INSEGNANTI E BURNOUT: L'IMPORTANZA DELLE EMOZIONI E DELLE MOTIVAZIONI
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Published in www.anthropos-web.it 2007. Published in www.anthropos1987.org 2009. INSEGNANTI E BURNOUT: L’IMPORTANZA DELLE EMOZIONI E DELLE MOTIVAZIONI Sabrina Viarengo Parole-chiave: BURNOUT EMOZIONI INSEGNANTI MOTIVAZIONI INTRODUZIONE Il termine helping professions, professioni di aiuto, comprende tutti quei professionisti la cui attività si basa sulla relazione d’aiuto: ognuno di loro si prefigge di “contribuire alla modificazione di un’altra persona per mezzo sia di tecniche specialistiche sia della relazione in cui entrambe queste persone sono attivamente coinvolte” (Di Nuovo e Commodori, 2004, p. 11). Già Rogers parlava della relazione d’aiuto come di una relazione in cui una delle due persone impegnate si prefigge lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturazione ed il raggiungimento di un agire più adeguato (Rogers e Kniget, 1970). Il processo di aiuto risulta quindi un obiettivo di alto livello da acquisirsi attraverso un lungo percorso paragonabile a quello di imparare un’arte: l’arte di saper aiutare (Carkhuff, 1989). Le professioni di aiuto comprendono un’ampia gamma di figure: dall’assistente sociale all’infermiere al medico, dall’insegnante all’educatore allo psicologo allo psicoterapeuta. In questo articolo in particolare ci occuperemo degli insegnanti che lavorano nelle scuole, la cui utenza è rappresentata dagli allievi. È evidente come la relazione insegnante-allievo non rappresenti un rapporto paritario in quanto si sviluppa tra due persone con caratteristiche, ruoli, saperi e poteri diversi, all’interno di un contesto pedagogico in cui un individuo è chiamato ad educare mentre l’altro è in fase di formazione. Tuttavia in questi ultimi decenni la definizione di compiti e ruoli all’interno del contesto scolastico è stata stravolta dalle profonde trasformazioni che hanno coinvolto la figura dell’insegnante. L’avvento dell’era informatica, la scomparsa della figura dell’insegnante unico e la richiesta sempre più importante di competenze socio-educative, psicologiche, relazionali e gestionali, per le quali raramente l’insegnante ha ricevuto una formazione adeguata e che spesso rimangono confinate alla sua iniziativa ed alle sue capacità personali, hanno sicuramente turbato la consapevolezza delle proprie competenze professionali. Inoltre la realtà scolastica è diventata sempre più multietnica e multiculturale, la globalizzazione ha reso più numerosi gli interscambi culturali, le nuove politiche a favore dell’handicap hanno incoraggiato l’inserimento di alunni disabili nelle classi, la presenza sempre più numerosa di famiglie monoparentali e l’introduzione nel mondo del lavoro di un numero di donne continuamente in crescita hanno gravato gli insegnanti anche della responsabilità relativa all’educazione degli allievi. Infine la retribuzione insoddisfacente, le scarse opportunità di carriera, la convivenza con l’immagine degli insegnanti veicolata dall’opinione pubblica e la relazione spesso difficile con i colleghi, i direttori scolastici, gli allievi e i loro genitori sicuramente contribuiscono ad alimentare tale situazione di disorientamento e malessere. LO PSICOLOGO NELLA SCUOLA La grande difficoltà emersa negli ultimi anni nel gestire queste continue trasformazioni ha portato all’inserimento nella scuola della figura dello psicologo. La legislazione italiana stabilisce che lo psicologo all’interno della scuola ha il compito di informare gli insegnanti sui temi riguardanti lo sviluppo psicologico dell’età evolutiva, stabilire un rapporto individuale con ogni 1
