Idi Amin: l'ultimo Re di Scozia
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Idi Amin: l’ultimo Re di Scozia INDICE INTRODUZIONE pagina 2 IL CONTESTO pagina 4 LA PRESA DEL POTERE pagina 6 IL REGIME di IDI AMIN pagina 8 CONCLUSIONI pagina 17 BIBLIOGRAFIA pagina 19 1
INTRODUZIONE Questo lavoro propone l’analisi della dittatura di Idi Amin Dada, generale che prese il potere in Uganda nel 1971 e che governò il paese fino al 1979. Dopo un esame del contesto storico e politico del paese al momento del cambio di regime, si passerà all’individuazione degli avvenimenti e delle decisioni salienti della politica del nuovo leader, sia sul fronte interno che su quello internazionale. Peter Woodward nel suo articolo offre un’analisi del cambio di potere dell’Uganda nel 1971 in una prospettiva politologica1: il punto di partenza è costituito dall’approccio della modernizzazione disfunzionale di Samuel Huntington e quello marxista – leninista sviluppato da Andre Gunder Frank applicati al caso dell’Uganda da Mazrui2. Secondo quest’analisi, il paese con l’ottenimento dell’indipendenza comincia ad esser governato da un’élite letterata, urbana e “occidentalizzata” con poca conoscenza e interesse per la parte più considerevole della popolazione: quella analfabeta appartenente alle aree rurali. Scopo principale di questo gruppo di “illuminati”, è la conservazione e il rafforzamento del proprio potere a scapito di quello dei rivali; questa lotta per il dominio è testimoniata dalle numerose crisi che si sono susseguite nel paese nei primi anni Sessanta e che sono culminate con la nomina di Obote a Presidente della Repubblica a seguito della crisi costituzionale del 1966. Il processo è inoltre accompagnato dall’instaurarsi di un’alleanza tra intellighenzia ed esercito, che unita all’assenza di crescita economica e all’incalzante malcontento popolare, mette a rischio il governo, costringendo Obote a svoltare a sinistra con la proclamazione della “Common Man’s Charter”,3 nell’estremo tentativo di risollevare il consenso e ricucire il rapporto tra élite e popolazione. Il tentativo fallisce, ma rende chiaro al militare Amin che l’esercito è niente meno che indispensabile al Capo dello Stato. L’analisi condotta in questa sede è significativa, ma non esprime una condizione specifica dell’Uganda ed anzi, con le dovute modifiche, potrebbe essere riferita alla storia di molti altri paesi, africani e non. 1 P. Woodward, Ambiguous Amin, in African Affairs – Journal of The Royal African Society, Oxford University Press, Vol. 77, No. 307, Aprile 1978, p. 156 ss. 2 Ali Al’Amin Mazrui è docente e esperto di politica africana e studi sull’Islam; nel 1973 fu esiliato dal regime di Amin. 3 La “Charta del Cittadino” venne proclamata nel novembre del 1969 e si concretizzava nella penalizzazione, tramite statalizzazione o cessione di ingenti pacchetti azionari, degli interessi economici di inglesi ed asiatici. 2
Militari e dittatori sono figure comuni nel continente nero, non dimentichiamoci che contemporanei di Amin furono Mobutu in Congo –Zaire e Bokassa nella Repubblica Centrafricana (pettegolezzi e dicerie hanno sempre sostenuto che quest’ultimo, insieme con Amin, fosse un cannibale, ma la cosa non è mai stata provata) e che alcuni dei provvedimenti presi dal generale ugandese, come l’espulsione degli israeliani e degli asiatici, si situano all’interno di linee di condotta abbastanza omogenee nel contesto dell’Africa sub-‐sahariana del periodo. Quello che rende il caso di questa dittatura diversa e che merita di essere sottolineato, è la violenza inaudita e indiscriminata che dilagò nel paese, che guadagnò all’Uganda paragoni con la Germania di Hitler o la Cambogia di Pol Pot; e la singolare figura del suo aguzzino: un semi analfabeta con la passione per le donne, i motori e le medaglie sul petto; un personaggio sul quale abbondano miti e aneddoti e che molti hanno sempre sostenuto essere semplicemente un pazzo, uno spietato soldato che da lavapiatti riuscì a giungere ai vertici dello Stato usando come unica arma una forza brutale. 3
