L'impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent'anni dalla morte

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Giuseppe De Matteis

           L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore:
             memoria di un Amico a trent’anni dalla morte
                               di Giuseppe De Matteis

       Chi ci ha offerto un ampio panorama delle aspre lotte contadine, della resi-
stenza antifascista e della più adulta tradizione meridionalista è stato Tommaso Fiore,
nato ad Altamura il 7 marzo 1884 e deceduto a Bari il 4 giugno del 1973. Siamo,
dunque, al trentesimo anno dalla sua scomparsa ed è stato giusto che qui si ricor-
dasse oggi la sua bella e grande figura di intellettuale e di meridionalista. Io, dopo
averlo conosciuto a Bari, tra il 1964-1965, quando svolgevo il mio servizio militare
presso la caserma “Milano” e frequentavo alcuni corsi universitari sul Leopardi
presso la Facoltà di Lettere con il prof. Mario Sansone, di cui divenni poi assistente
volontario, e dopo averlo frequentato a casa sua, in via Quintino Sella, per oltre due
anni, ascoltandolo rapito dalla sua facondia verbale, ma soprattutto entusiasta e
seriamente determinato ad esprimere, con grande naturalezza e franchezza, il suo
parere su ogni argomento in discussione, dopo un po’ osai definirlo, in un mio
“ritratto” scritto per una rivista della Capitanata, “uomo tenace, laboriosissimo,
ruggente, un vero intellettuale di sinistra”, insomma – come scrisse di lui Michele
Palmieri nel noto saggio La Puglia di Tommaso Fiore – “uno scrittore-conversatore,
ricco di umori giacobini”.
       Nato in questa splendida cittadina, in questo “paesaggio – come egli ha scrit-
to – che nella sua desolata sconfinatezza, nella sua assenza di linee forti, suggestiona
ed invita a frugare con uno struggimento di morte”, dopo aver compiuto il corso
degli studi medi e superiori, vinse il concorso come allievo alla Scuola Normale di
Pisa, dove ebbe come maestro insigne Giovanni Pascoli; e della consuetudine con la
grande cultura classica e umanistica della Normale di Pisa sono testimonianza, come
credo che molti sappiano, gli studi da lui condotti su Sainte-Beuve, su Tommaso
Moro, il celebre saggio su Virgilio, ossia quella sua originalissima interpretazione
della poesia dei “vinti” e non dei vincitori, degli “umili” e non dei potenti, la poesia
insomma delle lacrimae rerum.
       Fiore comincia, intanto, ad avere contatti, subito dopo essersi laureato e dopo
aver lasciato Pisa, con i grandi meridionalisti Giustino Fortunato e Gaetano
Salvemini; si interessa di temi storici, sociali ed economici, che sviluppa prima sulla
“Rassegna” e successivamente su “La Critica”, diretta, quest’ultima, da Benedetto
Croce; vi sarà, poi, l’incontro con Piero Gobetti, Augusto Monti, Guido Dorso,
Carlo Rosselli, Adolfo Omodeo e Antonio Gramsci.

