IMPATTO DELLO SCI FUORI PISTA SULLA FAUNA ALPINA

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IMPATTO DELLO SCI FUORI PISTA SULLA FAUNA ALPINA

                                          Luca Rotelli

Sfruttamento della montagna a fini turistici
Sulle Alpi, se da un lato abbiamo assistito, nel corso degli ultimi decenni, al declino
delle attività tradizionali, come quelle agro-pastorali, dall'altro siamo stati testimoni
dello sviluppo rapido e a volte incontrollato delle attività turistiche. Ciò fa sì che le
esigenze di un numero sempre maggiore di frequentatori della montagna si
scontrino più spesso con quelle di conservazione degli ambienti naturali in cui
queste persone svolgono la loro attività.

Secondo l'Istituto di Scienze Economiche per il Turismo dell'Università di Monaco di
Baviera, le Alpi rappresentano oggi la più grande area naturale del mondo a fini
turistici. Per Degenhardt (1980), nel 1978 circa 40 milioni di turisti hanno trascorso le
loro ferie nella regione alpina con oltre 220 milioni di pernottamenti. A questi devono
inoltre essere aggiunti altri 60 milioni di turisti che in giornata e per il week-end
hanno scelto le Alpi come meta delle loro escursioni. Queste cifre, in seguito
all'apparire di tutta una nuova serie di attività sportive che possono essere praticate
quasi esclusivamente in questo ambiente (arrampicata sportiva, scialpinismo,
parapendio, mountain-bike, rafting), sono aumentate ulteriormente negli ultimi 15
anni. L'ondata di turisti, che in ogni stagione visita le Alpi, porta con sé tutta una
serie di conseguenze negative. Gli animali non solo perdono gran parte del loro
habitat a causa della costruzione di insediamenti urbani, vie di comunicazione e
piste di sci, ma devono con maggiore frequenza evitare la presenza dell'uomo, che
penetra sempre più massicciamente nei loro ambienti.

Se fino a pochi anni fa le attività con maggiore impatto ambientale erano quelle che
prevedevano la costruzione di infrastrutture, come lo sci alpino con piste e impianti,
oggi viene messa in discussione anche la pratica di quelle attività definite
originariamente a basso impatto ambientale. E' il caso ad esempio dello
scialpinismo, e questo soprattutto a causa del numero sempre crescente di
praticanti. Le ripercussioni di questa ed altre attività ricreative sugli ecosistemi alpini
e in particolar modo sulla componente faunistica sono oggetto di ricerche già da
alcuni anni. Scopo di queste ricerche é stabilire come gli animali reagiscono alle
diverse attività antropiche, e quali conseguenze queste reazioni possono avere sulla

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condizione, tanto del singolo individuo, quanto dell'intera popolazione della specie colpita. Qui
verranno considerati i disturbi arrecati alla fauna dalla pratica dello sci fuori pista.

L'attività dello sci fuori pista é praticata da due categorie di sciatori:

•   lo sciatore fuori pista propriamente detto
•   lo scialpinista

La differenza sostanziale tra questi due gruppi di sciatori sta nel fatto che il primo
svolge la propria attività in prossimità delle stazioni sciistiche, di cui utilizza i mezzi di
risalita per portarsi a monte, effettuando poi la discesa lungo itinerari alternativi (fuori
pista) alle piste tracciate e segnalate. Lo sciatore, non sobbarcandosi la fatica della
risalita, ha la possibilità di effettuare un gran numero di discese, svolgendo un'azione
di disturbo prolungata.

