L'immortalità dell'anima e il Socrate morente

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Università degli Studi di Palermo
           Facoltà di Lettere e Filosofia
      Corso di Laurea in Filosofia e Scienze Etiche

   L’immortalità dell’anima e il Socrate morente

Tesi di Laurea di Laurea di:

    Salamone Laura

                                         Relatore:

                                  Prof. Caramuta Ersilia

             Anno Accademico 2007/2008

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Introduzione

Da tempo l’uomo si interroga intorno alla natura del suo essere, nel tentativo di dare un
senso alla sua esistenza. Questo bisogno di conoscere rende il senso della specificità
dell’essere umano, specificità che muove dalla sua stessa essenza, che è allo stesso
tempo l’oggetto del suo interrogarsi, ovvero, l’anima.
L’anima, quindi, è contemporaneamente l’oggetto su cui l’uomo sente il bisogno di
indagare, e la forza stessa che lo stimola all’indagine, alla conoscenza di sé.
Tuttavia, sembra che l’uomo contemporaneo, a causa dell’essersi dedicato in modo
eccessivo alla cura del suo corpo, assecondandone ogni desiderio, impulso e
aspirazione, ha dimenticato di essere unione di corpo e anima, perso di vista la sua
natura bidimensionale. L’uomo di oggi, infatti, nella corsa per raggiungere quegli
obbiettivi che la società consumista e materialista del nostro tempo gli fa apparire
necessari: ricchezza, successo, benessere; ha trascurato la sua individualità, l’anima, che
è il marchio invisibile della suo essere uomo, sfociando, di conseguenza,
nell’omologazione e nella banalità.
Il punto della questione che mi propongo di affrontare è che riflettere in questo periodo
storico sulla natura spirituale dell’uomo è un’impresa complessa e ardua perché oggi più
che mai siamo bombardati da imput che ci inducono a preoccuparci prevalentemente del
nostro aspetto esteriore, dell’io che tutti vedono e ascoltano, ovvero, dell’immagine che
gli altri si fanno di noi, come se fosse importante solo apparire e non essere ciò che si
appare. Inevitabilmente, gli stimoli a cui siamo sottoposti ci portano a tralasciare tutto
ciò di cui non possiamo avere esperienza con i sensi, dunque ciò che è invisibile e
intangibile come l’anima appunto, o ciò da cui non possiamo trarre vantaggio o
godimento tangibile. Questa nostra società che in termini nietzschiani possiamo definire
“volgare”, perché fondata su logiche utilitaristiche e del vantaggio, può benissimo
essere intesa come un’ingarbugliata massa di “ego” che cercano ad ogni costo di far
valere il proprio interesse:“[...]La natura volgare si distingue in quanto tiene
incessantemente davanti agli occhi il proprio vantaggio; e la preoccupazione dello
scopo, del vantaggio o del profitto, è in essa più forte dei più forti istinti”.1 In questa
società “volgare” gli unici valori sono denaro e potere. Il denaro diventa il fine, il
mezzo, il simbolo del benessere e del successo, la meta da raggiungere per essere felici,