allievo per il sostegno alla formazione della sua personalità, individuare i soggetti con problemi di ordine psicologico e fornire loro supporto ed assistenza, collaborare con gli insegnanti di sostegno, informare i docenti sugli aspetti psicologici relativi alla fascia d’età dei loro alunni e fornire consulenza psicologica alle famiglie in merito al rapporto genitori-figli. L’inserimento di questa nuova figura professionale all’interno delle scuole è sicuramente un buon passo avanti, tuttavia “non basta introdurre un nuovo servizio o un nuovo ruolo professionale in una organizzazione, bisogna anche chiarire come deve essere svolto questo ruolo, a quali modelli teorici si fa riferimento, a quali metodi, tecniche e, in ultima istanza, anche quale formazione specifica sarà necessaria” (Blandino e Granieri, 2002). Emerge quindi la necessità di definire in maniera più completa e precisa la figura dello psicologo nella scuola, tenendo conto non solo delle esigenze degli alunni ma anche dei bisogni delle altre figure professionali coinvolte in questa realtà. Petter (2004), in un suo recente saggio, indica come il rapporto tra lo psicologo scolastico e gli insegnanti sia più delicato e complesso rispetto a quello che si instaura con i genitori e con gli alunni stessi. Infatti gli insegnanti, oltre ad avere una buona preparazione culturale, spesso hanno già ricevuto una certa preparazione psicologica; lo psicologo pertanto è chiamato ad offrir loro quel qualcosa di più, evitando di dare l’impressione di voler invadere il loro campo professionale. Il suo compito pertanto può essere individuato in un’azione di supporto e di sostegno mirata a rendere gli insegnanti consapevoli dell’elevato impegno che viene loro richiesto e dell’intenso coinvolgimento emotivo a cui sono soggetti: l’interazione tra insegnante ed allievo infatti è centrata su quest’ultimo e sui suoi problemi, siano essi di carattere psicologico, sociale, fisico o di apprendimento e poiché non sempre la soluzione dei problemi dell’utente si rivela semplice o facile da raggiungere, la situazione può spesso diventare ambigua e frustrante e presentarsi come fonte di disagio. I CONCETTI DI STRESS E BURNOUT Negli ultimi decenni la letteratura ha sottolineato come la professione di insegnante sia particolarmente esposta a situazioni definite stressanti. Contrariamente a quella che è l’opinione comune, il concetto di stress nasce come costrutto caratterizzato non solo da aspetti negativi ma anche da valenze positive. L’attivazione endocrina che deriva da un agente stressante infatti dà tono all’organismo e alla psiche, preparando al lavoro e migliorando la qualità della vita: questo è lo stress benefico, o eustress (dal greco eu= bene). Le ricerche dimostrano che un grado ottimale di stress migliora lo stato di salute, rende meno sensibili alla monotonia e affina le capacità di concentrazione, attenzione, apprendimento, memoria e risoluzione creativa dei problemi. Selye (1956), il ricercatore e fisiologo canadese considerato il padre del concetto di stress, ne descrive gli aspetti positivi definendolo “il sale della vita”; egli sottolinea inoltre come l’uso comune di questo termine tenda a variarne il significato originario e a considerarne unicamente gli aspetti negativi, tralasciando quelli positivi. Per quanto riguarda invece lo stress nocivo, o distress (dal greco dys, prefisso dal valore peggiorativo), il continuo accumularsi di stimoli stressanti porta ad un’attivazione fisiologica e psichica eccessiva, imponendo all’organismo sforzi esagerati e innaturali; ciò porta dapprima ad un periodo di sopportazione-resistenza e, più avanti, ad un periodo di esaurimento e di logorio. Inizialmente il concetto di stress fu descritto nei termini di una generica attivazione fisiologica e soltanto in seguito ottenne un valore adattativo. Alcuni importanti progressi teorici hanno descritto la sua evoluzione individuandone gli antecedenti nelle reazioni emotive: uno stimolo è seguito da una reazione emotiva che si manifesta a livello fisiologico con una produzione ormonale, che a sua volta conduce ad una situazione