Lo scialpinista invece slegato da qualsiasi infrastruttura di trasporto ed affronta la
                        é

salita grazie alla possibilità di fissare sotto gli sci le pelli di foca, che gli permettono di
salire lungo pendii anche ripidi senza che gli sci scivolino indietro. Dovendo
affrontare la fatica della salita, che solitamente ha la durata di diverse ore, lo
scialpinista raramente in grado di svolgere più di una discesa al giorno, ciò che
                            é

riduce parzialmente l'effetto negativo di questa attività. D'altro canto con l'utilizzo di
questa tecnica possibile arrivare praticamente ovunque, e quindi anche in località
                 é

rimaste ancora indisturbate e per questo scelte dalla fauna come zone di soggiorno.
Il numero sempre maggiore di praticanti di questa attività (la CIPRA stima
attualmente la presenza di almeno 100.000 scialpinisti sulle Alpi, mentre il numero di
praticanti di questa attività a nord delle Alpi é aumentato del 400% negli ultimi
quindici anni), fa sì che sempre più zone vengano frequentate in maniera massiccia,
riducendo ancor più le zone indisturbate per la fauna. Più avanti in questa relazione,
comunque, useremo il termine sci fuori pista in senso generico per indicare qualsiasi
discesa a valle al di fuori di piste preparate e segnate, sia essa compiuta da
scialpinisti che da sciatori fuoripista.

Cenni sull'ecologia della fauna alpina in inverno
Il superamento della fase invernale rappresenta il momento più difficile nella vita di
un animale di montagna. In ambiente alpino infatti, l'inverno rappresenta un
importante elemento selettivo, sia per le basse temperature e l'abbondante coltre
nevosa, sia per la mancanza di nutrimento sufficientemente ricco dal punto di vista

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energetico. Ciò nonostante, un fagiano di monte e un camoscio sono in grado di
vivere abbastanza agevolmente in queste condizioni a patto di poter godere della
massima tranquillità e di poter usufruire a proprio piacimento dell'ambiente che li
circonda. I grossi erbivori, in particolare stambecco e camoscio, accumulano
abbondanti strati di grasso durante l'estate, che possono costituire anche 1/5 del
peso dell'animale all'inizio dell'inverno, e che utilizzano poi durante i periodi più
sfavorevoli. Per i piccoli animali invece, e tra questi gli uccelli, non é possibile
accumulare grossi quantitativi di grasso. Per questo motivo le riserve vengono ben
presto esaurite durante i periodi più difficili se non possono essere reintegrate con
l'assunzione continua di nutrimento. Così le riserve di una pernice bianca durano
appena due giorni. Per non morire di fame essa deve riempire il proprio gozzo
almeno una volta al giorno.

Tetraonidi
Durante l'inverno un fagiano di monte o una pernice bianca devono economizzare al
massimo le loro energie, in quanto un dispendio energetico eccessivo (come quello
provocato da una fuga improvvisa causata dal passaggio di uno sciatore fuori pista)
non può essere reintegrato facilmente con la continua assunzione di cibo, a causa
dell'estrema povertà di elementi nutritivi di cui questo è caratterizzato, e della
particolarità del sistema digerente che è in grado di metabolizzare il contenuto del
gozzo (che nel fagiano di monte ha una capacità di circa 120 g.), unicamente per
due volte al giorno. La riduzione del dispendio energetico avviene trascorrendo nella
più assoluta immobilità la maggiore parte del giorno (nella fase centrale dell'inverno
oltre 20 ore al giorno). Se inoltre, sul terreno è presente una coltre nevosa di almeno
30-40 cm di spessore, costituita da neve farinosa, i fagiani e le pernici scavano delle
cavità all'interno delle quali si possono avere temperature di 20-25'C superiori alle
condizioni ambientali esterne, ciò che permette un notevole risparmio energetico. Un
fagiano dopo avere trascorso la notte in una di queste cavità, appena inizia a fare
chiaro, esce dal suo "igloo" per andare alla ricerca di cibo per circa un'ora. Dopo di
che si rituffa nella neve per ricostruire una nuova cavità nella quale passerà il resto
della giornata, per uscire nuovamente prima di sera, per un altro periodo di ricerca di
nutrimento. E così via. Oltre a questo adattamento comportamentale che ha lo
scopo di ridurre il dispendio energetico con un'attività ridotta, vi sono anche
adattamenti morfo-anatomo-fisiologici che rendono questi uccelli particolarmente
adatti al rigido ambiente invernale. La forma tozza e raccolta riduce notevolmente la
dispersione di calore; la particolare struttura delle piume dotate di un vessillo
secondario aumenta lo spessore del piumaggio e dà vita a sacche d'aria che

