Una nuova alleanza tra natura e tecnologia - L'ibridazione tra bio-ecologia e tecnologia per costruire in accordo con l'ambiente
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Una nuova alleanza tra natura e tecnologia L'ibridazione tra bio-ecologia e tecnologia per costruire in accordo con l'ambiente di Gianni Scudo Architettura sostenibile regionale: il Queens Buildin della De Monfort University a Leicester (Arch.tti Ford & Short) Simbiosi natura tecnologia Alla fine del XX secolo, forse per la prima volta, la tecnologia potrebbe diventare abbastanza sofisticata da ritornare alla natura, intesa non solo come modello "da imitare" o flusso di materia/energia da utilizzare ma come modello operazionale. Per la prima volta, cioè, il richiamo esplicito della tecnologia ai processi e alle caratteristiche strutturali del mondo organico (capacità reattive e trasformative, flessibilità, produzione a bas- sa entropia, ecc.) che ha importanti precedenti storici esce dalle ipotesi meramente teoriche e si traduce in processi produttivi in diversi settori (computer, robotica, materiali e tecnologie, comprese quelle edili, agricol- tura, processi di controllo, ecc.). In un numero sempre più elevato di discipline, si stanno sviluppando p dif- fondendo sulla scia della "bionica"', studi e processi "biotecnologici", cioè caratterizzati dall'ibridazione" tra area bio-ecologica ed area tecnologica, ("biomimesi", "biotronica", ecc.). L'aspetto più importante di questa 'nuova alleanza operazionale tra natura e tecnologia sta nel riconoscimen- to che le "biotecnologie" o tecnologie ecologicamente sostenibili (che lavorano con e non contro l'ambiente) sono un valore culturale profondo, perché creano quelle differenze e complessità nei luoghi e nei comporta- menti che sono alla base della stabilità degli ecosistemi urbani e comunque degli insediamenti ecologica- mente e socialmente fondati. Uno infatti degli aspetti fondamentali della struttura ecologica è la capacità che hanno i sistemi biologici di "intendersi" senza ambiguità con il loro ambiente, cioè di regolare (attraverso linguaggi più o meno comples- si) quegli scambi di materia ed energia da e verso l'ambiente che ne garantiscono la stabilità nella comples- sità. Al contrario dei sistemi biologici, l'ambiente antropizzato contemporaneo è stato costruito in totale "frainten- dimento" con le risorse fisiche (energia, acqua, aria, suolo, ecc.) contribuendo pesantemente a determinare gli squilibri ambientali e a rendere sempre più fragili le interazioni tra sistemi artificiali e sistema naturale. Il fraintendimento ha profonde ragioni strutturali legate ai limiti dello sviluppo industriale, di tipo prevalentemen- te quantitativo e, di conseguenza, alle ambiguità e contraddizioni che caratterizzano la "comunicazione eco-
logica" nella costruzione e gestione degli insediamenti. E’ sorprendente, ad esempio, come gli architetti gio- chino con parole d'ordine e/o metafore complesse ed apparentemente potenti (sviluppo sostenibi- le/ecologico, caos, evoluzione) e ignorino totalmente le interazioni reali (in termini "ecologici" cioè dì flussi di energia e materia: calore, radiazione, inquinanti ecc.) tra gli edifici che costruiscono e il loro ambiente fisico. In altre parole gli architetti continuano a non voler affrontare i "caratteri ambientali" dei loro edifici, e, concen- trandosi solo su quelli "distributivo-formali" e "tecnologici", a eludere il fondamentale problema culturale e ecologico del crescente disordine ambientale degli insediamenti. Eppure una parte consistente della cultura materiale del costruito è stata sempre legata ai rapporti tra attivi- tà, tecniche, forme e flussi naturali, come ci insegna la lettura dei caratteri dell'architettura regionale. L'architetto egiziano H. Fathy in un libro sulla climatizzazione naturale degli edifici scritto poco prima della sua morte5 osserva che oggi non pensiamo a quello che stiamo perdendo utilizzando in modo riduttivo le ri- sorse della natura e sostiene che se consideriamo i valori ambientali delle soluzioni bioclimatiche del passa- to, come le torri a vento o i "salsalabil" (lastre di marmo incise con geometrie complesse per facilitare l'eva- porazione dell'acqua), dobbiamo riconoscere che hanno creato una cultura locale molto sofisticata ed am- bientalmente consapevole completamente cancellata dalle attuali tecnologie di condizionamento dell'aria. La casa ecologica autoallestita al Tiergarten di