La comunità bengalese nell'area di Monfalcone - Integrazione Migranti
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REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA Direzione centrale lavoro, formazione, istruzione, pari opportunità, politiche giovanili e ricerca Area Agenzia Regionale per il Lavoro La comunità bengalese nell’area di Monfalcone rapporto di ricerca Gennaio 2017 Paolo Attanasio
Introduzione Il presente studio costituisce parte integrante dell’azione di riqualificazione del sistema dei servizi prevista dall’Accordo per la programmazione e lo sviluppo di un sistema di interventi finalizzati a favorire l’integrazione sociale e l’inserimento lavorativo dei migranti regolarmente presenti in Italia, stipulato fra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e la Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. In quanto parte del Piano regionale integrato degli interventi in materia di inserimento lavorativo e di integrazione sociale dei migranti, l’Accordo (art. 3) prevede una serie di interventi1 specificamente vòlti ad agevolare l’accesso dell’utenza immigrata al mercato del lavoro, pietra angolare e vera ragion d’essere di ogni progetto migratorio. In questo senso, l’attività qualificante dell’iniziativa consiste nel rafforzamento del ruolo dei Centri per l’impiego, ora in capo alla Regione FVG2, come collettori dell’offerta di lavoro proveniente dai cittadini stranieri. Da ultimo, è anche intervenuta la nuova legge regionale sull’immigrazione (LR 9 dicembre 2015, n. 31, “Norme per l’integrazione sociale delle persone straniere immigrate”) che, nell’ambito della disciplina sull’inserimento lavorativo, prevede espressamente che la Regione e gli Enti locali individuino “i centri per l’impiego presso i quali istituire servizi di mediazione socio-culturale per i destinatari della presente legge” (art. 22, co. 2, lett c). Per venire dunque incontro alle esigenze di questi ultimi in maniera concreta ed efficace, la legge valorizza il ruolo dei CPI di facilitatori dell’interazione con il mondo del lavoro non soltanto a livello meramente linguistico, ma anche (e forse soprattutto) per facilitare l’interazione culturale fra le diverse componenti della società a livello territoriale. Il lavoratore straniero ha infatti bisogno, in misura maggiore rispetto 1 Fra i quali “aumentare la partecipazione della popolazione immigrata regolarmente presente in Italia alle politiche attive del lavoro “ (art. 3, co. 1) e “promuovere programmi di inserimento socio-lavorativo rivolti a target vulnerabili della popolazione immigrata” (art. 3, co. 3). 2 In proposito, v. LR 29 maggio 2015, n. 13 “Istituzione dell’area Agenzia regionale per il lavoro e modifiche della legge regionale 9 agosto 2005, n. 18 (Norme regionali per l’occupazione, la tutela e la qualità del lavoro), nonché di altre leggi regionali in materia di lavoro” 2
all’autoctono, di un accompagnamento alle procedure e alle modalità di accesso al mercato del lavoro, che lo aiutino a colmare quel complesso gap fatto di insufficienza di competenze linguistiche, ma anche di scarsità di capitale sociale e relazionale, come pure di mancata valorizzazione di titoli di studio pregressi e lo mettano finalmente in condizioni di essere adeguatamente attrezzato per affrontare la sfida del mercato del lavoro3. A livello sperimentale, il Servizio di mediazione interculturale verrà inizialmente proposto nel territorio provinciale di Pordenone e nell’area di Monfalcone. Si tratta di due territori fortemente connotati dall’attività industriale e dalla presenza preponderante (fra i non comunitari) di due comunità nazionali, provenienti rispettivamente dal Ghana e dal Bangladesh che, come si vedrà meglio più avanti, costituiscono una percentuale rilevante della presenza straniera complessiva in ciascuno dei due territori. Il presente studio ha dunque una funzione idealmente propedeutica rispetto alle attività suesposte, in quanto si propone di gettare nuova luce sul processo di integrazione delle due comunità, evidenziandone gli eventuali punti deboli nonché la potenzialità delle misure progettate di porvi rimedio. Obiettivi, metodologia e articolazione dello studio Come accennato sopra, lo studio che segue ha come obiettivo principale quello di fornire una fotografia il più possibile accurata delle principali caratteristiche delle due comunità immigrate, capace di fornire un contributo alla messa in atto di politiche mirate all’inserimento (o al reinserimento) nel mercato del lavoro locale. Considerando però che il lavoro costituisce soltanto una parte del processo di integrazione, lo studio cercherà (per quanto possibile) di spaziare nei diversi ambiti dell’inclusione socio-economico- 3 Per un ulteriore approfondimento, si veda anche Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Programmazione pluriennale in tema di politiche del lavoro e dell’integrazione 2014-2020 (attualmente in fase di rimodulazione), in http://www.integrazionemigranti.gov.it/leregioni/friuli-venezia-giulia/Pagine/Piano-integrato- di-intervento-regionale.aspx 3
culturale dei cittadini delle comunità oggetto dell’indagine; un’integrazione riuscita, e un sistema di relazioni positive con il contesto territoriale costituiscono infatti il necessario corollario perché l’inserimento nella nuova società sia il più possibile armonico e portatore di benefici reciproci. Per quanto riguarda l’approccio metodologico, il lavoro si basa essenzialmente sul reperimento e la sistematizzazione di dati esistenti, riguardanti la storia migratoria, la consistenza numerica, la composizione familiare, l’integrazione sociale, culturale, scolastica e lavorativa delle comunità oggetto dell’incarico. Nella misura del possibile, si cercherà inoltre di verificare le evidenze risultanti dai dati raccolti e le ipotesi in base ad essi formulate con una serie di riscontri qualitativi, costituiti essenzialmente da colloqui con testimoni privilegiati (istituzioni di governo del territorio, datori di lavoro, scuole, individualità particolarmente rappresentative di ciascuna delle due comunità) e da interviste semi-strutturate con alcuni membri delle rispettive comunità, selezionati in base al loro progetto migratorio. Si tratta quindi di uno studio di impostazione quali- quantitativa, con un “occhio di riguardo”, però, alle aggregazioni associative espresse dalle due comunità, dato che dal documento di progetto si evince che “l’intervento consoliderà la rappresentatività delle associazioni dei migranti e delle associazioni per l’integrazione dei migranti (...) invitandoli, di volta in volta, quali interlocutori privilegiati della P.A. allo scopo di rilevare/rispondere a bisogni di target mirati”. In ottemperanza a questa linea di indirizzo, la parte qualitativa del lavoro cerca di scavare più in profondità nelle modalità di aggregazione delle due comunità, per poter mettere a disposizione della successiva azione progettuale canali di comunicazione che consentano un contatto non mediato con la realtà socio/culturale dei due gruppi, e, come conseguenza, di portare l’offerta del nuovo servizio direttamente all’attenzione degli interessati. Dato che l’oggetto dello studio è costituito da due gruppi nazionali, si è ritenuto opportuno iniziare con una breve panoramica sulle principali caratteristiche del paese di provenienza, per mettere in luce fattori storico-economici che possono influenzare in maniera 4
