Il 2018 spaziale: uno sguardo all'anno appena passato - Lombardia ...

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Il 2018 spaziale: uno sguardo all'anno appena passato - Lombardia ...
Il 2018 spaziale: uno sguardo all’anno
                   appena passato
       DI MATTEO CARPENTIERI (ASTRONAUTINEWS)

Credit: SpaceX

L’anno appena passato ci ha concesso momenti spettacolari ma anche tristi. Con questo
articolo, come ogni anno, andiamo a ripercorrere le principali tappe dell’esplorazione
umana e robotica dello spazio nell’ultimo anno. Come quasi sempre succede in questo
campo, alcuni degli eventi più attesi sono stati rimandati al 2019 (come ad esempio il
debutto della Dragon in versione con equipaggio e di CST-100 Starliner) o, addirittura, al
2021 (James Webb Space Telescope).

Purtroppo l’anno si apre tristemente, con uno dei più grandi astronauti di sempre che ci
lascia: il 5 gennaio muore all’età di 87 anni John Young, protagonista di ben sei missioni
spaziali (Gemini 3, Gemini 10, Apollo 10, Apollo 16, STS-1, STS-9) e uno dei dodici uomini
ad aver camminato sulla Luna. È stato un anno piuttosto travagliato anche per la stazione
spaziale internazionale, mentre i nostri emissari robotici a zonzo per il sistema solare ci
hanno concesso momenti memorabili.
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John Young ai tempi della missione Apollo 16.

La stazione spaziale internazionale
Doveva essere un anno come tanti, con la stazione spaziale internazionale (ISS) ancora
saldamente il più importante programma spaziale con equipaggi e con un anno
sostanzialmente tranquillo e senza troppi scossoni. Il 2018 si è invece rivelato pieno di
sorprese e cambiamenti dell’ultimo minuto per la ISS. Originariamente erano previsti nel
2018 i voli dimostrativi delle capsule commerciali americane, ma i già previsti ritardi
accumulati ne hanno rimandato l’esordio almeno al 2019. Le sorprese sono invece
arrivate da chi non te l’aspetti, ovvero proprio la Soyuz che da decenni trasporta esseri
umani nello spazio. Ma andiamo con ordine.

Come ogni anno si sono avvicendate quattro Expeditions, dalla 54 alla 57, mentre
attualmente tre membri dell’Expedition 58 sono in orbita. Come già da qualche anno, i
russi hanno ridotto la loro presenza a due soli astronauti in attesa dell’espansione del lato
russo della ISS, mentre normalmente i membri internazionali (principalmente americani,
ma anche europei, giapponesi e canadesi) sono quattro.

Il 2018 comincia con l’expedition 54 composta dai tre membri della Soyuz MS-06
(Alexander Misurkin, Mark Vande Hei, Joseph Acaba) e i tre membri della Soyuz MS-07
(Anton Shkaplerov, Scott Tingle, Norishige Kanai). Gli astronauti compiono ben tre attività
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extraveicolari programmate (Vande Hei/Tingle, Misurkin/Shkaplerov e Vande Hei Kanai).
Quella di Misurkin e Shkaplerov, in particolare, stabilisce il nuovo record di durata per
un’EVA russa. Il primo (piccolo) colpo di scena arriva però subito: a gennaio la NASA
annuncia che Jeanette Epps, che doveva volare nel 2018 come membro delle expedition
56 e 57, verrà invece sostituita da Serena Auñón-Chancellor; la ragione per la sostituzione
non viene riportata e il piccolo mistero non viene risolto neanche nei mesi successivi.

                                   Misurkin e Shkaplerov.