Berlino (arch. Frei Otto) L’approccio bioclimatico come ecologia del progetto Progettare con il clima, un approccio bioclimatico al regionalismo architettonico, è il titolo del libro che V. Ol- gyay pubblica nel '62 e che costituisce insieme un manifesto ed una metodologia per "lavorare con le forze della natura, non contro di esse e utilizzare le loro potenzialità per creare migliori condizioni di vita "negli in- sediamenti umani. L'approccio bioclimatico si colloca nell'alveo della cultura ambientale del costruito (o eco- logia dell'ambiente costruito) nell'accezione attribuitagli da H. Fathy e da pochi altri architetti e ricercatori precedentemente alla crisi ambientale dell'inizio degli anni '70. Il termine "bioclima" (e l'aggettivo bioclimatico che ne deriva) è composto da due parole greche: "bios" che significa "vita" e "klima" che significa letteralmente "inclinazione della terra dall'equatore ai poli" e nell'accezione corrente "il complesso delle condizioni meteorologiche di una data zona". Il concetto di bioclima è stato elaborato dalla bioclimatologia, ramo della scienza sviluppatosi all'inizio del se- colo che studia l'insieme di fattori climatici in quanto regolatori della distribuzione dei grandi tipi biotici e che costituisce una parte importante di scienze più generali come l'ecologia. Nell'approccio bioclimatico il riferimento esplicito alla climatologia. alla grande variabilità delle condizioni ge- ografiche dei luoghi ed alla grande differenziazione delle risposte in termini di forma degli habitat naturali ed
antropizzati "tradizionali", deriva dai contributi della cultura biologico-ecologica europea e americana (lo stesso alveo culturale che, a cavallo della guerra aveva fortemente influenzato figure anomale di architetti "ecologicamente orientati" come Kiesler sotto lo stimolo della consapevolezza dei conflitti ambientali generati dall'espansione urbana negli Stati Uniti: "Nonostante la grande varietà di condizioni climatiche, gli edifici pre- sentano spesso un incurante uniformità. Le tipologie edilizie e i materiali da costruzione sono troppo spesso usati negli ambienti più diversi con scarsa o nessuna attenzione per i loro effetti sul comfort umano o addirit- tura per le prestazioni dei materiali". Fra le cause che hanno determinato lo stato di degrado dell'ambiente costruito, Olgyay individua in modo chiaro il dominio dei sistemi tecnologici di climatizzazione che hanno eliminato il tradizionale rapporto "sim- biotico" fra ambiente costruito e contesto fisico/climatico. In termini ecologici oggi diremmo che la cultura del- la "machine à habiter" ha contribuito ad annullare le differenze e la complessità degli insediamenti rendendoli perciò molto fragili. L'originalità del contributo dì Olgyay consiste nel superamento della fase critica, peraltro di grande interesse come dimostrano i lavori sulla progettazione ambientale di J.M.Fitch13, che hanno molto influenzato Olgyay, e nell'elaborazione di una metodologia che contribuisca a "ricostruìre" il rapporto architettura/natura alle di- verse scale fornendo degli strumenti per quantificare progettualmente la risposta tecnologico-morfologica (in termini di localizzazione, orientamento forma, tecnologia d'involucro, distribuzione interna, ecc.) alla doman- da di benessere " termoigrometrico" in un sito a risorse climatiche specifiche. La risposta bioclimatica alla domanda di climatizzazione ambientale costituisce un contributo strategico alla progettazione dì ecosistemi antropizzati (e, quindi alla progettazione ambientale) perché interviene, attraver- so la manipolazione di forma e materiali, sul metabolismo degli edifici. Quando infatti sostituisco una quota di combustibili fossili con risorse ambientali rinnovabili (radiazione sola- re per il riscaldamento degli ambienti e dell'acqua a usi igienico-sanitari e per l'illuminazione naturale; vento, evaporazione dell'acqua, scambio termico con il terreno per il raffrescamento estivo ecc.) metto "ordine" nell'economia ambientale del costruito, nel senso che aumento l'entropia negativa in termini di minore utiliz- zo dell'energia, minore dissipazione di calore e minore apporto di agenti inquinanti. Questo importantissimo aspetto dell'approccio bioclimatico è emerso in modo molto esplicito solo negli ultimi 15 anni, da quando cioè si è diffusa la consapevolezza che non è più ecologicamente sostenibile un ambien- te costruito basato su un metabolismo che prevede un continuo