IL TEMPO DEL CORAGGIO - CONGRESSO REGIONALE LEGAMBIENTE LIGURIA 8-9 NOVEMBRE 2019 GIARDINI LUZZATI - cloudfront.net
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8 NOVEMBRE QUALE CITTÀ PER IL NOSTRO FUTURO? Acqua, aria, arte, biodiversità, legalità, i numeri di ecosistema urbano per comprendere le performance ambientali cittadine. Ecosistema Urbano è il rapporto di Legambiente, giunto alla ventiseiesima edizione, realizzato con il contributo scientifico di Ambiente Italia e la collaborazione editoriale de Il Sole 24 ore che analizza la qualità e le performance ambientali dei comuni capoluogo. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU sollecitano le città a una sfida decisiva: assicurare la crescita economica e sociale, di green economy e green jobs, delle infrastrutture, dei servizi e delle opportunità per le persone senza danneggiare ulteriormente il territorio e depauperare le risorse. Facendosi anzi portatrici sane di azioni per energia e acqua pulita, per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, per un’urbanizzazione inclusiva, partecipativa ed ecologica, per l’accessibilità, per la riduzione di smog, rumore, rifiuti e, più in generale, per far progredire la salute, il benessere, la qualità della vita delle persone. L’incontro è organizzato nell’ambito della promozione del progetto “Volontari per Natura”. 09.00 Il progetto Volontari per Natura VxN - #volontarixnatura Volontari per natura è un progetto finanziato 10.30 Ecosistema Urbano dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 12.30 Chiusura dei lavori Avviso n. 1/2017 9 NOVEMBRE 10.30 Riunione delle piazze tematiche: CONGRESSO • • Economia circolare EcoCittà • Educazione ambientale • Aree tutelate 09.30 Iscrizione al congresso, alle piazze 13.30 Pausa ristoro tematiche e accoglienza partecipanti 09.45 Insediamento presidenza del congresso 14.30 Dibattito in Plenaria 10.00 Introduzione ai lavori di Santo 16.002 2Intervento conclusivo di Federico Grammatico, Presidente Legambiente Liguria Borromeo, Direttore Legambiente Liguria 16.302 2Votazione documenti congressuali Segreteria organizzativa: Legambiente Liguria • Via Caffa 3/5 B regionale e nazionale tel 010 319168 • 3202481395 contatti@legambienteliguria.org 17.002 2Convocazione Assemblea regionale dei soci: elezioni cariche sociali e votazioni Il congresso è aperto alla cittadinanza delegati al congresso nazionale
LIGURIA ED ESPOSIZIONE AL CAMBIAMENTO CLIMATICO Gli ultimi anni hanno messo in evidenza l’intensificarsi di fenomeni estremi nella nostra regione. Sia la costa che l’entroterra hanno subito alluvioni, mareggiate, trombe d’aria, frane. Il cambiamento climatico sta portando un aumento delle ondate di calore e le allerte meteorologiche e idrogeologiche non sono più concentrate nei mesi autunnali, ma sono diventate più frequenti e interessano tutto l’arco dell’anno. Legambiente Liguria continua a seguire lo sviluppo della pianificazione regionale che su questo tema ha purtroppo luci e ombre. Ricordiamo che tra i primi atti della Giunta ligure non abbiamo apprezzato l’approvazione del Piano Casa, strumento nato per rilanciare l’edilizia e promosso anche per difendere il territorio dal dissesto idrogeologico, ma che in realtà è stato utilizzato come dispositivo per aumentare le rendite di chi ha potuto permettersi ampliamenti alle proprie abitazioni all’interno dei parchi regionali e nelle zone costiere a più alto valore paesaggistico. Il paradosso più evidente per noi è stato che, mentre a Parigi il 12 dicembre 2015 venivano approvati gli accordi sul Clima, in Liguria eravamo concentrati nel contrastare la cultura, le politiche e gli interessi collegati all’approvazione del Piano Casa, avvenuta pochi giorni dopo. Nel 2014, il dossier che Rfi ha consegnato alla Regione Liguria e al Ministero dei Trasporti, indicava 2.111 punti lungo l’infrastruttura ferroviaria regionale a rischio frana, cioè una ogni 236 metri di binari con 44 punti segnalati come preoccupanti in tutta la Liguria. Grazie ai dati fatti emergere dall’Ordine Regionale Ligure dei Geologi e dall’Iffi (Inventario fenomeni franosi in Italia, di ISPRA) scopriamo che in undici anni, dal 2005 al 2016 (ultimo dato disponibile), i fenomeni franosi censiti sono passati da 7.513 a 13.475, praticamente raddoppiati. La Liguria è la prima regione in Italia per densità stradale con un indice di 96,53 km/100 kmq, con i suoi ponti e viadotti a rischio. In questa cornice, riporta ANCE, in provincia di Genova, secondo i dati divulgati dalla locale Cassa edile, dall’inizio della crisi ad oggi, sono uscite dal settore delle costruzioni circa 800 imprese nonché circa 4.500 addetti e in Liguria, nel 2018, sono usciti dal mercato del lavoro ulteriori 280 operai e circa 50 imprese. Crediamo fermamente che l’edilizia debba e possa avere un ruolo centrale nell’adattamento e nella mitigazione del cambiamento climatico, ma questa dovrebbe concentrarsi nella messa in sicurezza del territorio, delle infrastrutture esistenti, nella riqualificazione urbana e degli edifici residenziali e scolastici. Nel compiere la nostra analisi, ci supportano alcuni dati eclatanti emersi in questi ultimi anni.