1
    F. W. Nietzsche, La gaia scienza (I, 3), Unione Tipografico-EditriceTorinese, Torino 2002.

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senza denaro difficilmente l’uomo di oggi raggiunge la serenità, ma è più probabile che
    cada in depressione. La possibilità economica regola le sorti di una persona, di una
    famiglia e della società stessa perché tutto dipende dal potere di acquisto, da quanto si
    possiede per stare bene nel mondo. Ciò a cui assistiamo oggi, infatti, è il culto
    dell’esteriorità, dell’apparenza in ogni sua forma, al culto del corpo come il simbolo
    della società contemporanea occidentale, mentre la nostra parte più intima, nascosta,
    l’anima, cade vittima della poca attenzione e della misera cura dedicatele, delle sole
    poche briciole di interesse che l’uomo di oggi le rivolge. Questa poca considerazione
    della nostra natura spirituale porta con sè una profonda crisi di valori che rende l’uomo
    contemporaneo confuso e disorientato. Alla base di questa crisi di valori di cui siamo
    vittime e carnefici c’è la mancanza di rispetto dell’altro, ovvero l’idea che sia nel bene
    che nel male è lecito spingersi oltre senza preoccuparsi delle conseguenze del nostro
    egoismo. Come sottolinea Tahar Ben Jelloun nel suo articolo “Il mercato senza
    morale”, la causa della crisi che colpisce il mondo occidentale è la mancanza di
    etica:“[...]la cosa più grave è che i valori morali-l’onestà, la giustizia, il diritto, la legge,
    la fiducia-sono scomparsi, mentre le ricchezze più indecenti vengono ostentate ed
    esibite. La crisi morale è diffusa ovunque e il denaro, questo fumo che intossica la vita,
    è diventato il valore supremo.”2 Il non porre un freno alle nostre brame di cupidigia e
    avidità comporta l’idea che per conseguire il fine sia accettabile ogni compromesso,
    anche nel caso in cui questo significa andare contro leggi morali o legali, credendo che
    ogni mezzo sia lecito. Ebbene, questa morale “machiavellica” ha delle controindicazioni
    che oggi più che mai stiamo subendo, delle conseguenze che si traducono in guerre,
    disastri ambientali, odio e violenza, omologazione, incapacità di distinguere il bene dal
    male, dati che rendono il mondo un posto decisamente peggiore di quello che potrebbe
    essere.
    “[...]La mancanza di etica sprona la strada a tutti gli abusi e a tutte le crisi. L’intera
    società moderna è ormai sull’orlo del fallimento, poiché gli uomini sono stati
    rapidamente sacrificati a vantaggio dell’interesse, dell’egoismo e del cinismo del
    profitto.”3
     Leggendo il Fedone di Platone in questa situazione di crisi di valori mi sono chiesta: È
    ancora possibile un discorso sull’anima, e le tesi platoniche che Socrate espone nel

2
    Il Mercato della morale di T.B.Jelloun in L’espresso N. 44 del 6 novembre 2008, p. 17.
3
    Ibidem.

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dialogo, possono essere attuali ancora oggi? Ma, soprattutto, la cura dell’anima può
essere un rimedio a questa situazione di crisi?
Il mio proposito è proprio quello di capire in che modo possa migliorare la condizione
decadente del mondo attuale e se il Fedone, in quanto discorso che fonda sulla cura
dell’anima la salvezza dell’uomo, possa essere un buon punto di partenza nella strada
verso il cambiamento.

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Capitolo I
Analisi del concetto odierno di anima in rapporto all’idea presentata da Platone
nel Fedone, con particolare riferimento alle precedenti concezioni di psychè che si
incontrano nel dialogo: Omero e la tradizione orfica-pitagorica.

Il termine anima, dal latino anima-ae (f. aria, soffio, vento) la cui radice è la stessa del
greco ànemos = soffio,vento, è la traduzione del termine greco psychè (ψυχή, ή) che ha
il significato di soffio, respiro, alito. “[…]L’anima dell’essere vivente, sede dei suoi
pensieri, emozioni, desideri, da cui quell’essere se stesso, l’individualità personale,
tutte le creature viventi. La parte immateriale e immortale dell’essere.4
Per l’uomo contemporaneo il termine anima significa la dimora della nostra coscienza e
razionalità, e designa un concetto consolidato del nostro background culturale, “un’idea-
chiave nella storia spirituale dell’occidente, sulla quale l’uomo d’oggi deve far luce se
vuol capire a fondo sé medesimo.”5
Ma, il nostro uso odierno del concetto, familiare e scontato, cela in realtà un percorso
lungo secoli che con fatica ha dato vita all’idea di anima come sede della nostra
personalità e individualità, che consideriamo punto fermo del nostro patrimonio
intellettuale.
La concezione personalistica dell’anima, che lungi dall’essere approdata ad una
elaborazione definitiva, continua a subire modifiche e ad evolversi con l’evolversi della
società umana, è il prodotto di rivoluzioni e di trasformazioni succedutesi nella storia,
che hanno modificato il modo stesso di pensare e di concepire il senso dell’uomo, la
vita e la morte.
L’anima, infatti, fin dall’inizio della storia del pensiero filosofico, ha suscitato
l’interesse e l’attenzione di studiosi che hanno indagato intorno alla sua natura, ai suoi
ambiti e relativamente ai legami che essa instaura con il corpo .
In questo percorso di evoluzione del concetto, il mondo greco ha giocato un ruolo
fondamentale.
“[…]Il concetto di psychè è una creazione del mondo greco, una delle più caratteristiche
e preziose creazioni spirituali. Essa non fu, certamente, il frutto di un unico atto
creativo, di un unico pensatore e neanche di un unico momento culturale, ma nacque da