aumento quantitativo degli input dì risorse materiali e di energie non rinnovabili e dei conseguenti output di inquinanti e di rifiuti. Invertire questa tendenza significa attivare nuovi equilibri dinamici tra ambiente fisico ed ambiente costruito che ne modifichino profondamente l'attuale metabolismo (morfologie e tecnologie "efficienti" basate preva- lentemente sull'utilizzo di risorse rinnovabili) senza estendere l'ambiente che lo sostiene ovvero l’ecological footprint". Come nei sistemi naturali la misura dell’ordine è la forma così anche nell'ambiente costruito la misura del "successo ecologico" è legata alla capacità di ricodificare geneticamente l'insieme di forme/tecnologie che alle diverse scale permette di avviare processi di omeostasi tra attività antropiche e variabili ambientali. Dopo aver chiarito l'attualità "ecologica" dell'approccio bioclimatico è ora necessario un accenno critico alle sue potenzialità ma anche ai suoi limiti alla luce dei radicali cambiamenti a livello di contesto insediativo e produttivo degli ultimi 15-20 anni e dei contributi interdisciplinari, che, affiancando l'approccio bioclimatico, hanno concorso al cambiamento degli attuali paradigmi di progettazione, ancora largamente fondati sulle di- scipline afferenti alla "spazialità" caratteristiche del Movimento Moderno. Edilizia sociale bioclimatica ad Osuna in Andalusia (Arch. Jaume Lopez da Asian)
Innovazione e limiti dell'approccio bioclimatico nel contesto della crisi ambientale L'innovazione introdotta da Olgyay è un concetto di "morfologia dell'energia" ed una pratica relativa in grado di definire i caratteri ambientali dell'architettura alle diverse scale. Il libro di Olgyay presenta alcune discontinuità metodologiche nell'edizione americana e, purtroppo, l'edizione italiana è del tutto inutilizzabile perché non sono state curate le trasformazioni dei grafici e nomogrammi dal sistema di misura americano a quello tecnico. Tuttavia il libro rimane il testo fondamentale nel suo campo. I limiti del lavoro di Olgyay derivano dalla grande diversità esistente tra contesto urbano europeo e quello americano, quest'ultimo caratterizzato da un grande "turn-over" e da pochi vincoli di natura storica, mentre quello europeo è contraddistinto dal peso della sedimentazione storica e dell'eredità culturale e quindi, me- diamente, da un basso "turn-over". Il focus del contesto europeo è posto sul recupero dei sistemi urbani esi- stenti caratterizzati da forti vincoli alla trasformabilità. La tradizione urbana europea presenta infatti caratteri ambientali molto più differenziati rispetto a quelli americani (ad esempio: un grande peso del connettivo spa- zi pubblici - privati). Questo si traduce in maggiore complessità e quindi nella necessità di metodiche e di strumenti analitico-operativi più sofisticati. La maggiore complessità del contesto urbano europeo è legata, come abbiamo già accennato, alla presenza di luoghi (intesi come siti in rapporto simbiotico con le "radici" della cultura materiale e simbolica locale) in un contesto di trasformazione verso i non luoghi nell'accezione di Marc Augé, cioè di "ambienti surmoderni pro- grammaticamente autoreferenziati, privi di relazioni con il loro intorno naturale e/o artificiale e quindi non in- tegrabili in un contesto insediativo". "La surmodernità tende ad isolare "la natura e l'antico", rescindendoli dalla rete dei non luoghi come riserve o come mere citazioni, quando non come oggetti dell'industria cultura- le o turistica". Isolare la natura significa non riconoscere i legami profondi tra la cultura materiale dell'abitare e l'intero cam- po di forze ambientali (determinato dalle complesse interazioni tra gli elementi "naturali", quali ritmi e percor- si del sole, vento, acqua, terra, vegetazione, ed ambiente costruito), non essere in grado di leggere i "carat- teri ambientali" dell'architettura storica e progettare in modi appropriati alle condizioni del luogo. In questo contesto si innescano i circoli viziosi che caratterizzano i processi di recupero degli insediamenti "storici" e contemporanei. Gli insediamenti storici vengono repertoriati e "rivitalìzzati" come "boutique" di consumo (residenziale, com- merciale, terziario ed ora anche quaternario) e dotati delle infrastrutture necessarie per omologare i "luoghi" all'interno della rete dei "non luoghi (parcheggi, bar, negozi, distributori automatici, reti telematiche ecc.). In- somma si recupera il "mattone" di