GENERAZIONI A CONFRONTO: FAMIGLIE DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI - Report a cura di Anna Taglioli

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GENERAZIONI A CONFRONTO:

FAMIGLIE DI IERI, DI OGGI E DI DOMANI
                    Report

             a cura di Anna Taglioli

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Indice

Introduzione                                                                          p.3
1. La famiglia come struttura e relazionalità                                         p.5
1.1 La famiglia e il mutamento sociale in prospettiva diacronica                      p.6
1.2 La situazione attuale: modificazioni strutturali e nei rapporti familiari         p.13
2. I giovani e la famiglia                                                            p.20
2.1 Il quadro familiare che emerge dalle ricerche nazionali e regionali sui giovani   p.20
2.2 Famiglie di oggi e di domani: la nostra indagine ai testimoni privilegiati        p.28
Per concludere                                                                        p.36
Riferimenti bibliografici                                                             p.39

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Introduzione

   La famiglia viene considerata un attore sociale che interviene attivamente nel mutamento o per
inverso una struttura sociale che lo subisce, diventando dipendente rispetto alle istituzioni moderne
(Goode 1982; Crouch 2001). Negli ultimi decenni la famiglia è stata oggetto di studio da diverse
angolature, ne si è considerato il declino come istituzione, ne sono stati presi in considerazione i
mutamenti e se ne è riscoperta la dimensione di risorsa e vitalità.
   Le principali analisi sociologiche in Italia sottolineano il passaggio da società semplici e da
formazioni storico-sociali tradizionali a società complesse e formazioni storico-sociali moderne,
soffermandosi sulle trasformazioni della famiglia che da estesa diventa nucleare. Negli ultimi trent’anni,
mentre la società moderna è divenuta postmoderna in maniera irregolare, è scomparsa la ‘naturalezza’
che caratterizzava il matrimonio nel dopo guerra e i modelli familiari hanno perduto la loro universalità
e adattabilità a tutte le epoche. Questo processo ha comportato mutamenti nelle microsistituzioni che
strutturano la vita affettiva e la socializzazione. La prospettiva naturalistica e funzionalista che
dominava la scena sociologica degli anni Cinquanta e faceva della famiglia l’adattamento più evoluto alle
esigenze della vita moderna viene meno di fronte al crescente individualismo e alle nuove e plurali
riarticolazioni dei legami affettivi. Gli individui acquistano consapevolezza della costruzione culturale
dei rapporti d’amore e di parentela, i cambiamenti epocali della struttura familiare riguardano quindi i
processi di denaturalizzazione del genere e di denaturalizzazione della funzione genitoriale. Il primo ha visto la
ricerca di un individualismo espressivo femminile e la separazione del legame apparentemente naturale
tra matrimonio, sessualità e riproduzione. A contribuire alla denaturalizzazione del ruolo genitoriale
invece il tasso dei divorzi, l’aumento di genitori single che formano reti di amicizie per condividere gli
obblighi genitoriali e la crescente percentuale dei secondi matrimoni, per cui i genitori acquisiti aiutano
il partner nella cura dei propri figli, mentre i loro figli biologici vengono educati da altri genitori
acquisiti, nella casa del loro ex coniuge. Parallelamente in risposta alla crescente vulnerabilità dell’unità
coniugale i nonni rivestono un ruolo centrale e prioritario nella crescita dei nipoti. Queste significative
trasformazioni concorrono a ridefinire il ruolo e la funzione della famiglia nel processo di costruzione e
affermazione identitaria; la recente crisi della famiglia tradizionale nelle società occidentali è bene
documentata, ma si discute ancora se si tratti di un declino o di una trasformazione in un sistema
familiare postmoderno positivo. Molti critici tradizionalisti lamentano una perdita dei valori familiari a
fronte di un individualismo egoista e patologico, osservano come questo abbia danneggiato le promesse
di pregresso, e sostengono come il centro dei problemi contemporanei sia la trascuratezza delle
responsabilità di cura dei figli da parte dei genitori. E’ pur vero che la crisi degli assetti tradizionali e

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l’instabilità che colpisce le relazioni affettive e familiari si lega ad una ricostruzione e a forme
istituzionali nuove e progressive. Gli assetti familiari postmoderni appaiono dunque mutevoli e irrisolti,
«mescolano elementi eterogenei in un pastiche improvvisato di vecchio e nuovo» in maniera tale che la
famiglia incorpori dimensioni sperimentali e nostalgiche, mentre avanza a fatica in un futuro incerto
(Stacey 1996).
   Se nelle società tradizionali la vita intima era stabilizzata da strutture consanguinee sovrastanti e
viceversa nelle società moderne il rapporto coniugale tra genitori e prole biologica assume un ruolo
centrale mentre sparisce il sostegno del sistema familiare più ampio, nella transizione alla postmodernità
sembra che queste due forme familiari stiano iniziando a fondersi. Le nuove configurazioni del legame
affettivo e matrimoniale e della funzione genitoriale stabiliscono mutamenti radicali nell’unità familiare
e i nuovi collegamenti tra queste forme coniugali e genitori acquisiti, genitori surrogati, nonni, amici,
centri di assistenza, programmi pubblici, nuovi professionisti della cura dei bambini, rappresentano la
riformulazione del sistema familiare. Si va formando una rete di sostegno e regolazione delle nuove
strutture di coppia che influenza il percorso di costruzione del sé e di realizzazione personale,
permettendo di superare il pericolo dell’insicurezza come deriva di un individualismo espressivo.
   Il cambiamento dei rapporti tra generazioni e la trasformazione dei ruoli parentali, da un lato sembra
aver migliorato l’ambiente familiare rendendo più serene ed affettuose le relazioni tra genitori e figli,
concorrendo quindi a rallentare il bisogno di uscire dall’abitazione dei genitori (Buzzi, Cavalli, de Lillo
2007), dall’altro sembra aver comportato una debolezza emotiva a cui corrisponde la crescente richiesta
da parte dei figli di una maggiore presenza e collaborazione dei genitori nella loro educazione e cura
(Biancheri 2012a). A fronte di tali metamorfosi sociali cresce l’esigenza politica di rispondere alle sfide
della modernità, in quest’ottica la nostra indagine intende contribuire alla riflessività sociale sul tema,
individuando i valori e le esigenze affettive dei giovani e fornendo un quadro paradigmatico delle
trasformazioni che ridefiniscono il rapporto tra generazioni e riguardano i modelli familiari ed educativi.
   A livello metodologico l’indagine prevede in primo luogo un’analisi secondaria dei dati che
emergono delle ricerche sul tema, in ottica nazionale, regionale e diacronica, per individuare nello
specifico le modalità, gli ambiti, l’intensità e le ricadute di tale trasformazione storica. In secondo luogo
è prevista la somministrazione di un questionario ad un campione di 80 studenti universitari iscritti al
corso di Sociologia della famiglia, presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa, in qualità
di testimoni privilegiati. Si tratta di una rilevazione costruita su tre domande aperte che permettono di
individuare: la struttura e la funzione della famiglia d’origine (percezioni del presente); i desiderata
rispetto al proprio futuro affettivo (rappresentazioni del futuro) e il ruolo valoriale della famiglia.
   I giovani adulti rappresentano potenzialità e limiti del mutamento sociale che attraversa la sfera
privata e ridefinisce le coordinate dell’autonomia e della ricerca espressiva. L’analisi dei risultati
consente complessivamente di individuare le problematiche e le risorse connesse a questo processo
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trasformativo e costituisce un primo strumento per le istituzioni di lettura del mutamento della sfera
privata, al fine di rispondere alle sfide da questo aperte.
   1. La famiglia come struttura e relazionalità

