I CANTI DI PRIMAVERA Fabio Capoccia - al sorriso dolcissimo suo - Fabio Capoccia Official
←
→
Trascrizione del contenuto della pagina
Se il tuo browser non visualizza correttamente la pagina, ti preghiamo di leggere il contenuto della pagina quaggiù
Premessa Le due parti de I Canti di primavera raccolgono 45 liriche inedite. I 30 componimenti della prima sezione sono stati scritti tra il 10 e il 29 marzo 2020, nei giorni più intensi della diffusione del coronavirus in Italia. Raccontano l’esperienza in parte autobiografica della quarantena a Sorano, paese di tufo nell’entroterra grossetano. La seconda parte formata dalle restanti 15 liriche indaga un’altra primavera; lo sguardo anche al di fuori dell’Italia oltre i vincoli temporali del corrente anno. I versi presentati sono stati composti tra il 2016 e il 2020. Due appendici fotografiche propongono immagini (foto e dipinti dell’autore) relative alla narrazione. f.c. 2020 marzo 2
I CANTI DI PRIMAVERA La ruggine divora i quadri dei paesani. Tutti lì appesi, nella regola della morte. L’appello infinito del giorno rimasto. 3
Le bottiglie all’olivi Le bottiglie all’olivi impiccate fuoriuscite dai feudi disarmati di resa e sola (pausa) Impiccati ai colli e il ventre rappreso in grumi scuri giù e sopra liquori. Agli olivi tesi fili di baricentri oscuri colle foglie ai venti ai crepuscoli buttate, specchi neri le fiamme bianche sotto e verdi. Fisse. Come le stelle. Le cornacchie scacciate e gli uccelli ladri. 4
Alle idi di marzo Il grecale e forse niente più. Le ore di prigione s’allungano nella lista e il computo della morte, a sera. Ogni sera per chi suona questa campana sembra dirti l’etere mediatico e queste strane api, avvelenate, si chiudono in brividi bluastri ghiacciati. Le api, fuori, tessono il ronzìo della loro festa. E le bestie pure ignare del destino dell’uomo. L’occhio versa il tributo umido nell’abbraccio mancato ritrovato nella carezza soletta ai balconi, occhi bigi di una funerea festa di primavera. Il grecale suona tra i vetri e scende nei precordi della dolcezza il ricordo. Sorseggia, ignaro, la bellezza acerba adesso del senso … Evapora dalla primavera che incede a passo raso il frinire del liuto silente della prima coccinella alla parete bianca, senza nome. Alle idi di marzo il silenzio del grecale soffiava nella mestizia del giorno assolato un silenzio senza nome. L’ora di libertà E’ forse di primavera quel sussulto violaceo che scorsi tra le braccia l’odoroso inno alla vita ? Il letargo dei corpi si fa pigolio di un alfabeto scarno. Quale pena scontavi del delitto di vita imputato per intorpidire di noia quell’anima giuliva ? Quale errore cadeva dai pensieri d’immagini dolci che ti faceva adesso prigioniero dove prigione non c’è e prigione il corpo e la casa che di due uno E che di vita amorevole vessillo sono ? Sulla mulattiera il relitto di un topo: Sapeva forse esso la sua morte ? 5
La festa di San Giuseppe Dai balconi colorati di vessilli addobbati è la festa del Santo di primavera. Bianchi visi cinerini di speranza gravidi (di un aborto non voluto!) Verdi nell’età del divenire senza scelta che la vita Rossi accesi uniti il cuore nel respiro non più affannoso d’autunno scivolato. Affamati di carezza nell’abbraccio del solco che fu madre e padre di morte nel solco della vita ancora. 6