buona memoria e non ci si pone il problema dell'integrazione tra spazio pubblico e spazio privato e, più in generale, tra ambiente costruito ed ambiente fisico particolarmente nelle sue specificazioni microclimatiche. Un esempio non banale è il funzionamento della ventilazione estiva tra l'esterno, gli spazi pubblici e semi privati - strada/giardino - e l'interno - cantina/atrio/vano scale/alloggio - che costituiva un sistema di condizionamento estivo naturale molto efficace prima della "museificazione" ad uso terziario del centri storici che è intervenuta quasi esclusivamente sulla "pelle" degli edifici. Gli insediamenti recenti (degli ultimi 40 anni) vengono affrontati con un'analoga logica, con l'aggravante che, essendo stati progettati con la "logica dello spazio" e non con "quella dell'ambiente" sono la causa principale del degrado ambientale. Il 60-70% del consumo di materia/energia, della produzione di rifiuti e d'inquinanti sono infatti da addebitare agli insediamenti umani, che andrebbero quindi "bonificati" attraverso politiche morfo-tecnologiche ambientali. Con il termine di bonifica ambientale si intende un insieme di politiche e di azioni in grado di rendere abitabili gli insediamenti senza ulteriore consumo di ambiente e con contempora- nea riduzione dei consumi di materiali ed energia e delle corrispondenti emissioni di alcuni fattori fino a arri- vare ad un fattore 10 (cioè ad una riduzione del 90%) in un orizzonte temporale storico (ad esempio lo studio dell'Istituto Wuppertal propone, forse un po' ottimisticamente il 2050). E’ chiaro che se non si innescano processi di questo tipo, le prospettive future più o meno immediate sono di un ulteriore ed accelerato peggioramento, come dimostrano alcune recenti indagini sulle aree ad alta densità e pressione insediativa del Nord Italia. L'approccio bioclimatico può offrire un contributo strumentale importante all'interno delle politiche di sviluppo sostenibile perché individua i caratteri ambientali del costruito, cioè la relazione stretta tra organizzazione della morfologia e delle tecniche e l'utilizzo diffuso di fonti energetiche rinnovabili. I nuovi "saperi" dell'approccio bioclimatico L'approccio bioclimatico in questi ultimi anni registra questi cambiamenti profondi nella domanda di cultura materiale ed ambientale dell'abitare (nuovo rapporto con la natura, con la complessità dei luoghi e degli spa- zi, sperimentabilità di forme di vita individuale e collettiva basate sulla soggettività, ecc.) e assume alcuni contributi provenienti da diversi saperi con i quali dialoga alla ricerca di strumenti conoscitivi e operativi di ti- po ecologico, cioè in grado di ascoltare le ragioni del contesto, di capire le interazioni locale/globale e quindi di porre i problemi di controllo bioclimatico del progetto in termini ecologicamente sostenibili. Di seguito accenneremo ad alcuni di questi "saperi", senza la pretesa di essere esaustivi ma con l'intenzione dì rivedere il modello cognitivo della bioclimatica alla luce dei contributi degli ultimi anni, in particolare a tutti
quelli che, direttamente o indirettamente, pongono l'accento sul progettare in sinergia con la natura, il che implica elevati livelli di "cooperazione umana e partecipazione biologica". Il contributo dell'ecologia Come già accennato nelle pagine precedenti, l'interpretazione ecosistemica dell'ambiente costruito è fonda- mentale per comprendere il rapporto tra metabolismo degli insediamenti ed ambiente fisico; in particolare l'analogia organismo/ambiente permette di distinguere i livelli trofici degli insediamenti (e degli edifici) e le loro complesse interazioni funzionali (rapporti tra organismi produttori", "consumatori" e "decompositori") che determinano la struttura del Microsistema. E’ evidente che quando noi consideriamo l'insediamento umano non più solo come consumatore e dissipato- re ma anche come produttore, il paradigma che sottende al progetto dell'ambiente costruito cambia comple- tamente: è necessario introdurre nuovi strumenti conoscitivì ed operativi in grado di agire sia sul nuovo am- biente costruito che è assimilabile ad un ecosistema giovane che richiede molte risorse per crescere, sia sul quello esistente che è assimilabile ad un ecosistema maturo la cui crescita strutturale si è fermata e che quindi richiede meno risorse, prevalentemente per la "manutenzione". Il questa direzione va sottolineato come l'ambiente costruito moderno sia stato tutto