   Per analizzare la famiglia e le sue trasformazioni dobbiamo riferirci: alla sua struttura, ovvero al tipo
di legame che unisce gli individui che coabitano, e alle relazioni familiari. L’analisi degli aspetti strutturali
permette di cogliere una prima differenziazione, lungo l’asse sessuale e quello generazionale, a seconda
che si studino soggetti con vincoli matrimoniali, di affinità, di discendenza o di parentela (Zanfrini
2011). In quest’ottica, assumendo come metro di giudizio il nucleo familiare (l’insieme delle persone
che costituiscono una coppia con o senza figli o un solo genitore con figli) è possibile distinguere
alcune tipologie: le famiglie unipersonali; le coppie formate da adulti coniugati o che coabitano, con o
senza figli; le famiglie monogenitoriali e infine le famiglie estese, composte da più nuclei familiari o da
un nucleo familiare con altre persone aggregate. Se lo studio della struttura consente di capire chi fa
parte della famiglia e quali sono le regole che realizzano tale appartenenza, l’analisi delle relazioni
familiari permette di individuare anche i vincoli autoritari ed affettivi e dunque le modalità con cui la
struttura viene modellata, nella relazione tra genere e generazioni, durante il ciclo di vita familiare.
   In particolare più avanti ci soffermeremo su quest’ultimo aspetto, andando ad indagare le
rappresentazioni sociali delle nuove generazioni in relazione alla famiglia d’origine e ai desiderata
rispetto al proprio futuro affettivo e/o familiare, per verificare le trasformazioni che attraversano la
famiglia e ne ridefiniscono la forma e la funzionalità. Seguendo questo criterio è necessario leggere il
dato attuale attraverso una prospettiva diacronica che permette di problematizzarlo e di comprendere
quindi la portata e l’intenzione del mutamento sociale. E’ dunque rilevante trattare il diverso assetto e
significato che struttura e relazioni familiari assumono nel tempo e nei distinti ambiti sociali, culturali ed
economici, assieme all’impatto che questa eterogeneità ha sulle condizioni di vita dei membri. Se infatti
esistono forme plurali di famiglia, ciascuna di esse, in rapporto alle norme con cui è definita e ai modi in
cui è organizzata nella relazione tra generi e generazioni, crea differenze che assumono rilievo sociale.
   In questo primo capitolo approfondiremo pertanto l’analisi storica dell’istituzione familiare, per
riflettere sul suo cambiamento e prenderemo in considerazione la condizione attuale e le differenze tra e
nelle le famiglie, mentre nel capitolo successivo valuteremo queste variazioni attraverso uno studio delle
indagini sui giovani e la famiglia in ottica nazionale e locale, poiché le nuove generazioni rappresentano
le resistenze e le possibilità connesse al mutamento sociale.

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1.1 La famiglia e il mutamento sociale in prospettiva diacronica