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

        Dalla frequentazione con questi importanti uomini di cultura, impegnati so-
prattutto politicamente, Tommaso Fiore fu attratto ad occuparsi delle condizioni
del nostro Mezzogiorno, specie dei contadini; e a questo proposito fu fondamenta-
le per lui il suggestivo esempio o la grande lezione di Gaetano Salvemini.
        Dopo aver partecipato come interventista alla prima guerra mondiale, tornò
nella sua terra e fu a fianco dei contadini nella rivendicazione dei loro diritti, che
difese sempre strenuamente e con sincerità. All’avvento del fascismo, Fiore, allora
sindaco di Altamura, si dimise dall’incarico sei mesi prima che avvenisse la marcia
su Roma; lasciò la deputazione provinciale, rifiutando ogni sorta di candidature
politiche. È di questo periodo la pubblicazione su “Rivoluzione liberale” di Gobetti
delle Lettere pugliesi di Tommaso Fiore, che, ripubblicate ventisette anni dopo come
Un popolo di formiche, gli valsero il primo premio Viareggio. Anche la collabora-
zione con Rosselli fu proficua di grossi risultati: sulla rivista “Quarto Stato”Fiore
dettò il programma per il Mezzogiorno, con l’approvazione di Claudio Treves. Gli
scritti di Tommaso Fiore rivelarono grande capacità di penetrazione e di analisi
nella vita della provincia meridionale, tanto è vero che il volume Arsa Puglia fu
ritenuto da Lombardo Radice come il migliore di quanti fossero in circolazione
allora in Italia.
        Ciò naturalmente impedì che il libro potesse liberamente circolare ed essere
adottato nelle scuole; all’autore non restò altro spazio che quello di ritornare agli
studi classici, abbandonando un po’ i problemi d’ordine sociale e politico. Fiore
tornò ad un antico amore: alla poesia latina e agli studi filologici.
        Nel 1930, presso Laterza di Bari, verrà infatti pubblicato il libro La poesia di
Virgilio, opera originalissima come impostazione filologica e critica, ammirata dai
lettori e dalla critica nazionale, tanto da meritare il primo premio nazionale del-
l’Accademia di scienze lombarde e della Facoltà di Lettere di Milano.
        Il percorso della “classicità” di Tommaso Fiore registrò ancora la realizza-
zione di altre importanti opere di filosofia e di filologia: i saggi su Baumgarten,
Spinoza e Russel, ad esempio, ma anche la sua intensa collaborazione a “La Criti-
ca” crociana, a “La cultura” del De Lollis, all’“Archivio storico calabrese”, ad “Ar-
gomenti”, ecc., fino a quando egli si accorgerà che è necessario far ritorno ad un
discorso politico serio, veramente calato nel “reale” della storia recente o contem-
poranea. E, infatti, nello studio su Saint-Beuve, del 1939, Fiore, attento studioso di
letterature antiche, si cimentò assai bene, con competenza nel campo della civiltà
culturale e letteraria del romanticismo francese, non tralasciando alcune istante
politiche di rilievo, così come, del resto, farà a proposito dell’Utopia di Tommaso
Moro, un’autentica, chiara dipintura dei molti “problemi della civiltà europea” di
quell’epoca, come osservò l’Omodeo, recensendo l’opera sulla “Critica”.
        Intanto, in questo rapido excursus non vanno dimenticate le altre opere di
Fiore, a partire dalle memorie di guerra, intitolate Uccidi (Torino, Gobetti, 1924),
dall’andamento prosastico liricheggiante. Solo dopo quest’opera, Fiore andrà sem-
pre più sliricandosi e adotterà o orienterà il suo discorso in modo piano, agile, scar-
no, scattante, assecondando così la sua natura “bolliente”, come ho detto all’inizio

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di questo mio “ritratto d’autore”; e in questo ductus stilistico appaiono, di tanto in
tanto, punte di estrosità e di arguzia: egli eviterà, d’ora in poi, le divagazioni accade-
miche o le secche dell’eruditismo. È proprio dal momento in cui Fiore si sarà libe-
rato dalla suggestione della prosa rondista che riuscirà a mettere a frutto, in opere
davvero fondamentali, tutto il suo ardore di uomo politico, di attento spettatore e
registratore del “male di vivere” della classe contadina meridionale e pugliese in
particolare. Ma, ad una prosa meno liricizzata e più realistica lo indurranno anche,
in senso più lato, s’intende, le ben note, tristi vicende che caratterizzarono la sua
vita: partenza come volontario alla prima guerra mondiale, l’ostracismo del fasci-
smo, le persecuzioni, l’arresto assieme ai tre figli, di cui uno, Graziano, appena
diciottenne, ucciso. Certo è che le prove esemplari di Fiore come scrittore autenti-
co, moderno, con una sua forte carica di umanità e di novità, sono oggi concorde-
mente riconosciute dalla critica nelle sue lettere edite da Laterza nel 1952 (Un popo-
lo di formiche, con prefazione di Gabriele Pepe), nei servizi giornalistici e nelle
inchieste pubblicate da Einaudi nel 1956 (Il cafone all’inferno), nei medaglioni cri-
tici, affettuosissimi, su alcuni suoi conterranei (Formiconi di Puglia, Manduria,
Lacaita, 1963).
        Ma, insieme a queste opere, vanno ricordati anche gli altri scritti, le relazioni,
le numerose conferenze, come quella famosa alla torinese Unione meridionali emi-
grati in Piemonte, sviluppata e stampata nel 1967; gli scritti, infine, sul poeta di
Capitanata Umberto Fraccacreta e sul premio a lui intitolato; la commemorazione
di Luigi Tamburrano; le prefazioni a Gli anni lunghi di Maria Ricci Marcone; al-
l’Amore di un carro merci del “medico-narratore” di Trinitapoli Domenico Lamura,
fatto conoscere sul piano nazionale come valido scrittore della Daunia proprio da
Tommaso Fiore; la collaborazione alla rassegna “Puglia” e al volumetto miscella-
neo La legge di Vailant, (Foggia, Società Dauna di Cultura, 1958).
        Tutte le opere di Tommaso Fiore, oltre a farci individuare le tappe della sin-
golare carriera di un saggista ricco di risorse, ci offrono un quadro della Puglia delle
aspre lotte contadine, della resistenza antifascista e della più adulta tradizione
meridionalista. Ricordo bene quando affermava, alcuni decenni fa, Michele Palmieri
in una conferenza che tenne a Bitonto su Tommaso Fiore. Egli sosteneva che, nel
panorama della vita morale e culturale della nostra regione, alla Puglia di quell’“asceta
della bellezza” che fu Armando Perotti, era subentrata la Puglia di Tommaso Fiore,
intellettuale di sinistra: il primo mitizzava i luoghi del paesaggio pugliese con una
prosa lirica di sapore rondesco, elegantissima, il secondo testimoniava un altro tipo
di amore per la sua terra, un amore cioè virile e scontroso, che non conosce soste,
stanchezza, tentennamenti o cedimenti; che è, anzi, caratterizzata da scatti di impa-
zienza e da una trepidazione di fondo che sollecita il “consenso operoso alle lotte
per la giustizia e la libertà”. La Puglia di Fiore si configura così ai nostri occhi come
la regione di uno scrittore-conservatore ricco di umori giacobini, che mitiga l’ardo-
re della passione libertaria con la severità e il rigore degli studi e, “percepita l’ansia
di giustizia delle formiche sobrie e laboriose che soffrono e premono per le tremen-
de necessità cui sono esposte”, appare a noi come un personaggio inconsueto, con-