di stress (Mason, 1975). E’ evidente a questo punto come le teorie sullo stress siano in parte derivate dallo studio delle emozioni e della loro valutazione cognitiva. Infatti, prima di parlare di stress, occorre considerare il modo in cui lo stimolo viene elaborato dal Sistema Nervoso Centrale, il modo in cui successivamente esso viene interpretato dall’individuo ed infine il modo in cui esso assume uno specifico colore emozionale. Nonostante la vasta letteratura sullo stress e i continui sviluppi, questo concetto non si è ancora reso totalmente indipendente dall’originale significato di attivazione fisiologica (Selye, 1946) e non trae ancora sufficiente ispirazione dalla psicologia delle emozioni, col rischio di rimanere troppo generico e pertanto poco esplicativo. A questo 2
riguardo, circa vent’anni fa Lumsden (1981) evidenziò il rischio, ancora attuale, che il termine stress perdesse significato ed utilità a causa di questa sua eccessiva genericità. Anche il teorico delle emozioni Klaus Scherer (1990) ha definito il termine stress come privo di significato ed ha suggerito di sostituirlo con l’espressione emozione-stress; infatti la maggior parte degli individui che provano stress sono esposti ad esperienze emotive per un tempo maggiore o con una maggiore intensità rispetto alle situazioni emotive “normali”. Usando le parole di Radley (1994), sembra che l’uso generico del termine stress alimenti una sorta di mito, una “retorica condivisa” usata ingenuamente con l’intento di spiegare la relazione tra gli eventi esterni e la salute o il malessere. Un concetto molto spesso associato a quello di stress, anche se di più recente introduzione (Freudenberger, 1974), è quello di burnout che sostituisce e precisa termini utilizzati dal senso comune contestualizzandoli in un ambito prettamente lavorativo (Maslach e Leiter, 1999). Nonostante non sia ancora oggi contemplato nella classificazione del DSM, a causa della sua difficile collocazione, il burnout viene normalmente definito come una sindrome di esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e di ridotta realizzazione personale (Maslach 1978), che può insorgere in coloro che svolgono una qualche professione di aiuto e che si caratterizza per una ricca costellazione di sintomi somatici e segnali psicologici, ampiamente descritti dalla letteratura (Freudenberger, 1974; Cherniss, 1980; Pines, Aroson e Kafry 1981; Farber, 1983). Tale insieme di sintomi e di segnali spesso si concretizza con la messa in atto di una serie di comportamenti difensivi il cui denominatore comune è rappresentato dal distacco, che viene perseguito sia attraverso misure fisiche sia attraverso un distanziamento di tipo affettivo (Del Rio, 1990). Il burnout si differenzia dallo stress in quanto non presenta un quadro psico-fisico, ma dimensioni psicologiche ed emotive, non si manifesta in una reazione momentanea, ma in un processo a lungo termine ed infine non è associato ai diversi aspetti della vita lavorativa, ma è legato alla specifica dimensione interpersonale (Borgogni e Consiglio, 2005). Il burnout infatti definisce il disagio lavorativo percepito e vissuto da chi opera in contesti organizzativi nei quali la relazione con le altre persone è necessaria allo svolgimento della propria professione. Il termine è diventato col tempo di uso sempre più frequente, grazie sia agli studi teorici sia all’avanzamento pratico della sua misurazione. A Christina Maslach va il merito di aver realizzato il Maslach Burnout Inventory (MBI; Maslach e Jackson, 1981), una scala di misurazione del burnout di semplice somministrazione e dai buoni risultati, le cui revisioni sono andate nel tempo perfezionandosi attraverso la ricerca di nuove variabili in grado di chiarire sempre meglio le concause del burnout, quali per esempio le caratteristiche relative alla struttura organizzativa in cui si lavora (Leiter e Maslach, 