INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA LINGUA ARABA - a cura di Marilì De Luca Palermo 2011

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INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA LINGUA ARABA - a cura di Marilì De Luca Palermo 2011
INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA
        LINGUA ARABA

         a cura di Marilì De Luca

              Palermo 2011

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INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA LINGUA ARABA - a cura di Marilì De Luca Palermo 2011
Premessa

1. Diffusione della lingua araba

   L’Arabo è attualmente lingua ufficiale nelle seguenti ventuno nazioni afferenti alla
Lega degli Stati Arabi: il Marocco, l’Algeria, la Mauritania, la Tunisia, la Libia, l’Egitto , il
Sudan, Gibuti, Somalia e Comoros in Africa; l’Arabia Saudita, il Kuwait, il Bahreyn, il
Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l’Oman e lo Yemen nella penisola arabica; la Giordania, la
Siria, l’Iràq e il Libano nel Vicino Oriente.
   Nella maggior parte delle nazioni elencate la lingua araba è l’unica lingua ufficiale, ma
in alcune di esse, come a Gibuti, in Iràq, e in Somalia condivide questo ruolo con altre
lingue del posto: in quasi tutti gli stati arabi infatti essa convive con altre lingue più o meno
diffuse, ad esempio, con il Berbero in Marocco, Algeria e Tunisia, il Bantu in Sudan etc..
   Non va poi dimenticato che, in seguito alla colonizzazione, molte nazioni arabe sono
bilingui o addirittura trilingui, avendo aggiunto alla lingua o alle lingue delle popolazioni
indigene il Francese o l’Inglese.
   L’Arabo è inoltre la lingua nativa dei cittadini arabi di Israele e dei Palestinesi residenti
nei territori della Cisgiordania e di Gaza; ulteriori gruppi arabofoni più o meno cospicui
sono rintracciabili entro i confini di stati non arabi dell’Asia e dell’Africa (es.: nel Khuzistan
iraniano detto perciò anche Arabistan; in Afghanistan; in Uzbekistan; in Turchia; in Nigeria,
Niger, Mali, Chad, etc.), così come fiorenti comunità arabofone sono sorte, a partire dalla
seconda metà del diciannovesimo secolo, in seguito ad un costante flusso emigratorio,
anche in Europa, nelle Americhe e in Australia; un cenno a parte merita infine l’isola di
Malta, dove per motivi di sedimentazione storica, si parla una lingua che per struttura può
essere annoverata tra i dialetti arabi, benché palesemente influenzata dal lessico delle
lingue romanze.

       Di fondamentale importanza è poi sul piano culturale ed ideologico, il fatto che
l’Arabo sia al contempo la lingua del Corano, il testo sacro della religione islamica,
nonché la lingua liturgica    di tutti gli adepti dell’Islàm, indipendentemente dalla loro etnia.

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Ciò non equivale però a dire che tutti i musulmani sappiano parlare o comprendano
l’arabo (non dimentichiamo l’analogo caso del latino, che, sebbene sia stato per secoli,
fino al Concilio Vaticano II, la lingua liturgica dei cattolici, non era per questo intelligibile
alle masse, che ne ripetevano meccanicamente le formule fino a storpiarle, senza
afferrarne il senso, per altro generalmente piuttosto complesso), ma comporta un fattore di
coesione e solidarietà non trascurabile tra i paesi arabo-musulmani e i paesi musulmani.
   Alla luce di quanto detto la popolazione arabofona (cioè che effettivamente parla,
capisce ed adopera abitualmente l’arabo o quantomeno uno dei suoi dialetti) nel mondo
ammonterebbe dunque a circa trecentotrenta milioni di persone. Se ad essi sommiamo
coloro che a questa lingua ricorrono per le loro pratiche religiose raggiungiamo e
superiamo il miliardo e mezzo.