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notato sì di aggressività e di spirito polemico, ma in sostanza “generoso, estroso e
cordiale”.
        Ciò che più interessa, però, di questo autore, oltre al riconoscimento ormai
unanime di pubblico e di critica, è che egli è uno scrittore veramente di razza, mo-
derno e vivo, un antifascista convinto e tenace; egli è, soprattutto, un uomo che ha
saputo restare al proprio posto, prima, durante e dopo il ventennio nero, quando
cioè il nostro Paese sembrava travolto dall’ignominia e dall’abulia; egli si dimostrò
sempre aperto alla tolleranza ed operò molto, con la parola, con l’apostolato del
professore di liceo, con il proselitismo, nella scuola e fuori, a contatto con genera-
zioni e generazioni di giovani, “gettando – come bene osservava Tommaso Pedio –
ovunque il seme dell’entusiasmo, della fermezza, dell’incitamento ad operare bene,
lontano dalle fazioni e dagli interessi egoistici”. Legato a Benedetto Croce negli
anni più oscuri della dittatura fascista, Tommaso Fiore comprese che la dottrina del
grande pensatore abruzzese non era sufficiente a lottare contro le prepotenze e gli
abusi della classe padronale. Egli mantenne i contatti con i fuorusciti e fu tra i re-
sponsabili, come ricorderemo, del movimento “giustizia e libertà” nell’Italia meri-
dionale. Gli eventi succedutisi dopo la caduta del fascismo provocarono in Fiore
una grande delusione: sotto il manto della Democrazia Cristiana o dei partiti di
governo si continuò a sperperare il danaro pubblico e molti si arricchirono illecita-
mente, con grande rabbia naturalmente di Don Tommaso che, pensate un po’, quando
egli divenne Sindaco di Altamura, si fece carico di pagare i debiti di quel Comune
con le lezioni private impartite ai giovani.
        Salveminiano o crociano, azionista o socialista, una cosa è certa: Tommaso
Fiore è rimasto sempre, fino alla morte, il “giovane pugliese” interessato a formare
le coscienze e a soddisfare le aspirazioni e i bisogni della classe operaia.
        Mario Sansone scrisse di lui, in forma sintetica ma incisiva, che “Se molti
degli studiosi e scrittori pugliesi vivono fuori di Puglia, altri vivono in Puglia, ora
come cittadini plenissimo jure della repubblica italiana delle lettere; a Bari vive
Tommaso Fiore, studioso di letteratura classica e moderna, scrittore incisivo e per-
sonalissimo, sempre in prima linea, fino agli ultimi anni della sua lunga vita, in ogni
battaglia di rinnovamento civile e particolarmente nel Mezzogiorno, interprete af-
fascinante delle miserie e delle speranze di Puglia”.
        Nella sua dirittura morale e politica, Fiore rimane uno degli uomini più rap-
presentativi della fine del secolo scorso: con la sua parola appassionata, con le sue
opere originalissime e, soprattutto, con il suo esempio, ci ha insegnato ad amare la
libertà, a difendere la dignità umana, a contrastare e a combattere con determinazione
e fermezza l’arbitrio e gli abusi che sono stati compiuti, anche in nome della libertà e
della giustizia. E da noi qui, in Italia, il problema più scottante, purtroppo, è stato ed
è ancora quello della giustizia sociale: è necessario accompagnare al progresso econo-
mico delle regioni più depresse una reale crescita che modifichi il costume; solo così
(e Don Tommaso lo suggeriva sempre ad amici e conoscenti, giovani e meno giovani)
si può sperare di liberare le coscienze, trasformando il “cafone” in “uomo e in cittadi-
no” che sappia conquistare e difendere con dignità il proprio avvenire.