4
    Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque a cura di Pierre Chantraine, Librairie Klincksieck, Parigi 1999.
5
    F. Sarri, Socrate e la nascita del concetto occidentale di anima, Vita e Pensiero, Milano 1997, p. 10.

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alcuni germi, via via crebbe e si sviluppò per opera di diverse componenti della cultura
greca.”6
Pertanto mi sembra opportuno, per un adeguato studio sulla concezione platonica
dell’anima, quale si trova nel Fedone, affrontare, per quanto mi è possibile, le
concezioni della psychè anteriori al pensiero platonico, con particolare riferimento alla
concezione omerica dell’anima come pneuma, alla quale si oppone la concezione
orfico-pitagorica dell’anima come daymon, che costituisce il punto di partenza
nell’elaborazione del concetto di anima che Platone presenta nel Fedone, mettendo in
evidenza l’influenza che gli assunti fondamentali dell’Orfismo giocano nel dialogo .
“Si sa, come dice un celebre frammento di Senofane, che ‹‹ tutti i Greci hanno imparato
da Omero ›› (Fr. B9 D.-K.). I poemi omerici costituivano per i Greci non solo il testo base
per acquisire conoscenze linguistiche primarie, ma anche la fonte principale della
religione , del diritto e della morale.”7
Iliade e Odissea, infatti, rappresentano la fonte delle nostre conoscenze sulla cultura e la
mentalità dell’epoca, sui valori che si esaltavano e i modelli di comportamento che
venivano proposti, inoltre, come sottolinea Gadamer in L’anima alle soglie del pensiero
nella filosofia greca, i due poemi segnano l’origine della “formazione della coscienza
unitaria culturale e nazionale degli Elleni”. 8
La morale greca ai tempi di Omero è fondata sull’idea che l’uomo deve mostrarsi forte,
coraggioso, difensore della patria, eroico, pena la disapprovazione della comunità.
Agli eroi e alle eroine dei poemi omerici, modelli di comportamento per l’uomo
comune, non interessava tanto “essere” belli, buoni, forti o altro, quanto “apparire”agli
altri, belli, buoni, forti o altro .
Per l’uomo omerico, quindi, non solo diviene comune il timore della critica e del rifiuto,
la paura di apparire senza onore e indegni di rispetto, ma si consolida l’idea che la stima
degli altri è un bene supremo. Da ciò l’idea che in questo modello sociale il valore di
una persona non dipenda dall’agire in funzione del bene, ma dal giudizio sulle sue
azioni. Anche da un punto di vista religioso, l’uomo omerico, vive rivolto verso
l’esterno del suo essere, relegando alle pratiche sacrali-religiose, stabilite dalla
comunità, il compito di esprimere il suo rapporto con il divino perché all’uomo omerico

6
    Ivi, cit., p. 8.
7
    F. Trabattoni, Platone, Carocci, Roma 1998, p. 46.
8
    H.G.Gadamer, L’anima alle soglie del pensiero nella filosofia greca, Istituto Italiano per gli studi filosofici, Napoli
1988, p.17.

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