Incendio di Notre Dame, quali prospettive per il restauro?
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Incendio di Notre Dame, quali prospettive per il restauro? L’incendio della cattedrale di Notre Dame è stato un evento del tutto sconvolgente, vissuto in diretta globale da decine di migliaia di persone. In questo articolo si intende fare alcune considerazioni tecniche e un primo bilancio sul rogo, sulle prospettive di restauro e la vulnerabilità degli edifici antichi. Le informazioni relative alla dinamica dell’incendio e ai danni riscontrati si basano su quanto diffuso da quotidiani, emittenti televisive e agenzie di stampa. In realtà, nel corso della storia eventi di questo tipo sono molto più comuni di quanto si possa immaginare. Nel corso dei secoli sono infatti decine, se non centinaia, le chiese grandi e piccole distrutte o danneggiate dal fuoco: perfino una delle reliquie più preziose della cristianità, la Sacra Sindone, mostra ancor oggi le bruciature subite durante l’incendio che il 4 dicembre 1532 devastò la Sainte Chapelle di Chambéry, in cui veniva allora conservata. Le prossime settimane saranno determinanti per valutare l’entità dei danni, che appaiono gravissimi ma non catastrofici, perché la struttura della chiesa sembra complessivamente integra. Molto più tempo servirà invece per studiare un adeguato progetto di restauro, che appare fin da subito particolarmente complesso soprattutto dal punto di vista teorico e metodologico. La dinamica dell’incendio Secondo la ricostruzione di diversi quotidiani, alle 18:20 di lunedì 15 aprile suona l’allarme antincendio installato sulla copertura della chiesa: un primo sopralluogo dà però esito negativo.
Alle 18:43 scatta un secondo allarme, a cui segue immediatamente l’individuazione di un focolaio sulle mastodontiche impalcature erette all’incrocio tra il transetto e la navata principale per alcuni restauri della copertura (Foto 1). L’edificio, in cui era in corso una funzione religiosa, viene subito evacuato. Il fuoco si propaga velocemente al transetto e alla porzione centrale della copertura, facilitato dal forte vento e dall’elaborata carpenteria lignea che sostiene il tetto, avvolgendo rapidamente anche la base della Flèche (freccia), l’altissimo pinnacolo ricostruito dopo il 1860 su progetto di Viollet-le-Duc in sostituzione di quello originale demolito durante la Rivoluzione. Alle 19:51 la guglia, interamente avvolta dalle fiamme, collassa rovinosamente sulla chiesa demolendo una campata della volta. Alle 20:03 crolla anche il tetto: l’intera porzione sommitale della chiesa sta bruciando. Alle 21 circa l’incendio raggiunge la Torre Nord della facciata principale, mettendone in serio rischio la conservazione. Nel frattempo circa 400 Vigili del Fuoco combattono le fiamme spruzzando acqua prelevata dalla Senna con potenti idranti: l’uso dei Canadair viene infatti escluso perché il peso di tonnellate d’acqua scaricate dall’alto avrebbe quasi certamente provocato il crollo delle volte, fino a quel momento ancora intatte. Alle 22:50 l’incendio viene circoscritto e la struttura è dichiarata salva, mentre gli ultimi focolai sono spenti solo alle 3:30 del giorno successivo. Un primo bilancio dei danni dell’incendio: un’analisi tecnica Esaminando le foto e i filmati dell’interno della chiesa
diffusi dal sito internet de Il Corriere della Sera è possibile azzardare una primissima valutazione dei danni, per il cui rilievo esatto serviranno tuttavia settimane e forse mesi di lavoro da parte di tecnici e restauratori. La Fléche, la guglia con struttura in legno alta ben 93 metri progettata da Viollet Le Duc a metà dell’800 in sostituzione di quella originale, è andata completamente distrutta nell’incendio (foto 2) La struttura della guglia (interamente in legno – Foto 2) e la carpenteria del tetto sono completamente perduti, mentre tutte le volte hanno resistito tranne tre: una nel transetto, una nella navata principale e una al loro incrocio. Il loro crollo è dovuto probabilmente al collasso della guglia, che spezzandosi si è abbattuta sulla navata principale: esaminando il video dell’incendio si nota infatti molto bene il suo troncone sommitale cadere sulla copertura demolendone una parte. Le pareti perimetrali, gli archi rampanti e le due torri della facciata principale non sembrano invece aver subito danni rilevanti. Più incerta si presenta invece la sorte delle vetrate di polifore e rosoni (Foto 3 e 4): nelle foto dell’interno sembrano infatti ancora intatte, ma il calore