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        Egli è stato un uomo memorabile per onestà, intelligenza, coraggioso senso di
solidarietà con i più poveri, e noi abbiamo oggi non solo il dovere di ricordarlo, ma di
assecondare il suo pensiero attraverso la lettura e l’approfondimento delle sue opere,
accogliendo in pieno il suo messaggio, sempre attuale, di umanità e di vita.
        Tommaso Fiore fu, come si è detto, tracciando il suo “profilo”, uomo di stra-
ordinaria qualità. Chi, come me, ha avuto l’occasione di conoscerlo e di stargli accan-
to (lo frequentai quasi quotidianamente per circa due anni, 1965-1967, quando svol-
gevo il mio servizio militare a Bari), deve convenire che il modo suo di pensare, di
agire, soprattutto il suo pensoso ascoltare si scioglievano quasi sempre in confidente
calore di umanità: egli dimostrava una disponibilità umana umile e insieme ricca ed
avvertita. La sua conversazione, quasi sempre calorosa, sincera, polemica, era una
lezione di umanità e di dottrina, alimentata da una fede profonda nella funzione civi-
lizzatrice delle lettere e da una fervida tensione etica e civile, ma anche di grande
impegno politico e sociale. Ricordo con particolare ammirazione la sua dedizione
allo studio, l’ordinato rigore del suo lavoro quotidiano nella sua bella casa di Via
Quintino Sella 78, stracarica di libri antichi e moderni, molti recentissimi, inviati a lui,
questi ultimi, da varie case editrici di ogni parte d’Italia, perché egli si degnasse di
leggerli, di vagliarli attentamente e di stilare qualche nota critica sulla terza pagina
della “Gazzetta del Mezzogiorno”, quotidiano barese e pugliese che accoglieva spes-
so i suoi elzeviri. E tutto egli faceva con scrupolo, con equilibrio, soprattutto con
signorile capacità di comprensione dei problemi soprattutto giovanili (la povertà, la
disoccupazione, la scuola), analizzati con forte senso etico e scientifico.
        Colgo qui l’occasione per far conoscere ai lettori, a mo’ di appendice di questo
mio “ritratto” d’autore, alcune missive, dell’allora più che ottantenne scrittore, indi-
rizzate a me, ventiquattrenne, che testimoniano quanto calore ed impegno egli po-
nesse nella discussione sui problemi di attualità, dimostrando di saper passare con
estrema disinvoltura dalla battuta rapida, che qualche volta si racchiudeva in un’os-
servazione surreale, con note tra l’ironico e il grottesco, qualche altra volta assumeva
accenti vivi e sferzanti (ciò soprattutto quando la discussione era più impegnativa e
stringente, e quando era necessario far ricorso all’appassionata difesa delle sue con-
vinzioni e dei suoi principi, ispirati sempre a grande onestà e rettitudine).

       Bari, 22 febbraio ’65

      Caro De Matteis,
      c’è una lettera di voi altri che giace dinanzi a me da più mesi. Quando rispon-
derò? Sono stato nel dicembre in Albania e in Toscana, poi sono stato afferrato da un
lavoro che non mi lasciava un minuto di respiro. E ora rispondo immediatamente,
perché… le cose tue e di voi tutti m’interessano.
      C’è un solo uomo, a mia conoscenza, che può aiutarti nella tua tesi di laurea e
correggerla quando l’hai finita. È il prof. Francesco Lala, via Fatebenefratelli, 1,
Lecce, che ha pubblicato l’anno scorso un’antologia della poesia moderna, da D’An-

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nunzio in qua, con note e commento assai fini. Naturalmente si è occupato di
Cardarelli, senza riscaldarsi, si capisce, ma qualcosa ha pur trovato. Questo signore,
come sai, ha voluto fare una restaurazione della forma, e solo per questo si ricorda il
suo nome. Socialista? Nemmeno per sogno. Collere? E contro chi. Accademia dun-
que, anche se molto fine; di ciò egli viveva. È vero che i poeti moderni, da Pascoli e
D’annunzio agli altri hanno gran cura di lingua, stile, metro ecc., ma sono molti
cubiti sopra a Cardarelli. Te ne sei accorto subito, mi pare.
       Non ho altro da dirti. Abbracciami il povero Caruso, malato non so di che. Io
sono più malato di tutti, secondo il detto ciceroniano, morbus ipsa senectus, ma spero
di farcela ancora per parecchio tempo, dopo gli 81 anni che ho. A primavera, se ci sei
anche tu, conto di far una capatina ad Alberona, per il solo piacere di sentirvi parlare.
       Non altro. Buon lavoro e un abbraccio dal tuo vecchio
        Tommasone