rilevante le dinamiche migratorie dei suoi cittadini4. Si prosegue poi, sempre seguendo un’ottica che va dal generale al particolare, con le caratteristiche della migrazione di ciascuna delle due comunità, concentrandosi, dopo brevi cenni di carattere globale, sulla situazione nazionale e regionale, fino a considerare più nel dettaglio l’area di intervento specifico. Una volta inquadrato il fenomeno locale a livello di presenze attuali e di trend storici, si passerà ad esaminare, sulla base dei dati forniti dall’Agenzia regionale per il lavoro, le dinamiche occupazionali delle due comunità nei rispettivi territori, con particolare riguardo alle modalità contrattuali di lavoro, nell’intento di mettere in luce le tendenze conseguenti alla crisi occupazionale ed economica che ha colpito i due territori e in particolare le comunità oggetto dello studio. Il focus sulla situazione lavorativa proseguirà poi con i dati (anch’essi di fonte regionale) riguardanti l’utilizzo (attuale e degli ultimi sette-otto anni) dei servizi dei Centri per l’Impiego da parte dei lavoratori stranieri: ciò servirà come base (in sede di valutazione dell’attività) per verificare il livello di gradimento della mediazione interculturale che verrà successivamente sperimentata nel corso del progetto. Le parti successive (di impostazione maggiormente qualitativa) si concentreranno rispettivamente sulla dimensione familiare, alloggiativa e scolastica della migrazione e del processo di integrazione, sulla base (oltre che di alcuni dati sulle presenze forniti dalle scuole e dalle amministrazioni comunali) di colloqui con personale scolastico, mediatrici interculturali e appartenenti alle due comunità. Seguirà poi una ricognizione dell’associazionismo delle due comunità, sulla base delle interviste effettuate con presidenti di associazioni nazionali e rappresentanti delle maggiori comunità religiose. 4 Dati i limiti spazio-temporali del presente studio, non sarà ovviamente possibile dargli quello spazio di analisi transnazionale raccomandato dalle più recenti tendenze della ricerca, che tende a non limitare lo studio di ogni comunità soltanto al paese di insediamento, ma lo estende anche a quello di origine. V. in proposito A. Priori, Romer Probashira, Reti sociali e itinerari transnazionali bangladesi a Roma, Meti edizioni 2012, p. 15 e ss. 5
Inquadramento storico-politico-economico del Paese I movimenti migratori dal Bangladesh sono strettamente interconnessi con la storia recente del Paese, colonia britannica per oltre 200 anni. Dopo essere stata suddivisa fra diversi regni nell’antichità, la regione del Bengala ha subito la conquista islamica a partire dagli inizi del XIII secolo, portata da missionari, sufi e mercanti medio-orientali. Seguendo una modalità della conquista coloniale ampiamente sperimentata in diversi contesti, l’assoggettamento alla corona inglese (1858) è stato preceduto da oltre un secolo di dominazione della Compagnia inglese delle Indie Orientali (cfr. Quattrocchi, 2003, pp. 19-20; Priori, 2012, p. 31 e ss.). L’odierno Bangladesh è il risultato della partition britannica, che nel 1947 diede vita a due stati indipendenti e separati, India e Pakistan. La regione del Bengala venne suddivisa secondo confini religiosi: la parte occidentale diventò lo stato indiano del West Bengal, mentre quella orientale, a predominanza musulmana, prese il nome di Pakistan orientale. Le crescenti frizioni interne al Pakistan (che era comunque diviso da oltre 1.600 km di territorio indiano) sfociarono in una brevissima e sanguinosa guerra di indipendenza, dalla quale sorse nel 1971 il Bangladesh nei suoi confini attuali. Oggi, la repubblica popolare del Bangladesh (People’s Republic of Bangladesh) è uno dei paesi più popolosi al mondo, con una superficie (147.570 kmq) inferiore alla metà di quella italiana e una popolazione stimata in 161 milioni (UN population statistics, 2015). Attualmente (2015) la diaspora bengalese all’estero conta oltre 7 milioni di persone (7.205.410), quasi quintuplicate rispetto ai 1.493.000 del 2003 e cresciute di due volte e mezzo dai 2.908.000 del 2010 (IBRD, World Development Indicators 2013). Gli immigrati presenti nel paese sono quasi un milione e mezzo (1.422.805). Le previsioni al 2050 stimano per il Bangladesh una popolazione totale di oltre 202 milioni di abitanti (IDOS, 2016, 23). L’indice di sviluppo umano del Bangladesh (0,570), che lo pone attualmente al 142° posto nel mondo (in terzultima posizione fra i paesi a sviluppo umano medio, prima della Cambogia e di Sao Tomé e Principe) è sostanzialmente stagnante a partire dal 2010, 6
dopo aver conosciuto una discreta crescita nei due decenni precedenti (UN Human Development Report 2015, Statistical Annex, Human Development Index Trends 1990-2014) La diaspora europea e italiana La regione del Bengala ha una grande tradizione storica, da sempre al centro delle rotte commerciali che collegavano Europa e Asia (cfr. Priori, 2012, p. 31): “le città del Bengala erano luoghi cosmopoliti dove beni e valute cambiavano di mano e dove si mescolavano idee da tutto il mondo conosciuto” (Van Schendel 2009, p. 43). Sulla base di questa consolidata tradizione si inserì il reclutamento massiccio di marinai da parte della Compagnia delle Indie Orientali, spesso attraverso l’intermediazione di broker indiani, che diede vita alle prime comunità di bengalesi in terraferma, soprattutto a Londra, oltre che in vari porti asiatici e degli Stati Uniti. L’emanazione del British Nationality Act nel 1948, che liberalizzava la permanenza nel Regno Unito di tutti i cittadini delle ex-colonie, contribuì molto ad ingrossare le fila della comunità bangla a Londra, che, con i suoi 6.000 componenti, raccoglieva negli anni ‘60 la quasi totalità degli emigranti bengalesi oltremare. Anche le successive restrizioni introdotte dal legislatore britannico, paradossalmente, hanno contribuito ad irrobustire la presenza dei bengalesi sull’isola, rafforzandone la catena migratoria (cfr. Demaio, Pittau, 2009, p. 329 e ss.): il Commonwealth Immigration Act del 1962 riservava infatti l’ingresso nel Paese a quanti potevano dimostrare di essere stati chiamati da un datore di lavoro locale (cfr. Priori, 2012, p. 37). A riprova del ruolo fondamentale della legislazione nella disciplina dei flussi migratori, fu ancora un provvedimento del 1971 (Immigration Act) ad imprimere una svolta ai destini delle comunità bengalesi: dato che la legge consentiva l’ingresso solo a quanti potevano dimostrare un legame di parentela con un immigrato già presente nel Paese, il ruolo dei ricongiungimenti familiari crebbe di importanza nella composizione della comunità, portando alla stabilizzazione e al radicamento del soggiorno. 7