potrebbe aver gravemente deformato o perfino fuso alcune delle piombature, perché questo metallo ha una temperatura di fusione molto bassa (327,5 °C). Tuttavia in un incendio di queste proporzioni i danni sono sempre molto più ingenti di quanto appare a prima vista soprattutto a causa dell’azione combinata del fuoco, delle alte temperature e dei getti d’acqua usati nello spegnimento. Le pareti perimetrali, le volte e gli archi rampanti di Notre Dame sono infatti interamente costruiti in pietra calcarea, che a una temperatura di circa 800-900 °C tende a calcinarsi decomponendosi in ossido di calcio e anidride carbonica: la produzione della calce per gli intonaci e le malte avviene proprio in questo modo. I getti d’acqua, che causano un raffreddamento repentino, possono invece creare lesioni e spaccature, favorendo la formazione di dissesti e compromettendo l’integrità delle decorazioni architettoniche scolpite tipiche del gotico (Foto 5 e 6). Photogallery Rosone (foto 3 ) Chiudi Vetrata policroma (foto 4) Chiudi Decorazioni scolpite (foto 5) Chiudi Decorazioni scolpite (foto 6) Chiudi
Nelle immagini della photogallery: Foto 3 e 4 – Le vetrate policrome di polifore e rosoni, alcune delle quali risalenti al XIII secolo, potrebbero aver subito gravi danni a causa della deformazione o persino della fusione di alcune piombature a causa del calore molto intenso. Foto 5 e 6 – Le decorazioni scolpite tipiche dell’architettura gotica potrebbero aver subito gravi danni a causa della calcinazione della pietra calcarea di cui sono costruita, che avviene a temperature di 800-900 °C. Non bisogna inoltre sottovalutare i possibili danni dovuti alla percolazione di piombo fuso proveniente dalle lastre (spesse cinque millimetri) del rivestimento della guglia e del manto di copertura. La situazione è particolarmente critica soprattutto per le volte, perché la calcinazione diminuisce nettamente la resistenza della pietra a compressione; mentre la caduta delle travi in legno della copertura e di alcune parti della guglia ha creato sollecitazioni anomale dall’esito difficilmente prevedibile.
Le volte interne, quasi tutte ancora integre, potrebbero aver subito seri danni strutturali in seguito all’esposizione a un calore molto intenso seguita dal repentino raffreddamento dovuto ai getti d’acqua usati nello spegnimento dell’incendio (foto 7) La perdita più grave: La Forêt La perdita più grave è, però, sicuramente la struttura del tetto, soprannominata “La Foresta” (“La Forêt“) per la sua complessità: lunga più di 100 metri, alta 10 e larga 13 metri nella navata principale e ben 40 nel transetto, era formata da circa 1300 alberi di quercia e costituiva un esempio di carpenteria medievale praticamente unico nel suo genere. Il sistema costruttivo prevedeva quattro ordini di elementi strutturali: l’orditura principale costituita da una serie di vere e proprie travi reticolari straordinariamente elaborate formate da numerose membrature assemblate con incastri e biette in legno; alcune travi perpendicolari concettualmente simili agli arcarecci e alla trave di colmo delle coperture italiane; una seconda serie di elementi secondari, paralleli all’orditura principale e poste a un interasse assai ravvicinato; i listelli per il sostegno e l’ancoraggio delle lastre in piombo. Il peso totale della copertura era di circa 120 tonnellate, mentre l’inclinazione delle falde era di 55° (Foto 8). La carpenteria fu realizzata tra il 1220 e il 1240 in sostituzione della struttura originale riutilizzandone alcuni componenti; il manto di copertura venne posizionato nel 1326. Nel XIX secolo, in occasione della costruzione della guglia, si sostituirono alcune porzioni evidentemente ammalorate.