2. Varietà della lingua araba

   I trecentotrenta milioni circa di arabofoni del mondo parlano tutti esattamente lo stesso
arabo? Assolutamente no.
       Accanto all’arabo moderno standard (convenzionalmente indicato con la sigla MSA
= modern standard arabic) che si impara a scuola e che è dunque frutto di un
apprendimento scolastico più o meno lungo e approfondito, esiste l’Arabo parlato,
costituito da una ampia gamma           di dialetti che i nativi delle varie aree geografiche
apprendono spontaneamente fin dalla nascita. Questi dialetti, che si succedono dal
Marocco fino all’Oman, lungo la direttiva ovest-est, e dalla Turchia fino al Sudàn, lungo la
direttiva nord –sud sono tanto più simili tra loro - e quindi reciprocamente comprensibili-
quanto più contigue sono le regioni che ne fanno uso. Ne consegue, all’inverso, che,
quanto più distanziate saranno le comunità, tanto più divergenti ne saranno i dialetti e più
ardua la comprensione. Come dire che un marocchino che sappia usare solo il suo
dialetto difficilmente sarà compreso da un omanita: il che, tutto sommato, non è poi così
arduo da accettare quando si pensi, per esempio, al divario esistente, nell’ambito
linguistico dell’Italiano, tra il dialetto piemontese e quello siculo.
       A sanare questo divario provvede, nel mondo arabo, come altrove, l’istruzione
scolastica, oggi affiancata dai media, che, diffondendo la conoscenza dell’arabo letterario
moderno o standard, consente alle popolazioni alfabetizzate di accedere ad una lingua
unica, cui ricorrere in determinate circostanze per consentire la reciproca comprensione.

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Prima di intraprendere lo studio dell’Arabo dunque è indispensabile avere ben
presente che nel mondo arabo esistono due registri linguistici.
       La lingua letteraria o standard che si apprende nelle scuole è che è uguale per
          tutta l’ecumene araba. Essa è l’odierna erede dell’Arabo Classico (la lingua del
          Corano e dei capolavori letterari del medioevo), di cui condivide le strutture
          sintattiche, ma non necessariamente il vocabolario e la fraseologia che sono –
          come in tutte le lingue- in perenne trasformazione e rinnovamento. All’Arabo
          standard si ricorre oggi giorno in quasi tutta la produzione scritta; esso
          costituisce inoltre lo strumento di comunicazione orale nei discorsi formali, nella
          diffusione radiofonica e televisiva delle notizie, negli annunci ufficiali e nei
          proclami politici, nonché in tutti gli ambiti culturali ed educativi. Gli Arabi
          chiamano questa lingua comune al-‘arabiyya al-fuṣḥà.
        Il dialetto. Esso varia da nazione a nazione e da zona a zona, è la lingua
          materna che si apprende fin dalla nascita ed è usato abitualmente da tutti gli
          Arabi (di qualsiasi estrazione sociale e culturale) nella vita di ogni giorno. Come
          ho precedentemente detto, più le regioni sono geograficamente distanti più i
          rispettivi dialetti appariranno diversi: vi sono tuttavia dei dialetti, come quello
          cairota, la cui comprensione travalica di gran lunga l’area di origine, grazie alla
          capillare diffusione operata dai prodotti egiziani cinematografici e televisivi (le
          famose telenovelas o musalsala !) esportati ed idolatrati in tutto il mondo arabo.
          Gli Arabi chiamano il vernacolo al-‘āmmiyya.
       In conclusione potremmo affermare che l’Arabo standard rappresenta la lingua
pubblica, ufficiale e formale in contrasto con quella quotidiana, domestica ed informale
rappresentata dal dialetto. Essa è l’immenso serbatoio dove qualunque arabo colto sa di
potere attingere il vocabolo o l’espressione in grado di essere compresa da un Arabo
proveniente da una diversa area dialettale.

     Questa accentuata diglossia, - ovvero differenza tra lingua parlata e lingua scritta,
tra dialetto e lingua standard- che, sebbene riscontrabile in quasi tutti i paesi del mondo.
caratterizza il mondo arabo in misura così spiccata, ha una sua spiegazione storica e
culturale che cercheremo di cogliere delineando sommariamente la storia e l’evoluzione
della lingua che ci accingiamo a studiare.