Il 28 febbraio rientra la Soyuz MS-06, dando il via all’Expedition 55. I tre della Soyuz MS-07
verranno poi raggiunti a marzo da Andrew Feustel, Oleg Artemyev e Richard Arnold (Soyuz
MS-08). Feustel ed Arnold saranno anche protagonisti di due EVA a marzo e maggio.
L’Expedition 56 parte a giugno, con la Soyuz MS-08 che viene raggiunta dalla Soyuz MS-09
(Sergey Prokopyev, Alexander Gerst e la già citata Serena Auñón-Chancellor) che riporta
un astronauta europeo sulla ISS dopo l’esperienza di Paolo Nespoli. Appena il tempo di
effettuare altre due attività extraveicolari (ancora Feustel e Arnold a giugno e
Artemyev/Prokopyev ad agosto) e di fare un piccolo record (il primo reboost della ISS da
parte di una capsula commerciale) e cominciano i guai del 2018. Il 30 agosto viene infatti
rilevata una piccola perdita a bordo della Soyuz MS-09 e gli astronauti scoprono un
foro nella capsula, probabilmente effettuato dall’interno, che viene riparato alla svelta.
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Pur non risultando mai in un pericolo immediato per gli astronauti a bordo, l’accaduto è
molto grave, anche perché ancora non è stato spiegato nei dettagli come sia potuto
succedere.

                                  Il foro sulla Soyuz MS-09.

Rientrata a terra la Soyuz MS-08, ad ottobre si dà il via all’Expedition 57. Anche qui, giusto
il tempo di gioire per l’evento storicodi un astronauta europeo (Gerst) al comando della
ISS e avviene uno dei più gravi incidenti degli ultimi anni nell’astronautica abitata: al
lancio della Soyuz MS-10 avviene un’anomalia durante lo sganciamento dei booster
laterali che provoca l’atterraggio di emergenza per la capsula con a bordo Aleksey
Ovchinin e Nick Hague. Per fortuna non ci saranno conseguenze fisiche per i due
astronauti, ma si tratta dell’incidente più grave ad una Soyuz dai tempi dell’esplosione in
rampa (anche questa fortunatamente senza conseguenze gravi per l’equipaggio) della
Soyuz T-10a nel 1983. L’equipaggio avrebbe dovuto inizialmente essere composto anche
da un altro astronauta russo, Nikolai Tikhonov, il cui lancio è stato però rimandato per via
dei ritardi al modulo russo Nauka. L’Expedition 57 rimarrà composto da soli tre membri
per gran parte della sua durata, in cui l’evento più seguito è, ovviamente, l’indagine
sull’incidente della Soyuz MS-10, i cui risultati permetteranno, per fortuna, la ripresa dei
voli a dicembre con il lancio della Soyuz MS-11 (Oleg Kononenko, David Saint-Jacques,
Anne McClain). Subito dopo l’arrivo dei tre nuovi membri ci sarà anche l’epica EVA di
Kononenko e Prokopyev che, armati di cesoie, andranno ad indagare dall’esterno sullo
stato del buco sulla Soyuz MS-09. Subito dopo il lancio della Soyuz MS-11 viene anche
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annunciatoil pronto ritorno sulla ISS per i due sfortunati astronauti, Hague e Ovchinin,
che farranno parte delle Expedition 59 e 60 nel 2019

     Ovchinin (a sinitra) e Hague (a destra). abbracciano i loro familiari all’aeroporto di
                        Baikonur, di ritorno dal loro sfortunato volo.
La travagliatissima Expedition 57 termina il 20 dicembre con il rientro, per fortuna senza
imprevisti, di Gerst e compagnia sulla Soyuz MS-09. L’expedition 58 sarà un po’ anomala,
composta da soli tre membri di equipaggio fino all’arrivo della Soyuz MS-12 con a bordo
Hague, Ovchinin e Christina Koch che darà il via all’Expedition 59 nel febbraio del 2019. Di
rilievo anche il fatto che Saint-Jacques è il primo canadese sulla ISS dai tempi di Chris
Hadfield, la cui missione si concluse nel 2013.
Come al solito, oltre agli astronauti, si sono avvicendati sulla ISS anche numerosi veicoli
cargo che hanno portato sulla stazione rifornimenti ed esperimenti scientifici. Ci sono
state tre missioni russe, Progress MS-08 (febbraio-agosto), MS-09 (luglio, tutt’ora in
orbita) ed MS-10 (novembre, in orbita), cinque missioni commerciali americane, Dragon
CRS SpX-14 (aprile-maggio), Cygnus CRS OA-9E (maggio-luglio), Dragon CRS SpX-15
(giugno-agosto), Cygnus CRS NG-10 (novembre, dopo l’acquisto di Orbital-ATK da parte
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di Northrop-Grumman, tutt’ora in orbita) e Dragon CRS SpX-16 (dicembre, in orbita), ed
una missione giapponese, HTV/Kounotori-7 (settembre-novembre). Quest’ultima ha
anche sperimentato una piccola capsula di rientro per esperimenti.