2000). Tuttavia, nonostante il successo ottenuto dal costrutto del burnout, non si è ancora giunti ad un modello in grado di spiegare le relazioni tra antecedenti, correlati e conseguenze. Inoltre lo strumento, seppur utile per leggere situazioni critiche legate all’attività lavorativa e in grado di individuare gli aspetti problematici della risposta soggettiva, è carente nell’analisi della risposta emotiva, che viene letta e misurata ancora in modo generico. Un’importante critica mossa alla scala MBI è stata quella di Barnett, Brennan e Gareis (1999) secondo i quali, nonostante l’obiettivo del questionario sia la misurazione di emozioni e di stati d’animo, solo pochi item rispondono in realtà a tale esigenza. Infatti questo tipo di lettura non permette di individuare gli antecedenti e le reazioni emotive specifici essenziali per chiarire in cosa consistano l’esaurimento emotivo di un lavoratore, il suo stato emotivo di disagio, la sua sensazione di essere sopraffatto e di aver perso il controllo della situazione (Fassio e Galati, 2002). Un ulteriore aspetto non tenuto sufficientemente in considerazione nell’accezione di burnout è quello relativo ai fattori individuali (Pines, 2004) e alla personalità di chi manifesta la sintomatologia, nonostante sia evidente che non tutti i lavoratori a rischio che esercitano una professione d’aiuto sviluppano la sindrome del burnout e nonostante la Maslach abbia individuato caratteristiche di personalità specifiche che portano ad un aumentato rischio di sviluppare il burnout (Maslach, 1982). Sempre facendo riferimento alla personalità, il costrutto di nevroticismo è risultato legato ai fattori del burnout (Deary, Blenkin e Angius, 1996). 3
Così come per la personalità, l’aspetto della motivazione al lavoro non viene indagato esplicitamente dalle scale che misurano il burnout benché sia stato chiaramente indicato da Leiter e Schaufeli (1996) che l’operatore in burnout risulta demotivato: è ragionevole infatti ritenere che il disagio emotivo e la sensazione di sovraccarico lavorativo siano connessi alla presenza o all’assenza di motivazioni che sostengono l’attività del soggetto (Galati, Fassio e La Bella, 2005). IL DISAGIO EMOTIVO DEGLI INSEGNANTI NELLA LETTERATURA Fatte queste premesse di carattere teorico, il nostro interesse è quello di studiare il disagio emotivo collegato all’attività di insegnante con il presupposto che il burnout, nascendo e sviluppandosi dal combinarsi di caratteristiche individuali, stati motivazionali, fattori interpersonali, ambientali e sociali (Schaufeli e Enzmann, 1998), sia da indagare per mezzo di un maggior numero di variabili rispetto a quelle indicate dalla sola scala MBI, ancora oggi largamente utilizzata nella ricerca in ambito scolastico (Maslach e Jackson, 1986; Aluja, Blanch e Garcia, 2005). La scelta della categoria professionale degli insegnanti dipende sia dalle numerose modifiche che hanno coinvolto il sistema scolastico a livello italiano, sia dall’influenza che questa categoria di operatori esercita sugli allievi; infatti la motivazione che li spinge e che li guida nel loro lavoro è in grado di influenzare la motivazione degli studenti stessi (Atkinson, 2000). È stato osservato infatti come insegnanti motivati intrinsecamente siano in grado di suscitare lo stesso tipo di motivazione nei loro studenti, portando ad una gestione della classe basata più sul rispetto reciproco che sul controllo degli alunni (Pelletier, Legault e Seguin- Levesque, 2002). Inoltre Pelletier e i suoi collaboratori hanno osservato come la motivazione degli insegnanti dipenda dalla pressione lavorativa a cui essi si sentono sottoposti: maggiore è la pressione esercitata su di loro, maggiore diventa la componente estrinseca della motivazione al lavoro. La letteratura ha considerato anche altri fattori oggettivi, come il sovraccarico di compiti amministrativi e didattici, i salari (Richardson e Watt, 2005) , la mancanza di una formazione adeguata (Aron e Milicic, 2000), la percezione di non equità in relazione al carico di lavoro tra i diversi colleghi (Taris, Peeters, Le Blanc, Schreurs e Schaufeli, 2001), il supporto sociale, la consapevolezza delle differenze esistenti tra le aspettative proprie di chi si avvicina al mondo dell’insegnamento e la realtà osservata (Friedman, 2000), le differenze culturali esistenti tra gli studenti (Tatar e Horenczyk, 2003), la strategia di insegnamento utilizzata (Ben-Ari, Krole e Har-Even, 2003). Gran parte della letteratura negli ultimi anni si è però soffermata sull’importanza agli effetti della soddisfazione lavorativa di alcune componenti soggettive, come ad esempio il modo di organizzare il proprio lavoro (Peeters e Rutte, 2005) e l’auto-efficacia; quest’ultimo elemento infatti, insieme alla presenza di un clima lavorativo positivo, risulta essere in grado non solo di aumentare la motivazione degli insegnanti, ma anche di migliorare i risultati ottenuti dagli studenti (Barbaranelli e Fida, 2004; Dorman, 2003; Goddard e Goddard, 2001). Nonostante gli elementi soggettivi abbiano acquisito negli ultimi anni un’importanza sempre maggiore, il ruolo esercitato dalle emozioni non è stato finora sufficientemente preso in considerazione dalla letteratura; infatti gli studi orientati in modo specifico alle emozioni sembrano quasi limitarsi a quelli condotti da Hargreaves (1998; 2000; 2001) il quale, attraverso l’introduzione del concetto di “geografie emozionali”, giunge a descrivere il modo in cui il grado di vicinanza nelle interazioni umane sia in grado di condizionare le emozioni sperimentate dagli insegnanti nei diversi contesti relazionali. Infine alla luce dei risultati ottenuti nel corso degli anni dalle ricerche svolte, è evidente come gli insegnanti vadano sì considerati nella propria individualità, con tutto il carico di percezioni, emozioni ed esperienze personali che ne derivano, ma anche all’interno dell’organizzazione di cui fanno parte, in quanto essa da una parte li influenza con le regole e le relazioni che la caratterizzano e dall’altra risulta essere a sua volta da loro influenzata (Friedman e Kass, 2002). LA SITUAZIONE IN ITALIA Due distinte indagini condotte nel biennio 2003/2005 dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino (Galati, Fassio e Viarengo, 2005;in press), rivolte in tutto a 366 4
insegnanti appartenenti a 22 scuole della città di Torino e provincia, hanno studiato la scuola italiana con lo scopo di approfondire la conoscenza relativa alle componenti emotive, motivazionali e di personalità che caratterizzano l’attività di insegnamento in Italia. Tramite la somministrazione di un questionario su motivazioni ed emozioni e di alcune scale standardizzate per la misurazione della personalità, dello stress e del burnout (rispettivamente EPI e EPQ-R, QPF-R e OCS) è stato possibile ottenere una fotografia dei vissuti emozionali e motivazionali e delle situazioni di particolare disagio proprie dell’attuale realtà scolastica divise per tipo di scuola di appartenenza, potendo così effettuare anche un confronto tra gli insegnanti delle scuole elementari, delle medie inferiori e delle medie superiori Da queste indagini è emerso che la presenza femminile risulta essere predominante in tutte e tre i gruppi analizzati, mentre il genere maschile aumenta progressivamente passando dalle scuole elementari alle scuole medie inferiori e da queste alle scuole medie superiori. Gli intervistati hanno in media 46 anni e gli insegnanti delle scuole superiori risultano essere i più anziani; la maggior parte di loro risulta essere coniugata e possiede un alto grado di scolarità. L’anzianità di servizio è in media di 21 anni e le ore lavorative sono circa 21 alla settimana, anche se gli insegnanti delle scuole elementari lavorano in media 5 ore in più alla