IL TEMPO DEL CORAGGIO - CONGRESSO REGIONALE LEGAMBIENTE LIGURIA 8-9 NOVEMBRE 2019 GIARDINI LUZZATI - cloudfront.net

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IL TEMPO DEL CORAGGIO - CONGRESSO REGIONALE LEGAMBIENTE LIGURIA 8-9 NOVEMBRE 2019 GIARDINI LUZZATI - cloudfront.net
IL TEMPO DEL CORAGGIO
   CONGRESSO REGIONALE
   LEGAMBIENTE LIGURIA
      8-9 NOVEMBRE 2019
       GIARDINI LUZZATI
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8 NOVEMBRE
                 QUALE CITTÀ PER IL NOSTRO FUTURO?
                 Acqua, aria, arte, biodiversità, legalità, i numeri di ecosistema
                 urbano per comprendere le performance ambientali cittadine.

Ecosistema Urbano è il rapporto di Legambiente, giunto alla ventiseiesima edizione, realizzato
con il contributo scientifico di Ambiente Italia e la collaborazione editoriale de Il Sole 24 ore che
analizza la qualità e le performance ambientali dei comuni capoluogo. Gli obiettivi di sviluppo
sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU sollecitano le città a una sfida decisiva: assicurare la
crescita economica e sociale, di green economy e green jobs, delle infrastrutture, dei servizi e delle
opportunità per le persone senza danneggiare ulteriormente il territorio e depauperare le risorse.

Facendosi anzi portatrici sane di azioni per energia e acqua pulita, per la mitigazione e l’adattamento
ai cambiamenti climatici, per un’urbanizzazione inclusiva, partecipativa ed ecologica, per
l’accessibilità, per la riduzione di smog, rumore, rifiuti e, più in generale, per far progredire la
salute, il benessere, la qualità della vita delle persone. L’incontro è organizzato nell’ambito della
promozione del progetto “Volontari per Natura”.

09.00 Il progetto Volontari per Natura                                            VxN - #volontarixnatura

                                                            Volontari per natura è un progetto finanziato
10.30 Ecosistema Urbano
                                                                                 dal Ministero del Lavoro
                                                                                  e delle Politiche Sociali
12.30 Chiusura dei lavori                                                              Avviso n. 1/2017

                 9 NOVEMBRE                            10.30		Riunione delle piazze tematiche:

                 CONGRESSO                                       •
                                                                 •

                                                                            Economia circolare
                                                                            EcoCittà
                                                                 •   		     Educazione ambientale
                                                                 •   		     Aree tutelate

09.30		Iscrizione al congresso, alle piazze            13.30 Pausa ristoro
tematiche e accoglienza partecipanti

09.45 Insediamento presidenza del congresso 14.30 Dibattito in Plenaria

10.00		Introduzione ai lavori di Santo     16.002 2Intervento conclusivo di Federico
Grammatico, Presidente Legambiente Liguria Borromeo, Direttore Legambiente Liguria

                                                       16.302 2Votazione documenti congressuali
Segreteria organizzativa:
Legambiente Liguria • Via Caffa 3/5 B                  regionale e nazionale
tel 010 319168 • 3202481395
contatti@legambienteliguria.org                        17.002 2Convocazione Assemblea regionale
                                                       dei soci: elezioni cariche sociali e votazioni
Il congresso è aperto alla cittadinanza                delegati al congresso nazionale
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LIGURIA ED ESPOSIZIONE
AL CAMBIAMENTO CLIMATICO

Gli ultimi anni hanno messo in evidenza l’intensificarsi di fenomeni estremi nella nostra
regione. Sia la costa che l’entroterra hanno subito alluvioni, mareggiate, trombe d’aria,
frane. Il cambiamento climatico sta portando un aumento delle ondate di calore e le allerte
meteorologiche e idrogeologiche non sono più concentrate nei mesi autunnali, ma sono
diventate più frequenti e interessano tutto l’arco dell’anno.