Se il Regno Unito (a causa dei legami storico-coloniali accennati sopra) è stata la prima e principale mèta degli emigranti bengalesi oltremare, a partire dagli anni ‘70 si assiste ad una progressiva diversificazione delle rotte migratorie, che li portarono a stabilirsi sia in Medioriente che nell’Europa centrale, orientale, e mediterranea. Il boom economico generato dall’aumento dei prezzi del petrolio nel 1973-74 da’ origine, nei paesi del Golfo, a forti richieste di manodopera straniera che, se all’inizio si dirige essenzialmente verso professioni qualificate, negli anni ‘90 si concentrerà soprattutto sulla forza-lavoro a basso costo, con conseguente scarso prestigio sociale (cfr. Quattrocchi, 2003, p. 49) L’afflusso verso Germania e Francia fu invece originato rispettivamente da un forte afflusso di profughi alla metà degli anni ‘70 e dalle aspettative create dall’elezione di un presidente socialista (François Mitterrand). Nel giro di due decenni, però, i flussi si sarebbero diretti in maniera consistente verso i paesi mediterranei come Spagna, Grecia e Italia: a questo cambio di rotta contribuirono da una parte le restrizioni all’ingresso introdotte dalla Francia (e ancor prima dalla Germania) e dall’altra il rapido esaurirsi delle speranze di accoglienza nei Paesi dell’ex-blocco socialista post-89, deluse dalle difficoltà economiche della transizione e dalle crescenti ondate di razzismo. I paesi mediterranei, invece, erano a quell’epoca caratterizzati al tempo stesso da un’economia relativamente avanzata, da una forte permeabilità geografica e anche da un livello di controlli relativamente lasco (cfr. Quattrocchi, 2003, p. 58). Questo insieme di ragioni fece sì che, all’inizio del XXI secolo, la comunità bengalese contasse circa 7.000 membri in Spagna, 11.000 in Grecia e ben 70.000 in Italia (Priori, 2012, p. 59). In realtà, le prime tracce di presenza bengalese risalgono agli anni ‘70, ma si tratta di poche centinaia di persone, concentrate perlopiù a Roma. E’ invece alla fine degli anni ’80 che vengono a concentrarsi sull’Italia una serie di accadimenti (nazionali e globali) ai quali si fa concordemente risalire la formazione di una comunità nazionale bengalese nel nostro Paese. Mentre da una parte si inaridiscono le prospettive che sembravano essersi aperte nei paesi arabi del Golfo (v. sopra), dall’altra l’Italia lancia, con la legge Martelli (l. 39/1990) una sanatoria dai confini estremamente ampi, 8
che viene accordata a chiunque sia in grado di dimostrare la propria presenza sul territorio nazionale al 31 dicembre 1989, indipendentemente dal possesso di un contratto di lavoro. La sanatoria porta alla regolarizzazione di 4.296 bengalesi (Priori, 2012, p. 63) che vanno a costituire il primo nucleo stabile di immigrazione in Italia e che si stabiliscono prevalentemente a Roma (dove ancora nel 1991 risiedeva il 92% di tutti i bengalesi d’Italia). Se la sistemazione alloggiativa era improntata ad un’estrema precarietà (i bengalesi erano infatti presenti in misura rilevante fra gli occupanti del pastificio abbandonato “Pantanella” di Roma), l’inserimento lavorativo era diversificato: accanto ad una rilevante presenza in settori marginali (come quello delle vendite ambulanti, soprattutto per quanti erano privi di permesso di soggiorno), i bengalesi erano presenti anche nel settore alberghiero e nella ristorazione, seppure in ruoli non a contatto con il pubblico (cucine, pulizia camere, etc.). A proposito delle modalità di ingresso nel mercato del lavoro, e con uno sguardo alla situazione attuale dell’impiego dei bengalesi a Monfalcone, è interessante notare l’opinione di Priori, che, sulla base di un lavoro di Knights (1996) ritiene che la collettività mostri una spiccata preferenza per il sistema del passaparola, “evitando qualsiasi forma di mediazione formale” (Priori, 2012, p. 66). Un altro dato interessante è che, già ai tempi della prima presenza a Roma, metà dei bengalesi erano originari della città di Shariatpur (Mantovan, 2003, p. 286). Nel contesto monfalconese (come si vedrà più avanti) l’associazione dei “paesani” (come essi stessi si definiscono) di Shariatpur appare l’aggregazione più consistente, in termini numerici, fra quelle che si rifanno ad una comune provenienza infranazionale. La presenza in Italia L’Italia, nonostante rappresenti per molti stranieri una cd. “migrazione opportunista” (cioè originata da una serie di circostanze storiche e geo-politiche che abbiamo brevemente riassunto sopra), mantiene intatta, almeno per i migranti provenienti dal Bangladesh, la sua forza di attrazione. La presenza bengalese nel nostro Paese è infatti andata progressivamente consolidandosi, fino a contare, al 9
1° gennaio 2016, 143.870 titolari di un permesso di soggiorno e 118.790 residenti. La percentuale femminile a livello nazionale è del 29,2%, mentre in oltre la metà dei casi (54,5%) si tratta di permessi di soggiorno senza scadenza. Il restante 45,5% di titoli di soggiorno a termine è a sua volta composto dal 59,3 % di permessi per motivi di lavoro, 28,3% per motivi di famiglia e solo l’11,2% per protezione internazionale. Anche il numero dei residenti è andato crescendo in misura considerevole negli ultimi anni, facendo registrare un aumento del 115% fra il 2008 e il 2016 (e quindi ben più consistente sia del 79% degli immigrati asiatici che del 46% degli stranieri in generale), come si vede chiaramente dai valori assoluti contenuti nella seguente tabella: Tab. 1. Cittadini stranieri residenti in Italia. Serie storica 2008-2016 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 55.242 65.529 73.965 82.451 81.683 92.695 111.223 115.301 118.790 Bangl. 551.985 616.060 687.365 765.696 719.376 803.846 931.281 969.445 989.438 Asia 3.432.651 3.891.295 4.235.059 4.570.317 4.052.081 4.387.721 4.922.085 5.014.437 5.026.153 Totale Fonte: elaborazione su dati ISTAT In termini relativi, i bengalesi rappresentano l’ottava comunità straniera in Italia, dopo i romeni, gli albanesi, i marocchini, i cinesi, gli ucraini, i filippini e gli indiani. A livello regionale e locale, il Lazio si conferma la prima regione di residenza per la comunità bengalese in Italia, sia a livello di cifre assolute (32.553) che in termini di incidenza (5% del totale degli stranieri). La maggiore concentrazione si trova a Roma, che con quasi 29.000 residenti bengalesi, continua a costituire il maggior polo di attrazione nazionale (fonte ISTAT al 1° gennaio 2016). Il Friuli Venezia Giulia, dove i 3.544 residenti bengalesi rappresentano il 3,4% del totale degli stranieri residenti, è la quarta regione (dopo Lazio, Sicilia e Veneto) per incidenza del gruppo sul 10