IL CONTESTO Nel 1894 l’Uganda divenne protettorato inglese. Il paese, oltre a presentarsi estremamente frammentato dal punto di vista etnico e linguistico (esistono tre gruppi linguistici principali: Sudanico, Nilotico e Bantu4), era caratterizzato da profonde differenze sul piano etnico e sociale, che avevano determinato forti fratture fra la parte settentrionale, dove risiedevano popolazioni sudaniche e nilotiche e la parte meridionale, a predominanza Bantu. Infatti, le popolazioni del sud si erano organizzate in regni centralizzati e in sistemi politico – istituzionali abbastanza complessi, mentre nel nord, il livello di sviluppo era nettamente inferiore. Le differenze etniche e sociali sono da rilevare perché hanno giocato un importante ruolo durante tutta la storia dell’Uganda incidendo sulle dinamiche della lotta per il potere. Gli inglesi infatti, fedeli al modello dell’indirect rule, impiantarono il loro dominio a partire dal regno Buganda, che allora occupava la regione sud-‐orientale del paese e nel cui territorio si trovava Kampala, il più forte ed evoluto dei regni dell’Uganda meridionale. Grazie all’aiuto della popolazione Baganda, gli inglesi riuscirono ad estendere il controllo anche agli altri regni e ai territori settentrionali5, generando peraltro contese e fratture che dureranno fino a dopo l’indipendenza. Il profilo istituzionale dell’Uganda coloniale risultò dunque da una divisione del potere su più livelli, secondo quello che viene definito “Buganda sub-‐imperialism”6. Il problema principale era che il Buganda non aveva mai amministrato tanta parte del territorio ugandese e che questa estensione fu possibile solo grazie alla Pax Britannica; nel momento in cui al paese venne concessa l’indipendenza, tutte le fratture e le rivalità riaffiorarono in maniera amplificata a causa dei risentimenti che i privilegi e il potere conferiti ai Baganda generarono in seno agli altri gruppi etnici. Questo tipo di amministrazione venne formalizzata nel 1900 con un accordo tra inglesi e Kabaka7. 4 Rita M. Byrnes (a cura di), Uganda, a country study, Library of Congress, Washington, 1990; http://lcweb2.loc.gov/frd/cs/ugtoc.html, ultima consultazione 23 maggio 2010 5 Gli altri regni dell’Uganda meridionale erano il regno di Toro e Ankole, cui il dominio si estese abbastanza pacificamente e il regno Bunyoro, nemico per eccellenza del Buganda. Gli inglesi conquistarono anche questo stato facendo combattere i Baganda e ricompensandoli poi con terre dei Bunyoro, decisione da cui deriverà il problema delle “Lost counties”, ereditato dal governo Obote nel 1962. 6 Phares Mutibwa, op. cit., p. 3 7 Con il termine Kabaka ci si riferisce al re del Buganda; il termine Baganda indica invece la popolazione del regno. 4
Dopo le prime elezioni politiche dirette nel 1958 e il costituirsi di una vita politica autonoma all’interno del paese, il 23 aprile 1962 Apollo Milton Obote venne nominato Primo Ministro8 e il successivo 9 ottobre il paese divenne indipendente. La nuova costituzione sancì un sistema a metà tra federalismo e stato centralizzato, compromesso necessario data la molteplicità dei centri di potere: il Buganda rimaneva autonomo e federato all’Uganda, gli altri regni (Ankole, Toro, Bunyoro) erano anch’essi semi –autonomi ma in misura minore rispetto al Buganda; i distretti del nord del paese erano invece province controllate dal governo centrale di Kampala. La carica di Presidente della Repubblica venne inoltre conferita al Kabaka Mutesa II9. L’Uganda all’indomani dell’indipendenza era quindi un paese caratterizzato da una base politica instabile, da numerose fratture incentivate dalle diversità etniche, religiose e geografiche e da molteplici centri di potere che non necessariamente convergevano o si riconoscevano nel governo di Kampala. Nel 1966, a seguito di una lotta politica che coinvolse dapprima Obote e i suoi