Legambiente Liguria continua a seguire lo sviluppo della pianificazione regionale che su
questo tema ha purtroppo luci e ombre. Ricordiamo che tra i primi atti della Giunta ligure
non abbiamo apprezzato l’approvazione del Piano Casa, strumento nato per rilanciare
l’edilizia e promosso anche per difendere il territorio dal dissesto idrogeologico, ma che in
realtà è stato utilizzato come dispositivo per aumentare le rendite di chi ha potuto permettersi
ampliamenti alle proprie abitazioni all’interno dei parchi regionali e nelle zone costiere
a più alto valore paesaggistico. Il paradosso più evidente per noi è stato che, mentre a
Parigi il 12 dicembre 2015 venivano approvati gli accordi sul Clima, in Liguria eravamo
concentrati nel contrastare la cultura, le politiche e gli interessi collegati all’approvazione
del Piano Casa, avvenuta pochi giorni dopo.

Nel 2014, il dossier che Rfi ha consegnato alla Regione Liguria e al Ministero dei
Trasporti, indicava 2.111 punti lungo l’infrastruttura ferroviaria regionale a rischio
frana, cioè una ogni 236 metri di binari con 44 punti segnalati come preoccupanti in
tutta la Liguria. Grazie ai dati fatti emergere dall’Ordine Regionale Ligure dei Geologi
e dall’Iffi (Inventario fenomeni franosi in Italia, di ISPRA) scopriamo che in undici anni,
dal 2005 al 2016 (ultimo dato disponibile), i fenomeni franosi censiti sono passati da
7.513 a 13.475, praticamente raddoppiati. La Liguria è la prima regione in Italia per
densità stradale con un indice di 96,53 km/100 kmq, con i suoi ponti e viadotti a rischio.
In questa cornice, riporta ANCE, in provincia di Genova, secondo i dati divulgati
dalla locale Cassa edile, dall’inizio della crisi ad oggi, sono uscite dal settore
delle costruzioni circa 800 imprese nonché circa 4.500 addetti e in Liguria, nel
2018, sono usciti dal mercato del lavoro ulteriori 280 operai e circa 50 imprese.

Crediamo fermamente che l’edilizia debba e possa avere un ruolo centrale nell’adattamento
e nella mitigazione del cambiamento climatico, ma questa dovrebbe concentrarsi nella
messa in sicurezza del territorio, delle infrastrutture esistenti, nella riqualificazione urbana
e degli edifici residenziali e scolastici.

Nel compiere la nostra analisi, ci supportano alcuni dati eclatanti emersi in questi ultimi
anni.
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È una crisi che dimostra la necessità di una conversione politica e del sistema edile per
tutelare suolo, infrastrutture e territorio che, se non avverrà, indebolirà le capacità di
resilienza della nostra regione, oltre a creare disagio economico e sociale ai lavoratori. Per
questo riteniamo fondamentale l’Ente regionale produca un “Piano Clima” che identifichi
le priorità sulle quali intervenire per difendere i cittadini dal cambiamento climatico e che
si trovino le migliori forme economicamente incentivanti per favorire questa transizione.

Una transizione che, guardando le nostre città, dovrà essere accompagnata da una
grande campagna di valorizzazione del verde urbano. È per noi inevitabile sottolineare
che la politica locale ha avuto difficoltà e continua a stentare nel concepire gli spazi verdi,
gli alberi e le alberature come vere e proprie infrastrutture per la salute pubblica con la
capacità di produrre benessere fisico e mentale grazie alla capacità di far diminuire la
temperatura, esaltata dagli edifici e dal manto stradale, che accumulano e rendono difficile
lo smaltimento del calore.

Il dossier “Il consumo delle aree costiere italiane” fa emergere che su un totale di 345 km,
la nostra costa risulta urbanizzata per 220 km, pari al 63%.
L’analisi del paesaggio costiero vede paesaggi industriali-portuali (59,2 km), urbani densi
(71,1 km), urbani meno densi (90 km), agricoli (12,4 km), naturali (112 km).
Le spiagge sono occupate per il 70% da stabilimenti balneari.