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formano uno strato isolante tutto intorno al corpo dell'uccello; i fori nasali e le zampe
completamente piumate, e delle scagliette cornee ai lati delle dita che aumentano la
superficie piantare per non sprofondare eccessivamente nella neve, rappresentano
ulteriori adattamenti specifici all'ambiente invernale. Nell'ambito della famiglia dei
tetraonidi, anche il sistema digerente presenta delle caratteristiche molto particolari,
soprattutto per quanto riguarda l'estremo sviluppo degli intestini ciechi all'interno dei
quali avviene la digestione dei vegetali particolarmente ricchi di fibre grezze, che
rappresentano la maggiore parte del nutrimento invernale. Ricordiamo a questo
proposito, senza entrare nei particolari, come per il fagiano di monte i germogli di
mirtillo nero, così come le foglie e le gemme di rododendro costituiscono il
nutrimento principale nella maggiore parte delle regioni alpine frequentate da questo
tetraonide. Durante l'inverno, quando la coltre nevosa diventa via via più spessa, i
fagiani sono costretti a nutrirsi sugli alberi. Come complemento alle ericacee,
vengono utilizzate specie come il larice (di gran lunga preferito), il pino cembro, il
sorbo degli uccellatori, mentre l'abete rosso, benché molto diffuso sull'arco alpino,
non assume mai un ruolo molto importante. In generale, le piante di cui si nutre il
fagiano di monte non vengono consumate in relazione alla loro disponibilità, ma
piuttosto in funzione dell'energia trasferibile, utilizzabile dall'uccello, che esse
offrono.

Tutti questi adattamenti permettono, da un lato, di economizzare al massimo le
proprie energie e dall'altro di sfruttare al meglio le risorse alimentari presenti che, se
hanno un valore nutritivo piuttosto basso, almeno sono disponibili in quantità
sufficiente anche in pieno inverno.

Ungulati
Per gli ungulati il bilancio energetico durante l'inverno é spesso negativo, come
appare da diverse ricerche condotte sull'andamento dei pesi nel corso dell'anno.
Con un nutrimento qualitativamente scadente, un bilancio energetico positivo non é
spesso possibile. L'ottimizzazione del bilancio energetico si basa pertanto
soprattutto sulla riduzione delle possibile perdite energetiche, attraverso una
riduzione considerevole dell'attività. Essi fanno ciò cercando quei luoghi in cui il
nutrimento é accessibile con il minimo dispendio energetico. Questo viene
determinato in primo luogo dalla quantità di neve presente sul terreno: uno scarso
innevamento permette loro di liberare il nutrimento con le zampe, inoltre la loro
mobilità non viene impedita eccessivamente. Il nutrimento raggiungibile in questi
luoghi non é caratterizzato tanto da una particolare qualità, é piuttosto la quantità a

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disposizione che rende questi luoghi attrattivi. Uno dei più importanti e significativi
adattamenti dei ruminanti alle difficili condizioni invernali é che durante l'inverno non
solo il fabbisogno energetico viene ridotto, ma anche l'assunzione di nutrimento.
Infatti la capacità del rumine viene notevolmente ridotta durante la cattiva stagione.
Questo cambiamento é determinato da un orologio interno, come é stato osservato
con caprioli in cattività tenuti a temperature costanti e con ricca disponibilità di
nutrimento. Tale adattamento diventa problematico se un animale viene spesso
disturbato e a causa dell'aumento del dispendio energetico aumenta anche il
fabbisogno alimentare. Anche se fosse disponibile una quantità maggiore di cibo,
essa non potrebbe essere digerita, perché l'animale non é in grado di modificare il
suo sistema digerente.