È una crisi che dimostra la necessità di una conversione politica e del sistema edile per tutelare suolo, infrastrutture e territorio che, se non avverrà, indebolirà le capacità di resilienza della nostra regione, oltre a creare disagio economico e sociale ai lavoratori. Per questo riteniamo fondamentale l’Ente regionale produca un “Piano Clima” che identifichi le priorità sulle quali intervenire per difendere i cittadini dal cambiamento climatico e che si trovino le migliori forme economicamente incentivanti per favorire questa transizione. Una transizione che, guardando le nostre città, dovrà essere accompagnata da una grande campagna di valorizzazione del verde urbano. È per noi inevitabile sottolineare che la politica locale ha avuto difficoltà e continua a stentare nel concepire gli spazi verdi, gli alberi e le alberature come vere e proprie infrastrutture per la salute pubblica con la capacità di produrre benessere fisico e mentale grazie alla capacità di far diminuire la temperatura, esaltata dagli edifici e dal manto stradale, che accumulano e rendono difficile lo smaltimento del calore. Il dossier “Il consumo delle aree costiere italiane” fa emergere che su un totale di 345 km, la nostra costa risulta urbanizzata per 220 km, pari al 63%. L’analisi del paesaggio costiero vede paesaggi industriali-portuali (59,2 km), urbani densi (71,1 km), urbani meno densi (90 km), agricoli (12,4 km), naturali (112 km). Le spiagge sono occupate per il 70% da stabilimenti balneari. Dopo la terribile mareggiata dell’ottobre 2018, la riflessione riguarda la possibilità di rinaturalizzare e recuperare, liberandoli, gli spazi occupati da attività economiche e imprenditoriali, maggiormente sottoposti a stress climatici ed erosione costiera. L’impressione è che si tenderà ad accanirsi nel “difendere tratti di costa” con opere pubbliche costosissime – oltre che impattanti dal punto di vista ecologico – per garantire il massimo sfruttamento del fronte mare. Quanto vissuto negli ultimi anni dagli operatori balneari, insieme all’annullamento della tappa del “Jova beach party” ad Albenga, solo per citare alcuni degli ultimi casi, dovrebbe rappresentare un importante monito.