settimana rispetto ai loro colleghi. Indagando l’opinione degli insegnanti rispetto alle ultime riforme che hanno riguardato l’organizzazione del mondo della scuola hanno mediamente riportato un giudizio di non adeguatezza. Riguardo invece all’attuale grado di integrazione dei diversi cicli scolastici di cui si compone il percorso di studi di uno studente gli insegnanti hanno riportato un livello medio di integrazione. Distinguendo le risposte per categoria di insegnanti si è potuto evidenziare come gli insegnanti delle scuole medie inferiori e quelli delle medie superiori presentino una realtà scolastica caratterizzata da una scarsa integrazione tra i diversi cicli. L’interpretazione di questi risultati può essere ricercata all’interno della stessa organizzazione scolastica o meglio nelle conseguenze delle diverse riforme che in questi ultimi decenni hanno interessato il mondo della scuola. Infatti, come si può osservare dal frastagliato percorso di riforme dalla seconda metà del ‘900 ad oggi (cfr. Gaudio, 2000), i vari cicli scolastici sono stati interessati in maniera disorganizzata in quanto si è intervenuti dapprima nella scuola media inferiore, e poi, con i movimenti del ’68, nell’università, in seguito ancora nella scuola elementare e solo in quest’ultimo decennio nella scuola media superiore, producendo un’interruzione significativa nella continuità e linearità del percorso scolastico pianificata nella riforma Gentile che risale al 1923 e la cui caratteristica principale era stata appunto quella di aver interessato tutto il percorso di studi dai primi anni delle elementari a quelli dell’università. Ne deriva che, ai giorni nostri, gli insegnanti delle scuole medie superiori, coinvolti per ultimi dalle riforme scolastiche, possano aver risentito maggiormente della scarsa omogeneità di questi cambiamenti, i quali si sono svolti in tempi differenti, autonomamente per cicli scolastici senza condividere obiettivi e metodologie. Inoltre è questo il ciclo scolastico che raccoglie i fallimenti formativi dei precedenti. La motivazione generale e l’umore sperimentato durante le ore di lavoro non si differenziano nei tre gruppi di insegnanti: essi si dimostrano tutti mediamente motivati e dichiarano di avere un umore positivo durante le loro ore di lavoro. In generale sperimentano emozioni positive come l’interesse, la gioia e la serenità. Le tre categorie di insegnanti analizzate si differenziano in merito ad alcune emozioni specifiche: infatti gli insegnanti delle scuole elementari provano maggiormente tenerezza, paura ed ansia rispetto ai loro colleghi delle scuole medie inferiori e superiori. Gli insegnanti delle scuole elementari si distinguono inoltre dal resto del campione per emozioni positive e per il livello di stress dichiarato: essi infatti provano con maggiore frequenza sia le emozioni positive sia quelle negative e presentano valori di stress maggiori rispetto ai loro colleghi. Sicuramente lavorare a contatto con allievi molto giovani rende gli insegnanti delle scuole elementari particolarmente esposti ad una serie di emozioni positive, come appunto la tenerezza, ma anche negative, come l’ansia e la paura per l’incolumità dei bambini; questo continuo passare da uno stato emotivo ad un altro può certamente rendere questi insegnanti maggiormente soggetti allo stress rispetto ai loro colleghi. 5
