LE GRANDI TAPPE DELL'ECONOMIA EUROPEA NEL XX SECOLO - Testo di riferimento - UniBa
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Evoluzione del PIL dei Paesi belligeranti, occupati e neutrali tra il 1939 e il 1945 Fonte: A. Maddison
Le risposte alla crisi furono diverse: PETROLIO 1. In alcuni paesi come la Svezia e la Spagna i governi ritennero che la crisi fosse transitoria e che la perdita di capacità d’acquisto dell’insieme del paese potesse essere assorbita attraverso il bilancio pubblico. 2. Il secondo blocco più numeroso, applicò politiche di trasferimento dei nuovi prezzi al pubblico ed affrontò la crisi con una volontà di risparmio energetico deciso. Tra i paesi che adottarono • 1973: aumento del costo del petrolio ad opera dell’Organizzazione questa tipologia di politica ricordiamo la Francia, dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC); la Gran Bretagna, e l’Italia che non riuscirono a • L’èra dell’energia poco costosa era ormai terminata comprendere come lo stock petrolifero li avesse • Dall’ottobre 1973 al gennaio 1974 il suo prezzo quadruplicò notevolmente impoveriti, nonostante il loro • Rappresentava la principale partita delle importazioni della inferiore consumo di petrolio. maggioranza dei paesi 3. L’ultima categoria è rappresentata dalla RFT e • Aveva sostituito il carbone in tutti gli usi energetici dal Giappone che furono consapevoli del loro impoverimento. • Era la materia prima della possente industria petrolchimica
IL 1989 «ANNUS MIRABILIS» 1. Caduta del muro di Berlino 2. Caduta della maggior parte dei regimi dittatoriali dei paesi dell’Europa orientale 3. Ultimo anno di elevata crescita del PIL: 3,4 % nell’area dell’Europa occidentale
Alla fine del 2010 L’Unione Europea fu chiamata a salvare due dei suoi membri storici, la Grecia e l’Irlanda. Erano i postumi di una delle maggiori crisi economico-finanziarie globali del secondo dopoguerra, nata da una “bolla” speculativa sul mercato dei mutui ipotecari statunitensi che aveva travolto tutti i principali mercati borsistici di tutto il pianeta. L’esempio più famoso fu il caso Lehman Brothers. E l’Europa non rimase immune da un contagio che non risparmiava nemmeno i Paesi più virtuosi. L’inizio del nuovo millennio presentava nuove sfide: In primis si verifica l’introduzione dell’euro. Era una sfida consapevole specialmente per Paesi con l’Italia e la Spagna che su debolezze mirate della valuta nazionale avevano rafforzato i propri vantaggi competitivi nell’esportazione Col tempo l’Ue aveva ampliato i propri confini quasi a coincidere quasi con l’Europa geografica Nel 2007 prima della crisi era stato firmato il Trattato di Lisbona, con cui gli Stati europei si impegnavano a perseguire finalità di crescita economica, modernizzazione dell’apparato produttivo, creazione di occupazione ed incremento della competitività dell’intera area.
Crescita economica 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 (stime) Cina 8,3 9,1 10,1 10,1 11,3 12,7 14,2 9,6 9,1 10,5 Giappone 0,2 0,3 1,4 2,7 1,9 2 2,4 -1,2 -5,2 2,8 Stati Uniti 1,1 1,8 2,5 3,6 3,1 2,7 1,9 0 -2,6 2,6 Asia 5,8 6,9 8,2 8,6 9,5 10,4 11,4 7,7 6,9 9,4 Europa 2,1 1,4 1,6 2,7 2,2 3,5 3,2 0,8 -4,1 1,7 C’era quindi una sostanziale tenuta dietro la quale si celavano importanti TRASFORMAZIONI STRUTTURALI. La principale riguardava la specializzazione produttiva. Partendo dai dati sul contributo al valore aggiunto complessivo e sull’occupazione, notiamo un netto declino del settore manifatturiero, in favore di quello dei servizi bancari, assicurativi e finanziari in generale. Delle prime 500 imprese del mondo classificate per fatturato 2005 174 europee 2010 176 europee Ciononostante, delle nuove entranti nelle 176 statunitensi 139 statunitensi classifiche globali del 2009, solo l’8% erano 81 giapponesi 71 giapponesi europee, quindi la vitalità delle grandi imprese 16 cinesi 46 cinesi europee era andando declinando, ovviamente con differenze tra i vari Paesi europei.
Tranne alcune differenze tra i Paesi, l’Europa nel suo complesso andava mutando il suo apparato produttivo forgiato nel Novecento, quando il vecchio continente aveva completato il processo di modernizzazione industriale. L’Europa manifatturiera aveva lasciato spazio a un sistema sempre più orientato ai servizi, popolato da imprese piccole e medie, caratterizzato da deindustrializzazione e delocalizzazione produttiva. Tutto ciò portò molti paesi leader ad avere bilance commerciali nel 2002 caratterizzate da segno negativo. Inoltre a causa dell’Euro, del capitalismo europeo e delle tendenze protezionistiche di molti paesi, non erano stimolati i flussi di investimenti diretti in entrata, ma lo erano quelli in uscita. Un’area molto problematica, era costituita dalla leadership nei settori ad elevata intensità tecnologica. Infatti nel 2006 la Cina insieme agli USA aveva sorpassato l’Europa in termini di export di prodotti ad elevato contenuto di tecnologia. Ma indubbiamente i problemi dell’Unione Europea erano anche aggravati dalla situazione di crisi globale che caratterizzava la fine del primo decennio del nuovo millennio.