LA VIA VERSO L’USCITA DALLE FONTI FOSSILI Sono le 20 di domenica 17 aprile 2016 e stanno per chiudersi le urne per il Referendum sulle trivellazioni petrolifere, quando i cittadini di Fegino, a Genova, lanciano l’allarme per l’esplosione di un tubo e la perdita di greggio nel Rio Pianego. Seicentottantamila litri che, in parte, raggiungeranno il mare. Evidenziamo questo episodio come esempio della relazione tra uomo, modello di sviluppo e impatto per la salute, l’ambiente e l’economia in una regione che, in termini di costi ecologici e sociali dovuti alle fonti fossili, ha dato troppo. La presenza per decenni di tre centrali termoelettriche alimentate a carbone, di un polo petrolchimico alle spalle del Porto di Genova con le relative connessioni e infrastrutture e di una industria che produce coke siderurgico nell’entroterra savonese ha condizionato e di fatto ingessato irreversibilmente per anni il futuro di diversi territori. Solo l’opposizione dei cittadini, documentata, scientifica e propositiva, supportati dalle associazioni ambientaliste a livello nazionale, ha portato alla chiusura della centrale termoelettrica Tirreno Power di Vado Ligure. Logiche strategiche, economiche e di opportunità hanno portato alla dismissione della centrale di Genova, mentre ancora aperto rimane il capitolo di quella della Spezia, di cui ribadiamo la richiesta di chiusura al 2021 e dove siamo contrari a una conversione a gas. Obsolete restano le scelte collegate alla Italiana coke, stabilimento che ha inquinato il torrente Bormida in passato e rimane oggi una delle peggiori fonti emissive in atmosfera della regione, di cui non vorremmo più vedere rinnovi delle autorizzazioni integrate ambientali, e al Polo Petrolchimico genovese di cui da anni viene ventilata la delocalizzazione. Di quest’ultimo, in una visione a medio termine per cui sarà necessario abbandonare l’utilizzo delle fonti fossili verso la decarbonizzazione dell’economia, riteniamo fuorviante il dibattito su dove debba essere collocato perché lo stoccaggio di quelle materie dovrà presto essere sorpassato. Siamo consapevoli che le lobby radicate e finanziate per utilizzare fonti fossili continuino a fare resistenza e utilizzino tutti gli strumenti a loro disposizione. Non si spiegherebbe altrimenti, ancora a oggi, la mancata bonifica dei rii interessati dalla dispersione di petrolio a Fegino, la continua ricerca di aree dove stoccare greggio e suoi derivati, le proposte per continuare ad alimentare il loro utilizzo sul nostro territorio. La nostra regione, con il forte potenziale solare, eolico, idroelettrico, dovrebbe investire maggiormente su queste fonti. La Liguria risulta ultima per diffusione delle rinnovabili nelle regioni italiane. Questo ritardo è dovuto anche alle paure e ai limiti che arrivano dai territori, troppo spesso non considerati all’interno dei processi decisionali. Abbiamo apprezzato la volontà del Consiglio regionale nel voler riqualificare energeticamente il patrimonio edilizio (i nostri edifici sono veri e propri colabrodo energetici che in larghissima maggioranza si trovano in classe G), grazie all’approvazione di misure per il miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici di edilizia residenziale, pubblici e privati.
UN MODELLO INDUSTRIALE CIRCOLARE Per attrarre gli investimenti necessari a far ripartire il ciclo virtuoso dell’economia ed arrestare la “fuga di cervelli” della nostra regione, occorre integrare il “Piano Clima”, di cui abbiamo proposto l’elaborazione, con un nuovo modello circolare di produzione e servizi. Il percorso che la Regione si è data per la formulazione del Piano Territoriale Regionale può essere l’occasione per utilizzare aree sottoutilizzate, rivalorizzare aree che necessitano di una trasformazione urbanistica e valorizzare il patrimonio immobiliare che ha bisogno di ristrutturazione. La nostra regione ha una necessità impellente di impianti di trasformazione per riportare i materiali a fine vita a diventare materie prime seconde; questo volano può partire già dall’edilizia, ma necessita di un rapido sviluppo per poter coprire i settori di maggior potenzialità per le merci post consumo, in primis gli imballaggi, che oggi vengono raccolti in maniera virtuosa da 110 comuni liguri, ma che trovano nuova vita in filiere fuori dalla nostra regione. Per valorizzare la Frazione Organica del Rifiuto Solido Urbano – FORSU, che è destinata a crescere col migliorare della raccolta e l’aumento dell’usa e getta compostabile, è necessario un sistema misto che metta a sistema la biodigestione anaerobica e il compostaggio aerobico per produrre biogas e concime agricolo costruendo impianti di pezzatura economicamente compatibile ma diffusi sul territorio per limitare il vero e proprio turismo dei rifiuti che stiamo vivendo in questi anni; è necessario però un processo partecipato, unito agli strumenti di verifica dell’impatto ambientale e sanitario per l’individuazione dei siti. Sui rifiuti, lavoreremo per la chiusura virtuosa del ciclo, per la tariffa puntuale della RSU, per portare la differenziata sui parametri previsti dal Piano regionale per i Comuni che ancora non la raggiungono. In Liguria evidenziamo l’arretratezza della provincia di Imperia dove, su 66 comuni, ben 31 sono al di sotto del 35% di raccolta differenziata. Ci impegneremo per ripensare il concetto di isola ecologica, promuoveremo il mercato del riuso e la fabbrica del riciclo, le ciclofficine, i centri per le piccole riparazioni. Lo sviluppo del sistema portuale, intimamente collegato alle nostre città, deve coesistere con la vita dei cittadini che vivono affacciati sulle banchine e la presenza di un area protetta di grandissimo pregio, quale il Santuario dei Mammiferi marini Pelagos. È necessario per questo individuare quali le oggettive possibilità di crescita di questi spazi. Quanti container, quante merci e quante persone devono e possono movimentare i nostri porti? A questa domanda purtroppo non viene data risposta.