totale delle presenze straniere costituisce quindi un importante punto di riferimento per la comunità nazionale. La presenza in Friuli Venezia Giulia e nell’area specifica Come si è visto, fino ai primi anni del decennio la presenza bengalese era concentrata essenzialmente su Roma, che già al 1° gennaio 2001 ne ospitava oltre un terzo del totale (6.813 su 17.894). La provincia più importante, all’interno del Friuli Venezia Giulia, era quella di Gorizia, che comunque contava appena 112 presenze. E’ proprio a partire dalla fine degli anni ‘90 che la comunità bengalese in Italia inizia a spostarsi dalla capitale, prevalentemente verso i centri medio-grandi del Nord, attirata dalle maggiori opportunità di lavoro5. Attualmente (1° gennaio 2016), come accennato sopra, i residenti bengalesi in Friuli Venezia Giulia sono 3.544, con un aumento di quasi il 73% rispetto al 2008, un trend tutto sommato non lontano dalla crescita dei cittadini asiatici in regione (76,5%), ma decisamente superiore se confrontato al 26,3% dei cittadini stranieri nella loro totalità. Tab. 2. Cittadini stranieri residenti in Friuli Venezia Giulia. Serie storica 2008-2016 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 Bangl. 2.050 2.595 2.875 3.014 2.802 3.191 3.439 3.569 3.544 Asia 7.397 8.829 9.866 10.640 10.068 11.161 12.059 12.443 13.056 Totale 83.306 94.976 100.850 105.286 97.327 102.568 107.917 107.559 105.222 Fonte: elaborazione su dati ISTAT La gran parte della popolazione bengalese in Friuli Venezia Giulia si concentra, come evidenziato dalla tabella seguente, in provincia di Gorizia. 5 Unica eccezione, Palermo, dove già a partire dal 1990 i bengalesi sono presenti in misura consistente, e nel 2000 sfiorano le 1.600 presenze. 11
Tab. 3. Friuli Venezia Giulia: Residenti bengalesi per provincia (01.01.2016) Gorizia Pordenone Trieste Udine FVG Nord-Est Italia Res. Bangladesh 2.164 765 241 364 3.544 31.048 118.790 Totale stranieri 12.692 32.438 20.243 39.849 105.222 1.321.542 5.026.153 La tabella mostra anche chiaramente la forte incidenza della comunità bengalese sul totale degli stranieri in provincia di Gorizia, che si attesta al 17% circa. Nel panorama delle presenze straniere in provincia di Gorizia, inoltre, i bengalesi rappresentano la prima comunità in assoluto, come si vede dalla tabella seguente: Tab. 4: prime 8 nazionalità in provincia di Gorizia (01.01.2016) Nazionalità Prov. GO % su tot. stranieri (12.692) Bangladesh 2.164 17,0% Romania 1.906 15,0% Bosnia-Erzegovina 995 7,8% Croazia 835 6,6% Kosovo 723 5,7% Macedonia 699 5,5 Slovenia 531 4,2 Cina 485 3,8 Fonte: elaborazione su dati ISTAT Dalla tabella si evince inoltre un panorama che, al di là dei bengalesi (e dei cinesi, ottava nazionalità presente in provincia), si compone essenzialmente di paesi dell’Europa orientale e segnatamente dell’ex-Jugoslavia (i cittadini serbi sono a quota 377). L’attuale peso specifico relativo delle varie nazionalità presenti in provincia di Gorizia è frutto di un’evoluzione storica nel medio periodo, dato che nel 2003 al primo posto figuravano gli sloveni (con 1.144 presenze, più del doppio delle attuali) e i bengalesi (con 364 residenti) erano soltanto al quinto posto, dopo Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Jugoslavia (dati Questura di Gorizia al 19.04.2003, in Quattrocchi, 2003, p. 68). Ovviamente ogni collettività nazionale ha seguito trend di evoluzione diversi della 12
propria presenza sul territorio, ma quella bengalese è la comunità che (dopo la romena) si è maggiormente rafforzata in provincia. La classifica della maggiori nazionalità rappresentate cambia leggermente se, al posto della provincia di Gorizia, prendiamo in esame il territorio di Monfalcone. Il dato interessante, in questo caso, è che, diversamente dalle altre nazionalità considerate, i bengalesi della provincia di Gorizia risiedono in grandissima parte (il 90%) proprio nel Comune di Monfalcone, a conferma della centralità assoluta del Comune oggetto dell’indagine nel contesto della provincia di appartenenza. A sua volta, Monfalcone accoglie oltre la metà (55%) dei bengalesi residenti in regione. Il progressivo radicamento dei bengalesi in provincia di Gorizia è anche testimoniato dal dato sulle acquisizioni di cittadinanza italiana, come confermato dai dati ufficiali ottenuti dalla Prefettura di Gorizia: se nel 2008 e nel 2009 queste sono assenti, cominciano invece a prodursi a partire dal 2010, con un unico caso; l’anno di maggior frequenza è il 2014, quando le acquisizioni sono state un totale di 44, contro le 7 dell’anno precedente. Nel 2015 si assiste ad una leggera flessione, che porta il totale dell’anno a 39 (5.953 a livello nazionale, v. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2016, p. 7). Se rapportiamo il numero di concessioni di cittadinanze al totale della popolazione bengalese presente, vediamo che, mentre a livello nazionale queste hanno rappresentato il 5% (1 residente bengalese su 20 è diventato cittadino italiano), a livello provinciale ciò è avvenuto soltanto nell’1,8% dei casi (1 residente su 55). Al di là dei totali generali, va notato che la stragrande maggioranza si riferisce a naturalizzazioni, e cioè ad acquisizioni di cittadinanza per residenza superiore a dieci anni: soltanto tre casi (uno nel 2014 e due nel 2015) riguardano l’acquisizione ex art. 5 della legge sulla cittadinanza, e cioè per matrimonio con coniuge cittadino italiano (che in un caso ha riguardato un uomo e nei restanti due donne). I dati mostrano anche che, delle 44 acquisizioni del 2014, ben 41 riguardavano uomini, e che soltanto sei delle acquisizioni del 2015 hanno interessato donne. Se le acquisizioni di cittadinanza forniscono un’indicazione riguardo al grado di stabilità (e all’investimento sul loro futuro in Italia) degli 13