                         Il lancio della Progress MS-10 visto dalla ISS

SpaceX, Boeing e gli altri privati
IL 2018 è stato un altro anno storico per SpaceX. L’anno ha visto il più alto numero di lanci
da quando Elon Musk ha fondato la compagnia, con ben 21 lanci tutti coronati da
successo (anche se le notizie sull’esito di Zuma sono un po’ nebulose), tre in più del 2017
che già era stato un anno record. L’evento più atteso è stato però il lancio, proprio
all’inizio dell’anno, del Falcon Heavy col suo inutile quanto spettacolare carico
pagante: una Tesla Roadster guidata da un manichino di tuta spaziale chiamato Starman.
Tra le cose più spettacolari ci sarà anche l’atterraggio in sincrono dei due booster laterali,
mentre il recupero dello stadio centrale sulla chiatta oceanica non avrà successo.
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booster laterali del Falcon Heavy atterrano in sincrono a Cape Canaveral.
A febbraio un altro passo avanti per SpaceX, che riceve anche la certificazione da parte di
NASA per lanciare missioni scientifiche. Grazie a questa certificazione, ad aprile verrà
lanciata TESS, la nuova sonda della NASA dedicata allo studio degli esopianeti. Un’altra
pietra miliare verrà raggiunta a maggio, con il lancio del primo Falcon 9 Block 5. L’ultima
versione del lanciatore di SpaceX promette infatti numerosi riutilizzi con interventi di
manutenzione minimi. Anche se nel 2018 non sono stati neanche avvicinati i numeri
promessi, a dicembre la compagnia di Elon Musk riesce nell’obiettivo storico di
lanciare un primo stadio di Falcon 9 che aveva già volato altre due volte nel corso
dell’anno. Non è stato tutto rose e fiori, comunque, con diversi tentativi senza successo di
recuperare l’ogiva e il mancato atterraggio del primo stadio del Falcon 9 dopo il lancio
di Dragon CRS-16.
SpaceX ha continuato anche nel 2018 a rifornire la stazione spaziale internazionale
insieme a Orbital-ATK (ora Northrop Grumman) nell’ambito del contratto Commercial
Resupply Services (CRS) per NASA, come accennato nella sezione dedicata alla ISS. Sono
proseguiti anche i lavori in casa Sierra Nevada per lo sviluppo del Dream Chaser per la
seconda fase del programma CRS. Il 2018 è stato molto più tranquillo del 2017, che si era
concluso con il test di atterraggio in volo libero. A marzo, ad esempio, si sono
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completati alcuni test in galleria del vento svolti in Italia, presso il CIRA. Il Dream Chaser
dovrebbe unirsi a Dragon e Cygnus nel rifornire la ISS a partire dal 2020.
Non si     sono     invece      visti nell’anno   appena       concluso i     promessi     voli
dimostrativi nell’ambito del Commercial Crew Program, che promette il ritorno al lancio
di astronauti verso la ISS dal suolo americano. Le due aziende coinvolte, Boeing e SpaceX,
stanno comunque compiendo progressi verso il primo volo, specialmente la compagnia
di Elon Musk. A gennaio sì è conclusauna delle principali fasi progettuali per
rendere human-rated l’Atlas V di ULA, che porterà in orbita la capsula CST-100 Starliner di
Boeing. Ad agosto sono stati anche presentati da NASA gli equipaggi che voleranno nelle
prime missioni abitate. Per il resto sono proseguiti i lavori dietro le quinte alle capsule e
ai lanciatori, ma probabilmente il progresso più visibile quest’anno è stata la costruzione
delle torri di accesso sulle due rampe di lancio al Kennedy Space Center (SpaceX) e Cape
Canaveral (Boeing/ULA). Almeno per SpaceX, comunque, il primo volo dimostrativo verso
la ISS sembra essere imminente. La capsula e il lanciatore sono stati portati in rampa di
lancio proprio nei primi giorni del 2019 e il lancio dovrebbe avvenire nelle prossime
settimane.
In ambito suborbitale, il 2018 è stato un anno piuttosto lento per Blue Origin, con un solo
test del sistema di fuga della capsula New Shepard, avvenuto a luglio. Accelera, invece,
Virgin Galactic, che comincia l’anno con l’ennesimo volo planato di SpaceShipTwo,
seguito ad aprile dal primo test propulso, che ha portato lo spazioplano a velocità