Riconosciamo la vocazione portuale ligure e l’innovazione in questo ambito può essere fonte di ricchezza per la nostra comunità, ma nella condizione attuale continuano ad esistere difficoltà per una integrazione ambientale col tessuto urbano. L’elettrificazione delle banchine di Genova, La Spezia e Savona non può essere procrastinata; occorrono dei piani portuali dei rifiuti per poter gestire le materie prime seconde e, in questo caso non solo per l’ambito portuale, l’applicazione del Green Public Procurement, per gli appalti. I porti devono riscrivere un patto con le città conciliando le funzioni mercantili, turistiche e di trasporto pubblico, razionalizzando gli spazi interni per il contenimento dei container. Laddove compatibile, vanno valorizzate aree retroportuali diffuse che utilizzino gli spazi parcellizzati delle dismissioni industriali in modo non impattante per la viabilità e in equilibrio con le condizioni dell’aria, dell’inquinamento acustico della vivibilità dell’insediamento urbano. Il Porto di Savona – Vado Ligure, che ha visto con la piattaforma Maersk uno stravolgimento della costa a fianco dell’Area Marina Protetta di Bergeggi, forte della presenza di un polo universitario specializzato nella ricerca energetica, deve rappresentare un laboratorio di studio sperimentale per l’uso delle energie alternative nella nautica di grande tonnellaggio. S’intreccia con i porti e i luoghi di maggior pregio, come le Cinque Terre e l’Area Marina Protetta di Portofino, il fenomeno turistico crocieristico che ha pesanti pressioni e conseguenze da un punto di vista ambientale e sociale per questi luoghi, non riuscendo a diffondere ricchezza nell’entroterra.
INFRASTRUTTURE, GRANDI OPERE UTILI E TUTELA DEL TERRITORIO Il crollo del Ponte Morandi, una immane tragedia che non potremo dimenticare, con il drammatico carico di lutti che ha portato, ha anche riaperto il dibattito sullo sviluppo delle infrastrutture a Genova e in Liguria. Legambiente Liguria vede con favore il recupero di questa infrastruttura di collegamento tra il levante e il ponente della nostra regione ma esprime forti perplessità rispetto ad altre che si stanno sviluppando o sono previste, con un fortissimo impatto, non solo ambientale ma anche sociale, come la ventilata Gronda. Quest’ultima è di fatto già stata realizzata, più bassa verso mare a discapito dei cittadini di Lungomare Canepa, considerato che anche quando sarà operativo il nuovo viadotto sul Polcevera questo bypass continuerà ad essere utilizzato da grandi flussi di traffico. Sulla questione della Gronda, crediamo assolutamente odierna la proposta che facemmo dopo l’alluvione del 2014 all’allora presidente della Regione e raccolta da associazioni come Libera, Arci Liguria, Gruppo Abele e che raccolse 30.000
firme in sole 72 ore sulla piattaforma Riparte il futuro: riorientare i miliardi previsti per la Gronda, aggiungere quota parte dei proventi dei pedaggi autostradali, e con quelle risorse istituire un Fondo per la messa in sicurezza del territorio, la formazione per l’autoprotezione dei cittadini, il sostegno ai commercianti, artigiani e agricoltori gestito in maniera trasparente. Senza entrare nel merito del rinnovo delle concessioni, segnaliamo che i soci delle società autostradali concessionarie sono Enti Locali, Banche, Camere di Commercio, spesso con quote azionarie molto basse, ma che dovrebbero rappresentare il territorio e l’interesse dei cittadini. Il nodo ferroviario di Genova è ancora un cantiere e, a vent’anni dalla firma del Protocollo d’Intesa tra Regione Liguria, Comune di Genova e FS, il nuovo assetto ferroviario, tra crisi aziendali e attese giudiziarie, è diventato un cantiere infinito: la fine dei lavori era prevista per il 2016. È l’opera che separerà i treni locali da quelli a lunga percorrenza, permettendo alla città di Genova di dotarsi di una vera e propria metropolitana di superficie. L’opera è completamente finanziata per 642 milioni di euro, ma i lavori sono fermi e il completamento è al 40% senza certezze sui tempi di realizzazione. Nel frattempo, l’azienda Astaldi, general