INTERVENGONO I DIRETTORI DEL PERSONALE
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INTERVENGONO I DIRETTORI DEL PERSONALE KNOWLEDGE GOVERNANCE Dalla valutazione delle competenze alla creazione del valore Interventi al convegno organizzato da "Luiss Guido Carli" - Roma 24 giugno 2005 Gabriele Gabrielli Direttore Risorse Umane, Organizzazione e Qualità Wind Telecomunicazioni Docente Comportamento Organizzativo MBA Luiss Guido Carli COMPETENZE E CHANGE MANAGEMENT Buongiorno e grazie al Prof. Fontana e alla Luiss per avermi coinvolto in questa annuale e ormai at- tesa iniziativa. Vengo subito a proporvi qualche considerazione sul tema che devo sviluppare: competenze e chan- ge management. È un tema complicato che ha molte sfaccettature e paradossi. Pone, per esempio, sia problemi di natura definitoria (cosa vogliamo intendere esattamente quando parliamo di change e quando lo utilizziamo insieme al termine management?), anche problemi di prospettiva o meglio delle tante prospettive da cui si può guardare la tematica. Tra queste diverse prospettive ce n’è una che scartiamo subito; mi riferisco a quella su cui si con- centra, solitamente, di più la stampa, ma su cui si concentrano anche molte persone nelle organizza- zioni; mi riferisco alla prospettiva che guarda al change management come a un tema di change del management; che tradotto significa “quanti managers vengono mandati a casa quando ci sono ri- strutturazioni, cambi di proprietà, ecc.”. Ecco dietro questa affermazione, che vuole essere al tempo stesso una battuta, si nasconde però -a mio modo di vedere- anche un tema importante. E cioè il tentativo di “eludere” le ben più serie te- matiche che occorre, con responsabilità e maturità, affrontare quando si vive “nel” cambiamento e si gestiscono processi “di” cambiamento. 1 Gabriele Gabrielli - Competenze e change management
Ma torniamo al nostro tema. Dicevo poc’anzi che vi sono diverse prospettive; almeno tre: LE PROSPETTIVE DEL CAMBIAMENTO La prospettiva delle dinamiche di gruppo La prospettiva dell’ organizzazione La prospettiva individuale gab.gab Luiss MBA – 24.06.05 quella dell’organizzazione che cambia quella individuale, quella cioè di ciascuno di noi quella della dinamica dei gruppi, all’interno e all’esterno delle organizzazioni. Sono prospettive, evidentemente, molto differenti che vanno però tenute tutte in considerazione e, soprattutto, “tutte insieme”; in altre parole la gestione del cambiamento non è una “gestione seria- le”, quanto piuttosto una gestione contestuale delle varie prospettive. Per sviluppare qualche ragionamento sul cambiamento e sulle competenze necessarie per gestire processi di change, voglio allora proporvi tre aree di riflessione: Le dimensioni della trasformazione che stiamo vivendo e, soprattutto, le competenze emergenti, quelle che sembrano essere più utili al cambiamento Le relazioni tra conoscenza, apprendimento e cambiamento; tre fenomeni evidentemente strettamente correlati fra loro L’approccio alla gestione del cambiamento. Iniziamo dalla trasformazione. “I” livelli e “le” direzioni del cambiamento che stiamo vivendo sono davvero molteplici e multiformi. La trasformazione lascia un segno indelebile ovunque, non solo nelle strutture patrimoniali delle imprese ma anche negli assetti sociali e relazionali. Quest’ultimo aspetto è solitamente meno osservato e studiato. Stiamo vivendo però una fase che rimette in discussione tutto: le relazioni individuali e quelle interpersonali, nei luoghi di lavoro e “non” 2 Gabriele Gabrielli - Competenze e change management
i modelli di comportamento e di apprendimento le stabilità emotive e cognitive l’atteggiamento verso “i” lavori (che si sono “pluralizzati” anche nei significati) e l’organizzazione. Voglio fare tre semplici esempi per ragionare insieme su una concreta traccia del cambiamento (cambiamento che impatta sia sulla società ed economica, sia sulla strategia delle organizzazioni, sia sull’atteggiamento di individui e gruppi verso il lavoro) e, soprattutto, delle “ricadute” che si hanno per quanti hanno responsabilità di gestione, ai vari livelli, nelle organizzazioni. COSA STA CAMBIANDO. TRATTI COMUNI SOCIETA’ E ECONOMIA STRATEGIA E ORGANIZZAZIONE LAVORO, INDIVIDUI, GRUPPI • L’economia simbolica. • La strategia fondata sulle • Destrutturazione del tempo Un nuovo powershift risorse e dello spazio • I disorientamenti • Creare valore per il cliente • Nuovi primati: soggettività, dell’economia relazione, comunicazione • Società: una trasformazione • La società delle • Flessibilità e radicale organizzazioni multiappartenenza • Società e economia • Nuove “forme organizzative” • Stress e disadattamento “globalizzate” gab.gab Luiss MBA – 24.06.05 Primo esempio Prendiamo un cambiamento che coinvolge la società e l’economia intera. Qui campeggia quel po- wershift, come lo ha chiamato già 15 anni fa Alvin Toffler, che è legato alla conoscenza; la cono- scenza come nuova fonte del potere e della ricchezza. Nelle nuove fabbriche dell’“immateriale” (come direbbe il prof. Rullani) la conoscenza è fatta di idee, simboli, relazioni, capacità di networking e di appartenenza a reti sociali, spot pubblicitari e rating. Ora per rendere ancora più concreta la portata di questa trasformazione basta guardare den- tro casa nostra, in quello che succede nelle nostre organizzazioni, e vedere per esempio come rapi- damente si siano riconfigurate nuove gerarchie, in funzione di questo powershift, nel management: oggi finanza, marketing e comunicazione sono in vetta alle classifiche non soltanto della remunera- zione di manager e collaboratori ma anche come ambiti di competenza, con le loro simbologie, che attraggono i giovani. Sempre più spesso i giovani con cui hai a che fare ti chiedono, per esempio, uno stage presso la finanza, il marketing e la comunicazione; è più difficile trovare giovani che ti chiedono uno stage in produzione. 3 Gabriele Gabrielli - Competenze e change management
Secondo esempio Ricordo rapidamente un altro cambiamento che riguarda questa volta la strategia delle organizza- zioni. Le imprese si stanno progressivamente concentrando su ciò che sanno fare meglio, valorizzando le risorse interne che diventano il nuovo vero vantaggio competitivo. In parallelo si espandono tutte le variegate forme di outsourcing che siamo andati conoscendo in questi anni; si accrescono alleanze e collaborazioni. Forse anche in questo caso, fra poco, registre- remo il “sorpasso” dei collaboratori esterni all’impresa rispetto ai dipendenti, come abbiamo fatto qualche tempo fa per i clienti di telefonia cellulare rispetto a quelli della telefonia fissa. Insomma stiamo costruendo una società delle “interrelazioni”; dove è importante sviluppare compe- tenze di cooperazione; competenze di “ibridazione”, e di disponibilità a contaminare e farsi conta- minare. L’era dell’“accesso”, direbbe Rifkin, ci costringe a cambiare “pelle”, a fare meno da soli e più con gli altri. Terzo esempio E vengo al terzo esempio, molto correlato al precedente, che attiene invece più al cambiamento di individui e gruppi nei confronti del lavoro. Mi riferisco ai crescenti processi di “multiappartenenza” che stiamo gestendo – consapevolmente o no – dentro (ma anche fuori) le organizzazioni. Alle persone oggi si richiede di “agire” contemporaneamente in una pluralità di ruoli nell’organizzazione; una volta da leader di un team, una volta più da implementatore, una volta da rappresentante di una coalizione, una volta come esperto. Questa “multiappartenenza” nell’organizzazione la si ritrova anche “fuori”, -lo accennavo- nella vi- ta sociale ma anche in quella delle molteplici comunità reali o virtuali di cui si è parte. Abbiamo in sostanza più membership; alle carte plastificate che teniamo nel portafoglio oggi si ag- giungono altre membership cards che teniamo nel portafoglio “virtuale”. Questa connotazione del cambiamento che viviamo può creare tante opportunità, ma sappiamo an- che che può creare tanti problemi. Dobbiamo imparare tutti a gestire questa “frammentazione” (come direbbe Alain Touraine) aiutan- do le persone a non perdere la propria identità; questi cambiamenti possono creare “spiazzamenti”; ci sentiamo un po’ tutti “sbandati”, apolidi, figli di tanti e di nessuno. Nelle organizzazioni molto del disagio che si riscontra è dovuto a questo aspetto. Invece occorre aiutare le persone a valorizzare le proprie specificità, la propria unicità. È quella che una autorevole letteratura che fa capo allo studioso americano Bandura chiama l’efficacia del sé o la competenza dell’autoefficacia. Insomma, quella che viviamo è una trasformazione “multidimensionale” ricca di cose che non com- prendiamo, di paradossi e dilemmi; 4 Gabriele Gabrielli - Competenze e change management