Canto d’amor cerchiato Tubano i colombi feriti dal dardo del nocchiero (Alcibiade forse tu…) che alla riva del sole invitava ai fuochi senza lingue di faville d’amor crepitanti. La mano del giovanetto come virgulto passata la forbice che il succo in ottobre toglie alla mano stellata vite e si accartoccia scinta dal torso vitale il tralcio così chiudeva di cinque spighe leggere sasso nelle tasche vuote. Maciullate d’accidia implacabile d’amoroso dolore. O musa che la notte in primavera t’aggrada l’eburneo silenzio della luce della stella che di notte splende la luna, qual tributo brami per placare il tuo canto di morte ? Il ventre della giovinetta scosso dalle furie degli inverni infiniti nell’ora dell’attesa di primavera attende la spiga già pronta per il sole. E così gialla la brama che giovane e verde già non vuole. Abbraccia, o Signore d’Amore, quelle cinque spighe doppiamente paghe di crescer i dorati spilli nelle dita dell’amata così ch’essa pure fonde le sue nell’altre e si mescolano tutte nel canto d’amor cerchiato. Il volo della rondinella Il volo della rondinella al suono del suo canto tornare novella al canto del tetto dove pose la madre il canto a schiudere l’abisso della vita. Gli alberi delle città occhiati di vetri indiscreti I nidi gabbiati a voliera volano il canto dei padri E di tutti uno e tutti di gioia il canto sfondava il bacio mancato di una primavera che non sa. 7
Silloge Le dita della Natura inanellate a festa scivolano il sollazzo di una giornata scura. I narcisi stellati in fioritura spengono il colore e la foglia velenosa resta. La timida begonia già pronta nel vermiglio del sonno il ricordo china le mani alla subìta onta e le gerbere luminose e il sordo tulipano che calice e guglia si fa folle brama di sapore amoroso non offendono l’aria salubre d’odoroso smalto e il vento siderale muglia. Dov’è il suono mèlleo dell’iris tricefala? Dove l’armonia ipnotica di celeste geometria la camelia il dardo setato ria del delitto isperato complice la cicala? Non Cerere il periglio vinto l’estate falsa assapora già E l’umilissima primula langue dipinto E il gelsomino discinto, albo non già estinto. 8
Di bianco, verde, azzurro il cielo a marzo si spaura Di bianco, verde, azzurro il cielo a marzo si spaura. Giura Primavera d’essere sua la veste di natura d’azzurro fissa, di verde melissa al bianco s’eclissa. Dura la risposta di Verità che Prosèrpina fissa scura: Aura greve di copribocca punto dietro le fosse dell’orecchio bianco. Verde di camice il dottore veglia il vecchio col naso d’elefante guarcito alla veglia meccanica dell’apparecchio. L’azzurro camice di sepoltura è il solo suo specchio. Sortilegio I giardini d’incanto avvampano l’occhio di meraviglia. Non di vita si narrano ma d’occhio senza pregio marrano traditor d’agir, servir avvezzo cocchio. E sì fallace sublime inganno cheta del rumore la voce al cuore ululante stante lo star in sì piacevol inganno ferisce in affanno la vita accecante. Verdi are e acque lievi e pie, abbagliante il verde velluto del prato fioccato in danno creder fingono il pensier senza fallo tremante. D’amorevol porto il potabil amor disseta. E quel fregio che l’anima mia versa al cielo: Mutilo stilo per osservanza all’umano sorriso affatto specchiato in volto umano. Irriso di disumana cosa e di schiera il gelo. 9
Per le strade stregate allagate di silenzio Per le strade stregate allagate di silenzio infranta l’aria di dignità e i sudari sparsi arsi i silenzi d’amore e pii. Nunzio il giorno di pericolo e crudo al divorar silenzio. I volti crescono nelle dita incarnate sulle fronti lievi di mesto biancore avvinti le bocche serrate, i sorrisi sfronti. E di fuggir certi la malattia, d’altra malattia stinti il cuor, l’anima e la vita in un sol ramo estinti. Posso io Cuore sopportare di non amare ? Posso io Anima portare la vita senza amare ? Posso io Vita preferir vita ma di morte amar i vinti ? E l’amor si fa contro natura. Orrore d’infausto presago di follia mendicante gli occhi pesti d’inumana specie. Fioritura secca di verità non vera che vera si fa importante. Mano che tocchi l’abbraccio sì forte smarrito Occhio che cieco ti costringe la vita a primavera Sorriso che cuci le dolci schiere dell’umana felicità ora intimidito Piede che fuggi piede altro e solo con l’altro tuo tramortito Il pensier si finge e inorridito il ciglio. Strappa la voce la lugubre vendetta di Pietà che tu uomo strappasti dal cuore, implora d’anima sventrata l’Umiltà. Figlio che sgozzasti la Bellezza e or sé di te non vuol. E voi stelle domo. 10