oppositori interni al partito e poi il Kabaka stesso (Obote era riuscito a fare uscire di scena tutti gli altri rivali), il regno del Buganda venne smembrato e privato della sua autonomia e il Kabaka Mutesa II fuggì in esilio in Inghilterra. L’anno successivo, dopo aver sospeso la prima Costituzione, Obote ne annunciò una nuova che poneva fine a tutte le autonomie dei regni e rafforzava significativamente i poteri del Capo di Stato. Fu in questo contesto che Idi Amin Dada ricorse allo strumento della repressione: nel maggio del 1966 Amin guidò l’esercito ugandese contro le forze del Kabaka nella battaglia di Mengo e fu responsabile del massacro di circa 2000 Baganda10. Contestualmente all’opera di centralizzazione portata avanti da Obote, l’ufficiale Idi Amin Dada venne nominato dallo stesso, Capo di Stato Maggiore dell’esercito ugandese in segno di riconoscimento per l’aiuto nella repressione del Buganda e, secondo Wiedemann, come prezzo per il silenzio11. 8 Obote era il rappresentante dell’Uganda People Congress, partito fondato nel 1960. Obote riuscì però a formare un governo solo perché il KY (Kabaka Yekka “Il re da solo”) accettò di unirsi in alleanza con l’UNC; il sostegno Baganda risultò quindi essere fondamentale. P. Mutibwa, Uganda since Independence…, op. cit., pp. 13 ss. 9 Occorre forse ricordare che Obote era un uomo del nord, appartenente alla tribù Lango, estraneo quindi all’area dei regni. 10 Mutibwa, Uganda since Independence…,op. cit., p.39 e Erich Wiedemann, Idi Amin, un eroe dell’Africa?, Sonzogno Dossier, Milano, 1977, p. 11; lo stesso Widemann però riferisce di dati ufficiali riportanti 47 vittime baganda nella battaglia intorno alla residenza del re e negli scontri nelle strade circostanti, E. Widemann, ibidem. 11 Ivi, p. 13. 5
LA PRESA DEL POTERE Le vicende che portarono al colpo di stato del gennaio 1971 possono forse essere viste come il progressivo avvicinarsi al confronto fra due uomini forti il cui potere era in movimento; l’uno era in ascesa, Idi Amin, mentre l’altro si avviava al declino: Obote. Come già accennato in precedenza, Amin era un uomo fedele ad Obote e fra i due vi era un rapporto di solidarietà. L’alleanza non era tuttavia destinata a durare a lungo: Amin si rese presto conto dell’influenza che poteva avere grazie alla sua posizione (era il capo di tutte le forze armate) e di quanto l’esercito fosse importante nella gestione del potere del paese. Da non trascurare poi il fatto che il governo di Obote, con politiche economiche fallimentari, repressioni, corruzione, autoritarismo e all’occorrenza violenza, aveva perso ogni consenso e che, dopo il cambiamento istituzionale del 1967, non aveva più nemmeno l’appoggio del Buganda. Tuttavia fino al 1970 la composizione dell’esercito, in caso di uno scontro interno al paese, avrebbe probabilmente favorito Obote: il gruppo etnico prevalente era infatti quello del presidente, i Langi, insieme con gli Acholi, ritenuti anch’essi fedeli al governo, anche se attraversati da rivalità interne12. Amin cominciò quindi un’opera di ristrutturazione delle forze armate in modo da legarle al proprio comando: per tutto il 1970 reclutò in territorio sudanese soldati nubiani ovvero appartenenti al suo stesso gruppo etnico (pagandoli con i soldi delle casse statali); entro la fine dello stesso anno, l’esercito ugandese era aumentato di 8000 unità ma le componenti etniche erano decisamente cambiate e Langi e Acholi erano ora in minoranza13. L’operazione si svolse senza che a Kampala si sapesse niente fino all’estate, quando un mercenario tedesco, Rolf Steiner, venne arrestato dalla polizia ugandese. Questi operava in sud Sudan, supportando la guerra degli Anyanya contro il governo islamico di Khartoum; l’arresto può forse essere visto come l’esplicitarsi della rivalità tra Obote e Amin: quest’ultimo aveva operato in quella stessa regione per la ristrutturazione delle sue forze armate, parte degli uomini reclutati erano proprio guerriglieri Anyanya14 e Steiner gli era stato complice. La decisione provocò anche la fine del supporto degli israeliani a Obote; questi, 12 La predominanza di gruppi etnici del nord del paese tra le fila dell’esercito era il risultato delle campagne di reclutamento degli inglesi i quali ritenevano questi ultimi più adatti alla disciplina militare in quanto meno sviluppati rispetto alle popolazioni del sud del paese. 