PAROLE E PARADOSSI DEL CAMBIAMENTO focalizzazione flessibilità teamworking organizzazioni piatte reengineering outsourcing incertezza taglio costi qualità downsizing cambiamento ricerca centralità innovazione risorse formazione efficienza e e imprenditorialità competenze apprendimento nuove carriere knowledge workers lavoro temporaneo meno subordinazione centralità più cooperazione nuove forme di leadership della conoscenza concentrazioni multiappartenenza gab.gab Luiss MBA – 24.06.05 è un cambiamento che ci richiede di valorizzare e sviluppare alcune competenze più di altre; ho ri- cordato sommariamente soltanto quelle che la mia esperienza mi porta più a sottolineare, e cioè: la competenza soft relativa alla costruzione di simboli e relazioni; quella correlata alle nuove dimensioni dell’ “accesso” e quindi riguardante la gestione delle “inter- relazioni”, la competenza cooperativa; infine l’autoefficacia, ossia quella competenza che -fondandosi sulla conoscenza del sè e della pro- pria identità -ci aiuta a mantenere la convinzione di essere all’altezza delle varie situazioni. Vengo ora alla seconda questione che avevo accennato in apertura e cioè le relazioni tra conoscen- za, apprendimento e cambiamento, su cui vi propongo davvero una sola e rapidissima riflessione. Al riguardo, mi pare che già sia emersa abbondantemente la profonda inestricabilità che esiste fra le tre dimensioni. Non c’è dubbio infatti che la costruzione e lo sviluppo di conoscenza e i correlati processi e modelli di apprendimento che la consentono denotino sempre un cambiamento di qualche tipo. Il problema vero però è un altro. Il problema essenziale è capire di “quale tipo di cambiamento” si tratta. Come direbbe il grande epistemologo, psichiatra, antropologo (non saprei come chiamarlo) Gregory Bateson, però, capire con quale cambiamento si ha a che fare “è una faccenda delicata”. Anche perché non dimentichiamo che “un cambiamento indica un processo, ma i processi sono a loro volta soggetti a “cambiamento”; un processo può accelerare, può rallentare, o subire altri tipi di cambiamento; solo dopo si potrà dire se si tratta di un processo diverso. Conoscenza, apprendimento e cambiamento sono dunque le diverse facce di un fenomeno tridimen- sionale. E vengo così al terzo e ultimo gruppo di riflessioni; queste ruotano maggiormente intorno al tema del management del cambiamento. Cioè la questione su cui tutti siamo “invischiati”. Anche in questo caso vi propongo tre rapide considerazioni: 5 Gabriele Gabrielli - Competenze e change management
innanzitutto cosa intendiamo per change management poi, quale è a mio modo di vedere il “vero” cambiamento che occorre gestire infine, riprenderò il tema delle competenze necessarie, per aggiungere altre due a quelle che ho già ricordato. Il Change management COSA E’ IL CHANGE MANAGEMENT Con change management ci riferiamo a quell’insieme di capacità, organizzate in un programma di attività e di obiettivi, necessarie per gestire un processo di cambiamento di una organizzazione di grande portata e complessità che coinvolge la sua identità sociale e di business (es. una fusione, un cambiamento di missione, una ristrutturazione operativa ecc.), e quindi prioritariamente di un processo di cambiamento dei comportamenti e delle competenze delle persone e della cultura organizzativa, come conseguenza deliberata e consapevole per superare un problema individuato e definito e conseguire i risultati attesi. gab.gab Luiss MBA – 24.06.05 Change management è un’altra locuzione un po’ abusata oggi. Nel linguaggio manageriale ed ope- rativo, però, quando parliamo di change management intendiamo riferirci innanzi tutto a un insie- me di capacità, che devono essere organizzate in un programma di obiettivi ed attività, e che sono necessarie appunto per gestire un processo di cambiamento. Cambiamento però che deve essere di grande portata e complessità e che coinvolge l’identità socia- le e di business dell’organizzazione e quindi un processo di cambiamento dei comportamenti e delle competenze delle persone e della cultura organizzativa. Un processo che prende il via in modo consapevole e per superare un problema individuato e per conseguire i risultati attesi. Il change management dunque è un processo consapevole, deliberato, che ha degli obiettivi da rag- giungere e un problema da superare; il change management è un processo capace di RISTRUTTU- RARE IL SIGNIFICATO di quell’organizzazione e delle persone che vi lavorano. Ecco, se questo è -come credo- un modo condivisibile di qualificare il cambiamento di cui stiamo parlando, allora è più facile per me proporvi di aggiungere -alle tre competenze necessarie che ho già menzionato- altre due competenze fondamentali. 6 Gabriele Gabrielli - Competenze e change management