Molti disturbi, meno possibilità di sopravvivenza
Pensiamo a quali effetti gli sciatori fuori pista possono avere su di un branco di
camosci, se questi vengono spaventati nelle loro zone ottimali di svernamento, e
vengono costretti a fuggire. Pensiamo alle conseguenze energetiche della fuga:
muoversi nella neve costa molta energia, ed il dispendio energetico aumenta
notevolmente con l'aumentare dell'altezza del manto nevoso. Durante la fuga i
camosci sono sottoposti ad una situazione di stress, e la loro frequenza cardiaca
aumenta considerevolmente. In questa situazione essi non sono neppure in grado di
assumere nutrimento per riacquistare le energie perdute. Per di più molto spesso la
fuga conduce in zone che offrono nutrimento di pessima qualità (soprassuoli
forestali molto fitti). Camosci indisturbati, come del resto tutti i componenti della
fauna alpina, scelgono le zone di svernamento in modo che queste offrano loro
sempre le migliori condizioni nei confronti della disponibilità di nutrimento, della
protezione dagli agenti climatici, del riparo contro predatori. Quando gli animali
vengono scacciati da queste zone la loro richiesta energetica aumenta, e sono
costretti a reintegrare le energie perdute a prezzi di sforzi considerevoli. Questi
disturbi significano, tanto per il singolo individuo quanto per la popolazione colpita,
che tutti i raffinati adattamenti sviluppati nel corso della loro evoluzione non sono più
sufficienti, e quindi la possibilità di superare l'inverno si riduce.

Relazione tra fuga e assunzione di nutrimento
1. Fuga ed eccitazione richiedono energia, e questa deve essere nuovamente
   reintegrata.
       Conseguenza: il fabbisogno energetico aumenta.

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Per motivi fisiologici, durante l'inverno non può essere digerito più nutrimento di
quello corrispondente al normale fabbisogno.
         Conseguenza:       l'energia     spesa           può   venire         reintegrata     solo
         parzialmente.
2. Durante la fuga e in stato di eccitazione non é possibile alcuna assunzione di
   nutrimento.
         Conseguenza: l'energia spesa non può venire reintegrata.

3. In seguito ai disturbi antropici gli animali vengono scacciati dalle loro zone
   preferenziali di svernamento.
         Conseguenza:       minore      qualità       e     quantità     del      nutrimento      a
         disposizione.

Nelle nuove zone di soggiorno molto spesso non c'é sufficiente riparo nei confronti di
altri fattori negativi, come predatori e agenti atmosferici (vento, basse temperature,
ecc.).
         Conseguenza: l'energia e con questa il fabbisogno energetico
         aumentano.

Effetti sul singolo individuo
Quando l'aumentato fabbisogno di nutrimento non può essere soddisfatto, e le
riserve di grasso si sono esaurite, la condizione dell'individuo peggiora.

Effetti sulla popolazione
Gli effetti sul singolo individuo possono a lungo andare ripercuotersi negativamente
sulla popolazione.
         Conseguenza: la capacità riproduttiva diminuisce, e nello stesso
         tempo la predisposizione a malattie, così come la mortalità, aumentano.

Effetti sul bosco
Se il fabbisogno energetico e quindi di nutrimento aumenta, e nello stesso tempo il
nutrimento a disposizione si riduce qualitativamente, allora aumentano i danni da
brucamento alla rinnovazione forestale.