Nell’ora dopo il vespro Nell’ora dopo il vespro quando i colori si sciolgono e colano tra le fauci assetate della terra… Stupro il giorno vinto e la tela scura cola non di color vinta ma d’altra notte vuota piena Dal fondo gracchia la rana e la cornacchia nera. Il cimitero a Sorano Tornasti con me a Verona. La ricordavi. Nel grembo già lui, a me fratello. Lo seppellisti il 3 febbraio 1985. E accanto ora d’altra tomba Alberto Manzi lo culla. Marco, senti ancora la voce dell’Adige che suona rigogliosa ? Nulla può forse immaginare il canto ch’io ho nella vena dipinto. Giacque la salma il triste giorno cinerino, nel grembo fratello nacqui solo. Nel sorriso suo dolcissimo ti vidi il giorno. Stavi ancora nell’indomita materia d’amor piena. Arena del nostro dolore. D’amore senza pena. 11
Risveglio L’aria si fa chiara e le lacrime che la notte ha lasciato sulla schiena del giorno brillano gli occhi tristi del passante. Rotte l’erbe di sì vero singhiozzo scintillano: Quel pianto per la veglia senza figlio. Giglio, Silene, Ranuncolo dove i saporiti odori lasciate? Quale meraviglioso pensier fecondano? Artiglio d’inumano sospiro la falce, le mani abbandonate… Appiglio sfocato, sciolto, scivolato via tra le nari e bocche tappate, non la mia. Italia Le cetre appese ai balconi Le voci che tutte in una suoni … La mimosa sfiorita Il colore stinto la stilla gialla nei chicchi di sole infusa tiepida si veste e falla ormai temp’è confusa. Il nettare odoroso di vorace sogno di primavera sunto era bisogno. Il biondo fuoco ch’ardeva in fili di faville minute alette di luminose armille non spinse il calor, sparse il fuoco d’avvampate lingue di mortal bellezza tra le goti acerbe d’allegrezza. E qui e lì sputi di verde nato poco. 12
La cinciallegra E le dita si facevano petali ambrati E la voce accordava la corolla sciupata di giovinezza bagnata. Urlava la cinciallegra spensierata un rumore appuntito sulla stimma neonata. La fenice Fu sposalizio ingrato d’ugual misura ch’unì il giorno buio alla notte scura. Non di squame il fuoco di San Giuseppe pareva cielo gravido. Di spille seppe mostrar il volto rigato. La festa del tempo usato correva perduta nel bivacco rubato dal silenzio strano, dolce nelle strade. Morì e non ci fu nessuno a pianger per le strade. Altre nozze, di piacer ornate, vietate ! Italia piumata d’umil gloria eternata rompi l’uovo d’insolente malanno pieno Fatti bella di novella luce, mortal fenice dal cener nata. 13
Orat te Fascia la luna l’occhio di madreperla. Tra tre giorni sarà nuova ancora… Le ombre eburnee si vestono d’abiti da sera. Imperla qua e là quel sole d’eclisse falciato ora le lacrime aguzze non versate piantate in gola. Atroce ora, Italia, per la carezza mancata lasciata sola. E la civetta strega dal manto dal bianco carezzato sirena della notte l’occhio non ti tocca… Non dai pace al dormire senza cura. E l’allocco senza vista. Due inferni d’accecatura. Due buche di petrolio vetrate. Un pozzo senza bocca per bocca. Un lungo mugliare al vento e poi altri, insieme, barbari… suono indiavolato ! Fascia la luna l’occhio di madreperla. La serpe che muta s’arrende non lascia le lingue affilate ruggir. La rondine le code tagliate dorme nel guscio incollato al cielo. Già la melitèa è stesa a terra lacerata. L’aglaia aranciata, le ali abbracciate al cielo. La gatta dal ventre curvo rompe subito un sussulto. Poi un altro.. un altro.. un altro patir. Fascia la luna l’occhio di madreperla. I giorni abbandonati Suonano ancora i canti di nazione alle finestre ? Cantano le cetre di nuova parola tarsiate le rosse canestre ? I giorni abbandonati. D’amore multati. Un palmo senza palmo mutilato. Gòlgota di primavera è questo. Il conto dei morti alla sera. Chiuse le chiese di dèi sospesi e i cimiteri senza vivi: Un silenzio più chiaro di morte. 14