13 E. Wiedemann, op. cit., p. 15 14 Peter Woodward afferma come 500 Anyanya ebbero un ruolo cruciale nello stesso colpo di stato e come, successivamente altri 1500 guerriglieri vennero incorporati nell’esercito ugandese. P. Woodward, Ambiguous Amin, op. cit., p. 159. 6
presenti in Uganda con progetti di sviluppo ma soprattutto, per poter aiutare la guerriglia sud-‐ sudanese contro Khartoum, sebbene non fossero direttamente coinvolti nel complotto che Amin stava preparando, ne erano sicuramente a conoscenza (la regione in cui operavano era esattamente la stessa). Il momento dello scontro si stava avvicinando ed entrambi gli uomini di stato ne erano consapevoli: a settembre Obote mandò Amin in rappresentanza ai funerali di Nasser in Egitto e in sua assenza portò a termine una ristrutturazione dell’esercito, nel tentativo di assicurarne la fedeltà. Tornato in patria, il Capo delle Forze Armate si fece interprete tanto del malcontento popolare quanto dell’opposizione Baganda e cominciò ad essere percepito come l’uomo dell’opposizione. Nel gennaio del 1971 Obote, forse con una scelta un po’ avventata, decise di partecipare ad un summit del Commonwealth a Singapore; prima di partire diede istruzioni perché Amin rispondesse di due responsabilità che gli venivano contestate: un ammanco dal bilancio del Ministero della Difesa (richiesta pretestuosa, considerando i privilegi che Obote aveva sempre assicurato all’esercito per mantenerlo fedele) e l’assassinio del Vice Comandante delle Forze Armate Okoya, trovato morto insieme alla moglie nel gennaio del 1970. L’ultimatum fece capire ad Amin che quello era il momento di agire: aspettare il ritorno del presidente in patria avrebbe significato perdere il proprio potere. Il 21 gennaio 1971, mentre il Capo di Stato dell’Uganda si trovava ancora all’estero, carri armati guidati da truppe fedeli ad Amin, irruppero nell’aeroporto di Entebbe e diedero inizio al colpo di stato militare15. La parte di esercito rimasta fedele al governo fu incapace di reagire ed entro il 25 gennaio Kampala era in mano alle forze ribelli: Radio Uganda trasmise la notizia della presa del potere da parte delle Forze Armate. La popolazione salutò con favore il cambio di regime, Baganda compresi (dimentichi che il nuovo capo dello stato era stato lo strumento di Obote per la repressione verso il loro regno); sul piano internazionale il favore ad Amin venne dimostrato da Israele, dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, mentre più tiepide furono le reazioni degli altri paesi africani, la Tanzania di Nyerere diede rifugio ad Obote, il Kenya non riconobbe apertamente il nuovo governo ma quando Obote, 15 Curiosa, secondo quanto riporta il testo di Wiedemann, la storia di questi carri armati: forniti nella Seconda Guerra mondiale dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica, questi erano poi passati in Egitto e, successivamente alla Guerra dei Sei Giorni del 1967, sequestrati all’Egitto da Israele; è da Gerusalemme che i carri arrivarono in Uganda. Ivi, pp. 62 – 63. 7