   Il tema della famiglia ha un’importanza fondamentale e si presenta sin dall’inizio della riflessione
sociologica, poiché il germe della società è individuato nella costruzione delle relazioni familiari e lo
studio del mutamento sociale si collega allo studio del mutamento strutturale della famiglia.
   L’aggregato domestico rappresenta una struttura superindividuale che deriva dalla cristallizzazione
dei rapporti tra individui, è il raggruppamento che determina l’esistenza del vivere sociale e che
permane nella progressiva trasformazione delle altre forme di vita, un fatto universale a fondamento
della stessa società (caratterizzata da azioni solidali che si oppongono alle pulsioni individualistiche e
alle leggi del mercato, o centro economico e sovrastrutturale di disuguaglianza sociale e potere); gli
studiosi dunque analizzano la funzione della famiglia e la sua modificazione in riferimento al
cambiamento sociale e al processo di differenziazione che colpisce le moderne società.
   Le iniziali impostazioni analitiche sulla struttura e sulla funzione della famiglia sono state
progressivamente discusse, tanto che si è abbandonata la percezione dell’astoricità che non permetteva di
valutare la variabilità nello spazio e nel tempo delle forme e degli atteggiamenti familiari, cercando di
ricostruire i sistemi familiari che si sono formati nelle distinte società locali, in determinati momenti
storici e la considerazione di un modello evolutivo della società, verificando invece il transito
dall’universalizzazione della condizione coniugale alla sua rarefazione, e la posticipazione dell’età di
ingresso dei giovani nella vita adulta (determinata dalla formazione di una famiglia).
   Le prospettive teoriche e gli studi empirici di oggi sono stati influenzati dagli approcci emersi negli
anni Settanta, fondati sulle tipologie delle strutture familiari e dagli studi di genere che hanno permesso
l’analisi del mutamento in relazione alle biografie individuali, familiari e generazionali.
   Negli anni Cinquanta e Sessanta e per molti decenni prima, le analisi sociologiche sulla famiglia e sul
matrimonio risentivano di una impostazione naturalistica. Il matrimonio era ritenuto un legame sessuale
legittimato socialmente che iniziava con un pubblico annuncio e che si legava ad un ideale di
permanenza, determinato da un contratto che stabiliva gli obblighi reciproci tra i coniugi e i loro figli
futuri (Stephens 1963). Ad ispirare le definizioni della famiglia un’idea simile che la riteneva il risultato
di un processo di adattamento alle condizioni del vivere moderno. La famiglia viene pensata come «un
gruppo sociale caratterizzato dalla residenza comune, dalla cooperazione economica e dalla
riproduzione», si sottolinea che essa «comprende adulti dei due sessi, tra i quali almeno due hanno una
relazione sessuale socialmente approvata e uno o più figli, biologici o adottati, della coppia che coabita
sessualmente» (Murdock 1971, p.2). Il paradigma sociologico prendeva quindi in considerazione la
famiglia nucleare ristretta, risultato di un percorso di adeguamento alla società industriale (Ogbun 1932;
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Parsons 1944). In questa prospettiva, a seguito di un processo di differenziazione funzionale, la famiglia
veniva a perdere il ruolo di unità produttiva per assumere la sola funzione affettiva, di cura e di
educazione dei figli. Nel modello tradizionale funzionalistico alla base della famiglia moderna vi era la
divisione del lavoro secondo il genere, il padre aveva una funzione strumentale quale procacciatore di
reddito, mentre la madre manteneva un ruolo espressivo di cura e di socializzazione (Parsons e Bales
1995). Si tratta di una teoria evoluzionistica che interpreta il mutamento delle strutture familiari in
Europa, in epoca moderna, come il risultato di un percorso di industrializzazione e progresso e che
venne ribaltata dalle ricerche del Gruppo di Cambridge. Quest’ultimo, tramite analisi comparative degli
aggregati domestici nei paesi europei, considerò la famiglia nucleare non il frutto di una evoluzione
storica ma una costante storica; l’esistenza di un unico tipo di famiglia in ogni spazio e tempo toglieva
pertanto qualsiasi necessità analitica del mutamento.
   Il primo impulso al cambiamento nello studio della famiglia e del matrimonio in Europa venne dal
demografo inglese Hajnail (1965) che individuò un modello di matrimonio europeo che si era diffuso a
partire dal Cinquecento fino al 1940, presente nell’intera Europa tranne che nella parte orientale e sud-
orientale, secondo una linea di divisione che congiungeva Leningrado a Trieste. Caratteristiche
distintive del modello: l’età elevata del matrimonio (gli uomini a 26-27 anni e le donne a 23-24 anni) e
l’alta presenza di persone mai sposate (tra il 10 e il 15% contro l’1-3% del modello non europeo).
   Nella ricerca delle cause alle origini del modello di matrimonio europeo emerge la questione del
rapporto tra sfera familiare e sfera economica, poiché il matrimonio richiede che si stabilisca una base
economica per la vita dei coniugi e dei figli e il tipo di matrimonio influenza a sua volta il sistema
economico, indicando la forma e la dimensione degli aggregati domestici, il tasso di costituzione di
nuovi aggregati e di scioglimento di vecchi. Il modello matrimoniale è pertanto connesso al
funzionamento del sistema economico, in particolare quando l’ambito familiare costituisce l’unità di
base della produzione economica e del consumo. Se la tesi tradizionale evidenziava un rallentamento
della crescita della popolazione come conseguenza del matrimonio tardivo, Hajnal osservò che il ritardo
nella nuzialità e nell’avere figli si traduceva nella possibilità per le persone di risparmiare e che
parallelamente la ricchezza era la causa del matrimonio tardivo. In Europa un uomo rimandava il
matrimonio fino al possesso dei mezzi necessari per sostenere una famiglia, diversamente da quanto
accadeva in altre società in cui le giovani coppie potevano essere incorporate in una più grande unità
economica, quale la famiglia congiunta. La nuzialità quindi regolava il rapporto tra lo sviluppo
economico e quello della popolazione, rappresentando una delle chiavi dell’unicità del modello di
matrimonio europeo.
   Successivamente, in relazione al dibattito sul tema e alle numerose ricerche condotte in ambito
europeo negli anni Settanta, Laslett riprese il lavoro di Hajnal e giunse ad una nuova ipotesi, quella
secondo la quale a partire dal XVII secolo la famiglia occidentale (nella sua fase di vita centrale, ovvero
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nel momento in cui convivono genitori e figli piccoli) si era contraddistinta per la presenza di quattro
caratteristiche interdipendenti, diventando più complessa (e non più semplice) con il processo di
industrializzazione: la composizione del gruppo familiare, per cui nel modello occidentale la famiglia era
prevalentemente nucleare (composta da genitori e da figli) ; l’età avanzata della madre nel periodo di
allevamento dei figli; la poca differenza di età fra i coniugi; infine la presenza di individui non legati da
relazioni di parentela, ovvero i servi.
   La ricostruzione del mondo domestico in Italia, negli ultimi tre secoli, ha avuto un ruolo sostanziale
nel dibattito sulle forme di famiglia del passato europeo, ridimensionando la tesi di Hajnal e Laslett e
registrando la presenza storica di una pluralità di modelli che qualificano l’Europa. Fino alla fine del
XIX secolo vi erano tre modelli diversi di formazione delle famiglie in Italia: il primo diffuso nelle
campagne delle regioni centrali e settentrionali era caratterizzato dalla residenza patrilocale e dal
matrimonio tardivo, il secondo, presente nelle città centro-settentrionai e nella Sardegna, era a residenza
neolocale e matrimonio tardivo, il terzo invece, diffuso in Sicilia e nelle zone meridionali era a residenza
neolocale e con matrimonio precoce (Barbagli 1988).
   Complessivamente i modelli di famiglia che rappresentavano strumenti di classificazione per indicare
la struttura familiare della comunità europea, non costituiscono più il tratto distintivo dell’Europa
occidentale di oggi. Il Novecento ha innescato importanti mutamenti nelle modalità di fare famiglia.
Nella prima parte del secolo si parla di “età dell’oro” del matrimonio, caratterizzata dalla crescita del
vincolo, dalla diminuzione dell’età del matrimonio, dalla realizzazione della libertà di scelta del coniuge,
dalla progressiva autonomia residenziale della coppia rispetto alla famiglia d’origine e dall’aumento del
numero dei figli. Dalla metà degli anni Settanta si manifestano invece nuovi comportamenti familiari: i
matrimoni sono diventati più tardivi e rari, sono cresciuti quelli con rito civile, sono aumentati i divorzi
e le coppie di fatto, è diminuita la natalità, si è rafforzata la dinamica di parità tra i partner. Così accanto
alla famiglia coniugale sono andati formandosi nuovi tipi di famiglia e nuove norme culturali che ne
definiscono la struttura. La crescente disaffezione nei confronti del matrimonio riflette una
trasformazione nella rappresentazione culturale della relazione di coppia, nella transizione dalla
giovinezza all’età adulta (dimensione privata) e nelle modalità di riconoscimento pubblico del legame
nel contesto sociale (dimensione pubblica). Il cambiamento nelle ritualità che accompagnano
l’istituzionalizzazione della relazione a due rispecchia il mutamento del significato dato alla condizione
coniugale e segnala il processo di secolarizzazione che attraversa i paesi occidentali. Gli studiosi
considerano la decrescita dei matrimoni religiosi come il risultato di una perdita dell’influenza
dell’appartenenza religiosa sull’atteggiamento matrimoniale, questo comporta un rifiuto della ritualità
cerimoniale, mentre se ne mantiene l’aspetto amministrativo (Dittgen 1996). La de-istituzionalizzazione
del matrimonio si lega all’affermarsi di una nuova forma di relazione amorosa, caratterizzata dalla
negoziazione del legame fra pari e quindi liberata dalla irreversibilità, che si riflette nelle nuove
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convivenze more-uxorio (che si formano quando due persone di sesso diverso o dello stesso sesso
abitano insieme senza unirsi in matrimonio), nelle nozze laiche e nello scioglimento del vincolo
matrimoniale (Saraceno e Naldini 2007). Questi mutamenti non sono avvenuti ovunque e con la stessa
temporalità. Si mantengono differenze all’interno dell’Europa e accanto a società dove questo
cambiamento è stato rapido e dove si è registrata una forte instabilità matrimoniale (Svezia, Danimarca,
Inghilterra), si trovano paesi mediterranei in cui il divorzio non è ancora troppo diffuso per l’influenza
religiosa e per la condizione occupazionale delle donne (Barbagli 1990).
   Una significativa trasformazione riguarda inoltre il legame tra matrimonio e fecondità, la quota delle
nascite fuori dal matrimonio diventa un indicatore importante della metamorfosi che attraversa la
famiglia:   nell’Europa   settentrionale   la   procreazione    fuori   dal   matrimonio     è   aumentata
esponenzialmente, mentre sono in una fase di lento mutamento i paesi del sud come Italia, Spagna e
Grecia, dove tuttavia la percentuale dei nati fuori dal matrimonio ha raggiunto valori significativi.
   Altro mutamento chiave è stata la diminuzione della propensione ad avere figli che è avvenuta per
tappe: tra l’inizio degli anni Cinquanta e la fina dei Sessanta si è registrata una riduzione delle terze