Dopo la terribile mareggiata dell’ottobre 2018, la riflessione riguarda la possibilità
di rinaturalizzare e recuperare, liberandoli, gli spazi occupati da attività economiche e
imprenditoriali, maggiormente sottoposti a stress climatici ed erosione costiera. L’impressione
è che si tenderà ad accanirsi nel “difendere tratti di costa” con opere pubbliche costosissime
– oltre che impattanti dal punto di vista ecologico – per garantire il massimo sfruttamento
del fronte mare.

Quanto vissuto negli ultimi anni dagli operatori balneari, insieme all’annullamento della
tappa del “Jova beach party” ad Albenga, solo per citare alcuni degli ultimi casi, dovrebbe
rappresentare un importante monito.
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LA VIA VERSO L’USCITA
DALLE FONTI FOSSILI

Sono le 20 di domenica 17 aprile 2016 e stanno per chiudersi le urne per il Referendum
sulle trivellazioni petrolifere, quando i cittadini di Fegino, a Genova, lanciano l’allarme per
l’esplosione di un tubo e la perdita di greggio nel Rio Pianego. Seicentottantamila litri che,
in parte, raggiungeranno il mare.

Evidenziamo questo episodio come esempio della relazione tra uomo, modello di sviluppo
e impatto per la salute, l’ambiente e l’economia in una regione che, in termini di costi
ecologici e sociali dovuti alle fonti fossili, ha dato troppo. La presenza per decenni di tre
centrali termoelettriche alimentate a carbone, di un polo petrolchimico alle spalle del Porto
di Genova con le relative connessioni e infrastrutture e di una industria che produce coke
siderurgico nell’entroterra savonese ha condizionato e di fatto ingessato irreversibilmente
per anni il futuro di diversi territori.

Solo l’opposizione dei cittadini, documentata, scientifica e propositiva, supportati dalle
associazioni ambientaliste a livello nazionale, ha portato alla chiusura della centrale
termoelettrica Tirreno Power di Vado Ligure. Logiche strategiche, economiche e di opportunità
hanno portato alla dismissione della centrale di Genova, mentre ancora aperto rimane il
capitolo di quella della Spezia, di cui ribadiamo la richiesta di chiusura al 2021 e dove
siamo contrari a una conversione a gas.

Obsolete restano le scelte collegate alla Italiana coke, stabilimento che ha inquinato il torrente
Bormida in passato e rimane oggi una delle peggiori fonti emissive in atmosfera della regione,
di cui non vorremmo più vedere rinnovi delle autorizzazioni integrate ambientali, e al Polo
Petrolchimico genovese di cui da anni viene ventilata la delocalizzazione. Di quest’ultimo, in
una visione a medio termine per cui sarà necessario abbandonare l’utilizzo delle fonti fossili
verso la decarbonizzazione dell’economia, riteniamo fuorviante il dibattito su dove debba
essere collocato perché lo stoccaggio di quelle materie dovrà presto essere sorpassato.

Siamo consapevoli che le lobby radicate e finanziate per utilizzare fonti fossili continuino
a fare resistenza e utilizzino tutti gli strumenti a loro disposizione. Non si spiegherebbe
altrimenti, ancora a oggi, la mancata bonifica dei rii interessati dalla dispersione di petrolio
a Fegino, la continua ricerca di aree dove stoccare greggio e suoi derivati, le proposte per
continuare ad alimentare il loro utilizzo sul nostro territorio.

La nostra regione, con il forte potenziale solare, eolico, idroelettrico, dovrebbe investire
maggiormente su queste fonti. La Liguria risulta ultima per diffusione delle rinnovabili
nelle regioni italiane. Questo ritardo è dovuto anche alle paure e ai limiti che arrivano
dai territori, troppo spesso non considerati all’interno dei processi decisionali. Abbiamo
apprezzato la volontà del Consiglio regionale nel voler riqualificare energeticamente il
patrimonio edilizio (i nostri edifici sono veri e propri colabrodo energetici che in larghissima
maggioranza si trovano in classe G), grazie all’approvazione di misure per il miglioramento
dell’efficienza energetica degli edifici di edilizia residenziale, pubblici e privati.
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UN MODELLO INDUSTRIALE
CIRCOLARE

Per attrarre gli investimenti necessari a far ripartire il ciclo virtuoso dell’economia
ed arrestare la “fuga di cervelli” della nostra regione, occorre integrare il “Piano
Clima”, di cui abbiamo proposto l’elaborazione, con un nuovo modello circolare di
produzione e servizi.

