatamente l’entità delle
sfide competitive e dei cambiamenti in atto4.
     In conclusione – a prescindere dal gradiente di fiducia verso le capacità
comunitarie di propiziare la crescita attraverso agende complessive (di cui il
recente track-record non consente di alimentare facili entusiasmi), o di far
autonomamente leva sul memento smithiano – si tratta di richiami autorevoli,
che la vicenda in commento obbliga ancor più a non derubricare in un qual-
che limbo dell’irrilevanza (nazionale).

Nota bibliografica
     In tema di concentrazioni, v. A. Lindsay, A. Berridge, The EU Merger Regula-
tion: Substantive Issues, London, Sweet and Maxwell, 2012; A. Jones, B. Sufrin,
EU Competition Law: Text, Cases, and Materials, Oxford, Oxford University
Press, 2011, pp. 854 ss.; P. Fattori, M. Todino, La disciplina della concorrenza
in Italia, Bologna, Il Mulino, 2010, pp. 347 ss.; E.N. Varona, A.F. Galarza, J.F.
Crespo, J.B. Alonso, Merger Control in the European Union, Oxford, Oxford
University Press, 2007; S. Bishop, A. Lofaro, F. Rosati, J. Young, The Efficiency-
Enhancing Effects of Non-Horizontal Mergers, Report for Enterprise and Indu-
stry Directorate-General, European Commission, Bruxelles, 2005, disponibile
on-line a: http://europa.eu.int/comm/enterprise/library/lib-competition/libr-
competition.html; M. De la Mano, For the Customer’s Sake: The Competitive
Effects of Efficiencies in European Merger Control, Luxembourg, Office for
Official Publications of the European Communities, 2002.

      3
        Cfr. N. Kroes, A Vision for Europe, Speech/14/49, Davos, 22 January 2014, nel quale la
vice presidente della Commissione Ue, nell’affrontare il tema del cambiamento e della crescita
nell’economia digitale, afferma: «[t]ake telecoms companies. Too often, business models are still
based on yesterday’s services and yesterday’s rip-offs, rather than the digital opportunities of
tomorrow. Their ambitions are fitted to national markets, and constrained within national borders;
they cannot reach the scale for global success», a p. 3.
      4
        J. Fontanella-Khan, D. Thomas, Jean-Claude Juncker Seeks to Open Door for EU Telecoms
Deals, in «Financial Times», April 16, 2014.
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          In particolare, sugli effetti conglomerali, v. anche, J.R. Church, The Impact
      of Vertical and Conglomerate Mergers on Competition, Bruxelles, European
      Commission, 2004; nonché L.G. Goldberg, The Effect of Conglomerate Mergers
      on Competition, in «Journal of Law and Economics», vol. 16, 1973, pp. 137 ss.

                                                                 [Andrea Giannaccari]
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