nascite, mentre le prime e le seconde non solo rimanevano stabili ma aumentavano, diventando precoci,
successivamente tra le generazioni nate dopo il secondo conflitto mondiale è diminuita e rimasta stabile
la fecondità di ordine elevato, mentre le prime nascite erano più tardive e meno frequenti. Queste
trasformazioni comportano un cambio significativo dei modelli familiari e riproduttivi. Se nelle donne
nate dopo la seconda guerra mondiale predomina il modello della famiglia con due figli, nelle
generazioni più recenti accanto a questo modello appare l’opzione di non avere figli. Ecco che la
fecondità in Europa sembra connettersi a due scelte chiave: quella di avere o non avere un primo figlio
e quella di avere o non avere un terzo figlio (Tronu 2002).
   Studiare come si modifica la famiglia nel tempo e nello spazio significa analizzare i cambiamenti
non solo nella struttura ma anche nelle relazioni intime. Il sentimento d’amore che nasce fuori dal
vincolo matrimoniale e in opposizione a questo si è andato progressivamente ad inserire all’interno
dell’istituzione coniugale, tanto che agli inizi del XX secolo il matrimonio d’amore diventa la norma più
diffusa nei paesi occidentali e rimane tale fino al 1960, momento in cui la ricerca delle stabilità del
legame cede il posto alla necessità di un miglioramento qualitativo della relazione a due. Non si tratta di
una crisi della famiglia, come è stata interpretata da molti studiosi, quanto di un suo mutamento che
riflette la polarità tra la scelta di una solidità e l’imprevedibilità del sentimento amoroso (Kaufmann
1996). Tale passaggio si lega alla trasformazione della vita intima che ha disegnato un nuovo modello di
sessualità, indicando con questa «qualcosa che ciascuno di noi ha o coltiva, piuttosto che una
condizione naturale che l’individuo accetta come un dato di fatto», un legame primario tra corpo,
percezione di sé e regole sociali (Giddens 1995). Fu nell’Ottocento che il matrimonio perse la sua
finalità economica e iniziò a dipendere dall’ideale di amore romantico, elaborato dalla borghesia e
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diffuso poi nelle altre classi sociali. I coniugi diventarono soci di un’impresa sentimentale, il vincolo
matrimoniale si liberò dai rapporti di parentela, la casa come spazio di cura e sostegno affettivo si
separò dall’ambiente strumentale del lavoro. Conseguentemente la sessualità diventò duttile,
svincolandosi dall’esigenza riproduttiva, determinando una rivoluzione dell’autonomia sessuale delle
donne e l’uscita allo scoperto dell’omosessualità, con la liberalizzazione del sesso promossa dai
movimenti sociali degli anni Sessanta. Si tratta di un lento passaggio dall’amour passion che non trova
realizzazione sociale e si colloca nel regno delle tensioni e delle pulsioni erotiche, all’amore romantico –
che si lega ad una nuova relazione di coppia, all’ambivalente rapporto tra affermazione di libertà/
autorealizzazione da parte delle donne e una loro subordinazione nella famiglia e separazione dalla sfera
pubblica –, fino ad arrivare nella contemporaneità a quello che Giddens definisce l’amore convergente. La
disuguaglianza tra i generi presente nell’amore romantico viene progressivamente superata dalla ricerca
di un rapporto paritetico, l’intimità viene attraversata da un processo di democratizzazione che rende le
relazioni tra partner e tra genitori e figli caratterizzate dall’autonomia personale, dalla presenza di diritti
e doveri, dal divieto di usare la violenza e dalla responsabilità, stabilita dalla fiducia verso l’altro
(Biancheri 2011).
   Se nei rapporti intimi inizialmente l’amore era contrapposto al matrimonio e in seguito questo
diventa una fondazione di coloro che si amano, attualmente l’amore si svincola dal matrimonio
(Luhmann 2001). Tratti fondamentali dei nuovi atteggiamenti di formazione della coppia sono infatti il
rifiuto o il rinvio del matrimonio che conducono, non solo alla diminuzione dei matrimoni, ma anche
alla crescita di nuove modalità di coabitazione non istituzionalizzate. Questo mutamento può essere
connesso: alla privatizzazione dei legami coniugali, ovvero all’importanza data al sentimento affettivo a
prescindere dal suo riconoscimento istituzionale; alla volontà del soggetto di essere libero,
sperimentando la reversibilità delle scelte ed evitando obbligazioni legali; alla difesa degli interessi
personali, soprattutto per le donne, dal momento che il matrimonio precoce sembra eliminare le
prospettive di mobilità sociale (De Singly 1994).
   A guidare la costituzione di una coppia sono dapprima i criteri della selezione e della somiglianza
(omogamia), poi la complementarietà socialmente codificata, ovvero le competenze diverse che donne e
uomini offrono nel mercato matrimoniale. E sebbene quest’ultimo principio nel tempo si apra, il
criterio dell’omogamia, ovvero le regole della corrispondenza di alcune caratteristiche dei partner come
l’età o i tratti fisici, pare rimanere stabile (Saraceno 1998).
   Le nuove modalità di costituzione del legame a due, mediante un lento insediamento del vincolo,
segnano il superamento del distacco netto, che precedentemente era stabilito dal matrimonio, tra la
giovinezza e la vita adulta, in questo passaggio la famiglia d’origine non solo acquista il ruolo primario di
spazio alternativo in cui ciascuno dei partner può mantenere i propri personali riferimenti, ma diventa
anche luogo di accoglienza in caso di rottura del rapporto.
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Le trasformazioni che investono l’istituzione familiare riguardano anche le generazioni e i rapporti
generazionali. Per generazione si intende tradizionalmente non soltanto la comune appartenenza ad una
coorte di età, ma anche una interna «unità di generazione», determinata dai contenuti affini che
formano la coscienza degli individui e portatrice di mutamento sociale (Mannheim 1986).
   Gli studi più recenti sulle società occidentali ed europee hanno registrato, da un lato come la
contrazione della rete di parentela estesa abbia condotto ad una parentela limitata ai rapporti più stretti,
dall’altro come le relazioni rimaste vive, tra cui quelle generazionali, si siano rafforzate, acquistando
nuovo valore. Così i rapporti generazionali sono tornati al centro dell’attenzione, grazie, prima, alla
riscoperta delle funzioni economiche dell’aggregato domestico (la relazione tra famiglia, lavoro,
fecondità e tempo libero), poi in riferimento alla crisi del welfare, all’allungamento della vita e ai
mutamenti nelle tipologie di legami familiari. Un significativo cambiamento riguarda per esempio
l’ampia diffusione della cosopravvivenza di più generazioni, accanto a questo il costituirsi di relazioni
parentali caratterizzate dalla socievolezza, dal sostegno e dai trasferimenti (aiuti monetari o in forma di
prestazioni). La crescente importanza dei legami multigenerazionali e lo sviluppo delle funzioni assolte
da questi legami, che per alcuni versi sostituiscono parzialmente il ruolo base della famiglia nucleare,
diventano l’elemento chiave della modificazione negli assetti familiari e nelle esperienze di vita dei
soggetti nel XXI secolo. Questo processo ridefinisce il quadro di trasmissione culturale tra le
generazioni, le ricerche empiriche segnalano infatti la stabilità o addirittura la crescita dell’influenza
esercitata dalla famiglia, in particolare attraverso la memoria familiare e storica delle generazioni
anziane, sugli orientamenti valoriali delle nuove generazioni. Queste ultime entrano nello spazio
pubblico con una nuova strategia di adattamento che esprime il successo della trasmissione dei valori
tra generazioni e la loro riarticolazione.
   Accanto ai rapporti generazionali un altro criterio per analizzare la trasformazione della famiglia è
quello di considerare i tempi e i corsi di vita. Si tratta di verificare come mutano le condizioni di
ingresso dei giovani nella vita adulta. Tale ingresso può essere rappresentato come una transizione su
un asse scolastico-professionale e su un asse familiare-matrimoniale. Tradizionalmente questo passaggio
viene concepito come una serie di tappe sincronizzate: l’uscita dalla casa dei genitori, l’entrata nella vita
professionale e il matrimonio e/o la costituzione di una propria famiglia, che varia secondo il genere e
l’appartenenza sociale. Si tratta di soglie simultanee e irreversibili, in cui la giovinezza viene interpretata
come una fase di «moratoria sociale», ovvero di sperimentazione del sé. Oggi questi passaggi sono
caratterizzati da una nuova reversibilità e da nuovi tempi, come sottolineeremo più avanti.
    Tendenzialmente nell’Europa del Mediterraneo si assiste ad un prolungamento della scolarità, un
allungamento della fase di precarietà professionale conclusi gli studi, la permanenza tardiva dei figli
nella casa dei genitori unita ad una forte autonomia dei giovani e la probabile coincidenza tra distacco
dai genitori e matrimonio o convivenza.
                                                                                                            11
Complessivamente la vita familiare è attraversata da profonde modificazioni che rappresentano una
sorta di «rivoluzione silenziosa». I principali cambiamenti delle condizioni di vita sono in corso
nell’ambito familiare e riguardano i tempi e le modalità di costituzione e dissoluzione delle famiglie e i
modi di stare in famiglia, dunque la struttura e i rapporti familiari. L’innovazione è connessa al
mutamento della condizione e identità giovanile, con la riarticolazione del passaggio alla vita adulta, e
all’evoluzione della situazione delle donne, con la lenta attenuazione delle disuguaglianze di genere
(Saraceno 1986). Il fil rouge della metamorfosi è il processo di individualizzazione che ridefinisce le
coordinate delle relazioni interpersonali sulla base del riconoscimento dell’autonomia degli individui e
dello sviluppo delle loro potenzialità e quello di democratizzazione, con l’affermazione della parità tra i
partner e tra le generazioni (Giddens 2000).
   Le relazioni familiari non si dissolvono ma diventano più ampie e fitte, i legami riconosciuti
assumono una centralità nella formazione delle reti sociali a disposizione dei soggetti, tramite i percorsi
di trasmissione e scambio dei beni materiali e simbolici.
   Sintetizzando, le principali cause che hanno condotto alla attuale metamorfosi della realtà domestica
europea ed italiana (anche se in maniera minore) sono: il cambiamento dei modi di accesso alla vita
adulta (soprattutto i tempi e le condizioni della formazione scolastica e dell’inserimento professionale
che determinano il raggiungimento dell’indipendenza economica dalla famiglia d’origine); la nuova
importanza attribuita al sentimento d’amore che limita il ruolo delle istituzioni pubbliche nella sfera
intima; la trasformazione dei ruoli e dei rapporti tra generi (la crescita della partecipazione delle donne
al mondo del lavoro, la riduzione della natalità, la disponibilità a rompere il vincolo matrimoniale, la
selezione di forme di unioni diverse, tutte traiettorie che permettono alle donne di preservare la propria
autonomia sociale e professionale e si riflettono nei nuovi legami tra costi e benefici delle scelte familiari
di uomini e donne); il mutamento dei rapporti tra generazioni (l’allungarsi del periodo di convivenza fra
più generazioni, i cambiamenti relativi all’autorità familiare e alla tipologia di doveri e scambi reciproci);
l’affermarsi di servizi e politiche sociali rivolte direttamente alle famiglie.