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3. Origini della lingua araba

       Si suole raggruppare le lingue del mondo in famiglie linguistiche. La lingua italiana,
ad esempio, insieme alle altre lingue neo-latine, a quelle romanze in genere nonché al
persiano e alle lingue indiane, appartiene al ceppo denominato indoeuropeo.
       L’Arabo, invece fa capo al ceppo semitico, alla cui radice gli studiosi hanno
postulato un capostipite unico, definito protosemitico, che fu il probabile mezzo di
espressione dei primi semiti nella stadio linguistico comune, cioè prima che il gruppo
umano semitico si frammentasse geograficamente in vari gruppi migratori, diversificandosi
culturalmente.   Quando     ciò   avvenne,   diversi   millenni   orsono,   dal   protosemitico
rampollarono lingue diverse, ciascuna delle quali assunse, con il tempo, peculiari
caratteristiche morfologiche e lessicali.
Possiamo così succintamente rappresentare l’albero genealogico delle lingue semitiche:

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L’accenno al protosemitico ci impone una breve digressione a proposito della
  ipotetica sede originaria dei popoli semitici: dove possiamo collocare la culla del
  semitismo e dove ebbe inizio la sua diaspora?

      Per rispondere a queste domande gli orientalisti hanno profuso fiumi di inchiostro.
  Secondo alcuni i Semiti si sarebbero irradiati dalla regione geografica compresa tra le
  attuali Armenia, Turchia ed Iran; secondo altri invece essi proverrebbero dall’area
  caspica, dalla quale avrebbero poi preso le mosse verso la Mesopotamia. La tesi più
  accreditata tuttavia indicherebbe il serbatoio dei Semiti nella penisola araba il cui
  territorio, in seguito al progressivo deterioramento delle condizioni climatiche, avrebbe
  subito un graduale inaridimento e costretto parte della popolazione a emigrare, in
  successive ondate, alla ricerca di nuove più prospere sedi. Il flusso migratorio,
  pressoché continuo, che dal sesto millennio a.C. fino alla nostra era spinse i nomadi
  semiti verso il settentrione produsse, nel corso del tempo, la formazione nell’area siro-
  cananea e in quella mesopotamica di varie etnie di matrice semita, tra le quali
  ricordiamo gli Accadi, i Fenici, gli Ebrei, gli Assiri, gli Aramei, i Caldei, e poi ancora i
  Nabatei per finire con gli Arabi protagonisti dell’ultima, in ordine di tempo, grande
  ondata migratoria. causata dalla vittoria islamica e dalla conseguente espansione araba
  a partire dal VII secolo d.C.

  Ritornando dunque alla questione della lingua e in particolare al cosiddetto
  protosemitico, risulterà adesso più facile capire perché esso si ramifichi in tre importanti
  gruppi :

 Gruppo semitico nord-occidentale: abbraccia numerose lingue anticamente parlate
   nell’area del Vicino Oriente quali il Cananeo, l’Ugaritico, il Fenicio, l’antico Ebraico etc.
   la maggior parte delle quali furono tra il VI ed il V secolo a.C. soppiantate
   dall’Aramaico. Molto più tardi, nel corso del medioevo, l’area in questione subì una
   quasi totale arabizzazione.
 Gruppo semitico nord-orientale: abbraccia l’Accadico e le derivazioni come l’Assiro e il
   Babilonese. Si tratta delle lingue più usate nell’antica Mesopotamia, comunemente
   trascritte mediante la scrittura cuneiforme.
 Gruppo semitico meridionale: è il gruppo sul quale si focalizzerà la nostra attenzione
   dal momento che abbraccia anche l’Arabo oggetto del nostro studio.