supersoniche. Sono seguiti diversi test che hanno portato VSS Unity a quote via via
crescenti, culminati a dicembre col superamento degli 80 km che, negli Stati Uniti,
rappresenta il limite arbitrario dello “spazio”. L’inizio dei voli commerciali non è mai stato
così vicino.
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Il volo propulso della VSS Unity.
Si muove qualcosa anche nell’ambito dei piccoli lanciatori privati. All’inizio dell’anno
Rocket Lab è finalmente risuscita a lanciare il piccolo Electron con pieno successo al
secondo tentativo, nella missione soprannominata “Still Testing”. A novembre l’azienda
neozelandese/americana ha ripetuto il successo con la missione “It’s Business Time”.
Per finire, comincia male il 2018 per le aziende coinvolte nella competizione indetta dal
Google Lunar X Prize. Risultando chiaro che nessuna delle 5 finaliste sarebbe riuscita a
lanciare entro la scadenza, più volte posticipata, del 29 marzo, si è deciso di concludere la
gara con il premio principale che rimane quindi senza un vincitore. Molti dei team
coinvolti non si sono comunque dati per vinti è hanno continuato nei loro tentativi di
assicurarsi finanziamenti e proseguire i lavori. Il team che sembra più vicino al lancio è
quello israeliano SpaceIL, che ha un contratto già firmato con SpaceX per lanciare come
payload secondario il piccolo lander lunare, recentemente battezzato Beresheet. Al
momento il lancio è previsto per febbraio 2019. Altri team hanno invece ottenuto, insieme
ad altre compagnie non coinvolte nel Lunar X Prize, un piccolo contratto con NASA per lo
sviluppo di capacità di trasporto di piccoli payload sul suolo lunare, nell’ambito del
programma Commercial Lunar Payload-delivery Services (CLPS) che forse in futuro
potrebbe svilupparsi in qualcosa di simile a CRS, ma per payload scientifici sul suolo
lunare.
I programmi spaziali di Cina e India
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Prosegue sempre piuttosto lentamente il programma spaziale abitato cinese. Come nel
2017, anche nel 2018 non si sono avuti nuovi lanci della capsula Shenzhou e, dopo il test
della navetta cargo Tianzhou 1 avvenuto nel 2017, la stazione spaziale Tiangong-2 rimane
in orbita ormai disabitata. A far più notizia nell’anno appena passato è stato il rientro
incontrollato della Tiangong-1 che, dopo qualche piccola apprensione, è avvenuto
a inizio aprile sull’Oceano Pacifico. Il prossimo passo sarà il lancio di Tianhe, il modulo
centrale della stazione modulare che vedrà la luce nel 2020. Nel frattempo i cinesi hanno
annunciato il progetto di una nuova capsula che andrà presto a sostituire la Shenzhou.
Non è ancora tornato al volo il lanciatore pesante Lunga Marcia 5, su cui si basano molti
dei progetti cinesi più ambiziosi sia relativi alla stazione spaziale che all’esplorazione
robotica del sistema solare. È comunque proseguito il programma di esplorazione lunare,
con il lancio del satellite ripetitore Queqiao a maggio, in supporto alla missione principale
Chang’e 4, partita poi a dicembre. Proprio in questi giorni è avvenuto l’atterraggio del
lander e il dispiegamento del piccolo rover Yutu 2.
Si è mosso qualcosa anche in casa indiana. A luglio ISRO effettua un test di aborto al
lancio per la capsula abitata che è attualmente in fase di progettazione. Se tutto va
secondo i piani, la capsula potrebbe esordire nel 2021. Anche l’India sta poi proseguendo
i lavori per il proprio programma robotico di esplorazione: oltre ad avere ancora Mars
Orbiter Mission operativo e in orbita intorno a Marte, ISRO ha lavorato alla prossima
missione lunare, Chandrayaan 2. Il lancio era inizialmente previsto per il 2018, ma una
serie di ritardi hanno spostato il lancio al 2019.
Orion e SLS
Purtroppo non siamo più vicini a vedere l’esordio dello Space Launch System (SLS) di
quando non lo fossimo alla fine del 2017. L’Exploration Mission 1 (EM-1) è ora prevista per
il 2020. Non per questo la NASA se n’è stata con le mani in mano. Sono stati numerosi i
progressi, sia su SLS che sulla capsula Orion.