                                                                                                           12
1.2 La situazione attuale: modificazioni strutturali e nei rapporti familiari

   A partire dall’analisi del cambiamento che attraversa la famiglia contemporanea andiamo a
considerare nello specifico i dati statistici che registrano tale mutamento, per passare infine al rapporto
tra i giovani e la famiglia, in termini valoriali, di relazione e di risorse cognitive e progettuali.
   Come accennato in precedenza, nei paesi economicamente avanzati nel corso degli ultimi decenni,
anche se con diversa intensità, la famiglia ha subito radicali trasformazioni, risultato di una molteplicità
di fenomeni di natura demografica, economica, sociale e culturale, tra cui: l’invecchiamento della
popolazione, la diminuzione della natalità, il calo dei matrimoni, l’aumento dei divorzi e delle
separazioni, l’incremento dell’istruzione e dell’occupazione femminile e la mobilità territoriale. Tali
fenomeni hanno impattato sulla struttura e sulle relazioni familiari.
   Riguardo alla struttura si è vista la crescita esponenziale del numero delle famiglie, parallela ad una
contrazione del numero medio dei membri di ciascuna di esse. Il dato europeo (EU 15) registra che se
nel 1960 ogni famiglia aveva 3,2 componenti al suo interno, dopo quarant’anni il numero medio dei figli
scende a 2,4, mentre in Italia si passa da 3,6 a 2,4. Questa tendenza deriva dalla contrazione del tasso di
fecondità totale (del numero medio dei figli per donna) e dalla crescita delle famiglie unipersonali. Nel
primo caso, a partire dagli anni Settanta il tasso di fecondità totale si è ridotto dappertutto, da 4,97 a
2,63 nella media mondiale, da 2,67 a 1,6 nell’Europa dei 15 e da 2,5 a 1,4 in Italia (Eurostat 2010). Per
quanto riguarda le famiglie unipersonali rappresentano circa un quarto del totale nei paesi Ocse (il 27,7
%) e circa un terzo del totale nella media dell’Europa a 15 paesi (31,9%) e nell’Italia (30,3%),
nonostante siano diffuse in particolare nei paesi dell’Europa centro-settentrionale. La famiglia quindi è
andata riducendosi tanto nelle dimensioni quanto nella sua estensione, tanto che si è soliti parlare di un
«processo di nuclearizzazione», ovvero della diminuzione progressiva delle famiglie estese in
contemporanea alla costituzione di nuclei familiari autonomi (Zanfrini 2011). Questi fenomeni hanno
determinato la crescita delle famiglie monogenitoriali che costituiscono il 4,2% del totale nella media EU e
di quelle ricostituite. Contemporaneamente, pur con le dovute differenze territoriali, aumentano le coppie
di fatto, le coppie non coniugate, le convivenze more uxorio e le unioni libere che complessivamente
rappresentano il 7% del totale nei paesi Ocse e il 5,5/ in Italia. Si tratta spesso della scelta di un periodo
di prova a cui segue l’istituzionalizzazione del legame, come indicano i dati Eurostat, nelle coppie con
età inferiore ai 30 anni i due terzi sono costituiti dalle unioni in cui non vi è un figlio, mentre un terzo di
quelle con figli sono state formalizzate dal vincolo matrimoniale (European Commission 2010). Ci sono
inoltre altre due tipologie che vanno sviluppandosi: le unioni omosessuali che non vengono registrate

                                                                                                            13
dai rilevamenti ufficiali e le Living Apart Together (LAT), ovvero le unioni in cui i partner pur non
abitando assieme si considerano una coppia, in virtù di un legame sentimentale stabile.
   I dati a livello nazionale confermano il progressivo aumento del numero delle famiglie, parallelo ad
una diminuzione delle loro dimensioni (grafico 1.1) e registrano la crescita dei single e delle coppie
senza figli, mentre diminuiscono le coppie con figli, che tuttavia continuano a rappresentare il 38,6 %
del totale delle famiglie (mentre venti anni fa erano il 50% del totale delle famiglie) (grafico 1.2).