orientato alla crescita, con quegli squilibri colossali di risorse (culturali, geografiche, materiali, energetiche) che che hanno forte- mente concorso a determinare le attuali condizioni di degrado quasi irreversibile dell'ambiente. Quando parliamo di "capacità di carico" di "impronta ecologica", di "omeostasi", di "eterotrofia", "entropia ne- gativa/positiva" e di altri concetti simili, dobbiamo essere ben consapevoli che provengono dalle discipline ecologiche che hanno una lunga tradizione nel campo delle scienze naturali, ma che stanno muovendo solo da poco i primi passi nel campo dell'ambiente costruito alle diverse scale: dagli insediamenti all'edificio. Quando si utilizzano tali concetti in termini non metaforici, bisogna capire la complessità dei modelli opera- zionali dell'approccio ecologico ai sistemi insediativi, che richiede strumentazioni complesse ancora in via di sperimentazione. In particolare, mi sembra importante poter contaminare la soggettività - la nostra esperienza di degrado dell'oikos quotidiano - con una serie di indicatori di risorse di flusso (illuminazione e ventilazione, riscalda- mento e raffrescamento "naturali", densità di flusso di energia non rinnovabile per attività, efficienza dei pro- cessi di utilizzo delle fonti energetiche nelle diverse forme di costruito, ecc.) onde poter ricavare strumenti di progettazione "per la gente" e non solo per gli operatori di mercato. Insomma l'ecologia dell'ambiente costrui- to è un'occasione per ribaltare il rapporto di dominio della produzione edilizia sulla domanda e sul sito, ini- ziando azioni di sviluppo locale basate prevalentemente su comportamenti radicati e sui caratteri ambientali locali. Va aggiunto che l'approccio bioclimatico ha costituito un contributo anticipatorio di grande interesse in que- sta direzione, avendo fornito conoscenze di base e strumenti per cercare di "chiudere il cerchio" della clima- tizzazione dell'ambiente costruito con l'uso prevalente dell'integrazione dell'organismo edilizio nel campo di forze ambientali (sole, vento, ecc.) con la conseguente riduzione dell'uso di fonti energetiche inquinanti. Nuovi contributi e tendenze dell'approccio bioclimatico Nei 34 anni trascorsi dalla pubblicazione del testo fondamentale di Olgyay, vi sono stati importanti contributi che si possono raggruppare in due grandi filoni che per comodità espositiva, si possono definire come teori- co- metodologici e metodologico-applicativi. Il filone teorico comprende lo studio dei processi di adattamento forma-campo di forze ambientali, lo studio delle configurazioni e caratteri ambientali della forma costruita, mentre quello applicativo comprende metodi e strumenti di progettazione e di dimensionamento, sviluppo sperimentale di tecnologie solari integrate, spe- rimentazione di architetture bioclimatiche o "passive". Uno dei contributi più interessanti del filone teorico è quello di Knowles che rappresenta il contributo forse più organico sul rapporto tra progettazione architettonica e energia solare e si può considerare uno sviluppo molto originale della "morfologia solare". Vale quindi la pena di spendere due parole perché, contrariamente al libro di Olgyay, il contributo metodologico più recente di Knowles non è ancora stato tradotto in italiano ed è poco noto. Knowles partendo dal principio del diritto al sole che implica una organizzazione dell'ambiente costruito che ne garantisca l'accesso a tutti, sviluppa le implicazioni di tale principio alla scala della progettazione edilizia ed urbana. L'apparato concettuale e strumentale elaborato da Knowles per rendere praticabile una politica del solare urbano si basa sulla costruzione dell'inviluppo solare" che è l'involucro del massimo volume edifi- cabile in un dato lotto di terreno di qualunque forma, orientamento ed orografia, tale da non proiettare ombre indesiderate sui lotti e sugli edifici circostanti in periodi prefissati del giorno nelle diverse stagioni dell'anno. La zonizzazione, l'orientamento della maglia viaria, la densità urbana sono regolate dai movimenti apparenti del sole attraverso l'organizzazione dei volumi massimi. All'interno dell'inviluppo solare, la giustapposizione degli edifici, la loro forma, la struttura ed i materiali che la compongono e il "metabolismo" delle attività nello spazio, costituiscono gli elementi delle varie strategie di adattamento degli insediamenti umani alla complessità ed anisotropia relativa delle forze ambientali.