In estate si è concluso il lungo programma di test sui paracadute di Orion, mentre a
settembre sono stati effettuati importanti test sui propulsori di manovra. Ai primi di
novembre un altro importante passo avanti per la capsula che volerà in EM-1: l’ESA
consegna al Kennedy Space Center il modulo di servizio, o European Service Module
(ESM) dopo mesi di lavori in europa. Con tutti i pezzi a disposizione, a fine novembre
comincia l’assemblaggio finale della capsula, in attesa che anche il lanciatore sia pronto.
Ma il 2018 ha anche visto i primissimi progressi per la capsula Orion che porterà i primi
astronauti nello spazio circumlunare. Infatti proprio a gennaio sono cominciati i lavori per
assemblare e costruire la capsula Orion che che volerà in EM-2.

                                  L’ESM-1 visto da sotto.

Mentre Orion sembra ormai sempre più vicina ad essere pronta al debutto, il lanciatore
SLS è un po’ in ritardo, nonostante che anche nel 2018 si sia continuato a lavorare
alacremente. A luglio sono stati completati i lavori al rivestimento termico del serbatoio
dell’ossigeno liquido per lo stadio centrale. Altri componenti del primo stadio sono poi
stati completati in attesa di essere assemblati nel 2019. Durante l’anno passato, poi, si
sono svolti numerosi test sui motori degli shuttle, gli RS-25, che andranno a spingere il
primo stadio dell’SLS. Non tutti i test sono andati bene, come ad esempio quello di
dicembre in cui ha preso fuoco, sia pure per breve tempo, il motore stesso. Nessun ritardo
invece per i booster laterali: ad ottobre sette dei dieci segmenti per il volo EM-1 erano
praticamente già pronti.