               Graf. 1.1 Famiglie per numero di componenti. Anno
                    1998, medie 1994-5, 1998-99, 2002-3, 2006-7
                                  (per 100 famiglie)
                                     (valori in percentuale)

                           1988      1994‐95     1998‐99        2002‐2003

                           25,8
               25,4                     22          20
                           26,2        22,9
               22,2                                 21
                           25,4        23,3        21,8
               21,1
                                                                 5,4
                                                                  6
               19,3        23,6        23,1        23,3          6,4        1,4
                                                                 7,9        1,7
                                                                             2
                                                                            2,7
              Uno         Due          Tre      Quattro        Cinque   Sei e più

   Fonte: nostra elaborazione su dati Istat

                                                                                                         14
Graf. 1.2 Famiglie per tipologia - 2006/2007
                                     (valori in percentuale)

                 38,6

                                    26,4

                                                     20,2

                                                                       8

         Coppie con figli       Famiglie       Coppie senza      Famiglie
                              unipersonali         figli       monogenitoriali

   Fonte: nostra elaborazione su dati Istat

   Al 2010 in Toscana il numero delle famiglie è 1617973 e delle convivenze 1822 (su un totale della
popolazione residente di 3749813) e il numero medio di componenti per famiglia 2.31. Nella provincia
di Pisa se la popolazione si attesta sui 417782 abitanti, il numero di famiglie risulta 176474, le
convivenze 186 e il numero medio dei compenti per famiglia 2.36.
   La famiglia nucleare che rimane la tipologia di famiglia prevalente, è stata attraversata da un processo
di diversificazione dato dall’aumento delle separazioni e dalla decrescita dei matrimoni.
   Nel 2011 infatti quest’ultimi diminuiscono in maniera esponenziale, in Italia si attestano a 204.830
(3,4 ogni 1.000 abitanti), 12.870 in meno rispetto al 2010. Una tendenza alla diminuzione che è
in atto dal 1972, ma che negli ultimi quattro anni si è significativamente accentuata: la
variazione media annua è stata del -4,5% tra il 2007 e il 2011, a fronte di un valore del -1,2% rilevato
negli ultimi 20 anni (grafico 1.3).

                                                                                                        15
Graf. 1.3 Matrimoni secondo il rito. Anni 1991-2001
                                                      (valori assoluti)
                     350.000
                     300.000
                     250.000
       Titolo asse

                     200.000
                                                                                          Matrimoni
                     150.000
                                                                                          Primi matrimoni
                     100.000
                      50.000
                             0

   Fonte: nostra elaborazione dati Istat

   Possiamo constatare come nel 2010 le separazioni sono state 88.191 e i divorzi                                     54.160;
rispetto all’anno precedente hanno                      registrato      un   incremento      del   2,6% mentre i divorzi un
decremento pari a 0,5%. Rispetto al 1995 le separazioni sono aumentate di oltre il 68% ed i divorzi
sono praticamente raddoppiati (grafico 1.4). Tali incrementi si sono osservati in un contesto in cui i
matrimoni diminuiscono e quindi sono imputabili ad un effettivo aumento della propensione alla
rottura dell’unione coniugale.

                             Graf. 1.4 Numero medio di separazioni e divorsi per 1.000 matrimoni. Anni
                                                            1995-2010
                                                                   Divorsi     Separazioni

                                                                                                                      296,9307,1
                                                                                        272,6 272,1 268,1 273,7 286,2
                                                             228    242,6 256,5 250,4
                                             195     203,8
                                 175,4 185,6                                                   160,6 165,4
                                                                                                           178,8 180,8181,7
                      158,3                                                        143,8 151,2
                                                                 123,8 130,6 138,6
                                 96,9   99,9   100,9 104,2 114,9
                      79,7

       1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010

   Fonte: nostra elaborazione dati Istat

   Nel 2010 il 68,7% delle separazioni e il 58,5% dei divorzi hanno riguardato coppie con figli. I figli
coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori sono stati 103.478 nelle separazioni e 49.853 nei
                                                                                                                          16
divorzi. La fine del matrimonio contribuisce alla diffusione delle seconde nozze e delle famiglie
ricostituite e si ripercuote anche sul tasso di fecondità e sul benessere dei soggetti, sulla relazione tra
genitori e figli e sulle tipologie di progettualità dei figli. Talvolta sembra anche comportare un aumento
dei rischi di vulnerabilità economica degli individui interessati, con la trasformazione delle situazioni
residenziali e delle modalità lavorative, soprattutto per le donne.
   La differenziazione delle tipologie familiari pur essendo un fenomeno antico cambia in tempi
moderni il suo significato, se prima si trattava prevalentemente di sub-culture familiari presenti in una
stessa società e di eventi subiti e non desiderati, quali la guerra o le epidemie, che davano origine a
famiglie monoparentali e ricostituite, oggi il pluralismo è espressione di intenzionalità e gode di
consenso sociale, non riguarda più una parte marginale della popolazione, pone quindi la domanda di
riconoscimento formale a livello normativo.
   La differenza tra le famiglie, ovvero la molteplicità delle istituzioni familiari, è la conseguenza di
mutamenti socio-culturali tipici della contemporaneità. Le nuove modalità di fare coppia o avere figli
rimandano a diversi modi di concepire le scelte di vita che sono connessi ai processi di
individualizzazione, de-istituzionalizzazione e globalizzazione che attraversano la società. Il primo
riguarda la libertà e l’autonomia del soggetto che si svincola dalle appartenenze ascritte, il secondo
riguarda la perdita di riferimento valoriale e normativo delle istituzioni sociali e la globalizzazione si
riflette nella vita familiare, nel costituirsi di famiglie miste, formate da partner di etnia, lingua o
cittadinanza diverse e delle famiglie transnazionali, divise dalla migrazione di uno o più componenti.
Assistiamo dunque non ad una crisi della famiglia in senso lato, ma ad una crisi del ruolo della famiglia
nucleare idealtipica, concepita come armoniosa, prolifica, regolata dalla divisione del lavoro e dei
compiti tra uomini e donne, con una rigida gerarchia anche tra genitori e figli (Saraceno, Naldini 2007).
   I ruoli di genere e le relazioni familiari che caratterizzano, non solo la distinzione tra le famiglie, ma
anche la diversificazione interna alla famiglia, si trasformano a partire dalle modificazioni sociali,
culturali ed economiche negli anni Sessanta del secolo passato. La crescita dell’istruzione e
dell’occupazione femminile ha in particolare incrinato il modello tradizionale di relazione familiare
asimmetrico e gerarchico, permettendo la diffusione di un modello di famiglia a doppio reddito o a
doppia carriera (duale earner family), strutturata su una nuova negoziazione della divisione dei ruoli e
dell’autorità in termini più paritari, tanto nel rapporto tra partner (Giddens 1995), quanto in quello tra
generazioni, tale da favorire la permanenza dei giovani adulti nella famiglia d’origine senza rinunciare
alla loro autonomia o la scelta di abitare a poca distanza dalla casa di almeno un genitore che permette
lo scambio materiale ed affettivo. Parallelamente la migrazione, soprattutto quella femminile, muta i
ruoli di genere, comporta una trasformazione nella divisione del lavoro, nel momento in cui la donna è
la principiare responsabile del mantenimento economico della famiglia. Sempre a seguito dei flussi
migratori in molte famiglie si crea una separazione temporanea tra genitori e figli, in questo caso i
                                                                                                          17
compiti di cura vengono affidati dalla madre lontana alle altre donne della famiglia e si ridefinisce il
processo di socializzazione (Zanfrini 2005).
   Le differenze analizzate sono alla base delle disuguaglianze nella famiglia e tra le famiglie, nell’ambito
del rapporto tra generi e generazioni. La tradizionale separazione della sfera pubblica appannaggio degli
uomini e di quella privata per le donne è ridefinita dal contesto culturale e del mercato del lavoro, ma se
la crescita dei tassi di partecipazione delle donne al mercato del lavoro ha determinato una
riconfigurazione delle scelte generative e matrimoniali, questo non è avvenuto per i ruoli familiari.
L’aumento dell’occupazione femminile si è accompagnato al mantenimento di problematiche e
contraddizioni che rendono difficoltosa la conciliazione tra tempi e mondi vitali, tra responsabilità
familiari e impegni lavorativi. Le ricerche empiriche confermano come il lavoro di cura continui a
gravare sulle donne, influenzandone negativamente la partecipazione al mercato del lavoro e
costringendole ad una situazione di sovraccarico emozionale (Colozzi, Donati 1994). Le disuguaglianze
risultano maggiori tra le donne cha hanno figli piccoli: nella media dei paesi Ocse la percentuale delle
madri occupate scende dal 68,3% per le donne con un figlio, al 62,2% per quelle con due figli, per
arrivare al 45,9% per quelle con 3 o più figli. Lo stesso trend si registra a livello europeo e in particolar
modo in Italia, dove le percentuali sono ancora più basse, anche in confronto ai tassi di occupazione
maschili (grafici 1.5 e 1.6).