Con questi parametri, Knowles elabora una metodologia di progettazione che mira a reintrodurre la consa- pevolezza e la leggibilità delle variazioni naturali come essenza stessa della qualità della vita, connessa a una nuova qualità estetica dell'ambiente costruito. Knowles applica all'architettura lo stesso tipo di ragionamento che l'ecologia fa con l'economia: è l'architettu- ra che sta nell'ambiente e non l'ambiente che sta nell'architettura. Il riconoscimento del primato dei vincoli naturali, in primis quelli stabiliti dai ritmi primari del sole, de-struttura la visione "tecnocentrica" dell'architettu- ra e la sua presunzione di autoreferenzialità, riportando la tecnologia a confrontarsi con i vincoli e le poten- zialità dell'ambiente reale. Un secondo contributo teorico importante è quello sui caratteri ambientali, o comportamento ambientale del- la formo costruita. Il concetto di forma costruita, che indica il continuum del costruito indipendentemente dalla scala, è definito da March come: "modello matematico o quasi-matematico utilizzato per rappresentare gli edifici ai livelli di complessità necessari negli studi teorici". "Gli edifici sono artefatti complessi. Molti sono unici. Le generalizzazioni sugli edifici non sono facili da fare. Può essere utile guardare invece alle "forme costruite" che non sono edifici". Il contributo dei lavori teorici della scuola di Cambridge (Land Use and Built Form Studies Centre, ora L, Mar- tin Centre for Advanced Studies) è stato quello di dare alle ricerche teoriche sulla forma un assetto scientifi- co che ha permesso di uscire da speculazioni di tipo prevalentemente ideologico-culturale. Questo ha permesso un enorme progresso nell'elaborazione di strumenti per la valutazione dell'efflcienza ambientale" del costruito in termini di qualificazione e quantificazione del rapporto dinamico tra flussi del campo di forze ambientali (radiazione, luce, vento ecc...). Nell'alveo di questa scuola sono usciti recentemente studi fondamentali per l'avanzamento dell'approccio bioclimatico come, ad esempio, quello recente sul comportamento ambientale degli edifici non residenziali dell'Inghilterra e del Galles, portato avanti da P.Steadman all'interno del "Centre for Configuration Studies" dell'Open University. La ricerca, che si rifà esplicitamente alle posizioni teoriche della scuola di Cambridge, indaga e classifica le "forme principali" e le "forme parassite" dei tipi non residenziali in funzione del comportamento degli spazi interni alla illuminazione naturale. I risultati sono espressi nei rapporti tra le variabili della forma che più ne determinano il comportamento ambientale (ad esempio. variazioni tra area involucro/area pavimento nelle diverse forme) e permettono di affrontare con rigore scientifico il problema della valutazione dell’efficienza ambientale della forma che sta alla base delle politiche di conservazione dell'energia e di salvaguardia am- bientale. Un terzo contributo teorico molto importante è quell'insieme di studi che recentemente ha indagato il com- portamento bioclimatico degli spazi aperti e degli spazi di transizione. Per quanto riguarda lo spazio aperto (pubblico e privato: strade, piazze, corti, giardini), oltre alle ben note esperienze e le ricerche condotte in oc- casione dell'Expo di Siviglia ed agli studi sulla "vivibilità" che definiscono in termini generali le condizioni di benessere nello spazio aperto non esistono sistematizzazioni generali, perché questa area di ricerca è anco- ra all'inizio. Ad esempio i modelli di simulazione microclimatica di spazi aperti provengono generalmente dai contributi della 'Landscape Architecture" e quindi sono poco sensibili all'interazione "da vicino" tra ambiente costruito, ambiente "naturale" e microclima. Qualche lavoro sulla definizione degli elementi che strutturano la spazio pubblico e dei loro caratteri ambien- tali è stato fatto, si stanno facendo analisi microclimatiche di alcuni spazi specifici, mancano modelli di simu- lazione per verificare la sensibilità ambientale dei diversi elementi al variare di parametri significativi (rifles- sione, assorbimento, evaporazione ecc..). Anche per quanto riguarda gli spazi di transizione che si possono definire come spazi con condizioni di com- fort intermedie tra quelle degli spazi interni e quelle degli spazi esterni (spazi pubblici come, ad esempio, i portici, spazi semi-pubblici come, ad esempio, i passaggi coperti, o privati come, e spazi privati come, ad e- sempio, logge, verande) esistono pochi lavori significativi. Eppure la gradualità delle condizioni di benessere tra interno ed esterno favoriscono la "Gestalt" termica, cioè la ricchezza di sensazioni che associano la per- cezione polisensoriale ai meccanismi metabolici e comportamentali di regolazione termica (il "piacere" di passare da un luogo "caldo" ad uno "fresco": ad esempio nella strada assolata "vedo" un portico ed "antici- po" la sensazione di fresco che proverò al suo riparo) e quindi aumentano l'adattabilità e la fruizione degli utenti al variare delle condizioni ambientali degli spazi (confinato, di transizione, aperto). Spazi di transizione