L’agenzia spaziale europea
È stato un anno più che positivo per la “nostra” agenzia spaziale europea. Un solo
astronauta europeo in orbita nel 2018, ma si è trattato della missione “Horizons” di
Alexander Gerst che, come abbiamo commentato nella sezione dedicata alla ISS, è stata
piuttosto movimentata. Gerst ha anche assunto il comando della ISS durante l’Expedition
57, diventando il secondo europeo a farlo dopo il belga Frank De Winne nel 2009. A maggio
è anche arrivato l’annuncio della seconda missione per Luca Parmitano. L’astronauta
italiano andrà sulla ISS nel 2019 e anche lui ne assumerà il comando durante l’Expedition
61. Il nome della sua missione sarà “Beyond”. Sempre per quel che riguarda il corpo
astronauti europeo, a settembre Matthias Maurer diventa un astronauta a tutti gli effetti e
disponibile a missioni future.
In ambito hardware, oltre al lavoro sul primo e secondo European Service Module per la
capsula Orion, sono proseguiti anche quest’anno i lavori sul nuovo lanciatore pesante
Ariane 6. Il motore Vinci, che equipaggerà lo stadio superiore dell’Ariane 6, ha completato
la fase di qualifica ed è ormai pronto alla produzione. Progressi anche per i booster
laterali, ed in particolare sul motore a propellente solido P120C, il qualè sarà anche
utilizzato per il primo stadio del lanciatore leggero Vega-C. A luglio sono stati eseguiti a
Kourou i primi test di accensione. A testimoniare la volontà di procedere con la
sostituzione dell’Ariane 5 con l’Ariane 6 da parte dei vertici europei, a febbraio sono stati
firmati quelli che saranno gli ultimi 10 contratti di produzione per l’attuale lanciatore
pesante europeo. Il nuovo vettore dovrebbe poi esordire nel 2020, mentre il migliorato
Vega-C sarà disponibile già dal 2019. Va avanti inoltre anche il progetto del veicolo
riutilizzabile Space Rider. L’ESA ha emesso il primo bando per le domande di utilizzo per
payload scientifici ed al momento punta al 2021 per il primo lancio.
È stato un ottimo anno anche per le missioni scientifiche robotiche. A febbraio la sonda
Trace Gas Orbiter, della missione ExoMars 2016, completa l’inserzione nell’orbita
scientifica finale intorno a Marte dopo una campagna di aerobraking durata oltre un
anno. La missione scientifica vera e propria comincerà ad aprile. Sempre ad aprile ci sarà
il rilascio del secondo catalogo stellare con gli accuratissimi e vastissimi dati messi a
disposizione dall’osservatorio orbitante Gaia. La missione per l’osservazione della
terra Aeolus partirà invece ad agosto. A ottobre l’evento culminante dell’anno per il
programma europeo di esplorazione del sistema solare: parte BepiColombo, la sonda
dedicata all’esplorazione del pianeta Mercurio.
Lo stack completo di BepiColombo poco prima di essere inserito nell’ogiva del lanciatore.
In ottica futura, proseguono i lavori per le prossime missioni scientifiche del programma
Cosmic Vision: CHEOPS (S1), Solar Orbiter (M1), Euclid (M2), JUICE (L1), PLATO (M3),
ATHENA (L2) e LISA (L3). Durante l’anno è stata poi annunciata la missione M4 (ARIEL) e
i finalisti per la missione M5 (SPICA, THESEUS, EnVision). Anno intensissimo, inoltre, per
la preparazione della missione ExoMars 2020. Il primo test per il paracadute che verrà
utilizzato per l’atterraggio si conclude a maggio, mentre a novembre viene annunciato il
sito prescelto per la missione del rover.
Esplorazione robotica del sistema solare
Per i nostri emissari robotici nel sistema solare il 2018 è stato un anno memorabile. Prima
di tutto ci sono stati 5 nuovi lanci: Insight verso Marte, Queqiao verso la Luna, Parker Solar
Probe allo studio della nostra stella, BepiColombo verso Mercurio e per finire Chang’e
4 verso la faccia nascosta della Luna.
I protagonisti di questo 2018 sono stati probabilmente gli asteroidi e, in generale, i piccoli
corpi celesti del sistema solare. Due missioni, una giapponese (Hayabusa 2) e una
americana (OSIRIS-REx) sono giunte a destinazione, rispettivamente, sui piccoli
asteroidi Ryugu e Bennu. La prima ha anche compiuto le prime operazioni di prossimità,
rilasciando anche alcuni micro-lander. La seconda è invece all’inizio della sua missione,
avendo raggiunto Bennu solo a dicembre. Il 2018 è poi culminato con New Horizons che,
nella seconda parte dell’anno, è stata risvegliata dall’ibernazione ed ha cominciato a
prepararsi all’avvicinamento all’oggetto della fascia di Kuiper 2014 MU69 “Ultima Thule”.
Le operazioni di avvicinamento sono poi cominciate a dicembre con il sorvolo che è
avvenuto a capodanno.