Il percorso che la Regione si è data per la formulazione del Piano Territoriale Regionale
può essere l’occasione per utilizzare aree sottoutilizzate, rivalorizzare aree che
necessitano di una trasformazione urbanistica e valorizzare il patrimonio immobiliare
che ha bisogno di ristrutturazione.

La nostra regione ha una necessità impellente di impianti di trasformazione per
riportare i materiali a fine vita a diventare materie prime seconde; questo volano può
partire già dall’edilizia, ma necessita di un rapido sviluppo per poter coprire i settori
di maggior potenzialità per le merci post consumo, in primis gli imballaggi, che oggi
vengono raccolti in maniera virtuosa da 110 comuni liguri, ma che trovano nuova
vita in filiere fuori dalla nostra regione.

Per valorizzare la Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano – FORSU, che è destinata
a crescere col migliorare della raccolta e l’aumento dell’usa e getta compostabile, è
necessario un sistema misto che metta a sistema la biodigestione anaerobica e il
compostaggio aerobico per produrre biogas e concime agricolo costruendo impianti
di pezzatura economicamente compatibile ma diffusi sul territorio per limitare il vero
e proprio turismo dei rifiuti che stiamo vivendo in questi anni; è necessario però un
processo partecipato, unito agli strumenti di verifica dell’impatto ambientale e sanitario
per l’individuazione dei siti.

Sui rifiuti, lavoreremo per la chiusura virtuosa del ciclo, per la tariffa puntuale della
RSU, per portare la differenziata sui parametri previsti dal Piano regionale per i
Comuni che ancora non la raggiungono. In Liguria evidenziamo l’arretratezza della
provincia di Imperia dove, su 66 comuni, ben 31 sono al di sotto del 35% di raccolta
differenziata.

Ci impegneremo per ripensare il concetto di isola ecologica, promuoveremo il mercato
del riuso e la fabbrica del riciclo, le ciclofficine, i centri per le piccole riparazioni.

Lo sviluppo del sistema portuale, intimamente collegato alle nostre città, deve
coesistere con la vita dei cittadini che vivono affacciati sulle banchine e la presenza
di un area protetta di grandissimo pregio, quale il Santuario dei Mammiferi marini
Pelagos. È necessario per questo individuare quali le oggettive possibilità di crescita
di questi spazi. Quanti container, quante merci e quante persone devono e possono
movimentare i nostri porti? A questa domanda purtroppo non viene data risposta.
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Riconosciamo la vocazione portuale ligure e l’innovazione in questo ambito può essere
fonte di ricchezza per la nostra comunità, ma nella condizione attuale continuano ad
esistere difficoltà per una integrazione ambientale col tessuto urbano. L’elettrificazione
delle banchine di Genova, La Spezia e Savona non può essere procrastinata; occorrono
dei piani portuali dei rifiuti per poter gestire le materie prime seconde e, in questo
caso non solo per l’ambito portuale, l’applicazione del Green Public Procurement, per
gli appalti.

I porti devono riscrivere un patto con le città conciliando le funzioni mercantili,
turistiche e di trasporto pubblico, razionalizzando gli spazi interni per il contenimento
dei container. Laddove compatibile, vanno valorizzate aree retroportuali diffuse che
utilizzino gli spazi parcellizzati delle dismissioni industriali in modo non impattante
per la viabilità e in equilibrio con le condizioni dell’aria, dell’inquinamento acustico
della vivibilità dell’insediamento urbano.