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Prowedimenti da adottare per ridurre il disturbo provocato dalla pratica dello
sci fuori pista alla fauna selvatica
Già da diversi anni, in diversi paesi dell'arco alpino si stanno prendendo
provvedimenti per ridurre il disturbo causato alla fauna dagli sciatori fuori pista.
Soprattutto nei paesi di lingua tedesca, Svizzera, Austria e Germania queste azioni
di tutela sono oggi diffuse in molte regioni montane dove l'attività dello scialpinismo
ha preso decisamente piede. Tra i provvedimenti più utilizzati vi é la creazione di
zone di rifugio per la fauna, dove l'attività scialpinistica viene proibita. La creazione di
queste zone deve essere comunicata nel giusto modo tanto agli abitanti della
regione, dove la misura é stata adottata, quanto ai turisti, che si trovano nella
regione per trascorrere le loro vacanze. Qui bisogna differenziare tra informazione
data sul luogo (ad esempio all'inizio dell'itinerario scialpinistico), ed un'informazione
più approfondita, che dia spiegazioni sul senso e sull'obiettivo dell'iniziativa, fornita
attraverso conferenze, distribuzione di brochure, articoli sulla stampa specializzata
del settore e così via. Nelle località interessate é necessaria la messa sul terreno di
cartelli che informino sulla dislocazione delle zone da tutelare e degli itinerari
scialpinistici permessi. Inoltre devono essere impartite alcune regole di
comportamento da adottarsi durante l'effettuazione dell'itinerario. Gli scialpinisti,
come diverse indagini hanno evidenziato, accettano solitamente di buon grado le
restrizioni, purché venga spiegato loro il significato di questi provvedimenti. Il rispetto
di questa misura di tutela e il corrispondente comportamento degli sCialpinisti
possono essere ottenuti esclusivamente facendo leva sulla comprensione e sulla
presa di coscienza del problema da parte del singolo individuo. Questi risultati non
possono essere raggiunti né con divieti né con ordinanze, ma piuttosto dando
indicazioni precise e motivate su come comportarsi. A questo proposito deve essere
osservato quanto segue:
•   l'istituzione di queste zone deve essere sempre motivata da reali condizioni di
    necessità per la fauna;
    ogni gruppo di fruitori deve mantenere la possibilità di potere esercitare la propria
    attività, anche se in forma regolamentata;
    per il turista che rimane solo pochi giorni nel luogo di soggiorno, spesso le
    informazioni apprese dai cartelli non sono sufficienti per comprendere il
    problema, è pertanto necessario fornire loro adeguate conoscenze, per esempio
    in occasione dello svolgimento dei numerosi corsi di avvicinamento e di
    perfezionamento alle diverse discipline tecniche da parte delle sezioni locali del
    C.A.1.

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Una maggiore comprensione per l'accettazione di queste restrizioni può essere
raggiunta solo con una campagna di informazione più capillare, che cominci ancora
prima di partire per la località scelta come luogo dell'escursione. Da qui l'importanza
di associazioni come il C.A.I., a cui la maggior parte dei frequentatori della montagna
é iscritta, nel divulgare questi aspetti.

Sulle Alpi gli itinerari scialpinistici sono migliaia. La possibilità di marcare itinerari per
incanalare il flusso degli scialpinisti lungo determinati percorsi, al fine di evitare zone
di particolare importanza per la fauna, non sembra una misura che può essere
adottata ovunque. Il rispetto di certe zone, importanti per la fauna d'inverno,
potrebbe tuttavia essere raggiunto anche in altro modo. Esistono ad esempio carte
su cui vengono riportati gli itinerari scialpinistici che potrebbero essere riviste
criticamente in funzione del grado di disturbo che i diversi itinerari arrecano alla
fauna, modificandoli laddove necessario, al fine di preservare dal disturbo le migliori
zone di svernamento. Inoltre queste zone potrebbero essere indicate su tali carte in
modo che lo scialpinista le possa immediatamente individuare. In ogni caso il
sistema più opportuno per ridurre in modo sostanziale l'impatto di questa attività
sembra essere quello di informare gli utenti della montagna a tutti i livelli (non solo il
turista, ma anche la guida alpina e il maestro di sci, e tutte le categorie coinvolte in
tali problematiche) sulle possibili conseguenze che la loro presenza in ambienti tanto
delicati può avere. L'effettuazione di campagne di informazione per scialpinisti e
guide alpine in Austria ha creato grande interesse intorno al problema ed ha aiutato
a maturare una maggiore consapevolezza del possibile impatto che l'attività
scialpinistica può avere, ottenendo nello stesso tempo una maggiore comprensione
per tutti i prowedimenti presi, limitanti lo svolgimento di questa disciplina.

Il tempo per questo tipo di informazione sembra essere ormai maturo anche da noi.
La maggior parte delle persone avverte infatti la necessità di comportarsi in maniera
rispettosa dell'ambiente anche nelle località dove trascorre il proprio tempo libero,
ma molto spesso non sa in che modo.

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