all’indomani del colpo di stato, atterrò a Nairobi non venne ricevuto secondo il protocollo per i Capi di Stato.16 La letteratura è abbastanza concorde nell’affermare che Idi Amin riuscì a consolidare il proprio potere anche grazie ad una serie di circostanze favorevoli e non solo grazie al suo colpo di mano: controllare la capitale era cosa assai diversa dall’avere il potere nell’intero paese. Il plauso della popolazione, l’appoggio dei Baganda (Kampala è dentro ai confini del regno Buganda), il sostegno internazionale che gli vennero dimostrati, lo resero più forte e sicuro. Non da ultimo la decisione di Obote di non intervenire subito per riprendersi il potere. Quello che la popolazione non sapeva era che, mentre Amin affermava di essere un militare e non un politico e che si sarebbe preso cura della nazione solo fintanto che questa non si fosse ripresa dalla gestione fallimentare del precedente regime, i militari di etnie Acholi e Lango, non ritenute fedeli a quest’ultimo, venivano barbaramente massacrate. IL REGIME DI IDI AMIN La figura di Idi Amin è ancora oggi circondata da miti e aneddoti e approfondire il carattere del suo regime significa anche tenere presente alcuni tratti del suo carattere e del suo trascorso personale precedente alla presa del potere. Nonostante sia stata scritta più di una biografia17, la data precisa della nascita di Idi Amin non è mai stata chiarita (ma si pensa sia tra il 1925 e il 1928), rilevante è invece il luogo in cui Amin nacque; nonostante egli abbia sempre affermato di essere nato a Kampala nei pressi del sito dove fece costruire un centro conferenze per accogliere i delegati dell’Organizzazione per l’Unità Africana, è il nord – ovest del paese, regione abitata dalla comunità Kakwa, cui il generale dichiarò di appartenere. I Kakwa contano di circa 60000 persone nel West – Nile ugandese e appartengono al ceppo delle popolazioni nubiane originarie del sud Sudan. Il fatto di essere di fede islamica, escluse i nubiani dal sistema educativo che formò l’intellighenzia ugandese e trasformò gradualmente il gruppo in una casta militare; secondo Martin, il biografo di Amin, i nubiani avevano una pessima reputazione in Uganda: erano additati come sanguinari senza troppe remore18. Forse questo è uno dei motivi per cui Amin si dichiarò Kakwa rifiutando la discendenza 16 E. Wiedemann, op. cit., p. 25 17 Tra le biografie principali (mai riconosciute dallo stesso Amin): David Martin, General Amin, London, Sphere Books, 1974 e Judith Listowel, Amin, London, IUP, 1973. 18 P. Woodward, Ambiguous…, op. cit., p. 154 ss. 8
nubiana. Amin crebbe in un ambiente rurale e rimase tutta la vita semi-‐analfabeta, background che gli permise da un lato di incontrare il favore della popolazione attraverso l’immediato ricorso all’immagine dell’uomo semplice, ma che dall’altro condizionò indubbiamente le sue capacità di guidare il paese; come afferma la sua biografa Judith Listowel: “Some of his recent measures illustrate all too well that he had leapt from a peasant background into the sophisticated world of modern politics without any intermediate feudal preparation”19. Oltre alle origini di Amin, ciò che fu fondamentale nella sua formazione fu l’arruolamento nei King’s African Rifles nel 1946 e la sua permanenza nell’esercito britannico e ugandese in seguito all’indipendenza del paese. Figura a tratti buffonesca e stravagante venne spesso liquidato dai media internazionali con descrizioni caricaturali; emblematica la frase del Sunday Mirror: “He’s nutts” (“è un po’ picchiato”)20. Mutibwa nella sua opera21 divide il regime di Amin in tre fasi distinte: una prima fase di “luna di miele” con la popolazione, tra il 1971 e il 1973; una successiva fase di scalata di potere e di violenza tra il 1973 e il 1976 e un’ultima fase di declino che portò all’epilogo del suo governo. Durante questa prima fase, quando dietro le quinte, come già detto, si consumavano i primi massacri, Amin fu molto attento a gratificare la riconoscenza che la popolazione gli dimostrava e a proseguire con gli slogan di pacificazione e riconciliazione della nazione; è in quest’ottica che il nuovo Capo di Stato fece trasferire in patria, alla fine del marzo del 1971, la salma del re Mutesa (morto in esilio) per dargli esequie ufficiali. Nel luglio dello stesso anno, Amin si recò in visita ufficiale (la prima dalla presa del potere) in Israele, a testimonianza del forte legame tra i due paesi. Tuttavia il motivo della visita rispondeva alla