          Bari, 2 aprile ’65

        Caro De Matteis,
        la prego di scusarmi; la sua lettera è stranamente senza data, ma io non ho
perduto il senso della realtà; tacere più a lungo sarebbe scortesia.
        Ho infatti un subisso di cose da fare e una corrispondenza così vasta che a
volte mi passa tutta la mattinata a dettar lettere. Pazienza! Dacché c’è stata una
vita letteraria, non si può fare a meno di scrivere e ricevere lettere.
        Ad una ad una le sue quistioni.
        Anzitutto lo studio su Cardarelli e i consigli di Lala. Gli ha scritto? A che
punto è il suo lavoro?
        La mia aspirazione a venire nel Subappennino foggiano e per di più ad
Alberona non è che un sogno di poesia. Cosa verrei a fare costà? Che cosa potrei
imparare? Le condizioni dei contadini le conosco, non sono diverse nei vari punti del
Subappennino. Dei borghesi non ho voglia di vederne nessuno, se non c’è costà qualche
uomo singolare. Mi sarebbe assai grato trattenermi con lei, col suo amico Caruso e,
possibilmente, con l’altro1 poeta, di cui ho scritto, e che avrà letto, spero, il mio arti-
colo. Che ne dice lei a riguardo? Se il giovine non ha avuto l’articolo, me lo dica e mi
dia il suo indirizzo, glielo manderò senza dubbio.
        Caruso è malato? Spero si tratti di cosa da nulla. Caruso è malinconico “per la
nostra povera esistenza di mortali”, come dice lei. Ma nella vita non tutto è male,
come non tutto è bene, pure si lotta, si sogna un mondo migliore, quello per esempio
della fratellanza universale, come faceva il povero Leopardi. Bisogna nutrirsi, dica
al giovane collega, di senso critico sì, ma coraggioso, della vita. La vita è retta dalla
Provvidenza, quella cristiana per i cristiani, quella vichiana per noi filosofi.

  1
      Si tratta del compianto Vincenzo D’Alterio, di Alberona (Fg.), poeta in lingua e dialettale anche.

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Giuseppe De Matteis

        Non so come rispondere a proposito dei problemi che possono interessare lei. I
problemi sono tanti! Quelli che interessano me sarebbero la storia, la critica, la filo-
sofia, la politica, il meridionalismo, il mondo del lavoro, l’atteggiamento dei partiti
di sinistra in tutto il mondo.
        Come forse avrà letto sui giornali, or sono due inverni, ho guidato verso
Altamura la marcia della pace. E domenica guiderò qui a Bari la marcia per la pace
nel Vietnam.
        Un uomo moderno non può ignorare questi problemi, un meridionale poi, se
non conosce le cose del Mezzogiorno, se non ha una visione razionale di ciò che va
fatto, se non capisce che cosa è stato per noi Giustino Fortunato o Carlo Levi, vuol
dire che dorme e che è difficile svegliarlo.
        Come mai poi chiede di lavorare in qualche rivista letteraria diretta da me?
Se c’è qualche rivista quaggiù, non è certo diretta da me, lo sanno tutti. Questo di lei
è come mettere il carro dinanzi ai buoi. Che cosa ha scritto sinora? Io non lo so, ma
so che la critica è forse più difficile della poesia: si nasce poeta, si diventa critici a via
di studio e di buona volontà.
        Chi sono i colleghi Petrucciani e Parronchi? Me li saluti cordialmente.
        Auguri per la sua laurea. E le ricambio i migliori saluti,
        T. Fiore

        Bari, 27 aprile ’65

        Carissimo De Matteis,
        grazie della tua e scusami se rispondo con quasi 2 settimane di ritardo. Pensa
un po’ che poeti e romanzieri che si rivolgono a me ne incontro non di rado e quindi
svolgo con loro una conversazione assai impegnata…
        Ho piacere che il tuo lavoro su Cardarelli va innanzi e che il tuo professore ne
approva ciò che hai scritto. Scrivi senz’altro al prof. Lala, che è un po’ schivo, come
di solito gli studiosi, però in materia è più che competente.
        Non ti preoccupare della mia attività letteraria, dacché son ridotto a scrivere
quasi sulla “Gazzetta” solamente. Spiego anche un’attività politica, di cultura poli-
tica; non c’è settimana che io non sia in giro a tener discorsi.
        Ho scritto al tuo amico Caruso2 per confortarlo. Che ragioni ha di essere
malinconico? Non insegna? Basta una professione come questa, volta a formare i
giovani, per non trovar più tempo per affliggersi.
        Salutami il collega Petrucciani ed abbimi affettuosamente tuo,
        T. Fiore