La musica La musica. La voce alla finestra: l’abbraccio lungo imbarcato sulle correnti vuote di periferia allungo. Il cupolone di Pietro, il pomo sfregato per la res bona. Adversa riversa per i fiumi implacati nella strada : nessuna voce tuona ! Peccato senza nome, peste senza pece sulla pelle Requiescant senza pace questa notte senza stelle ! Terra mea Romíto. Sul clivo d’erba che terge il passo soletto l’informità, i giorni senza nome. Volti umani si seccano e tu pesco rallegri l’aria malata. Gli umani volti cedono il rosa assetato alla primavera d’inverno. E tu mandorlo intoni un paradigma selvatico e dolce è il divenire. Tu ciliegio tardivo già sei benedetto nella stanza ti prego senza diletto. Chiusa la mano all’altra. Le labbra secche si cercano sudate. Qual gentil padre che si fa dolce per i figli senza dire il dolce dire tal sei tu sole che l’umana vita di te si pasce e di giorno e di notte. 15
La fame E passarono i giorni. Il popolo non gridava più. La madre denunciata per vedere gli occhi del figlio. E passarono le notti. Scoppi di rumori laggiù … La fame sola rideva magra: pietà sennò l’artiglio ! Anche le ore erano mature. E di luce vuota di primavera. Anche il sonno era misto a veglia, nel senso dell’attesa. E passarono i giorni e il popolo di ferocia invera fuoco negli occhi grevi d’impunita resa ! Primavera a Sorano Il canyon di tufo crinito e l’alloro e il leccio la ginestra, la quercia … tarsíe di verdi lembi munite. La piazza Ricci-Busatti, le fontane di leone. Cicaleccio d’acqua in conchiglie ramate. Gli archi aperti: Occhi spalancati sul bosco etrusco a primavera. Assordite le rane nella coltre della sera. Inferti i tocchi al vecchio campanile bussano il Masso dei Lorena di San Nicola la Collegiata, degli Orsini la fortezza. E non orecchio sente il cammino sul selciato. Rasserena quel mare di cielo sopra San Rocco e la Cava. Rupi di tane, grotte gitane ai colombi usate un cuore di lava. Notte di veglia Notte di veglia. La volpe d’amaranto fuggita non trova il passo pestato fresco. Il verro bruno non fugge il colpo a tranello. Più il tasso rigato non scivola tra i vecchi sterpi e l’erbette nuove. Orecchie non al sol di veglia volte il daino finge. Tinge il sole la collina al capriolo vezzoso. Orfano di vita, di vita rimasto. 16
Il giardino di Dino Novantaquattro primavere nel campo. Il tuono romìto, d’incanto il lampo chiuso. Le ciglia lasciate giocare al vento. Le maniche rimboccate, la pelle scura abbruciamento. La zappa poggiata al mento. Tra le labbra l’arco di un sorriso. Lo stesso. Sempre. Quel giardino d’incanto che mi fa da modello scopre la bava rosa della canina, il càrneo vezzo del pesco, il parco giaciglio di latte al mandorlo. Le spighe di minute lanterne coronate il biancospino, la dalia crinita, il tarassaco giallo pinto, l’ortensia saporita, la fresia petulante, il fiordaliso diviso in celesti lucerne. E là il cardo di lame imbavagliato. La terra mossa, il solco cinto. Meraviglioso labirinto di memoria senza fine e gioco per l’immagine. Viene sempre annunciato dai gatti della figlia. Pagine di un libro senza epilogo. Dino, di feline guardie recinto ! E la capra più sotto, verso la forra silvana Un baleno di sorriso l’enigma cucito di lana. 17