CAMBIAMENTO COME RISTRUTTURAZIONE DI SIGNIFICATI “[…] il vero cambiamento […] è una vera e propria ristrutturazione; nel senso che fornisce una nuova struttura alla visione del mondo concettuale e/o emozionale del soggetto ponendolo in condizione di considerare i fatti da un punto di vista diverso […]”. P. Watzlawick, J. H. Weakland, R. Fisch, Change, Astrolabio, Roma, 1974 gab.gab Luiss MBA – 24.06.05 Watzlawick ci dice che il cambiamento ha una portata “ristrutturante” della visione del mondo di ti- po cognitivo ed emotivo; significa cioè che si ha cambiamento quando le persone riescono a vedere la nuova realtà in modo positivo e non a eluderla e quindi a fuggire da essa. Dal punto di vista dell’organizzazione e quindi dal punto di vista del management e del management del cambiamento è questo il lavoro da fare: dare una nuova visione, costruire nuovi si- gnificati che consentano di individuare i comportamenti organizzativi in direzione della nuova vi- sione, agendo sia sulla “testa” delle persone, sia sulle loro “emozioni”. È questo un approccio etico e responsabile al cambiamento. Altrimenti si rischia soltanto di “cambiare” business plans e managers; mentre il resto dell’organizzazione rimane “fuori”, alla porta, a sentirsi “sbattuta in qua e là”, a non far parte della partita! Da questo punto di vista allora le due competenze da aggiungere sono: la competenza di saper costruire il futuro dal passato la competenza di comunicare e sviluppare la nuova visione. La prima competenza ha a che fare con la capacità di “includere” il passato -ossia l’esperienza, la storia, la professionalità già espressa ecc.- nella nuova visione; credo cioè che il passato non debba mai essere demonizzato; il passato è “fonte” per il futuro. Questa competenza se applicata ai processi di cambiamento aiuta a superare le ovvie ed umane resi- stenze al change. Il progetto “nuovo” va poggiato sulle “spoglie” del vecchio. Purtroppo però non è una competenza sempre presente; troppo spesso si affrontano i processi di cambiamento senza tener conto di questo, azzerando “emotivamente” energia e intelligenza e ma- scherando dietro concetti ad effetto quali “rottura” e “discontinuità” strategie di gestione del cam- biamento che non vogliono “includere”, ma “escludere”. 7 Gabriele Gabrielli - Competenze e change management
Strategie di cambiamento troppo veloci per facilitare processi di comprensione, cooperazione e par- tecipazione. Le conseguenze sono molte; certo quella più evidente è la fuga di alcuni (l’uscita del manager dal “teatro” dell’organizzazione) o l’elusione di molti che lavorano soltanto per rendere più difficile il tutto e che aspettano -con competenza straordinaria- di vedere quale sarà il prossimo cambiamento. La seconda competenza (quella che John Kotter chiamerebbe Creating and communicating the vision) è forse più diffusa, ma ancora poco esercitata -a mio modo di vedere- nei programmi di cambiamento; almeno all’“interno” delle organizzazioni. Visto anche il poco tempo la esplicito con una battuta. Quello che voglio dire è che i road show si sono spostati tutti all’esterno; e all’interno si arriva mol- to spesso deconcentrati e “senza anima”. Come è facile capire le “carenze” di questa competenza sono il frutto della “carenza” dell’altra. COMPETENZE E CHANGE MANAGEMENT costruzione simboli inclusività change gestione interrelazioni management e valore visione e comunicazione autoefficacia gab.gab Luiss MBA – 24.06.05 Concludo ritornando un po’ al filo rosso di questa mattinata. Credo che le tre competenze che ho richiamato nella prospettiva dell’individuo e queste due ultime, soprattutto utili alla prospettiva dell’organizzazione e del management, sarebbero veramente capaci di creare valore sia per gli azionisti, sia per le persone, sia per il mercato. Un valore tra l’altro non solo patrimoniale ma anche emotivo e sociale. Grazie per l’attenzione 8 Gabriele Gabrielli - Competenze e change management
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