               Graf. 1.5 Tassi di occupazione femminili per numero di figli.
              Confronto tra il dato medio euopeo (EU a 27 ) e il dato italiano -
                                            2011
                                        (valori in percentuale)

                                               Media UE   Italia

            75,8
                                 72,9                     72,3

                     63,7                                                     62,5
                                          60,4
                                                                   54,0

                                                                                      46,1

            nessun figlio           1 figlio                  2 figli         3 figli o più

   Fonte: Eurostat

                                                                                                          18
Graf. 1.6 Tassi di occupazione maschili per numero di figli.
             Confronto tra il dato medio europeo (EU a 27) e il dato italiano
                                          - 2011
                                        (valori in percentuale)

                                              Media UE   Italia

                                                         90,5     90,3
                                         88,6
                                 87,2                                        86,5    87,0

           79,7
                     78,4

           nessun figlio           1 figlio                  2 figli         3 figli o più

   Fonte: Eurostat

   Le diverse analisi hanno registrato il legame tra organizzazione privata e dimensioni lavorative,
relazione che per le donne italiane risulta evidente dalla scelta obbligata di un ridotto numero dei figli,
(Biancheri 2009), dalle posizioni rivestite in ambito produttivo, caratterizzate da una segregazione
orizzontale e verticale e da differenze salariali (Ferrera 2008; Biancheri 2008; 2012a; 2012c). Perdurano
quindi gli svantaggi della “doppia presenza” e anche quando le donne riescono a raggiungere i vertici
delle organizzazioni si manifesta l’obbligo di una scelta tra carriera e famiglia (Biancheri 2012d).
   Accanto alle disuguaglianze di genere troviamo quelle che caratterizzano le relazioni tra generazioni.
La società contemporanea è attraversata da profonde trasformazioni demografiche come il calo della
natalità, l’allungamento della vita media e l’invecchiamento della popolazione che hanno determinato
mutamenti nel ciclo della vita familiare, sovrapposizioni nella “sequenza generazionale”. Più generazioni
si trovano a convivere nello stesso tempo e sotto lo stesso tetto, tanto che si è soliti parlare di “famiglia
multigenerazionale”, come si è visto in precedenza. Rispetto ad alcuni decenni fa in cui nella famiglia
nucleare i figli rappresentavano una fonte di sostentamento per i genitori anziani, oggi la generazione di
mezzo si trova, quando può, a supportare la generazione dei nonni, mentre questa’ultima sostiene
quella dei figli tramite l’assistenza ai nipoti (Bertocchi 2004). Gli scambi tra generazioni diventano più
ampi e complessi tanto da incrementare conflitti di ordine psicologico, culturale o materiale tra
generazioni che rinviano al concetto di “equità generazionale”, in altre parole alla allocazione delle
risorse secondo i criteri della ripartizione tra generazioni (Donati 1991). I regimi di tipo familistico che
non hanno elaborato politiche familiari esplicite, come l’Italia, affidano l’investimento delle nuove
                                                                                                          19
generazioni unicamente alla famiglia a cui i giovani si appoggiano, per studiare, per trovare lavoro e per
formare una famiglia propria; si tratta di un sistema iniquo che appesantisce la responsabilità delle
famiglie e crea profonde disuguaglianze tra chi non può far conto sulle reti parentali (Saraceno 2003).
Per quanto riguarda le disparità tra le famiglie si registrano in primo luogo quelle economiche, per cui in
Europa, le famiglie formate da due genitori e due figli sono meno soggette al rischio di povertà, al
contrario delle famiglie unipersonali, monogenitoriali e composte dai genitori e da 3 o più figli
minorenni (Eurostat 2010). In Italia i dati Istat (2011) rilevano una elevata incidenza della povertà in
particolare nelle famiglie numerose residenti nel Mezzogiorno e più in generale tra le famiglie con
anziani e tra quelle monogenitoriali. Le disparità permangono anche quando si parla di capitale sociale,
di benessere individuale dato dalla qualità delle relazioni, in cui la famiglia riveste un ruolo primario. Si
tratta di una funzione chiave sia dal punto di vista qualitativo, poiché i figli generalmente vivono con i
genitori, sia da quello qualitativo, legato alla relazionalità affettiva e alla funzione socializzante. In
quest’ottica, vista l’importanza attribuita al capitale sociale familiare si può rintracciare la povertà o il
rischio di povertà per alcune tipologie di famiglia in cui alcune situazioni critiche hanno determinato
una riduzione ed una frammentazione delle reti relazionali e in cui non sembrano riarticolarsi nuove
forme di sostentamento né private né pubbliche.