   2
     Si tratta del poeta dialettale alberonese, maestro Michele Caruso, all’epoca settantenne, coautore con il
sottoscritto e con Vincenzo D’Alterio della fortunata raccolta di canti popolari e di poesie alberonesi intitola-
ta Aria ed arie di Alberona, Foggia, Studio editoriale dauno, 1963.

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

          Torino, lì 21 settembre 1965

        Carissimo De Matteis,
        la tua mi è stata rinviata qui, dove mi trovo per gli esami autunnali di Maturità.
        Profondamente mi addolora la malattia dell’amico Caruso, cui porgerai il più
caldo abbraccio mio e il dolore di non poterlo venire a salutare di persona. Verrà
presto l’inverno, e come farà a resistere? Chi lascia? Ha figlioli? È viva sua madre?
        Quando tu venisti a Bari e ti recasti a non so quale ospedale, pensai che fossi
tu il malato e che non ti fossi fatto vedere quasi per vergogna. Ti chiedo scusa dell’er-
rore, ma ciò avviene quando non ci si conosce di persona. Pensavo che saresti venuto
alla fiera e invece…
        La “Gazzetta” è tutt’altro che favorevole a uno scrittore socialista e di tempe-
ramento aspro, come sono io. Il direttore, dopo un mese che teneva un mio moderato
articolo su un recente volume di Sacco, un meridionalista di Matera, mi ha chiesto
gli rimandassi l’articolo; l’aveva smarrito, dice lui. L’aveva invece perduto, cioè
cestinato, e io non gli ho risposto. Anche adesso un articolo sul prodigioso studio su S.
Francesco d’Assisi del sommo storico Gabriele Pepe se lo tiene da più di due settima-
ne. Vedremo se se ne ricorderà…
        Pasquale Soccio è un uomo di cultura, ma un reazionario. Cosa ci azzeccava
la filippica contro gli abitanti di Sannicandro Garganico? E l’esaltazione del Medio-
evo per il Medioevo? Questo assurdo atteggiamento macchia la poesia del suo ulti-
mo volume,3 la sua arte di descrivere, che non è poca.
        Come vedi ho lasciato tutto per risponderti. Se hai bisogno di scrivermi, indi-
rizza sempre a Bari.
        Con grande affetto tuo,
        T. Fiore

          Bari, 6 dicembre ’65

       Caro De Matteis,
       mi dispiace che la tua lettera mi abbia trovato a Roma. Son tornato ieri sera
alle 19 in aereo e soltanto questo pomeriggio posso rispondere. Perché tanta fretta?
       Dunque non ho nessuna difficoltà a che tu introduca il mio giudizio sulla
poesia moderna, dove meglio ti pare. I giudizi dei critici sono a disposizione del
pubblico e tanto più degli amici.
       Leggerò con piacere la pubblicazione dei nuovi versi, e, intanto, ti saluto ca-
ramente,
       Tommaso Fiore

  3
      Fiore si riferisce qui al noto libro di Pasquale SOCCIO Gargano segreto, Bari, Adda, 1965.

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Giuseppe De Matteis

        Bari, 27 giugno ’67

       Caro De Matteis,
       solamente ieri son riuscito a strappare due minuti al prof. Sansone, alla fine di
una giornata di lauree. Mi ha detto subito che ti vedrà volentieri ad ottobre, che
puoi presentarti senz’altro a lui e parlargli delle cose tue. Non gli ho dato il volume
di versi, perché facilmente lo avrebbe smarrito in mezzo a tanti altri. Glielo porterai
tu stesso.
       Segui la “Gazzetta”, vedi che non ha pubblicato quasi nulla di me. Un mio
articolo su Sansone ha suscitato una tempesta e non so ancora perché: nessuno parla,
nessuno si sbottona, nessuno risponde. Io ho protestato per iscritto al direttore del
giornale per questa maniera di agire in silenzio ermetico e magari adoperando le
forbici alla pazza. Ancora una volta, silenzio di tomba. Sarei tentato di andarmene
lontano quando daranno la Targa dell’Amicizia anche a me. Premi sciocchi quelli
dati ad un 84enne. Ma darli ai giovani, come si dovrebbe, comporta responsabilità.
       Come mai hai dimenticato nella tua busta due mila lire? Non ricordo di aver
fatto delle spese per te e perciò te le rimando.
       Fatti vivo ogni volta che hai bisogno. Cordialmente tuo,
       don Tommaso