Il Porto di Savona – Vado Ligure, che ha visto con la piattaforma Maersk uno
stravolgimento della costa a fianco dell’Area Marina Protetta di Bergeggi, forte
della presenza di un polo universitario specializzato nella ricerca energetica, deve
rappresentare un laboratorio di studio sperimentale per l’uso delle energie alternative
nella nautica di grande tonnellaggio.

S’intreccia con i porti e i luoghi di maggior pregio, come le Cinque Terre e l’Area
Marina Protetta di Portofino, il fenomeno turistico crocieristico che ha pesanti
pressioni e conseguenze da un punto di vista ambientale e sociale per questi luoghi,
non riuscendo a diffondere ricchezza nell’entroterra.
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INFRASTRUTTURE, GRANDI OPERE UTILI
E TUTELA DEL TERRITORIO

Il crollo del Ponte Morandi, una immane tragedia che non potremo dimenticare,
con il drammatico carico di lutti che ha portato, ha anche riaperto il dibattito sullo
sviluppo delle infrastrutture a Genova e in Liguria. Legambiente Liguria vede con
favore il recupero di questa infrastruttura di collegamento tra il levante e il ponente
della nostra regione ma esprime forti perplessità rispetto ad altre che si stanno
sviluppando o sono previste, con un fortissimo impatto, non solo ambientale ma anche
sociale, come la ventilata Gronda.

Quest’ultima è di fatto già stata realizzata, più bassa verso mare a discapito dei
cittadini di Lungomare Canepa, considerato che anche quando sarà operativo il
nuovo viadotto sul Polcevera questo bypass continuerà ad essere utilizzato da grandi
flussi di traffico.

Sulla questione della Gronda, crediamo assolutamente odierna la proposta che
facemmo dopo l’alluvione del 2014 all’allora presidente della Regione e raccolta
da associazioni come Libera, Arci Liguria, Gruppo Abele e che raccolse 30.000
firme in sole 72 ore sulla piattaforma Riparte il futuro: riorientare i miliardi previsti
per la Gronda, aggiungere quota parte dei proventi dei pedaggi autostradali, e con
quelle risorse istituire un Fondo per la messa in sicurezza del territorio, la formazione
per l’autoprotezione dei cittadini, il sostegno ai commercianti, artigiani e agricoltori
gestito in maniera trasparente. Senza entrare nel merito del rinnovo delle concessioni,
segnaliamo che i soci delle società autostradali concessionarie sono Enti Locali, Banche,
Camere di Commercio, spesso con quote azionarie molto basse, ma che dovrebbero
rappresentare il territorio e l’interesse dei cittadini.

Il nodo ferroviario di Genova è ancora un cantiere e, a vent’anni dalla firma del
Protocollo d’Intesa tra Regione Liguria, Comune di Genova e FS, il nuovo assetto
ferroviario, tra crisi aziendali e attese giudiziarie, è diventato un cantiere infinito: la
fine dei lavori era prevista per il 2016. È l’opera che separerà i treni locali da quelli a
lunga percorrenza, permettendo alla città di Genova di dotarsi di una vera e propria
metropolitana di superficie. L’opera è completamente finanziata per 642 milioni di
euro, ma i lavori sono fermi e il completamento è al 40% senza certezze sui tempi
di realizzazione. Nel frattempo, l’azienda Astaldi, general contractor dell’opera, è
entrato in concordato fallimentare presso il Tribunale di Roma. Il recente annuncio
del salvataggio dell’Astaldi da parte di Salini-Impregilo non sembra sufficiente a
riprendere celermente i lavori né tantomeno per poter accelerare e recuperare il
ritardo storico accumulato.

Il progetto per emancipare il ponente ligure dal binario unico tra Savona e Ventimiglia
era stato avviato nel 2006 con l’obbiettivo di concludersi nel 2010. Il raddoppio
della tratta Genova-Savona-Ventimiglia prevede la realizzazione della linea a doppio
binario tra la stazione di Finale Ligure e la stazione di Andora, spostata a monte della
linea storica.