immigrati stranieri, i dati sulle sottoscrizioni di accordi di integrazione6 costituiscono invece un indicatore interessante per misurare l’andamento dei nuovi arrivi. Fra il 2012 e il 2015 il dato per tutti gli stranieri si mantiene costante ad un totale di 401 accordi, con una leggera caduta (da 394 a 362) nel passaggio fra il 2013 e il 2014. Inversa appare invece la tendenza della comunità bengalese che, pur sostanzialmente stabile fra i 77 accordi sottoscritti nel 2012 e i 68 del 2015, ha conosciuto nel 2014 (contrariamente a quanto avvenuto per la totalità degli stranieri) un balzo in avanti del 62%, che l’ha portata da 74 a 120. Che la provincia di Gorizia e il Comune di Monfalcone siano, dal punto di vista della residenza dei bengalesi, quasi sovrapponibili, viene confermato anche dalla tabella seguente, da cui si vede che la situazione illustrata è costante nel tempo e caratterizza quindi in maniera stabile l’insediamento bengalese in provincia di Gorizia (e in regione). D’altro canto, il Comune di Monfalcone si sovrappone anche alla cd. area omonima, data l’irrilevanza relativa dei residenti bengalesi nei comuni di Staranzano e Ronchi dei Legionari. Questa situazione di crescita costante (anche se lenta) delle residenze a Monfalcone non trova però un preciso riscontro nelle interviste: Alcuni sono andati via nel 2013-2014 in altri paesi, perché aspettavano lavoro, e non hanno trovato lavoro... tanti sono usciti da Monfalcone e sono andati a cercare lavoro a Roma, a Milano... adesso sono circa 2.000... adesso però la crisi è passata all’80%, nei cantieri c’è di nuovo lavoro... Prima tanti amici venivano a cercare a me aiutami a cercare un lavoro, parli con altri, parli con altra ditta, io sono tanto tempo in disoccupazione... adesso sento veramente poco, vuol dire che si sta sistemando... (Presidente di associazione) in quanto probabilmente si tratta di trasferimenti non definitivi, e che quindi non hanno comportato il cambio di residenza. Tab. 5. Residenti bengalesi area di Monfalcone e provincia di Gorizia. Serie storica 2008-2016 6 Obbligo introdotto nel 2012, e che riguarda tutti gli stranieri che ricevono per la prima volta un permesso di soggiorno. 14
2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 Monfalcone 973 1.265 1.437 1.455 1.338 1.583 1.739 1.866 1.945 Staranzano 0 0 0 0 4 11 20 17 16 Ronchi dei L. 0 0 7 5 4 3 4 6 8 Prov. GO Bgd. 1.068 1.380 1.566 1.650 1.450 1.735 1.955 1.866 2.164 Prov. GO tot. 8.360 9.688 10.484 10.870 10.088 11.222 12.067 12.546 12.692 La tendenza storica al rafforzamento sul territorio provinciale, cui si è accennato sopra, si ritrova in gran parte anche se si fa riferimento al Comune di Monfalcone. Come si vede dalla tabella che segue, un terzo di tutti gli stranieri presenti nel Comune è di nazionalità bengalese, che rappresenta quindi un attore da non sottovalutare nel contesto dell’immigrazione locale. Se però escludiamo dal conto i cittadini comunitari (che, com’è noto, almeno da un punto di vista giuridico-amministrativo, sono equiparati ai cittadini nazionali) e consideriamo soltanto i 3.642 residenti non comunitari, ecco che i bengalesi diventano oltre la metà del totale (53,4%) e dunque interlocutori imprescindibili dell’amministrazione pubblica per ogni politica di integrazione nel tessuto socio-economico e culturale locale. Tab. 6: Prime 8 nazionalità residenti nel Comune di Monfalcone, 01.01.2016 Nazionalità Monfalcone % su tot. stranieri (5.776) Bangladesh 1.945 33,6 Romania 1.000 17,3 Croazia 455 7,9 Bosnia-Erzegovina 381 6,6 Macedonia 292 5,0 Somalia 184 3,2 Albania 165 2,8 Cina 159 2,7 Fonte: elaborazione su dati Servizi demografici del Comune di Monfalcone Per quanto riguarda infine la presenza di minori, rileviamo che a Monfalcone questa è notevolmente più alta che a livello nazionale: i minori bengalesi (fino al 19° anno di età) sono infatti il 35% (un dato grosso modo costante a partire dal 2008, con fluttuazioni intorno 15
all’1%) nel Comune di Monfalcone (dati Servizi Demografici comunali) contro il 24,2% a livello nazionale (v. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2016, p. 14). La condizione femminile Dopo aver tratteggiato da un punto di vista statistico-quantitativo l’importanza e il ruolo della comunità bengalese nel contesto cittadino di Monfalcone, passiamo ora ad esaminare brevemente altri aspetti relativi alla comunità, primo fra tutti quello della ripartizione per genere. A livello nazionale, le comunità asiatiche sono fra quelle che presentano una minore presenza femminile, e quella monfalconese non fa eccezione. Può però essere interessante verificare se e in quale misura la situazione locale si discosta da quella nazionale, e soprattutto se, nel corso della storia migratoria della comunità, si intravedono tendenze evolutive. Come si diceva, a livello nazionale, le donne bengalesi rappresentano soltanto il 29,2% del totale della comunità, mentre la componente femminile totale dell’immigrazione si attesta ormai al 52,6%. Si tratta ovviamente di un valore medio, che tiene conto di comunità a forte prevalenza femminile, come quella ucraina (78,8%) ed altre caratterizzate da una preponderante presenza maschile, come ad esempio, oltre alla già citata comunità bengalese, la nazionalità senegalese (27,1%). Nel contesto monfalconese odierno, sui 1.945 residenti bengalesi, 795 (quasi il 41%) sono donne, percentuale peraltro identica a quella della provincia di Gorizia, per i motivi sopra esposti. A partire dal 1999, quando le donne bengalesi erano soltanto il 3% del totale (63), la situazione è andata gradualmente evolvendosi nel senso di una maggiore „familiarizzazione“ di un processo migratorio che all’inizio era partito come totalmente maschile (cfr. Quattrocchi, 2003, pp. 78-79). Dieci anni dopo, infatti, nel 2008, i dati dei servizi demografici del Comune di Monfalcone ci consegnano una fotografia della composizione della comunità bengalese in cui le donne sfiorano il 36%, fino ad arrivare al 41% attuale. Il fatto che la percentuale fra i generi tenda a riequilibrarsi 16