contractor dell’opera, è entrato in concordato fallimentare presso il Tribunale di Roma. Il recente annuncio del salvataggio dell’Astaldi da parte di Salini-Impregilo non sembra sufficiente a riprendere celermente i lavori né tantomeno per poter accelerare e recuperare il ritardo storico accumulato. Il progetto per emancipare il ponente ligure dal binario unico tra Savona e Ventimiglia era stato avviato nel 2006 con l’obbiettivo di concludersi nel 2010. Il raddoppio della tratta Genova-Savona-Ventimiglia prevede la realizzazione della linea a doppio binario tra la stazione di Finale Ligure e la stazione di Andora, spostata a monte della linea storica. Il tracciato presenta una lunghezza complessiva di circa 32 km, di cui circa 25 km in galleria e 1,9 km in viadotto. Sono previste, oltre alle stazioni di Finale Ligure e di Andora, le stazioni di Albenga, Pietra Ligure, Borghetto S. Spirito e, in galleria, quella di Alassio. Le risorse disponibili a fine maggio 2018 risultavano 266 milioni di euro, con un fabbisogno residuo per la conclusione dell’opera di un miliardo e 274 milioni di euro. Lo spostamento a monte ha raccolto diverse critiche per gli impatti ambientali che provocherebbe e per la distanza dai centri abitati cui sorgerebbero le stazioni, per cui potrebbe essere ipotizzabile e auspicabile una revisione del tracciato, affiancando la linea storica. Tra le opere di impatto positivo a livello metropolitano la reintroduzione del tram continua ad essere ostacolata da una politica miope sul fronte della mobilità. Dopo la conclusione del dibattito pubblico del 2011, dove il Comune di Genova aveva annunciato lo stanziamento dei primi 19 milioni per costruire in Val Bisagno una preziosa infrastruttura a servizio della comunità, il processo si è arenato.
I cittadini della Val Bisagno, a differenza di quelli della Val Polcevera e di quelli della linea costiera, non possiedono una infrastruttura su ferro che possa agevolare gli spostamenti in città con i benefici ambientali ed i miglioramenti urbanistici e della qualità della vita che accompagnano questo tipo di opera. Recentemente, dopo un rinnovato dibattito in città, l’Amministrazione comunale ha pubblicizzato la reintroduzione del mezzo su ferro ma, con sgradita sorpresa, risulta che la richiesta inviata al Ministero dei Trasporti a fine dicembre 2018 chieda i finanziamenti per l’installazione dei filobus, che hanno pessime performance rispetto al tram e i cui costi di manutenzione nel medio lungo periodo saranno più elevati. Il Ministero sta valutando la domanda di finanziamento mentre era in chiusura la stesura di questo nostro documento. La grande richiesta di mobilità pendolare su ferro è confermata dall’annuale dossier Legambiente “Pendolaria”. In Liguria, nonostante il taglio dei servizi e l’aumento delle tariffe aumenta l’utenza. Nella nostra regione il rapporto registra dal 2011 al 2017 un incremento dei passeggeri del 16,4% passando da 105.000 a 122.500, mentre per quanto riguarda gli investimenti sul materiale rotabile ed i servizi offerti è la nona regione in Italia e impiega solo lo 0,39% del bilancio regionale. Ha il triste primato, essendo la prima in classifica nel periodo esaminato 2010-2018, per gli aumenti delle tariffe. In dieci anni chi utilizza il treno le ha viste aumentare del 48,9% con la beffa di veder diminuire il servizio offerto, nello stesso periodo, del 5,2%. Crediamo fermamente nell’opportunità di raddoppiare la linea ferroviaria “Pontremolese” che collega Parma con La Spezia passando per alcuni centri vitali dell’Appennino, come Pontremoli e Borgo Val di Taro, Comuni che di fatto sono da riferimento per aree marginali. Lungo i 103 km di linea sono presenti anche fermate minori di servizio ai pendolari. La linea è per il 50% a binario unico e mostra pendenze elevate che riducono le dimensioni utili di treni, soprattutto quelli per le merci. La ferrovia rappresenta un pezzo potenziale del corridoio Tirreno-Brennero (TI-BRE) che dovrebbe connettere persone e merci dal centro-nord Europa con le vie marittime del Tirreno. Al Brennero circola oggi circa