Il tracciato presenta una lunghezza complessiva di circa 32 km, di cui circa 25 km
in galleria e 1,9 km in viadotto. Sono previste, oltre alle stazioni di Finale Ligure e di
Andora, le stazioni di Albenga, Pietra Ligure, Borghetto S. Spirito e, in galleria, quella
di Alassio. Le risorse disponibili a fine maggio 2018 risultavano 266 milioni di euro,
con un fabbisogno residuo per la conclusione dell’opera di un miliardo e 274 milioni
di euro.

Lo spostamento a monte ha raccolto diverse critiche per gli impatti ambientali che
provocherebbe e per la distanza dai centri abitati cui sorgerebbero le stazioni, per cui
potrebbe essere ipotizzabile e auspicabile una revisione del tracciato, affiancando la
linea storica.

Tra le opere di impatto positivo a livello metropolitano la reintroduzione del tram
continua ad essere ostacolata da una politica miope sul fronte della mobilità. Dopo
la conclusione del dibattito pubblico del 2011, dove il Comune di Genova aveva
annunciato lo stanziamento dei primi 19 milioni per costruire in Val Bisagno una
preziosa infrastruttura a servizio della comunità, il processo si è arenato.
I cittadini della Val Bisagno, a differenza di quelli della Val Polcevera e di quelli della
linea costiera, non possiedono una infrastruttura su ferro che possa agevolare gli
spostamenti in città con i benefici ambientali ed i miglioramenti urbanistici e della
qualità della vita che accompagnano questo tipo di opera.

Recentemente, dopo un rinnovato dibattito in città, l’Amministrazione comunale
ha pubblicizzato la reintroduzione del mezzo su ferro ma, con sgradita sorpresa,
risulta che la richiesta inviata al Ministero dei Trasporti a fine dicembre 2018 chieda i
finanziamenti per l’installazione dei filobus, che hanno pessime performance rispetto
al tram e i cui costi di manutenzione nel medio lungo periodo saranno più elevati.
Il Ministero sta valutando la domanda di finanziamento mentre era in chiusura la
stesura di questo nostro documento. La grande richiesta di mobilità pendolare su ferro
è confermata dall’annuale dossier Legambiente “Pendolaria”.

In Liguria, nonostante il taglio dei servizi e l’aumento delle tariffe aumenta l’utenza.
Nella nostra regione il rapporto registra dal 2011 al 2017 un incremento dei
passeggeri del 16,4% passando da 105.000 a 122.500, mentre per quanto riguarda
gli investimenti sul materiale rotabile ed i servizi offerti è la nona regione in Italia e
impiega solo lo 0,39% del bilancio regionale.

Ha il triste primato, essendo la prima in classifica nel periodo esaminato 2010-2018,
per gli aumenti delle tariffe. In dieci anni chi utilizza il treno le ha viste aumentare
del 48,9% con la beffa di veder diminuire il servizio offerto, nello stesso periodo, del
5,2%.

Crediamo fermamente nell’opportunità di raddoppiare la linea ferroviaria
“Pontremolese” che collega Parma con La Spezia passando per alcuni centri vitali
dell’Appennino, come Pontremoli e Borgo Val di Taro, Comuni che di fatto sono da
riferimento per aree marginali. Lungo i 103 km di linea sono presenti anche fermate
minori di servizio ai pendolari. La linea è per il 50% a binario unico e mostra pendenze
elevate che riducono le dimensioni utili di treni, soprattutto quelli per le merci.

La ferrovia rappresenta un pezzo potenziale del corridoio Tirreno-Brennero (TI-BRE)
che dovrebbe connettere persone e merci dal centro-nord Europa con le vie marittime
del Tirreno. Al Brennero circola oggi circa il 40% del traffico merci alpino ed è in corso
di realizzazione un nuovo traforo per la linea ferroviaria. Su questa via il porto di La
Spezia rappresenta uno dei principali punti di arrivo e partenza merci in containers e
il principale porto per utilizzo del trasporto su ferro.