non equivale necessariamente ad una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Nel caso delle donne bengalesi, il tasso di inattività raggiungerebbe (a livello nazionale) addirittura punte dell’80% (IDOS, 2016,109). Per quanto riguarda il livello locale, l’immagine restituitaci dalle interviste è, com’era logico attendersi, piuttosto variegata: sì, tante donne lavorano qua, fanno negozi, negozi bengalesi, alimentari, call center, qualcuna lavora pulizie, qualcuna lavora Comune come interprete, anche ospedale, più donne, quelle che studiano qua. (Presidente associazione) Mia moglie non lavora, sta a casa con i bambini...anche a loro piace questo, che non devono andare fuori, lavorare...se mia moglie va a lavorare, chi gestisce mio figlio? Se no, figlio va fuori strada... Non sanno italiano bene, allora dove deve lavorare? Loro sono contente. Tra loro c’è contatti con le sue amiche, escono da casa, è loro che comandano.... (Commerciante) Secondo una giovane mediatrice culturale sposata e con figli, il problema non è la mancanza dell’autorizzazione del marito, quanto piuttosto il fatto che la priorità sono sempre la casa e i figli, e il lavoro è quindi una possibilità residuale. Le donne che lavorano, secondo un’altra mediatrice: posso anche contare quante sono qualcuno fa un’attività magari in casa, senza un contratto, senza partita IVA, così, una fa la parrucchiera, perché lo ha fatto in Bangladesh, oppure magari ha imparato...anche italiani ci vanno, le spiego perché...se lei lavora a casa prende molto di meno, per esempio, per un taglio femminile, se io vado dalla parrucchiera, lei mi prende almeno 20 euro, invece lei mi prende otto, e allora perché non vado? (Mediatrice interculturale) Altri impieghi casalinghi sono la sartoria, oppure ci sono donne che danno ripetizioni di lingua bangla ai bambini, o anche di inglese, matematica e italiano. 17
Ci sono anche quelle che escono molto, sono nei parchi, però sempre tra di loro, le donne sposate, quelle con i bambini... però ci sono le ragazze o i ragazzi che sono in giro anche con gli amici italiani, escono molto, però le donne sposate sono un po’ chiuse nella comunità...non sapendo parlare... e poi la maggior delle donne italiane lavorano, e invece queste qua sono sempre casalinghe, e quindi per loro è difficile comunicarsi. (Mediatrice interculturale) Tutto sommato le interviste, pur con l’inevitabile diversità di sfumature, confermano in buona sostanza l’immagine di una donna bengalese che da una parte è come minimo poco incoraggiata dal marito ad uscire dal circuito casa-bambini-donne connazionali. I mariti sembrano, infatti, far leva su argomenti (purtroppo) reali, quali la scarsa o nulla conoscenza dell’italiano, la scarsa familiarità con un ambiente estraneo per “convincerle” a rimanere in un ambito intra-comunitario più agevole da tenere sotto controllo, facendo della cura della casa e dei bambini il fulcro della loro vita quotidiana. D’altra parte, però, nonostante molti degli intervistati non lo esplicitino chiaramente (ma tendano piuttosto ad addossarsi tutte le colpe della mancanza di integrazione), l’atteggiamento degli autoctoni, soprattutto in tempi recenti, non sembra incoraggiare una maggiore interazione fra le componenti della società: c’era un tempo, quando sono arrivata io, dieci anni, fa, che la gente era simpaticissima, tutti accettavano a braccia aperte, e quindi...era bello... però adesso, con questa crisi, ed essendo maggior parte di Monfalcone extra- comunitari, sono un po’ infastiditi anche loro. (Mediatrice interculturale) La situazione, come accennato sopra, non è ovviamente monolitica come potrebbe apparire ad un primo sguardo esterno e superficiale. Da un’intervista (che purtroppo non è stato possibile registrare, per il rifiuto dell’intervistato) ad un lavoratore di una ditta industriale, residente a Ronchi, e in Italia dal 2004, risulta infatti che la coppia ha rinunciato ad avere figli per i primi sei anni, perché la moglie (che ha conseguito la licenza media a Staranzano) potesse studiare, altrimenti, ha concluso l’intervistato: 18
se la donna ha subito figli, come fa ad andare a lavorare? E' costretta a rimanere in casa per occuparsi dei bambini, e non ha più tempo per il resto. (Lavoratore metalmeccanico) L’integrazione scolastica Il panorama scolastico monfalconese è dominato (per quanto riguarda le scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di I grado, che ricomprendono la grande maggioranza degli alunni stranieri) da due istituti comprensivi (“E. Giacich” e “Randaccio”) che racchiudono al proprio interno rispettivamente sette e sei scuole. Complessivamente i due istituti hanno (nell’a.s. 2016/17) 2.182 alunni, di cui 729 (il 33,4%) stranieri. Fra questi ultimi, 361 sono bengalesi, e rappresentano dunque quasi la metà (il 49,5%) della popolazione scolastica straniera dei due istituti. Si tratta di valori che, già ad un primo sguardo, appaiono di molto superiori a quelli che si registrano a livello regionale, dove gli alunni stranieri non arrivano al 12% del totale, con punte del 14% nelle scuole dell’infanzia (cfr. Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Rapporto immigrazione 2016, p. 35, con dati riferiti all’a. s. 2014/15). All’interno di questi valori medi, si registrano ovviamente notevoli differenze, sia fra i due istituti (il “Giacich” ha quasi il 40% di stranieri, mentre al “Randaccio” sono poco più di uno su quattro) che fra i diversi gradi di insegnamento. L’incidenza degli alunni bengalesi, inoltre, è molto più rilevante nel “Giacich” che nel “Randaccio”. Nel primo Istituto, i cui plessi sono in gran parte più vicini al centro cittadino, gli alunni stranieri sono 467 su un totale di 1.170, e cioè circa il 39%, con punte di oltre il 67%. La vice-dirigente rileva una grande mobilità degli alunni stessi, che provocherebbe forti difficoltà di integrazione. Anche la partecipazione delle famiglie alla vita della scuola sembrerebbe costituire un punto problematico nei rapporti 19
con l’utenza straniera, a causa anche del fatto che le madri bengalesi hanno difficoltà ad esprimersi in italiano. Sembra inoltre che, a seguito del maggiore afflusso di alunni stranieri (e bengalesi in particolare) nel “Giacich”, le famiglie italiane tendano a spostare i propri figli verso altre realtà scolastiche, non tanto il “Randaccio”, quanto soprattutto in scuole extraurbane (Staranzano, Pieris e oltre), che spesso offrono il tempo pieno. La vice-dirigente conferma questa sorta di “fuga” da parte delle famiglie italiane, ma soltanto negli ultimi due anni, e limitatamente ad una scuola (la “Duca d’Aosta”). Il fenomeno sarebbe inoltre circoscritto alla frequenza a tempo pieno, di cui le famiglie straniere tendono a fare minor uso rispetto a quelle italiane, sia per via dei costi del servizio mensa che per la maggiore disponibilità delle madri straniere a seguire personalmente i propri bambini, essendo meno occupate dal lavoro rispetto alle autoctone. L’istituto “Randaccio” (secondo dati forniti dallo stesso Istituto e dai servizi demografici del Comune di Monfalcone, e relativi all’a.s. 2016-2017) comprende un totale di sei plessi scolastici, di cui tre scuole dell’infanzia, due scuole primarie e una secondaria di I grado, con un totale di 999 alunni, di cui 262 non italofoni. Il gruppo numericamente più consistente è quello bengalese, con il 39% del totale degli alunni stranieri, pari a 102, di cui oltre la metà (60) nati in Italia e molti altri arrivati fra i 3 e i 5 anni di età. Le percentuali di alunni stranieri variano ovviamente da scuola a scuola (soprattutto in relazione al grado), da un minimo del 17% nella scuola media fino al 90% (54 su 60, di cui 34 bengalesi) in una scuola dell’infanzia (Collodi). Si tratta di una scuola ubicata molto vicino al centro città, preferita dai genitori bengalesi per la praticità (le madri sono quasi sempre prive di un mezzo di trasporto autonomo) degli spostamenti. Nonostante l’alto numero dei nati in Italia fra i bambini bengalesi possa far ritenere un buon grado di conoscenza della lingua italiana (raffrontabile per certi versi a quello dei bambini autoctoni), la testimonianza delle insegnanti smentisce questa ipotesi: …sono bambini che arrivano alla scuola dell’infanzia senza competenza in lingua italiana…perché sono comunità molto chiuse, nel senso che vivono 20