il 40% del traffico merci alpino ed è in corso di realizzazione un nuovo traforo per la linea ferroviaria. Su questa via il porto di La Spezia rappresenta uno dei principali punti di arrivo e partenza merci in containers e il principale porto per utilizzo del trasporto su ferro. Occorre rivedere l’utilizzo dell’area retroportuale di Santo Stefano di Magra e costruire con l’utilizzo delle nuove tecnologie un sistema all’avanguardia, fiore all’occhiello della competitività che fa leva sulla qualità, sulla sostenibilità e sui servizi. Eravamo e restiamo convinti che un opera come il cosiddetto “Terzo Valico” sia opera di forte impatto economico, ambientale e sociale. Il rafforzamento dei valichi esistenti e l’utilizzo a pieno regime delle tracce esistenti avrebbe comportato minori oneri e garantito una più efficace distribuzione delle merci sui territori.
Sulla questione delle cosiddette grandi opere i movimenti territoriali di cittadini, a livello internazionale, nazionale e locale, che vi si oppongono continuano ad essere etichettati come quelli del “No”, quando invece sono gli unici a porre la mobilitazione come elemento centrale per arrestare i cambiamenti climatici indicando una alternativa di sviluppo. Occorre dare completa attuazione alla Rete Ciclabile della Liguria (RCL) prevista dal DGR 929/2012, dando priorità alla Ciclovia Tirrenica. Quest’ultima, inserita fra le ciclovie turistiche di interesse nazionale della rete BicicItalia, per via del suo andamento prevalentemente costiero costituisce anche una buona soluzione per il ciclismo urbano. Sappiamo infatti come nella nostra regione la congestione del traffico avvenga per lo più nel capoluogo e negli altri centri costieri. Una percorrenza ciclistica con un adeguato grado di sicurezza renderebbe ancor più appetibile l’utilizzo della bici per la mobilità di tutti i giorni aiutando a ridurre il traffico automobilistico. Per far ciò sono necessarie delle infrastrutture che se paragonate agli interventi per le varianti Aurelia che si sono succedute negli anni sono un’inezia. Gli sforzi per le infrastrutture ciclabili devono però andare di pari passo con un adeguato servizio treno più bici. È impensabile che in una regione che vuole fare dello sviluppo del cicloturismo il suo fiore all’occhiello avere dei treni come il Jazz che trasportano solo tre bici e anche male, considerato lo stallo ideato per tenerle. Il treno è molto utile sia per raggiungere i luoghi serviti da ciclabile sia perché consente di bypassare i punti più critici finché non verranno risolti dall’infrastruttura. Un numero di posti bici sufficiente sarebbe di 10 per i treni fino a 350 posti a sedere e di 20 per quelli superiori. Riteniamo la rete sentieristica ligure, con i suoi parchi regionali e nazionali, le aree marine protette, le zps, i sic, i parchi storici, vere e proprie infrastrutture, spina dorsale di un territorio che non solo conserva beni paesaggistici e culturali ma luoghi dove è affermata una cultura materiale e rurale da valorizzare, non lasciandola cadere nell’oblio. A questi si collega la ricchezza in biodiversità, dove gli equilibri e la coevoluzione delle specie deve continuare ad essere possibile, affermata e difesa. Le aree interne vanno tutelate, contrastando il calo demografica e dei servizi presenti, relativi all’ istruzione, salute, mobilità potenziando il patrimonio culturale e naturale sviluppando filiere produttive locali, come previsto dalla Strategia nazionale delle Aree interne. In quest’ultimo anno abbiamo criticato la revisione della legge regionale sui Parchi e chiesto, insieme alle altre associazioni ambientaliste, venisse impugnata dalla Corte Costituzionale. Ribadiamo la necessità di investire e rafforzare, anche economicamente, gli enti che gestiscono le aree tutelate e continueremo ad opporci alle ipotesi di ridimensionamento delle loro superfici (come ventilato nel caso del passaggio del Parco di Portofino da regionale a nazionale) e alle scellerate e anacronistiche proposte di legge che prevedono la loro chiusura (come nel caso del Parco regionale di Montemarcello).