Notre Dame Tetto sostenuto da una carpenteria lignea (foto 8) Anche la Flèche, alta da terra ben 93 metri, aveva un significato storico importante: ricostruita a partire dal 1860 su progetto dell’architetto Eugene Viollet Le Duc in sostituzione dell’originaria guglia medievale demolita durante la Rivoluzione, costituiva uno straordinario documento del revival neogotico e del “restauro stilistico” tipico dell’800. Ornata da due ordini di finestre rispettivamente bifore e monofore, cuspidi e pinnacoli minori, conteneva le campane ed era sormontata dalla statua di un galletto contenente tre reliquie (Foto 9), recuperato integro ma leggermente danneggiato.
La Fléche era sormontata dalla statua in rame di un galletto contenente tre reliquie, recuperata integra sebbene danneggiata (foto 9) Le sole altre porzioni rimanenti sono le sedici statue di rame con la rappresentazione degli Apostoli e dei quattro evangelisti rimosse pochi giorni prima dell’incendio. Il restauro di Notre Dame, un problema metodologico complesso Il recupero di Notre Dame si presenta assai complesso dal punto di vista tecnico, teorico e metodologico. Alcune operazioni come il consolidamento delle volte e delle murature o il restauro conservativo delle vetrate e delle decorazioni architettoniche pongono relativamente pochi problemi perché si tratta di questioni che – pur seguendo approcci metodologici, concettuali e operativi anche molto differenti – sono state già affrontate su vasta scala ad esempio dopo un terremoto. Anche il problema della parziale ricostruzione delle volte di una chiesa medievale rientra in quest’ottica: l’intervento più famoso è quello della Basilica Superiore di Assisi gravemente
danneggiata dal terremoto del 1997. Le sfide più complesse riguardano però la guglia e soprattutto la carpenteria, di cui esistono rilievi e testimonianze fotografiche ma che sono ormai distrutte nella loro materia costitutiva originale. Più che un restauro si tratta di una vera e propria ricostruzione Più che un restauro si tratta quindi di una vera e propria ricostruzione. Ma come affrontarla: in modo filologico, riproponendole “dov’erano e com’erano” oppure accettare il fatto irreparabile della loro perdita sostituendole con elementi costruttivi dal linguaggio contemporaneo? Il restauro di Notre Dame dovrà necessariamente confrontarsi con l’immagine ormai storicizzata dell’edificio, comprendente parti originali e aggiunte ottocentesche In entrambi i casi le alternative sono infatti tre: per la struttura della copertura la ricostruzione filologica con legno massiccio e le tecniche
tradizionali; la riproposizione di una struttura in legno (eventualmente lamellare) completamente ripensata oppure una carpenteria metallica; per la guglia la fedele riproposizione, la costruzione di una nuova guglia oppure la non ricostruzione. Non esiste una risposta univoca, perché tutte queste posizioni sono concettualmente accettabili e già applicate nel passato. Il Campanile di San Marco a Venezia e la chiesa di Sant’Andrea Apostolo furono ad esempio fedelmente ricostruiti rispettivamente dopo il crollo del 1902 e il terremoto del Friuli: per quest’ultimo si utilizzò addirittura la tecnica dell’anastilosi, catalogando e ricollocando per quanto possibile ciascun elemento originale nella sua esatta posizione, con un lavoro di decenni dal risultato strabiliante. Per la copertura molto dipenderà dai danni subiti dalle volte e dalle murature perimetrali: la resistenza residua della pietra e soprattutto i carichi che potranno sopportare queste strutture orienteranno pesantemente la scelta dei progettisti verso una soluzione filologica o più contemporanea. Per la Fléche la questione riguarda invece l’immagine che in futuro si vorrà attribuire a Notre Dame. Ciascuna delle soluzioni privilegia infatti un aspetto della sua lunga storia: la non ricostruzione della guglia richiamerà ai Parigini le distruzioni dovute alla Rivoluzione e all’incendio; la ricostruzione fedele tutelerà l’immagine ormai storicizzata dell’edificio, nota in tutto il mondo e considerata uno dei simboli di Parigi e della Francia; la ricostruzione secondo un linguaggio contemporaneo sarà un perenne ricordo unicamente dell’incendio.