La luna Con la mano di bambino metto la mano nel fuoco tuo gelato, luna ! Gli steli di luce in un attimo: L’esperienza e l’immagine. La guerra terza Di guerra terza trema la Terra. Corpo rimane ma spirito non più. Carcasse di case, gusci secchi di dopoguerra lasciati sulle strade che d’uomo non vivon più. I militari fanno la guardia al nulla al silenzio macilento, a mantener la pace in guerra. Il foglio di via, la borsa al mercato, nuovo dopoguerra di pace senza guerra. La città brulla Gli occhi meccanici del cielo a spiar il reo. La ronda a cercar il fuggitivo fuori porta senza vero motivo. Spettri di desiderio s’affacciano al vetro funèreo. Solo le bestie non temon ripiego: Portano il fragile motivo umano per mano. Nella giornata senza l’altro nessun impiego sembra accender la fantasia. Invano cerca la noia, dardo d’un veleno senza farmaco uscir di prigionìa. E la realtà finta dagli schermi colorata non inganna il cuore dolce in primavera. Simulàcro di reato mai commesso, d’amor dimenticato. 18
Pianto etrusco a Sovana Pianto etrusco dalle tombe divelto a San Sebastiano perde la voce. Sull’eremo e oltre l’erta San Pietro, un sorriso scelto di strana fioritura tremo. Santa Maria, il palazzo Bourbon del Monte Il camposanto a San Mamiliano di fronte. Terrore mirifico mi punge di magnifico rumore l’ombra di un dubbio epigrafico. 19
Canto di nuova preghiera Lo specchio che ti vedeva bianca in stagion di rossa fioritura prend’or nuovo vigor in età d’altra natura. Animose le vie tornano a vestirsi e la primavera ammicca sotto gli occhi ridenti non già infossa. Di nuovo l’occhio livido e grumoso stura Il fresco luminoso occhio spenge la severa veglia di forzata preghiera. Si gira a riconoscer il viso della cara presenza e le braccia di quattro un’avviso. Piacevol tempo di natura rinato, congedo d’amor cessato non scordar questi giorni infausti d’angustie storditi… Non quell’atomo di primavera in questi giorni arditi. La festa di Primavera Fanciulli a festa vestiti, di fiori languidi criniti … Fanciulle tra le mani un groviglio di colori nella mente fresca invitano d’odori il canto. Ambarvali, lupercali… strali rossastri a primavera. Mia donna, che del cuor di costui fai madonna L’uomo ti fa festa servo d’amor resta. 20
Prima appendice fotografica https://www.dropbox.com/sh/zrqdmqr6hmeuvmq/AABhgD82fzssIeT4nYSvMUgha?dl=0 21
Parte seconda 2016 / 2020 22
La luce Sull’etere di Gennaio passo passo. Ma la neve è ormai finita e non l’ho veduta. Sono passato per la scia che ha lasciata Ghiacciòli spacco dopo due giorni con l’ombrello. Eppure è vita. E’ vita eccome! Il sentiero verso i campi e le vigne. Insomma esiste ora come vero, allora. Moria primo canto di Lesbo Chi scrive con la mano unta di incredula scelta della vita; il padre e la madre con il pianto evaporato nel ricordo. A Moria il giorno è indifferente. Il pensiero rallenta. Si nutre di tempo il tempo dell’immobilità. Il tempo della vita estinto. Cresce la luna e torna magra a Moria il tempo pallido dei raggi della luna schiarisce la fuga del pensiero che fugge. Lesbo che la poetessa ti cantava dalla spuma tua risorgono i cadaveri recintati nel sudario dell’onda che ti batteva. 23
Youngan Youngan era un ragazzo dell’Africa nera. Nera come il sole d’estate. Quell’africa solitaria nella solitudine umana di un cuore. Nella notte chiara non vedeva gli occhi della notte e giocava con gli occhi suoi. Nella notte scura giocava a essere visto dagli occhi della notte. Era un ragazzo senza nome, del nome della vita. La gioia di vivere A febbraio il dolce sole di maggio gialleggiava sulla nuca al biancheggiare del suo sole. Forse un sorriso si celava sulla bilancia del sorriso tra vespri di primavera e verdi estati rosse, non mai già. Forse quel sole giallo si specchiava nell’oro biancheggiante. Sulla nuca d’altare l’illibatezza soave e mista di colore La curiosa gioia di vivere. 24