Per quanto riguarda le variabili relative alle scale utilizzate, alcuni punteggi sono stati confrontati con i rispettivi valori normativi. In merito ai punteggi della scala QPF-R e quelli della scala EPQ-R (entrambe le scale sono disponibili all’interno della batteria CBA-2.0), il campione studiato risulta essere in linea con i valori di riferimento (Sanavio, Bertolotti, Michielin, Vidotto & Zotti, 1997), mentre per la scala MBI-General Survey inserita all’interno della scala OCS (Leiter e Maslach, 2000; trad.it. Borgogni, Galati, Petitta e CFS, 2005) al momento non è possibile effettuare un confronto in quanto non esiste ancora in Italia un campione di riferimento formato da insegnanti. Confrontando tra loro le categorie di insegnanti considerate, relativamente alla personalità si evidenzia come gli insegnanti delle scuole medie inferiori totalizzino punteggi più alti di psicoticismo rispetto a quelli delle scuole elementari. Per quanto riguarda invece i tre fattori relativi alla scala del burnout OCS, gli insegnanti delle scuole medie inferiori dimostrano di avere più energia rispetto ai loro colleghi delle scuole elementari e medie superiori, che l’efficacia è maggiormente percepita nelle scuole elementari rispetto alle medie inferiori e superiori e che il coinvolgimento è maggiore nelle scuole medie inferiori rispetto alle superiori. Osservando il quadro complessivo ottenuto dall’OCS emerge che gli insegnanti delle scuole superiori dimostrano di avere poca energia, di percepire in misura minore la loro efficacia e di essere i meno coinvolti di tutto il campione. Attraverso l’analisi di regressione multivariata è stato possibile evidenziare il forte rapporto di causalità che lega tra loro alcune delle variabili indagate ed individuare i predittori del disagio lavorativo legato all’attività di insegnamento: l’energia lavorativa infatti diminuisce con alti valori di stress, di lie e di emozioni negative ed aumenta col buon umore, con la forte motivazione e con le emozioni positive. Infine essa non sembra essere influenzata dagli anni di insegnamento ed dai fattori di personalità (estroversione, nevroticismo e psicoticismo). Conclusivamente possiamo dire che da questo lavoro emerge che la situazione lavorativa ottimale è data dall’essere ben motivati, dal provare emozioni positive e dall’essere estroversi. Situazioni contrarie possono essere causa di stress lavorativo e di burnout, elementi che portano a percepire l’attività lavorativa come una situazione che determina l’esaurimento delle proprie energie a causa delle sue pressanti richieste. CONCLUSIONI In un processo di intervento sul disagio denunciato dagli insegnanti è importante lavorare su due aspetti: quello individuale e quello collettivo. Rispetto al primo occorre rintracciare quei momenti di maggiore affaticamento che portano ad atteggiamenti sofferti e che determinano la rinuncia all’insegnamento. La possibilità concreta di migliorare la qualità della vita lavorativa degli insegnanti è possibile aiutandoli a riconoscere i motivi che li spingono verso questa professione ed offrendo loro situazioni in grado di alimentare le motivazioni poiché, in loro assenza, gli insegnanti rischiano, con il passare del tempo, di divenire demotivati e di sostituire all’interesse per l’attività svolta l’esaurimento lavorativo. Altrettanto importante è risultata l’attenzione da porre all’aspetto emotivo: saper dare il giusto peso alle emozioni negative evidenziando quelle positive potrebbe rappresentare la giusta strategia per portare avanti la propria professione con passione e soddisfazione. Rispetto al secondo, quello collettivo, l’obiettivo è più ampio; infatti l’organizzazione della scuola va intelligentemente pianificata a livello politico al fine di dare una corretta direzione all’istituzione scolastica. Chi se ne occupa deve conoscere bene gli insegnanti che per la scuola lavorano, deve aver ben chiaro cosa chiedere e cosa offrire loro, cosa offrire e cosa chiedere agli allievi e come intende attuare i propri programmi. Non può pensare a cicli scolastici distinti e differenti perché questi sono inevitabilmente uniti dagli stessi individui che frequentano la scuola: gli alunni. Se ogni ciclo scolastico è disgiunto dal successivo si avranno inevitabilmente delle fratture nel percorso formativo di ogni studente che si tradurranno, per usare le parole attuali, in debiti formativi. L’aspetto preoccupante è dato dal fatto che, ovviamente, al procedere del percorso di studi, i debiti formativi aumentano fino ad arrivare, in ultima battuta, a compromettere la qualità stessa dell’università in quanto rappresenta l’ultimo ciclo del percorso formativo. 6