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Esso si articola secondo il seguente schema genealogico:

4. Origini della scrittura araba

      Finora abbiamo considerato le lingue semitiche e la loro evoluzione solamente sotto
il profilo della comunicazione orale, ma non va dimenticato che, una volta inventata la
scrittura, molte di queste lingue usufruirono anche di una versione grafica che variò
secondo i tempi ed i luoghi. Ho già accennato per esempio alla scrittura cuneiforme tipica
delle lingue mesopotamiche.
      Affrontiamo adesso l’origine della scrittura araba e la sua evoluzione che possiamo
esemplificare attraverso il seguente schema:

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Osservando il precedente grafico si noterà che in esso trovano posto sia alfabeti
semitici che alfabeti indoeuropei. Questo non deve destare stupore né apparire una
contraddizione. Ricordo infatti che altro è la lingua, altro è la sua versione grafica, cioè il
sistema di scrittura al quale essa ricorre. Nel caso del Greco infatti sarà utile rammentare
che esso, pur essendo una lingua indoeuropea, si servì dell’alfabeto inventato ed usato
dai Fenici (popolo di lingua semitica).
        D’altronde è ovvio che l’invenzione di uno strumento così duttile ed agevole come
l’alfabeto (in confronto ai precedenti farraginosi e complicatissimi sistemi ideografici e
sillabici!!) non poteva non rivoluzionare tutti gli usi precedenti e trasformarsi nel più diffuso
ed imitato sistema di scrittura. La sua praticità deriva dal fatto che esso ad ogni suono
emesso nel parlare (fonema) fa corrispondere un unico segno (grafema) consentendo così
all’utente di trascrivere con un apparato ridottissimo di segni tutte le infinite espressioni di
una lingua.

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L’arabo settentrionale (tralasciamo volutamente la storia dell’alfabeto arabo
meridionale, in quanto esso ha avuto un decorso del tutto estraneo alla formazione
dell’alfabeto dell’Arabo settentrionale dal quale verrà soppiantato all’avvento dell’Islàm)
attinse il suo alfabeto da quello della lingua aramaica, che come ho ricordato, era divenuta
nella seconda metà del primo millennio a.C. la koinè –cioè la lingua comune- dell’area
vicino orientale, sostituendosi al Fenicio e all’Ebraico. La scrittura araba rappresenta il
risultato di una serie di alterazioni di quella aramaica anche se non sempre è agevole per
noi seguire l’iter di questa trasformazione       a causa della mancanza di testimonianze
epigrafiche in grado di documentarci il graduale trapasso dai caratteri aramaici a quelli
arabi. Le poche iscrizioni utili a questo scopo non risalgono infatti al di là del III sec. d.C.

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A partire dell’VII sec., le testimonianze epigrafiche si fanno molto più copiose ed
articolate e ad esse vanno ad aggiungersi anche molti documenti su papiro, le cui modalità
di scrittura ci attestano già per quell’epoca la coesistenza, accanto al tradizionale stile di
scrittura detto “cufico”, di un altro stile che potremmo definire “corsivo”.
       Il “cufico” ha un andamento perfettamente orizzontale ed i suoi grafemi hanno
forme tendenzialmente angolose e geometriche mentre il corsivo propende verso forme
più arrotondate e sinuose e non tiene conto del rigo. La divergenza fra questi due stili si
può spiegare in molteplici modi: l’uso potrebbe essere stato condizionato dai materiali di
supporto, essendo il cufico più adatto all’incisione ed il corsivo alla scrittura su papiro o
pergamena oppure da tradizioni locali essendo il primo tipico dell’area medio-orientale e il
secondo dell’area egizia. Ancora più plausibile è supporre che i due stili fossero imposti
dal diverso fine a cui erano destinati: all’uso ufficiale e pubblico il cufico (e perciò più
leggibile, accurato e solenne), all’uso privato e quotidiano il corsivo (e perciò più
tachigrafico , comodo e personale)

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Questa precoce divergenza di stili impronterà tutta la successiva prodigiosa fioritura
calligrafica araba la cui incantevole varietà può essere tuttavia ricondotta ai due filoni
fondamentali del “cufico” e del naskhī.