La calenda del marzo secondo canto di Lesbo La calenda del marzo Nelle conche degli occhi Rosse I bambini giocano Nella tristezza Con il fango Per il freddo Alla solitudine Senza amore. Lesbo ti taglia i polsi con la ruggine trovata. 25
Ghuta Barada non scivola più per i campi A Ghuta non scivola più. Le rive velenose i corpi viola e i lampi aprono laggiù la schiera rumorosa A Ghuta i gas e dei lampi. A Ghuta si dorme con la maschera in bocca E di notte coprono le macerie i letti stecchiti E di notte coprono le bocche i padri dei figli con la maschera in bocca. Macchiati scivolano i vivi colle unghie infilzate sotto i capelli per il triste greto. E Barada macchiato i morti copre e chiude. A Ghuta spente le mani le madri e tremanti tendono quasi sugli steli bianchi dei tristi talami. A Ghuta le madri imbiancate dalla polvere che ha lasciato il bang E la destra e la sinistra e tutte e dieci insieme le unghie spingono più dentro Il figlio imbiancato dalla polvere del bang. 26
Lahore sull’attentato suicida del 27 marzo 2016 Si va a giocare, si va a pensare a giocare e qualcuno ha deciso di dover morire per farlo e tanti ci credettero e tanti non tornarono più. Si va a Lahore con lo zucchero filato e la luce al neon della giostra che non gira; s’è fermata e resta lì com’è perché a Lahore oggi qualcuno ha deciso di poter morire e tanti l’han dovuto seguire. Era festa a Lahore, quella del giorno alla giostra e le donne portavano in mano le giovani figlie che ora gridano sulle spalle delle madri che ora non giocano più sulle labbra dei ragazzi di Lahore. Qualcuno ha deciso di far la morte e nessuno lo sapeva. E quella è venuta tra la giovane schiera e se l’è mangiata. Sazia, lascia negli occhi delle ragazze di Lahore il bacio. Era notte a Lahore e qualcuno ha deciso per me. 27
Idomeni due profughi si danno fuoco il 22 marzo 2016 Si brucia qualcuno a Idomeni non per il freddo non per il fuoco Si brucia per morire a Idomeni. Mai più indietro ma non avanti andare si può. Restare qui a Idomeni. Restare qui tra le capanne al vento. Siamo centocinquanta ma ora più. Non ancora la fame è sazia Non più sete ho, per la vita che più non piacque. E centocinquanta siamo qui. Già sui rami la primavera è scesa e il mare torna la sera Già altre partenze sono interrotte e scoppi. Tonfi sui treni sotto la terra. Già la primavera è scesa. A Idomeni brucia il vento che corre sulla magra scienza a bisogno. A Idomeni mi lascio scaldare colle mani al cielo e la bocca storta. Ma oggi tonfi e lamenti rotti a terra spingono e lì per confine io brucio. 28
Via di qui la dolorosa fugga Lasciavi e la Sicilia là. Sporgeva. Carezzavi tua la vita nella sua. E non lo sentivi il freddo E il mare intorno uguale Gli altri nella speranza che più non spera. Ti seppelliva quel mare uguale a un altro. Suo nel ventre tu col tuo che mai ha. 29
Perché piangi? La mano alta e lì il feretro mobile e di pace ora. Che più non avevi che lei. Fu lei che è Morte. I feretri scivolano sulle vostre mani. Sopra i palmi scivolano verso l’inutile odio. Che odio qui non può. Versano fissi gli occhi sotto e più La voce si faceva nuova. La stazione di Trastevere Trastevere ingoia la luce. Una nera con in mano la bottiglia dell’amore e nell’altra lo scettro della stampella che affonda ringhiera Il suono fa sentire regina della pazzia ? Tre militari cavallerescamente scavalcano le ombre di passeggeri intorno alle rive gialle del treno; E si portano in fondo, nel pensiero della veglia. Dove ora non trova nutrimento più che morte alcuna Perché non stai fermo lì? I passi si fanno più lenti Lieti di giorno col giorno in faccia che scola tutta quella che chiami vita in un giorno, lentamente, fino a questo. Sì figlio informe che moriva dove nasceva e succhiava lì dove ora non trova nutrimento più che morte alcuna. 30