     P.S. Mi sai dire chi è il presidente del Consiglio Provinciale della tua Daunia?
E quanti sono i consiglieri?4

        4, agosto ’67, codice postale 70122

       Caro De Matteis,
       la rivista “Incontri Meridionali.” ha subito uno scontro: gli operai sono in
vacanza. Ciò vuol dire che se ne riparla dopo ferragosto.
       Quanto al tuo articolo, a me par buono, ma il direttore Catarinella preferisce
che dei propri scritti parlino gli autori, direttamente. Si vedrà.
       Sarei lieto che tu intervenissi al premio Monticchio, che si terrà sul posto il 20
o 27 corr., come decide l’amministrazione. Non mancheranno uomini di valore e
amici, ad ogni modo.
       In questi giorni esce anche un grosso volume della “Rassegna Pugliese”, dedi-
cato al sottoscritto. Ma ciò che importa è che il saggio di Michele Palmieri è ottimo,
che ce n’è uno di Gabriele Pepe e non mancano altri assai significativi.
       Buon riposo! Io mi riposo correndo di qua e di là e lavorando instancabilmente.
       Tuo con affetto,
       don Tommasino

   4
     L’allora presidente della Provincia era l’avv. Berardino Tizzani, di Manfredonia e i consiglieri provinciali
erano trenta.

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

          Bari, 26 ottobre 1967

       Caro De Matteis,
       non esiste un tempo determinato per scrivere lettere: quando è necessario si
scrive magari due volte al giorno, quando non è necessario, ci si regola, un mese,
direi, non più, se si vuol conservare l’amicizia.
       Non capisco che cosa ti tiene tanto occupato.
       L’affare di Lucera mi fa ricordare quello del tuo colonnello, che voleva una
conferenza all’esercito e poi se ne scordò, non ne parlò più! E io ebbi così del tempo
perduto per uno smemorato. Dunque non bis in idem. Anche mi ricordo di essere
stato una volta invitato proprio a Lucera, ad una conferenza repubblicana, se mal
non ricordo. Ma quella brava gente dei signori del circolo5 se l’era squagliata, e io
non trovai nessuno, che mi dicesse “buon giorno”.
       Nella speranza che la cosa non si ripeta, trattandosi di un circolo, che puzza di
borghesia locale e reazionaria lontano un miglio, preferirei parlare di argomenti
vari, come meglio piace ad ogni interrogante. In tal modo più che l’oratore parlano
gli spettatori ed ognuno è contento di quel che gli si risponde, ma più di quello che
dice lui stesso! Con questo non voglio dire che non ti farei la conferenza letteraria
sulle condizioni della nostra cultura in Puglia, ma… pensaci bene. Un’altra condi-
zione, cui non posso derogare, è che la mia fatica venga ricompensata, modestamen-
te, con due biglietti da diecimila, il che non ha bisogno di giustificazioni. Se no,
preferisco fare una passeggiatina nella villa Garibaldi e vedere le ragazze sfarfallare
uscendo dalla scuola.
       Cari saluti,
       don Tommaso

          Bari, 15 maggio 1968

       Carissimo Peppino,
       non avrei mai creduto che mi facessi questa improvvisata, delle tue poesie,
nuove e imprevedibili. Non è solo che non me ne hai parlato mai, anzi hai insistito
sempre sul problema dell’insegnamento presso Sansone, come se ciò potesse essere
tutto per te; quanto a poesia io ero quindi autorizzato a ricordare i tuoi vecchi versi
a stampa, che restano nella tradizione paesana.
       Non so quindi come leggere nel tuo animo, se riesci a prepararmi delle sorpre-
se. Ma non voglio pensare a nulla di male, anzi, qualunque sia stato il motivo del tuo
segreto, i versi, ti dicevo, sono nuovi e belli. E ciò può bastare.
       Più che l’elegia, il “Ricordo di te” e “l’Autoritratto” mi hanno colpito per la
loro serietà, per l’impegno, per il senso nuovo della vita, ben lungi dalle paesanerie
di Alberona.