           L’asteroide Ryugu ripreso da Hayabusa 2 dalla distanza di circa 6 km.
Proseguiamo poi con le “cronache marziane” del 2018. Ben 8 missioni erano attive
all’inizio dell’anno: Mars Odyssey, Mars Express, Opportunity, Mars Reconnaissance
Orbiter, Curiosity, Mars Orbiter Mission, MAVEN e Trace Gas Orbiter (TGO). Come
accennato nella sezione precedente, tra i momenti più importanti dell’anno, proprio a
febbraio TGO raggiunge la sua orbita definitiva e ad aprile comincia la sua missione
scientifica. La sonda Insight si unisce poi alla comitiva alla fine di novembre, con un
atterraggio perfetto e le prime operazioni sulla superficie. Alcune delle missioni più
vecchie hanno però cominciato a mostrare l’età (Odyssey, per esempio è in orbita su
Marte da ben 18 anni!). Il colpo più grosso è arrivato dal rover Opportunity, di cui non
abbiamo più notizie da quando un grossa tempesta di polvere globale lo ha forzato
all’ibernazione. Sarà il 2018 ricordato come l’anno di conclusione della gloriosa
missione? Lo scopriremo nei prossimi mesi.
Oltre ad Opportunity, purtroppo ci sono state alre due importanti missioni che ci hanno
lasciato. Dawn e Kepler hanno, per uno scherzo del caso, esaurito il propellente a un
giorno di distanza l’una dall’altra. Entrambe sono comunque andate ben oltre gli obiettivi
originali, la prima studiando gli asteroidi ed in particolare Vesta e Cerere, la seconda
scoprendo migliaia di esopianeti nella nostra galassia. Consoliamoci allora con una sonda
veterana (lanciata nel 1977) che ancora va alla grande: Voyager 2 ha raggiunto il
traguardo che la gemella Voyager 1 aveva raggiunto qualche anno fa uscendo
dall’eliosfera, ovvero la regione di influenza del vento solare.
Numeri e statistiche
Il 2018 si sarebbe dovuto concludere, come i precedenti, con 4 lanci orbitali con
equipaggio, ma come sappiamo uno non è andato a buon fine facendo fermare il
contatore a soli tre lanci (uno a marzo, uno a giugno ed uno a dicembre). In totale 9
persone sono andate in orbita, mentre 2 non ci sono riuscite. Niente “gloria” anche per i
due piloti di VSS-Unity che, pur potendosi fregiare del titolo di astronauta per la
definizione americana, sono arrivati lontani dalla definizione internazionale del limite di
spazio (100 km) nel loro volo suborbitale.

Dei 9 astronauti portati in orbita quest’anno, quindi, quattro sono americani, tre russi,
uno tedesco e uno canadese. Quattro di loro erano al primo lancio spaziale (Prokopyev,
Auñón-Chancellor, Saint-Jacques, McClain), tre erano al secondo lancio (Artemyev,
Arnold, Gerst), uno al terzo (Feustel) ed uno al quarto (Kononenko). Grazie al
prolungamento della sua seconda missione spaziale, terminata il 20 dicembre, Alexander
Gerst è diventato l’astronauta europeo ad aver passato più tempo in orbita (362 giorni)
togliendo il primato al connazionale Thomas Reiter (350 giorni in due missioni, una sulla
Mir e una sulla ISS). L’anno appena passato ha visto otto attività extraveicolari, in leggera
diminuzione rispetto all’anno precedente (dieci).
Per quel che riguarda il totale dei lanci orbitali, il 2018 è stato un anno straordinario, con
ben 112 lanci coronati da successo. Non si aveva un numero così alto dal lontano 1990, in
cui ci furono 114 immissioni in orbita. Il salto è stato notevole dalle 84 e 83
rispettivamente, del 2017 e 2016. Per la prima volta nella storia a guidare la classifica ci
sono i lanci cinesi (38) seguiti dagli Stati Uniti (34) e, decisamente in declino, dalla Russia
(16). Stabile il numero di lanci europei (11), seguiti poi da India (7) e Giappone (6).

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