costituiscono luoghi molto ricchi di occupazione temporanea con attività semi-situate (fermarsi a conversare, prendere il caffè, giocare, svolgere lavori di manutenzione ecc..) che variano con i caratteri ambientali delle morfologie urbane e costituiscono una parte consistente della cultura materiali e del costruito in particolare nei climi mediterranei e continentali temperati. Il filone applicativo negli ultimi venti anni è stato arricchito da una imponente mole di contributi spesso ridon- danti e non molto utili a livello di progettazione operativa. Mi limiterò ad osservare che tali contributi possono essere utilmente raggruppati per aree geoculturali di elaborazione. Un primo gruppo si riferisce all'area geoculturale caratterizzata da climi continentali nei quali è prevalente la domanda di riscaldamento invernale (ad esempio gran parte dell'America del Nord, centro Europa, Scandi-
navia ecc..) ed a quelle geoculturali caratterizzate da climi caldo aridi e caldi umidi, nelle quali è dominante la domanda di raffrescamento estivo. Si tratta di contesti climatici che si possono definire come (più o meno) estremi. A questo gruppo appartengono i contributi della Progettazione climatica (o varianti come la Progettazione selettiva), che sono termini originariamente elaborati per connotare un approccio alla progettazione orientato all'utilizzo di fonti climatiche in modo quasi-funzionale, cioè senza quelle implicazioni della cultura materiale locale caratteristiche di altri approcci. Anche la Progettazione solare passiva è una concezione che si muove in un alveo analogo: pur essendo sempre basata sui rapporti tra edificio e sito fa riferimento in modo specifico all'utilizzo di tecnologie passive di conversione della radiazione solare in calore prevalentemente per il riscaldamento. I due approcci hanno portato alla diffusione di tipologie passive poco adatte ad altre aree geoculturali, come ad esempio il tetto piscina, la parete Trombe, la serra addossata ecc.. ed hanno anche in parte contribuito a determinare il "funzionalismo solare" dominante negli anni ‘80. Questa stessa tradizione di "dominio" geoculturale perdura fino ai nostri giorni anche se cambia scala di in- tervento (dal piccolo "brutto" al grande "bello"), pelle (tecnologie leggere), linguaggio (high-tech) e definizioni: architettura solare, architettura ecologica eccetera. Gli esempi recenti di architettura ecologica d'autore (Foster, Rogers ecc..) e la recente Carta europea per l'energia solare in architettura e pianificazione urbana, confermano la poca attenzione alle culture locali, in particolare alla tradizione "ambientale" dell'architettura mediterranea (tipologia a corte, tessuto continuo, spazi di transizione, spazi pubblici ecc..) A questo gruppo appartengono anche i contributi manualistici che trattano in modo specifico i problemi della climatizzazione estiva in aree a climi caldi estremi ("tropical buildings") e che hanno una notevole tradizione storica e recente della quale facciamo solo un cenno perché interessano relativamente poche aree del medi- terraneo europeo. Il secondo gruppo di contributi riguarda due aree geoculturali: l'Europa "marina" e l'area mediterranea. La prima (Gran Bretagna, parte della Francia) è caratterizzata da inverni relativamente miti e alta variabilità me- teorologica. In questo contesto l'approccio bioclimatico assume una dimensione di architettura ambiental- mente consapevole che si innesta nella tradizione del "moderno regionale" a partire dal contributo del movi- mento Art and Crafts, come dimostrano i recenti contributi degli architetti "ambientali" (Lea, CuIlinam, Mac- Cormac, Short e Ford, ecc) ed i recenti contributi teorici e manualistici. La seconda (Grecia, centro-sud Italia, Sud della Francia, Spagna e Portogallo) è caratterizzata da inverni molto miti e soleggiati ed estati calde (con alcune aree caldo-aride) ventilate. L'architettura tradizionale dei climi temperati, come quelli del mediterraneo, è molto più varia rispetto a quella dei climi estremi (freddi o caldi) perché risponde ad una "pressione" ambientale più variabile e più distribuita nel tempo (caldo, freddo, stagioni intermedie). Le murature pesanti, le aperture regolabili, i filtri delle finestre, gli spazi di transizione interno-esterno, gli "umbracles", la tipologia dei tessuti dello spazio pubblico, l'uso della vegetazione all'e- sterno sono alcuni elementi che definiscono i "caratteri ambientali" specifici dei climi mediterranei. Come si vede sono caratteri ambientali profondamente diversi da quelli determinati dalle tipologie caratteriz- zate dal "curtain wall", dall'isolamento trasparente, dai grandi spazi vetrati, dall'uso della vegetazione all'in- terno ecc.. che spesso vengono indicati come modelli da imitare. Purtroppo la grande "macchina burocratica" dell'Unione Europea ha sostenuto finora una politica di ricerca e sviluppo nel settore della bioclimatica e delle tecnologie connesse prevalentemente "continentale" come si può vedere nelle pubblicazioni manualistiche, su casi studio ecc..; relativamente pochi sono tuttora i contri- buti organici sulla bioclimatica delle aree mediterranee.