necessità del generale di reperire fondi e armi: le richieste di materiale bellico ammontavano alla cifra di 33 milioni di dollari22. La visita si risolse in un nulla di fatto e tutto ciò che venne fornito dal governo di Golda Meir fu un Jet Commander, tanto agognato da Amin. I viaggi proseguirono quindi verso l’Europa: in Inghilterra in primo luogo, ma anche qui venne liquidato senza troppe cerimonie; Francia e Repubblica Federale Tedesca si tennero sulla stessa linea di comportamento; l’Unione Sovietica dal canto suo si dimostrò piuttosto recalcitrante ad intrattenere legami con un Capo di Stato che aveva appena terminato un tour nelle principali capitali delle potenze dell’Europa occidentale. Rimaneva però il bisogno di armi e i fronti verso cui 19 J. Listowel, Amin, op. cit., p. 13 in P. Woodward, Ambiguous.., op. cit., p. 154 20 In E. Wiedemann, Idi Amin…, op. cit., p. 248. 21 P. Mutibwa, Uganda since…, op. cit. 22 E. Wiedemann, Idi Amin…, op. cit., p. 66 9
rivolgersi erano a quel punto estremamente limitati: la Cina era da escludersi, considerati i forti legami con la vicina Tanzania, restavano soltant i paesi arabi. Il 12 febbraio del 1972 Idi Amin veniva accolto in visita di stato a Tripoli dal colonnello Gheddafi23, dando inizio così una stretta collaborazione fra i due paesi che sarebbe continuata fino alla caduta del generale e che avrebbe portato l’Uganda su posizioni filo-‐arabe e filo-‐palestinesi. La comune fede islamica può aver costituito un buon terreno per l’instaurarsi delle relazioni, ma non fu mai un fattore né determinante né rilevante. Da Gheddafi, Amin ottenne il sostegno militare desiderato in previsione di una campagna contro la Tanzania e la promessa di programmi di aiuto a lungo termine. Non stupisce, in questo contesto, la successiva mossa del generale: di ritorno dalla visita in Libia, annunciò che entro l’aprile successivo tutti i cittadini israeliani avrebbero dovuto abbandonare il paese; le relazioni con Gerusalemme vennero interrotte con effetto immediato. Come già visto, dietro a questa decisione, che poneva fine ad un’importante e abbastanza duratura presenza israeliana nel paese, c’erano la nascente amicizia con i paesi arabi, la freddezza con cui Amin era stato accolto a Gerusalemme e il diniego di forniture militari, la paura che la presenza israeliana si trasformasse in una dipendenza e, infine, la recente firma di una pace tra i guerriglieri Anyanya e il governo di Khartoum, la quale tolse ad Amin l’ultimo vincolo contro le tirate antisionistiche che si sentirono a Radio Uganda tra il febbraio e il marzo del 1972. La motivazione ufficiale che venne addotta per giustificare la decisione, fu quella di tentativi israeliani di sabotare l’economia ugandese. La manovra fece sì che nel giugno dello stesso anno, al termine di una visita in sette paesi del Medio Oriente, l’Uganda potesse riscuotere tra i 30 e i 40 milioni di sterline24. I successivi ad essere colpiti dalla politica del despota furono gli asiatici. Questi, soprattutto indiani e pakistani, erano arrivati in Uganda come manodopera al servizio del dominio britannico e si erano stabiliti poi nel paese per le promettenti possibilità economiche. La comunità, che contava circa 50000 individui25, era effettivamente la più benestante del paese e rappresentava la borghesia nonché la classe imprenditoriale di Kampala (secondo Wiedemann gestivano il 75% del commercio ugandese all’epoca del regime di Amin26 ). Il 4 agosto 1972 il presidente annunciò il suo ultimatum agli asiatici ed entro l’inizio di novembre, allo scadere del termine per poter lasciare 23 Ivi, p. 67 24 Ivi, p. 71 25 P. Mutibwa, Uganda Since.., op. cit., p. 93 e M. Byrnes (a cura di), Uganda.., op. cit.; Wiedemann riporta invece una cifra pari a 80000 ma include nella stima anche i 25000 asiatici con passaporto ugandese, E. Widemann, Idi Amin…, op. cit., p. 90. 26 E. Wiedemann, Idi Amin…, op. cit., p. 90 10
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