Occorre rivedere l’utilizzo dell’area retroportuale di Santo Stefano di Magra e costruire
con l’utilizzo delle nuove tecnologie un sistema all’avanguardia, fiore all’occhiello della
competitività che fa leva sulla qualità, sulla sostenibilità e sui servizi.

Eravamo e restiamo convinti che un opera come il cosiddetto “Terzo Valico” sia
opera di forte impatto economico, ambientale e sociale. Il rafforzamento dei valichi
esistenti e l’utilizzo a pieno regime delle tracce esistenti avrebbe comportato minori
oneri e garantito una più efficace distribuzione delle merci sui territori.
Sulla questione delle cosiddette grandi opere i movimenti territoriali di cittadini, a
livello internazionale, nazionale e locale, che vi si oppongono continuano ad essere
etichettati come quelli del “No”, quando invece sono gli unici a porre la mobilitazione
come elemento centrale per arrestare i cambiamenti climatici indicando una alternativa
di sviluppo.

Occorre dare completa attuazione alla Rete Ciclabile della Liguria (RCL) prevista dal
DGR 929/2012, dando priorità alla Ciclovia Tirrenica.
Quest’ultima, inserita fra le ciclovie turistiche di interesse nazionale della rete
BicicItalia, per via del suo andamento prevalentemente costiero costituisce anche una
buona soluzione per il ciclismo urbano. Sappiamo infatti come nella nostra regione la
congestione del traffico avvenga per lo più nel capoluogo e negli altri centri costieri.
Una percorrenza ciclistica con un adeguato grado di sicurezza renderebbe ancor
più appetibile l’utilizzo della bici per la mobilità di tutti i giorni aiutando a ridurre il
traffico automobilistico.

Per far ciò sono necessarie delle infrastrutture che se paragonate agli interventi per le
varianti Aurelia che si sono succedute negli anni sono un’inezia.

Gli sforzi per le infrastrutture ciclabili devono però andare di pari passo con un
adeguato servizio treno più bici. È impensabile che in una regione che vuole fare
dello sviluppo del cicloturismo il suo fiore all’occhiello avere dei treni come il Jazz che
trasportano solo tre bici e anche male, considerato lo stallo ideato per tenerle. Il treno
è molto utile sia per raggiungere i luoghi serviti da ciclabile sia perché consente di
bypassare i punti più critici finché non verranno risolti dall’infrastruttura. Un numero
di posti bici sufficiente sarebbe di 10 per i treni fino a 350 posti a sedere e di 20 per
quelli superiori.

Riteniamo la rete sentieristica ligure, con i suoi parchi regionali e nazionali, le aree
marine protette, le zps, i sic, i parchi storici, vere e proprie infrastrutture, spina
dorsale di un territorio che non solo conserva beni paesaggistici e culturali ma luoghi
dove è affermata una cultura materiale e rurale da valorizzare, non lasciandola
cadere nell’oblio. A questi si collega la ricchezza in biodiversità, dove gli equilibri e
la coevoluzione delle specie deve continuare ad essere possibile, affermata e difesa.
Le aree interne vanno tutelate, contrastando il calo demografica e dei servizi presenti,
relativi all’ istruzione, salute, mobilità potenziando il patrimonio culturale e naturale
sviluppando filiere produttive locali, come previsto dalla Strategia nazionale delle
Aree interne.

In quest’ultimo anno abbiamo criticato la revisione della legge regionale sui Parchi
e chiesto, insieme alle altre associazioni ambientaliste, venisse impugnata dalla
Corte Costituzionale. Ribadiamo la necessità di investire e rafforzare, anche
economicamente, gli enti che gestiscono le aree tutelate e continueremo ad opporci
alle ipotesi di ridimensionamento delle loro superfici (come ventilato nel caso
del passaggio del Parco di Portofino da regionale a nazionale) e alle scellerate e
anacronistiche proposte di legge che prevedono la loro chiusura (come nel caso del
Parco regionale di Montemarcello).
QUANDO LA POLITICA
NON È PIÙ SUFFICIENTE

Da sempre riteniamo utile la relazione tra enti locali, imprenditori e società civile perché
crediamo che le politiche di trasformazione, così come quelle di conservazione del territorio,
debbano trovare spazio di discussione e condivisione. Purtroppo non sempre si verificano
le condizioni perché questo avvenga, e quando gli spazi di partecipazione si restringono,
quando i cittadini, pur affermando i loro diritti, non ottengono risposte a legittime richieste,
le vertenze approdano in campo giuridico.