bene in rete fra loro, però i bambini sono abituati, la maggior parte, a giocare fra loro, con pochi contatti con altri bambini… diversi bambini arrivati alla scuola dell’infanzia, e che quindi il prossimo anno andranno alla primaria, hanno competenze in italiano pari a zero. (Insegnante scuola infanzia ist. comp. “Randaccio”) La preponderante presenza bengalese fra gli alunni stranieri, unita alla scarsa conoscenza dell’italiano, almeno nelle fasi iniziali, provoca anche una situazione che rende difficile l’interazione con gli alunni italiani: essendo tutti bengalesi in una classe, o avendo la maggior parte degli studenti bengalesi, il bambino o la bambina non riesce a comunicarsi con gli italiani, con le maestre, e praticamente non impara niente, perché loro si fanno un gruppo tra di loro, e rimangono sempre bengalesi. (Mediatrice interculturale) La criticità maggiore, almeno da dal punto di vista linguistico, sembra tuttavia essere quella di comunicare con le famiglie, dato che soltanto da poco le scuole possono usufruire di un servizio di mediazione (grazie ad un progetto sostenuto dal Comune), composto peraltro da un’unica mediatrice per tutto l’Istituto comprensivo. L’utilizzo della mediazione per le scuole dell’infanzia è essenzialmente dedicato alla comunicazione con le famiglie (assemblee, etc.) e ai colloqui individuali con i genitori. La scuola per l’infanzia fornisce anche corsi di sostegno in italiano L2. L’Istituto “Randaccio” ha anche promosso, con la finalità di permettere alle madri di occuparsi più proficuamente dell’andamento scolastico dei figli, corsi di italiano L2 appositamente pensati per loro, che vengono tenuti dalle stesse insegnanti della scuola, di mattina, presso la scuola stessa. Questo mix (orario, ubicazione presso la scuola, insegnanti che le donne già conoscono) sembra aver contribuito in maniera determinante al successo di questi corsi, che, sempre secondo il corpo docente, vengono frequentati con entusiasmo e con profitto. Per quanto riguarda invece l’unica scuola secondaria dell’Istituto, il problema della lingua sussiste ovviamente soltanto per i nuovi arrivi 21
(che spesso si verificano nel corso dell’anno, e qualche volta negli ultimi mesi), dato che gli alunni che hanno alle spalle cinque anni di primaria sono perfettamente a proprio agio con la lingua italiana. Le difficoltà dei nuovi arrivati sembrano però attenere ad una recente evoluzione dei movimenti migratori dal Bangladesh: abbiamo visto anche con la mediatrice culturale che, mentre anni fa questi ragazzi provenivano da grandi città del Bangladesh, e quindi avevano avuto già un certo tipo di istruzione, adesso stanno venendo da villaggi, da città più piccole… (Insegnante ist. comp. “Randaccio”) Un ulteriore fattore di criticità, che influenza il buon andamento scolastico degli alunni bengalesi, è quello legato ai frequenti (e lunghi) spostamenti delle famiglie, che trascorrono diverse settimane in patria, anche durante l’anno scolastico, ed è riconducibile, nelle parole della responsabile dell’ufficio stranieri della CGIL locale, alla scarsa familiarità di alcune comunità con il concetto di scuola dell’obbligo: c’è un po’ di problema su questo, da parte di alcuni genitori…il problema è la scuola dell’obbligo, che non è una cosa dappertutto, perché non esiste, ad esempio anche in Senegal, qua è obbligatorio, e farglielo capire non è tanto facile…fanno su e giù, quando gli pare, e questo con la scuola non è… anche per quelli della scuola diventa poi un altro impegno per farli integrare nelle classi e tutto…questo è un problema grosso, bisogna dirlo...il discorso è di farli studiare, o di qua o di là, bisogna scegliere. (Responsabile ufficio stranieri, CGIL Monfalcone) Ciò non toglie che ci siano esempi di bengalesi che sono andati avanti con gli studi, anche fino all’Università, ma si tratta di appunto di casi isolati: ce ne sono anche all’università, però con problemi economici: eccolo qua, per esempio Ryan, il primo bengalese diplomato, però adesso è in Fincantieri… (Responsabile ufficio stranieri, CGIL Monfalcone) 22
Il lavoro, l’imprenditoria, le rimesse Alcuni dati di base possono contribuire ad inquadrare il ruolo dei lavoratori bengalesi nel contesto regionale. In Friuli Venezia Giulia, gli occupati di nazionalità bengalese rappresentano (dati INAIL 2015) circa l’1,9% del totale degli stranieri (1.563 su 78.206). Su base regionale, gli occupati bengalesi sono attivi soprattutto in provincia di Gorizia (876, corrispondente al 56,0% del totale regionale) e, a seguire, nelle province di Pordenone (24,6%, 385), di Udine (13,3% 208) e di Trieste (6,0%, 94). Quasi un lavoratore straniero su 10 (il 9,6%) in provincia di Gorizia è di nazionalità bengalese, contro 1 su 50 (il 2,0%) a livello regionale. Si tratta, di fatto, della quasi totalità dei lavoratori dell’Asia centro-meridionale, che non vanno oltre il 10,9% del totale. Anche in termini di assunzioni nette (2015) la parte del leone spetta alla provincia di Gorizia, con 604 su 963 (il 62,7%), e oltre la metà delle 1.863 assunzioni nette di lavoratori provenienti dall’Asia centro-meridionale. La tabella seguente presenta un riassunto schematico dei dati salienti: Tab. 7 Cittadini nati all’estero assicurati all’INAIL nel corso del 2015. Occupati netti Paesi Pordenone Udine Gorizia Trieste FVG Nord Est Italia Bangladesh 208 385 876 94 1.563 15.607 64.055 Asia centro- mer. 1.072 946 991 247 3.256 60.327 269.741 Asia 1.694 2.684 1.240 975 6.593 122.136 588.773 Totale 22.144 33.107 9.121 13.834 78.206 853.767 3.561.126 Fonte: Centro Studi e Ricerche IDOS, elaborazioni su dati INAIL Da un confronto sugli ultimi tre anni disponibili (tab. 8) si evidenzia una forte crescita in tutte le province (ma soprattutto a Pordenone fra il 2013 e il 2014), tranne un lieve arretramento proprio nella provincia di Gorizia nell’ultimo anno (dopo una forte crescita nel precedente 2014), al quale peraltro non corrisponde un simile trend nel caso dei lavoratori asiatici e sul totale. 23