Ma quali sono le idee al riguardo di alcuni addetti ai lavori? Giovanni Carbonara, professore emerito di Restauro Architettonico, in una sua dichiarazione (fonte Elle Decor) sottolinea l’importanza delle indagini preliminari sulla vera entità dei danni (che forniranno preziose indicazioni per la ricostruzione) e sulla necessità di realizzare al più presto una copertura provvisoria per non aggravare i danni con l’esposizione alle intemperie. L’architetto Renzo Piano, in una sua intervista a Il Corriere della Sera suggerisce invece di ricostruire la copertura in legno utilizzando una configurazione strutturale diversa e più leggera rispetto a quella originale. Il professor Nicola Santopuoli dell’Università di Roma La Sapienza sottolinea invece l’importanza di arrivare a una “rinascita della cattedrale attraverso l’identità e la riconoscibilità” (fonte Reporter Nuovo), senza tuttavia fornire la propria opinione in sostegno di una specifica soluzione.
Cosa ci insegna l’incendio di Notre Dame? Dall’incendio di Notre Dame possiamo trarre un grande insegnamento: mai dare per scontato il nostro patrimonio culturale, perché, purtroppo, in poche ore si può perdere per sempre un edificio plurisecolare. Occorre dunque studiarlo con rispetto e prendersene cura con una manutenzione attenta e costante, che spesso basta a prevenire i grandi interventi di restauro assai costosi, invasivi e potenzialmente rischiosi. Alcuni gravi incendi a edifici di notevole valore storico-artistico sono infatti avvenuti proprio in concomitanza di un cantiere di ristrutturazione: il precedente più noto riguarda la Cappella della Sacra Sindone nel Duomo di Torino (notte tra l’11 e il 12 aprile 1997). Gli edifici storici sono purtroppo intrinsecamente vulnerabili agli incendi soprattutto per la grande quantità di legno usata per la costruzione nei solai, nelle false volte e nella copertura. Le chiese del nord Europa, quelle veneziane con copertura a carena di nave rovesciata e le cupole sono particolarmente esposte per una serie di ragioni: le carpenterie di legno, generalmente molto elaborate e formate da sottili membrature, tendono a propagare il fuoco assai velocemente; il manto di copertura in piombo può attirare i fulmini durante un temporale, inoltre, fondendosi anche a basse temperature contribuisce alla propagazione dell’incendio; la presenza di intercapedini tra la cupola interna e la calotta esterna o di vani praticabili molto alti sopra le volte di una chiesa tende a generare un effetto camino, alimentando velocemente anche piccoli focolai;
la grande altezza di questi edifici rende molto difficile spegnere l’incendio tempestivamente. La soluzione è purtroppo assai complessa e richiede attente valutazioni caso per caso, perché spesso non è possibile installare impianti antincendio di tipo sprinkler o trattare con prodotti ignifughi gli elementi lignei per esigenze di conservazione o per non creare danni in caso di falso allarme. Fonti e approfondimenti: – Descrizione della carpenteria lignea della copertura (in francese), tratta dal sito ufficiale di Notre Dame de Paris. – Descrizione della Flèche (o freccia, in italiano), tratta dal sito ufficiale di Notre Dame de Paris.
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