L’Europa degli anni 2000 aveva quindi perso la potenza acquisita nei trent’anni gloriosi seguiti al secondo conflitto mondiale. Fino alla seconda metà degli anni Decennio successivo novanta Prodotto lordo reale Total factor Prodotto lordo reale Total factor per ora lavorata productivity per ora lavorata productivity EUROPA 2,4 1,1 1,2 0,7 STATI UNITI 1,6 0,5 2,4 1,2 L’Europa cresceva ma proporzionalmente meno rispetto agli Stati Uniti e dei Paesi di nuova industrializzazione. Questo rallentamento dell’Europa industriale evidenziava problemi recati dal modello di sviluppo economico che era stato adottato prima del 1989. Infatti l’Europa dei trent’anni gloriosi aveva affinato un modello capitalistico con caratteristiche ridistributive, basato su un forte impiego della spesa pubblica per il miglioramento infrastrutturale e incremento dei livelli di welfare, accompagnato da una pressione fiscale intensa.
In questo sistema la spesa pubblica era una componente rilevante, una spesa pubblica in parte finanziata dal gettito fiscale, in parte con lo strumento del debito pubblico. Alla fine del secolo in Europa la spesa pubblica pesava ormai per il 50% del prodotto interno lordo (contro il 30% degli Stati Uniti). Nonostante la ratifica del cosiddetto Patto di Stabilità e Sviluppo nel 2005, per porre sotto controllo la spesa pubblica dei singoli Stati, un numero crescente di Paesi erano sottoposti all’Excessive Deficit Procedure. Cosa era accaduto all’Europa che nei decenni 1950 e 1960 era produttiva, competitiva, Innovativa? Scarsa utilizzazione del fattore lavoro e Il suo mercato del lavoro era la riduzione della produttività media per caratterizzato da maggiore La creazione di nuovi posti di ora lavorata in Europa rigidità e un minor livello di lavoro avveniva a ritmi liberalizzazione eccessivamente contenuti I tassi di disoccupazione erano ovunque crescenti, a seguito anche della peculiare situazione di crisi
I progressivi allargamenti dell’Unione, che da sei La stessa dinamica non pareva ripetersi nel caso membri era arrivata a 15 alla fine degli anni Novanta, dei Paesi di nuova accessione. Nel 2004 fanno il avevano portato anche effetti positivi. In particolare le loro ingresso Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, periferie si sviluppavano a un ritmo superiore del centro, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, originando un processo di catching-up di cui Slovenia e Ungheria e poi Bulgaria e Romania nel beneficiavano largamente le economie centrali. 2007. Non possiamo in questo caso parlare di un processo di catching-up. Non riuscivano ad attivarsi interdipendenze virtuose in seno alle economie europee anche a causa di altri fattori. In primo luogo i produttori europei, e in particolare la Germania che aveva una potente industria manifatturiera, si rivolgevano in primo luogo all’Asia e in particolare alla Cina.
L’IMPRESA EUROPEA. Secondo i dati forniti dal Financial Times sulle principali imprese mondiali, nel 2010 quelle localizzate in Europa erano il 25% del totale. L’Europa confermava a inizio millennio la tendenza secolare allo scarso impiego del mercato borsistico al fine di finanziare le proprie imprese. Con l’unica eccezione dell’Inghilterra, il resto delle principali nazioni europee mostrava la tendenza all’impiego di altre fonti di finanziamento, soprattutto quelle di matrice bancaria. Il peso ridotto dei mercati borsistici era uno degli elementi che spiegava la persistenza di assetti proprietari fortemente concentrati nelle mani di pochi azionisti estremamente influenti. Il controllo concentrato delle imprese costituiva un ostacolo grave al dispiegarsi dell’azione di investitori istituzionali. Gli investitori stranieri non erano particolarmente incoraggiati a dirigere le proprie risorse verso le grandi imprese europee, caratterizzate da un grado di trasparenza relativamente basso, da assetti proprietari concentrati, dalla persistenza di politiche dirigistiche in non pochi settori e da elementi di rigidità.
All’inizio del nuovo millennio i dati confermano da un lato la Simili evidenze provengono da un altro scarsa incidenza dell’Europa nei settori ad elevata intensità indicatore, quale la spesa in ricerca e tecnologica. Dall’altro sottolineano il declino statunitense e sviluppo in percentuale del PIL. quello giapponese, compensato dall’ascesa di altri paesi, in particolare della Cina. La bilancia commerciale nel settore dei beni ad elevata intensità tecnologica si manteneva costantemente negativa.
Tuttavia In Europa la situazione era variegata I passivi erano molto preoccupanti in alcuni Meglio in settori in cui l’Europa comparti di deteneva un vantaggio Meno in altri come l’aereospaziale Elettronica avanzata, come semiconduttori e Strutturale, quali chimica e computer strumenti scientifici L’indubbio successo in alcune aree non poteva nascondere problematiche strutturali. La demografia imprenditoriale europea non aveva lo slancio per superare la trappola della stagnazione. Tanto le imprese piccole e piccolissime che quelle più grandi presenti in Europa apparivano solo in parte adeguate a sostenere una politica di consolidamento ed espansione nei settori avanzati. Ancora una volta l’Europa doveva fare i conti con i propri caratteri strutturali, che minacciavano di bloccarne lo sviluppo.
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