   2. I giovani e la famiglia

   2.1 Il quadro familiare che emerge dalle ricerche nazionali e regionali sui giovani

   Le nuove generazioni riflettono le trasformazioni sociali e familiari che attraversano le società e
rappresentano contemporaneamente le possibilità future. Ecco che diventa fondamentale studiare i
giovani nel loro corso di vita, nella loro relazionalità familiare, nel sistema valoriale che orienta le loro
scelte e permette loro di ripensare e ridefinire le forme dei legami affettivi. Lo facciamo prendendo in
considerazione le ricerche empiriche nazionali e regionali per evidenziare alcuni nodi paradigmatici,
soffermandoci conseguentemente sull’analisi dei dati emersi dal questionario distribuito ad alcuni
testimoni privilegiati del processo trasformativo che attraversa la famiglia, gli studenti iscritti al corso di
Sociologia della famiglia alla Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Pisa.
   Un richiamo necessario và alla portata quantitativa della realtà giovanile, a cui si associa la rilevanza
qualitativa. I giovani (tra i 15 e i 35 anni) in Italia sono, da fonte Istat aggiornata al 31 dicembre 2010,
2748751; in Toscana 809595 (il 29,4 % della media nazionale); nella Provincia di Pisa 93163 (l’11,5 %
                                                                                                            20
della media regionale). Quasi la metà dei giovani (tra i 19 e i 34 anni) risiede nelle province di Firenze
(27%), Pisa (11%), Lucca (10%), mentre le province di Grosseto (6%) e Massa-Carrara (5%) sono
quelle con il numero minore di residenti giovani (Romano, Natilli 2011).
   Riguardo alle indagini sui giovani e alla loro rilevanza per comprendere il mutamento sociale, ci
soffermeremo sullo studio di alcuni ambiti: le variazioni nel processo di adultizzazione, in particolare in
riferimento all’inserimento nel mercato del lavoro, all’abbandono della casa dei genitori e alle nuove
forme di autonomia; la percezione nei confronti del proprio futuro e l’orientamento valoriale che guida
le scelte private e pubbliche.
   La lentezza con cui si attua il passaggio di transizione verso l’assunzione di ruoli adulti e la tendenza
a procrastinare le soglie di questo percorso, si evidenzia sia in ambito nazionale che regionale. Fra le
cause di questo rallentamento il prolungamento dell’itinerario formativo, anche se in Toscana si
registrano percorsi di studi fallimentari e abbandoni scolastici, legati alle disuguaglianze per provenienza
sociale e appartenenza culturale (segnale quindi di evidenti limiti nel modello integrativo tra scuola e
mercato del lavoro). Le modifiche al panorama sociale legate all’allargamento del processo di
scolarizzazione convivono con una realtà regionale contraddistinta dalla necessità di una rapida
professionalizzazione dei giovani. Le indagini sul territorio toscano (Buzzi 2001, Sartori 2003)
registrano come in presenza di maggiori possibilità di inserimento nel mondo del lavoro, venga a
verificarsi un precoce orientamento al lavoro che condiziona le scelte di studio. Il fenomeno
dell’abbandono della scuola prima del conseguimento del diploma rileva una caratteristica territoriale ed
una differenziazione tra aree di campagna e aree urbanizzate (De Martin 1995). Tuttavia nonostante le
condizioni lavorative in Toscana risultino migliori rispetto ad altre regioni, le tappe del processo di
adultizzazione non vengono anticipate, poiché maggiore appare l’influenza della componente culturale
su quella strutturale. Esiste oggi in Italia una pluralità di modi di essere giovani, questa complessità della
realtà giovanile ne rende difficile l’inquadramento delle specificità. In quest’ottica le ricerche locali
risultano particolarmente indicative per indirizzare le politiche sociali rivolte alle nuove generazioni e
per analizzare e problematizzare le caratteristiche dei soggetti che abitano un territorio, mentre la
prospettiva comparativa permette una riflessione più ampia sui sistemi territoriali (Bettin Lattes 1999;
2001).
   Accanto al processo di scolarizzazione prolungata e ai problemi connessi all’accesso al mercato del
lavoro, una politica di welfare che non sembra favorire l’autonomia dei giovani e la costituzione delle
nuove coppie (Schizzerotto 2002) e le tendenze evolutive della cultura giovanile, con la propensione a
privilegiare le scelte reversibili, procrastinando quelle definitive (Buzzi, Cavalli, de Lillo 1997; 2002;
2007). Le traiettorie più importanti, a livello nazionale, relative al processo di adultizzazione dei giovani
nell’ultimo decennio riguardano: la domanda di istruzione in progressiva ascesa, così come la
permanenza nel circuito scolastico; il miglioramento nel mercato del lavoro, nonostante l’alta presenza
                                                                                                           21
di giovani non occupati; la tendenza a procrastinare l’uscita dalla casa dei genitori; il leggero aumento
della convivenza e della nuzialità; la tendenza a spostare oltre i trent’anni il momento della procreazione
(Buzzi, Cavalli, de Lillo 2007).
   Le indagini Multiscopo dell’Istat rivelano come dopo un periodo di sostanziale stabilità successivo al
2000, dal 2008 al 2009 è aumentato il numero dei giovani celibi o nubili che vivono in famiglia e sono
in cerca di occupazione, sia in Italia che in Toscana (anche se in percentuale minore), dove tra questi
sono maggiori gli occupati rispetto al dato nazionale. Aumentano anche i giovani (tra i 25 e i 34 anni)
coniugati, separati o divorziati che vivono con almeno un genitore e che hanno un lavoro. Mentre tra i
giovani indipendenti a livello abitativo, una parte minoritaria ma rilevante mantiene un legame
economico con la famiglia di origine (circa il 20% e tra questi il 63% è sposato ed il 10% separato o
divorziato), anche se le nuove generazioni a livello regionale risultano più autonome economicamente
rispetto alla media nazionale. Il quadro complessivo della condizione abitativa dei giovani tra i 19 e i 34
anni (grafico 2.1) rivela una comune tendenza in Toscana e nel resto d’Italia: la più alta presenza dei
giovani che abitano ancora con i genitori, sebbene tra la fascia di età che va dai 25 ai 34 anni il numero
dei giovani diminuisca notevolmente (il 44,8 % a livello nazionale e il 47,5 % a livello regionale).

              Graf. 2.1 Condizione abitativa dei giovani (19-34 anni)
                      rispetto alla propria famiglia d'origine
                                    (valori in percentuale)

                                   RESTO D'ITALIA       TOSCANA

                                 57,9 57,3

                38,7 37,8

                                                     3,2 4,4         0,3 0,5

               Famiglia       con i genitori        con altri       con amici
              autonoma                              parenti

   Fonte: nostra elaborazione indagine Multiscopo dell’Istat 2009

   Riguardo alle intenzioni per il futuro le ricerche Iard sottolineano l’aumento dei giovani incerti sulla
possibilità di finire gli studi, uscire di casa e soprattutto avere un figlio. Le variabili significative nella
lettura dei dati sono l’età, il sesso e il capitale socio-culturale dei soggetti: relativamente all’indipendenza
abitativa si dimostrano più inclini le femmine e i figli delle classi superiori o della classe operaria,
rispetto al ceto medio impiegatizio, mentre il capitale culturale della famiglia d’origine agisce in modo
inversamente proporzionale, per cui a ritardare l’uscita dall’aggregato domestico sono i giovani con
                                                                                                             22
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