La scrittrice Mastrocola nel suo recente libro “Una barca nel bosco” ci mostra, immedesimandosi in un alunno desideroso di imparare, come le riforme scolastiche che non tengano conto di un progetto per la scuola unico, ragionato e qualificante vadano a discapito, oltre che degli insegnanti, dei giovani stessi che rappresentano il futuro del nostro paese. Lei scrive infatti: “Il fatto è che quando pianti un albero devi pensare a come diventerà: devi vedere il suo futuro, prevederlo. Fargli posto per quando sarà grande. Se no troppo comodo: tu ti metti attorno tutti quegli alberi che vuoi e poi quando sono cresciuti che non ti stanno più in casa, che ne fai, li butti? Bisogna farcene carico, del futuro di chi ci sta intorno. Bisogna pensarci a quel che sarà di loro” (Mastrocola, 2004, pag. 222). BIBLIOGRAFIA Aluja, A., Blanch, A., e Garcia, L. F. (2005). Dimensionality of the Maslach Burnout Inventory in school teachers: a study of several proposal. European Journal of Psychological Assessment, 21(1), 67-76. Aron, A. M., e Milicic, N. (2000). Teachers’ burnout and school social climate. Revista Latinoamericana de Psicologia, 32, 447-466. Atkinson, E. S. (2000). An investigation into the relationship between teacher motivation and pupil motivation. Educational Psychology, 20(1), 45-57. Barbaranelli, C., e Fida, R. (2004). Determinanti personali della soddisfazione e della motivazione degli insegnanti. Bollettino di Psicologia Applicata, 244, 25-36. Barnett, R. C., Brennan, R. T., e Gareis, C. K. (1999). A closet look at the measurement of burnout. Journal of Applied Biobehavioral Research, 4, 65-78. Ben-Ari, R., Krole, R., e Har-Even, D. (2003). Differential effects of simple frontal versus complex teaching strategy on teachers’ stress, burnout, and satisfaction. International Journal of Stress Management, 10, 173-195. Blandino G. e Granieri B. (2002). Le risorse emotive nella scuola - gestione e formazione nella scuola dell’autonomia, Milano, Raffaello Cortina Editore. Borgogni, L., e Consiglio, C. (2005). Job burnout: evoluzione di un costrutto. Giornale Italiano di Psicologia, 27, 23-57. Borgogni, L., Galati, D., Petitta, L., e Centro Formazione Schweitzer (2005). Il questionario Checkup organizzativo. Manuale dell’adattamento italiano, Firenze: Organizzazioni Speciali. Charkhuff R. (1989). L’arte di aiutare,. Vol. 1-2. Trento: Erickson. Cherniss C. (1980). Professional burnout in human services organization, New York, Praeger Publishers. Deary, I. J., Blenkin, H., e Angius, R. M. (1996). Models of job-related stress and personal achievement among consultant doctors. British Journal of Psychology, 87, 3-29. Del Rio G. (1990). Stress e lavoro nei servizi, Roma, La Nuova Italia Scientifica. Di Nuovo S. e Commodori E. (2004). Costi psicologici del curare. Stress e Burnout nelle professioni di aiuto, Roma: Bonanno Editore. Dorman, J. P. (2003). Testing a model for teacher burnout. Australian Journal of Educational & Developmental Psychology, 3, 35-47. Farber B.A. (1983)., Stress and burnout in the human service profession, New York, Pergamon. Fassio O. e Galati D. (2002). L’operatore in un contesto di emergenza: motivazioni ed emozioni. Psicologia della Salute, vol. 1, pp. 13-26. Freudenberger, H. J. (1974). Staff Burnout. Journal of Social Issues, 30, 159-165. Friedman, I. A. (2000). Burnout in teachers: shattered dreams of impeccable professional performance. Psychotherapy in Practice, 56, 595-606. Friedman, I. A., e Kass, E. (2002). Teacher self-efficacy: a classroom-organization conceptualisation. Teaching and Teacher Education, 18, 675-686. 7
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