Un Christal Palace sostenibile: la Fortbildungsakademie di Herne realizzata all'interno dell'IBA Emsher Park, la struttura portante è realizzata con materiali rinnovabili (Arch.tti Jourdan & Perrudin) Etica e linguaggio (estetica) dell'approccio ecologico e bioclimatico Come abbiamo visto esiste un notevole apparato concettuale e scientifico ed un grande bagaglio di espe- rienze del passato e contemporanee che riguardano in senso lato l'architettura bioclimatica. Tuttavia, se os- serviamo criticamente l'architettura solare o bioclimatica recentemente costruita dobbiamo riconoscere molto francamente che l'apparato linguistico prodotto è del tutto carente e che gli approcci sperimentali "balbetta- no" parole e significati incerti sempre in bilico tra tentazioni "neovernacolari" ed "integrazioni tecnologiche". Non si è ancora sviluppato un sistema di segni che esprima, come accennato all'inizio dell'articolo, la nuova logica simbiotica uomo-natura particolarmente nel campo della climatizzazione dell'ambiente costruito. Ma questo non deve stupirci perché il passaggio da una architettura a-contestuale all'architettura dei "nuovi luoghi" (i luoghi che nessuno può ora prevedere) richiederà molto tempo ed un impegno etico (ed estetico) di grande portata. La perdita della centralità copernicana e la nuova centralità del rapporto con la natura ha condotto l'uomo contemporaneo a ri-discutere le assunzioni ontologiche del suo essere nel pianeta e nel mondo. Lo sviluppo dì nuovi valori ambientali che ha portato a riproporre di "abitare la terra senza farsi interamente risucchiare dalla simulacralità, da quell'apparente e seducente impalpabilità delle immagini che è l'altra faccia dell'ineso- rabile e devastante pesantezza del mondo, può anche voler dire intrattenere con la tecnica un rapporto di libertà. Molta architettura e tecnologia contemporanea sono diventate strettamente autoreferenziate. Un reale cam- biamento sulla base dei valori ambientali di sostenibilità, richiede un allentamento e, forse, una recisione dai vincoli delle discipline che non riescono a rinnovarsi ma che continuano a praticare l'autonomia disciplinare che è "figliastra" dell'ottimismo tecnologico che ha caratterizzato l'epoca moderna. I nuovi compiti della progettazione bioclimatica (e ambientale) consistono nell'ascoltare i "segnali vitali" del movimento ecologico, e nell'assumersi le responsabilità del progetto di sostenibilità con quell'atteggiamento di "libertà" dalla tecnica dominante che permetta di elaborare "dal basso" le nuove ibridazìoni/contaminazioni morfologiche e tecnologiche basate sulle conoscenze profonde della simbiosi uomo/ natura. E’ chiaro che in una prospettiva di questo genere anche il sistema dei segni e i modelli estetici sottesi cam- bieranno sostanzialmente verso una dimensione che valorizzerà sempre più "i caratteri ambientali" dell'archi- tettura e sempre meno gli elementi ed i sistemi dell'energia in evidenza" - per dirla nei termini utilizzati da Banham - indipendentemente dal fatto che utilizzino o meno fonti rinnovabili. Quando infatti si interviene nel continuum sito-edificio-interno è difficile "mettere in evidenza" dispositivi tec- nologici specifici perché l'immaterialità "energetica" dell'architettura bioclimatica (la permeabilità al vento di una pianta, la luminanza di una superficie, la bassa temperatura radiante di uno specchio d'acqua) è intrin-
secamente connessa con le variabili materico-morfologiche e cultural-comportamentali. Anche quando si in- tegrano nell'organismo architettonico dispositivi "speciali" (collettori, torri di illuminazione e ventilazione ecc..) è necessario sperimentare l'innovazione con referenzialità ai caratteri e ai comportamenti ambientali e cultu- rali locali. E allora la nuova alleanza operazionale tra risorse naturali e gestione del benessere ambientale nel costruito non potrà che partire una referenzialità ecologica e culturale che tenda a scardinare strategicamente i mo- delli, gli strumenti di uso del suolo, le tipologie e le tecnologie sviluppate negli ultimi decenni con una logica di conflitto più o meno consapevole - con i cicli naturali. La nuova alleanza richiederà una invenzione coope- rativa che porti ad insediamenti ecologicamente sostenibili e non semplicemente a fare operazioni di conta- minazione ambientale fra aree geoculturali (torri a vento in nord Europa) o fra soluzioni tecno-tipologiche (grattacielo ecologico).
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