  5
      Fiore si riferisce al notissimo Circolo “Unione”, in piazza Duomo, a Lucera.

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Giuseppe De Matteis

       “Autoritratto” è insieme solitudine, bisogno di liberazione e quindi travaglio
dell’anima. Tutto ciò è irragionevole, tu pensi e vuoi abbandonare il passato, che
unisci con la sorte capricciosa; “Voglio riconoscermi uomo… in un veracissimo di-
battito interiore”. La poesia dunque è grave di motivi seri e dolenti, che non sempre
si trovano così concentrati nei moderni. Poi la tua tristezza si collega al “Ricordo di
te”, cioè a una forma di amore sconvolgente. Il poeta non può accettare la calma, il
paesaggio notturno, non gli piace più meditare sul singulto dell’uccello notturno. La
sua attenzione è rivolta alla voce della natura, crudele e dolente. La sua notte estiva
si popola di piante e il suo sogno non avrà termine. Insomma, forse questo sogno non
si definisce con la precisione di un’arte sicura, ma piuttosto con oscillazioni e vibra-
zioni. Ma questa è una forma della poesia di oggi. Non mi ha persuaso la tua “Ele-
gia”, la tua aspirazione a “vivere un giorno da leone” echeggia d’Annunzio in ma-
niera inopportuna. E sei ben lungi dal sistemare un’espressione ritmica persuasiva.
La metrica libera è una grande conquista, quando si è poeti, ma tu ti esprimi capric-
ciosamente, o almeno questo è il tuo dattiloscritto, con l’articolo a fine del verso!
       Ho finito. Mi aspetto da te che ti concentri nell’arte, dimenticando qualsiasi
altra cosa, la filologia, la letteratura e tutte le tentazioni altrui.
       Mi resta l’ansia di sapere e ti prego di scrivermi presto, se hai qualcosa da
dirmi, in verso o in prosa.
       Fraternamente tuo,
       don Tommaso

      Bari, 18 novembre 1970

       Amato figlio,
       ti ringrazio assai per tutto ciò che mi scrivi e il tuo articolo vedrà la luce nel
prossimo numero, il primo dell’anno seguente sulla rivista.
       Tu hai compreso però, anche se il foglio uscirà in settimana, spero (gran tempo
si perde coi correttori e io non mi fido di me, leggo a memoria!), che io ho già pubbli-
cato i tuoi versi.
       Tu avevi fatto l’abbonamento per £. 3.000; mandami ora, ti prego, altre 7.000,
come promettesti.
       Intanto ti annunzio due cose: che quell’antologia non è buona affatto, come ti
dimostrerò fra giorni, e io ne farò immediatamente un’altra: ciò è avvenuto perché il
miliardario Macinagrossa ha i suoi vecchi legami, che giudica di poesia coi piedi. Ti
aggiungo ora che stiamo facendo un’associazione libraria o casa editrice e che quindi
tu potrai farne parte come vedrai dalla circolare che racchiudo in questa lettera. Se stai
con noi, non potrai che farmi nuovo piacere. Siamo intesi dunque che tu non scrivi il
tuo articolo, se non appena finito il mio volume, che certamente venderò o regalerò ad
amici di Francia, d’Inghilterra, di Germania, di Russia e di ogni libero paese.
       Un abbraccio dal tuo,
       don Tommaso

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L’impegno politico e culturale di Tommaso Fiore: memoria di un Amico a trent’anni dalla morte

       Bari, 1 aprile 1971

       Caro Peppino,
       mi dispiace assaissimo dei tuoi disturbi, tanto più che sei un giovine aitante di
forme e fresco di salute. Io penso che l’aria primaverile della collina dove sei nato
potrà giovare alla tua salute e ad ogni modo non mancare di darmene notizie setti-
mana per settimana.
       Ma vedi cosa vuol dire scriversi di rado? È come una lebbra che si stende
attaccando un corpo, non fa pensare più a nulla. Così io non saprei più dove trovare
la tua nota sul poeta Urrasio,6 che mi riesce completamente nuovo.
       Chi mai ti consiglia di leggere uomini piccolini? Se lo fa il tuo professore di
Università è certamente un pedante… Cosa ha fatto di buono questo scrittore? Co-
munque… Mandamelo, perché io possa giudicare se è degno di essere conosciuto da
noi meridionalisti o magari da noi uomini.
       Perdonami la franchezza, che è la virtù più bella dell’uomo.
       Per “La Rassegna Pugliese”, non so perché tu non l’abbia preso dalla bibliote-
ca pubblica o da quella universitaria. Ma insomma devi scrivere, scrivere, scrivere,
come faccio io.
       Cordialmente dal tuo,
       don Tommaso

   6
     Tommaso Fiore nel 1971 ancora non conosceva le prime prove poetiche di Michele Urrasio, maestro
elementare a Lucera ma nativo di Alberona, la cittadina del Subappennino dauno definita da Mario Petrucciani
e da Mario Sansone “il paese dei poeti”. Vari anni dopo, leggendo la produzione poetica di Urrasio, Fiore
espresse parere favorevole.

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