Per questo in Liguria è attivo il Centro di Azione Giuridica di Legambiente Liguria che
in questi anni ha affrontato e continua ad affrontare vertenze ambientali, dalle storiche
costituzioni di parte civile contro la Stoppani di Cogoleto e l’Ilva di Cornigliano, passando
per quelle contro l’uccisione di animali di specie protette o a tutela di parchi storici come
l’Acquasola a Genova, per arrivare ai ricorsi al Tar contro le cementificazioni.

Attualmente sono in corso due grossi impegni processuali.

Uno al Tribunale di Savona è la costituzione di parte civile contro i dirigenti della centrale
a carbone Tirreno Power di Vado Ligure. Numerosi imputati sono stati rinviati a giudizio
ed è in corso l’audizione dei testi. Il reato contestato è il disastro ambientale ma nella
vecchia formulazione di “altro disastro innominato”, quella precedente alla Legge n. 68 del
22/05/2015 (legge contro gli Ecoreati), essendo i fatti precedenti al 2015. È un processo
difficile, con la certezza che ben diverso sarà nel futuro gestire situazioni simili grazie alla
nuova legge che rende molto più difficile e rischioso inquinare e restare impuniti.

Un altro procedimento penale, scaturito dall’esposto di Legambiente e nel quale la nostra
associazione si è costituita parte civile di recente, riguarda l’attività di dragaggio eseguita,
con modalità illecite, dalle ditte incaricate dall’Autorità Portuale spezzina, causando un
inquinamento ambientale alla fauna (in specie mitili) presente all’interno del golfo.

Proprio in relazione al sequestro effettuato in questo caso c’è stata nel 2016 la prima sentenza
della Corte di Cassazione sull’inquinamento ambientale, ai sensi della L.68/2015, che ha
stabilito i principi di applicazione, poi confermati da sentenze successive, confermando
l’utilità generale delle nuove norme. Il procedimento sul dragaggio è in corso, si sta
svolgendo l’udienza preliminare.
LA CITTADINANZA ATTIVA, MOTORE
DI PARTECIPAZIONE E DEMOCRAZIA

La rete dei nostri circoli sul territorio, la passione e le competenze dei volontari che la
animano, continua ad essere il miglior propulsore dell’idea di società a cui aspiriamo.
Questa rete spesso si intreccia, si confronta, costruisce iniziative collaborando con le altre
realtà del territorio.

In un periodo storico dove il movimento delle organizzazioni non governative e, più in
generale, il movimento che porta solidarietà ai migranti o pone la questione climatica come
centrale nel dibattito politico è stato sotto attacco e denigrato, Legambiente e le altre realtà
rappresentano un baluardo di democrazia.

Il nostro agire rappresenta anche una resistenza alla cultura mafiosa, i cui dati del nostro
rapporto Ecomafia e le sentenze dei tribunali, affermano essere radicata nella nostra
regione. Il nostro è ambientalismo scientifico, sociale e popolare, per questo riteniamo
necessaria la contaminazione ed il confronto con tutti i settori della società.

Promuoviamo progetti per coinvolgere il volontariato aziendale, le scuole, i cittadini nelle
iniziative per ridurre e eliminare l’utilizzo della plastica, migliorare la gestione dei rifiuti e
degli stili di vita, per informarli sul dissesto idrogeologico e la tutela delle valli, del mare e
delle coste, per riportare l’attenzione ad una relazione ecologica, che sembra smarrita, tra
il nostro genere e le città e i borghi dove viviamo.
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