QUANDO LA POLITICA NON È PIÙ SUFFICIENTE Da sempre riteniamo utile la relazione tra enti locali, imprenditori e società civile perché crediamo che le politiche di trasformazione, così come quelle di conservazione del territorio, debbano trovare spazio di discussione e condivisione. Purtroppo non sempre si verificano le condizioni perché questo avvenga, e quando gli spazi di partecipazione si restringono, quando i cittadini, pur affermando i loro diritti, non ottengono risposte a legittime richieste, le vertenze approdano in campo giuridico. Per questo in Liguria è attivo il Centro di Azione Giuridica di Legambiente Liguria che in questi anni ha affrontato e continua ad affrontare vertenze ambientali, dalle storiche costituzioni di parte civile contro la Stoppani di Cogoleto e l’Ilva di Cornigliano, passando per quelle contro l’uccisione di animali di specie protette o a tutela di parchi storici come l’Acquasola a Genova, per arrivare ai ricorsi al Tar contro le cementificazioni. Attualmente sono in corso due grossi impegni processuali. Uno al Tribunale di Savona è la costituzione di parte civile contro i dirigenti della centrale a carbone Tirreno Power di Vado Ligure. Numerosi imputati sono stati rinviati a giudizio ed è in corso l’audizione dei testi. Il reato contestato è il disastro ambientale ma nella vecchia formulazione di “altro disastro innominato”, quella precedente alla Legge n. 68 del 22/05/2015 (legge contro gli Ecoreati), essendo i fatti precedenti al 2015. È un processo difficile, con la certezza che ben diverso sarà nel futuro gestire situazioni simili grazie alla nuova legge che rende molto più difficile e rischioso inquinare e restare impuniti. Un altro procedimento penale, scaturito dall’esposto di Legambiente e nel quale la nostra associazione si è costituita parte civile di recente, riguarda l’attività di dragaggio eseguita, con modalità illecite, dalle ditte incaricate dall’Autorità Portuale spezzina, causando un inquinamento ambientale alla fauna (in specie mitili) presente all’interno del golfo. Proprio in relazione al sequestro effettuato in questo caso c’è stata nel 2016 la prima sentenza della Corte di Cassazione sull’inquinamento ambientale, ai sensi della L.68/2015, che ha stabilito i principi di applicazione, poi confermati da sentenze successive, confermando l’utilità generale delle nuove norme. Il procedimento sul dragaggio è in corso, si sta svolgendo l’udienza preliminare.
LA CITTADINANZA ATTIVA, MOTORE DI PARTECIPAZIONE E DEMOCRAZIA La rete dei nostri circoli sul territorio, la passione e le competenze dei volontari che la animano, continua ad essere il miglior propulsore dell’idea di società a cui aspiriamo. Questa rete spesso si intreccia, si confronta, costruisce iniziative collaborando con le altre realtà del territorio. In un periodo storico dove il movimento delle organizzazioni non governative e, più in generale, il movimento che porta solidarietà ai migranti o pone la questione climatica come centrale nel dibattito politico è stato sotto attacco e denigrato, Legambiente e le altre realtà rappresentano un baluardo di democrazia. Il nostro agire rappresenta anche una resistenza alla cultura mafiosa, i cui dati del nostro rapporto Ecomafia e le sentenze dei tribunali, affermano essere radicata nella nostra regione. Il nostro è ambientalismo scientifico, sociale e popolare, per questo riteniamo necessaria la contaminazione ed il confronto con tutti i settori della società. Promuoviamo progetti per coinvolgere il volontariato aziendale, le scuole, i cittadini nelle iniziative per ridurre e eliminare l’utilizzo della plastica, migliorare la gestione dei rifiuti e degli stili di vita, per informarli sul dissesto idrogeologico e la tutela delle valli, del mare e delle coste, per riportare l’attenzione ad una relazione ecologica, che sembra smarrita, tra il nostro genere e le città e i borghi dove viviamo.
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