Tab. 8. Cittadini nati all’estero assicurati all’INAIL. Confronto 2013-14- 15 Paesi Pordenone Udine Gorizia Trieste 2013 2014 2015 2013 2014 2015 2013 2014 2015 2013 2014 2015 Bangladesh 36 243 208 182 316 385 599 891 876 60 87 94 Asia c.- 390 1.066 1.072 403 849 946 637 958 991 127 218 247 mer. Asia 674 1.693 1.694 1.182 2.548 2.684 734 1.215 1.240 445 928 975 Totale 22.500 21.690 22.144 33.654 32.920 33.107 9.246 9.098 9.121 13.881 13.712 13.834 Fonte: Centro Studi e Ricerche IDOS, elaborazioni su dati INAIL Mentre i dati di fonte INAIL ci restituiscono una fotografia, per così dire, statica della situazione esistente, i dati dei Centri per l’Impiego (CPI), messi a disposizione dall’Agenzia regionale per il Lavoro, ci danno l’andamento storico di vari aspetti dell’occupazione a partire dal 2009, consentendoci così di avere un quadro della situazione lungo tutto il periodo della crisi economico-occupazionale iniziata nel 2008. A livello regionale, vediamo infatti che le assunzioni hanno subito un andamento altalenante, che le ha portate dalle 1.250 del 2009 fino ad un picco di 1.803 nel 2013, dal quale sono (lievemente) ridiscese, per poi risalire a 1.794 nel 2015. L’andamento in provincia di Gorizia (la più importante, come si è visto, per i lavoratori bengalesi) è leggermente più favorevole rispetto a quello regionale, dato che il numero di assunzioni del 2015 è quasi doppio rispetto a quello del 2009, ed è comunque il valore più alto della serie storica. Il rapporto fra eventi e teste, che può essere assunto come un indice di precarietà, è soltanto leggermente aumentato fra il 2009 (1,30) e il 2015 (1,48). Se però guardiamo ai saldi (differenza fra assunzioni e cessazioni nel rapporto di lavoro) vediamo che questi sono quasi raddoppiati dai 161 del 2009 ai 293 del 2015 (+82%). Tab. 9. Assunzioni lavoratori bengalesi in Friuli Venezia Giulia. Serie storica 2009-2015 Gorizia Pordenone Trieste Udine FVG totale eventi teste eventi teste eventi teste eventi teste eventi teste 2009 704 542 183 144 171 69 192 144 1250 899 2010 891 646 206 142 88 40 234 145 1419 973 2011 799 589 135 97 79 50 208 134 1221 870 24
2012 1036 766 121 86 93 68 208 140 1458 1060 2013 1388 924 136 83 108 99 171 125 1803 1231 2014 1036 715 81 50 148 101 163 125 1428 991 2015 1404 945 108 66 127 92 155 119 1794 1222 Fonte: elaborazioni su dati Agenzia regionale per il lavoro Meno favorevole (248) appare invece il saldo circoscritto al lavoro dipendente „in senso stretto“, che si limita ai contratti a tempo indeterminato, determinato, di apprendistato, ed interinale7. Il dato sulla ripartizione provinciale conferma poi la forte (e progressiva) preponderanza della presenza bengalese nella provincia di Gorizia e, all’interno di questa, nel Comune di Monfalcone: se nel 2009 le assunzioni di bengalesi avvenivano per il 56% nella provincia, tale percentuale nel 2015 raggiungeva già il 78%, indicando un progressivo aumento di importanza del territorio goriziano per l’immigrazione bengalese. Sempre nel 2015, oltre il 96% delle assunzioni in provincia di Gorizia era circoscritto al territorio monfalconese. Uno sguardo ai codici ATECO (sempre relativi al 2015) ci indica con chiarezza che le assunzioni di bengalesi in regione (ma abbiamo già visto in precedenza come, nel caso specifico, i dati a livello di regione, di provincia di Gorizia e dell’area monfalconese siano sostanzialmente sovrapponibili) riguardano l’industria per oltre la metà dei casi (51%) e, nella metà di questi ultimi, l’industria metalmeccanica. Oltre uno su cinque (il 21%) riguarda l’edilizia, e più di uno su dieci (il 12%) il settore turistico (alberghi e ristoranti). Dai dati sulla ripartizione ISTAT per qualifiche risulta invece che quasi due su tre (il 64,3%) è stato assunto con la qualifica di operaio specializzato, quasi il 20% con mansioni non qualificate e poco più di uno su 20 (il 5,4%) come conduttori di impianti operai di macchinari e conducenti di veicoli. Dalla ripartizione per tipologia contrattuale (v. supra) si vede inoltre che le assunzioni sono state effettuate nel 43% dei casi a tempo determinato, e quelle a tempo indeterminato hanno riguardato soltanto un lavoratore su cinque (il 20,8%), mentre molto più rilevante appare la quota di assunzioni in regime di somministrazione (il 31%) che, com’è noto, possono riguardare 7 Ed esclude dunque le altre tipologie contrattuali, quali il parasubordinato, l’intermittente, i tirocini, il lavoro domestico e i lavori socialmente utili (lsu) 25
anche “missioni” estremamente brevi, perfino inferiori al giorno e rappresentano dunque un chiaro indizio di precarietà nella situazione lavorativa. Dalla tabella che segue si nota con molta chiarezza la riduzione della “qualità del lavoro” negli anni: se da una parte, infatti, l’incidenza dei contratti a tempo indeterminato aumenta di qualche punto percentuale, si assiste ad una vera a propria esplosione del lavoro prestato con l’intermediazione delle agenzie interinali, che in pochi anni passa da una rilevanza pressoché nulla a quasi un quarto del totale. Tab. 10. Assunzioni lavoratori bengalesi in provincia di Gorizia. Valori percentuali per tipologia contrattuale. Serie storica 2009-2015 2009 2011 2013 2015 Apprend. e form. lavoro 3,14 0,68 0,76 0,85 Fonte: elaborazione su Determinato 67,34 69,27 69,05 50,48 dati Agenzia regionale Indeterminato 18,08 17,66 11,26 24,66 per il lavoro Parasubordinato 0,55 0,17 0,65 0,32 Somministrato 0,37 3,06 13,31 23,28 Intermittente 4,24 3,23 0,43 0,11 Tirocinio 0,00 0,00 0,00 0,11 Lav. domestico 6,27 5,60 4,55 0,21 Lav.socialmente utili 0,00 0,34 0,00 0,00 Totale 100 100 100 100 Infine, quanto già notato a proposito dello scarsissimo coinvolgimento della componente femminile nel lavoro (almeno in quello oggetto di un contratto) viene confermato e addirittura rafforzato dal dato relativo alla ripartizione per genere, che ci restituisce un totale di 31 donne (di cui quasi la metà a tempo determinato) assunte nel 2015 su un totale di 1.794 assunzioni. Data la particolare situazione dei lavoratori bengalesi a Monfalcone (v. infra), questi dati vanno comunque presi con cautela. Non è, infatti, infrequente il caso di lavoratori impiegati (a Monfalcone) da ditte con sede legale fuori regione, o, al contrario, di lavoratori “trasfertisti” che, assunti magari a Marghera o a La Spezia, vengono impiegati per periodi variabili presso i cantieri di Monfalcone. 26
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