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5. Caratteristiche principali della lingua araba

 1) La caratteristica principale delle lingue       semitiche, e quindi anche dell’Arabo è
rappresentata dal triradicalismo. Il triradicalismo fa sì che quasi tutte le voci della lingua
araba possano essere ricondotte ad una radice composta da tre consonanti base che, da
sole, contengono in sé l’idea-chiave al quale tutte le derivanti parole si connettono. Il
concetto è per noi alquanto astruso quindi cercherò di chiarirlo con un esempio pratico.
       Prendiamo in considerazione la radice triconsonantica √ktb: queste tre consonanti
in successione trasmettono l’idea di “scrittura”. Infatti dalla radice ktb derivano, mediante
trasformazioni, tutte le parole che si connettono all’idea di “scrittura”.
Es.: √ktb= idea di scrittura          kataba=scrivere
                                     kātib=scrittore
                                     kitāb=libro
                                     maktūb=scritto
                                     maktaba=libreria
In pratica, quello che noi , in italiano, otteniamo mediante l’aggiunta e/o la sostituzione di
prefissi e suffissi ad un tema,
Es.: port-are
    port -ante
    port -atore
    port -ato
  ri- port –are
 im- port-o
im- port-are
im- port-atore
im- port-ante etc. etc.
in Arabo si ottiene “manipolando” le tre consonanti che             costituiscono la radice del
concetto.

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2) Sotto il profilo grafico , la caratteristica più interessante dell’Arabo è data dal
consonantismo.
       Una lingua si definisce consonantica quando il suo alfabeto comprenda solo
consonanti. Ovviamente questo non equivale a dire che la lingua araba si articola solo
attraverso suoni consonantici (in tal caso sarebbe impronunziabile!), ma significa
semplicemente che l’arabo, nonostante si articoli in fonemi (=suoni) sia consonantici che
vocalici, al momento di scriverli, traduce in grafemi (=segni) solo quelli consonantici.
       Es.: noi pronunciamo la parola “t-a-v-o-l-o” producendo tre fonemi consonantici (t-v-
l) alternati a tre fonemi vocalici (a-o-o). Ugualmente, quando scriviamo questa parola,
tracciamo sei grafemi: tre consonantici (t-v-l) alternati a tre vocalici (a-o-o).
       In Arabo, invece, pur pronunziandosi entrambi i tipi di suono (consonantici e
vocalici) se ne trascrivono solo i tre consonantici: quindi è come se scrivessimo “tvl”.
       Ciò provoca una delle difficoltà maggiori per chi si accinge allo studio di questa
lingua, in quanto essa, a differenza di altre, può essere letta solo previa comprensione del
senso: infatti solo conoscendo il senso della frase si possono attribuire alle singole parole
le vocali esatte
       Un’altra peculiarità della lingua araba è costituita dalla direzione sinistrorsa della
sua scrittura. Inversa dunque rispetto alla nostra.
       Es.:  La casa è bella

            ←  ←
Il che comporta un ribaltamento anche nella rilegatura e nella successione delle pagine di
un libro, quaderno, giornale etc.

                                                                                   

                                
                                                                                   
libro arabo: si sfoglia verso destra              libro italiano: si sfoglia verso sinistra
ma si legge da destra a sinistra                   ma si legge da sinistra a destra

       Mi sembra interessante ricordare che, anche il nostro alfabeto – che, come è noto,
discende da quello fenicio (e quindi è un metodo di scrittura importato dal mondo semitico

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ed adattato, con qualche correzione, alla lingua greca che è indoeuropea) era,
originariamente sinistrorso, come ci attestano le più antiche iscrizioni greche Solo in
seguito, dopo una breve fase bustrofedica (= con direzionalità alternata come l’andamento
dei buoi che conducono l’aratro nei campi), esso divenne definitivamente destrorso.
       Sempre in tema di scrittura, aggiungo che le lettere dell’alfabeto arabo variano –per
fortuna non radicalmente- a secondo se si presentano: a) isolate e quindi non collegate ad
altri grafemi da segmenti di unione; b) iniziali cioè non collegate a destra; c) finali cioè non
collegate a sinistra; d) mediane, cioè collegate sia a destra che a sinistra. Come si vedrà
tale caratteristica deriva tanto dalla collocazione del grafema nell’ambito della parola
(all’inizio, nel mezzo o alla fine) quanto dalla natura stessa del grafema, in quanto alcuni
di essi non sono collegabili con il grafema seguente. Tali variazioni tuttavia non
interessano generalmente il “corpo” della lettera – cioè la parte caratterizzante di essa-
quanto la ”coda” finale.

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