Perché piangi sulla soglia? Questi sono i figli da voi nati Prole mostruosa che le vostre donne hanno partorito nei pomeriggi inermi di tutti i giorni della vostra disumana schiera. Stabat Mater sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini Era quella notte quando da Roma non lontano qualcuno morì. E lo fece tra l’acqua dolce e salata quella che si sentiva urlando Ma la voce che urlava quella notte morì. E lo fece da sola. Straziata la carne in bagliori remando A terra i fari graffiavano la terra. Morì. E lo fece subito. E si partì. Voltata la strada si videro uscire dal lido frenando i becchi che la carogna lì sgusciata il segno a giorno va scovata. E lo fece da sola. Con la grazia che più non sa un bisogno di carezza al cuore. 31
Napoli o’ sciure tremend Sul cielo di Santa Caterina i pancali verdi e blu si tengono giù. A Formello il castello al diaccio si sfascia sotto l’occhio vecchio quanto la vita di Napoli. Inconcepibile per il cuore dell’artefice. Non rende pietà alla pietà del suo amore. Si teneva alla vita del Capuano stretto ferocemente nel giallo di Napoli. Quel blu si teneva stretto al mare di Napoli. 32
Seconda appendice fotografica https://www.dropbox.com/sh/wgo2jju5s34ao5x/AABxhMX30wAMANH2VYB_hzy4a?dl=0 ** Nota biografica Specializzato in Filologia Moderna all’università di Siena Capoccia consegue il Diploma di Archivistica in Vaticano. E’ stato borsista CUC (Centro Universitario Cattolico) . Insegna lettere in un liceo. E’ autore di mostre pittoriche. Tra i più recenti si ricordano gli allestimenti al museo diocesano di palazzo Orsini a Pitigliano e l’esposizione al complesso universitario San Niccolò in Siena. * 33
Indice 2 Premessa Parte prima 4 Le bottiglie all’olivi 5 Alle idi di marzo 5 L’ora di libertà 6 La festa di San Giuseppe 7 Canto d’amor cerchiato 7 Il volo della rondinella 8 Silloge 9 Di bianco, verde, azzurro il cielo a marzo si spaura 9 Sortilegio 10 Per le strade stregate allagate di silenzio 11 Nell’ora dopo il vespro 11 Il cimitero a Sorano 12 Risveglio 12 Italia 12 La mimosa sfiorita 13 La cinciallegra 13 La fenice 14 Orat te 14 I giorni abbandonati 15 La musica 15 Terra mea 16 La fame 16 Primavera a Sorano 16 Notte di veglia 17 Il giardino di Dino 18 La luna 18 La guerra terza 19 Pianto etrusco a Sovana 20 Canto di nuova preghiera 20 La festa di primavera 21 I appendice fotografica Parte seconda 23 La luce 23 Moria primo canto di Lesbo 24 Youngan 24 La gioia di vivere 25 La calenda del marzo secondo canto di Lesbo 26 Ghuta 27 Lahore sull’attentato suicida del 27 marzo 2016 34
28 Idomeni due profughi si danno fuoco il 22 marzo 2016 29 Via di qui la dolorosa fugga 30 Perché piangi ? 30 La stazione di Trastevere 30 Dove ora non trova nutrimento più che morte alcuna 31 Perché piangi sulla soglia ? 31 Stabat Mater sull’omicidio di Pier Paolo Pasolini 32 Napoli o’sciure tremend 33 II appendice fotografica 33 Nota biografica Indice delle foto e dei dipinti parte prima [2] n.1 l’autore 2020 [3] n.2 odusia 2017 olio su tavola 350x250 cm [4] n.3 campagna intorno a Sorano 2020 [6] n.4 campagna intorno a Sorano 2020 [17] n.5 orto nei pressi di Sorano 2020 [19] n.6 tramonto nei pressi di Sorano 2020 parte seconda [24] n.1 el sueño de mi vida (particolare) 2019 olio su tavola 350x250 cm [25] n.2 shutin’ (particolare) 2019 olio su tavola 350x250 cm [26] n.3 ghouta 2018 olio su tavola 350x250 cm [27] n.4 autoritratto 2018 olio su tela 80x60 cm [29] n.5 la dolorosa fugga 2018 olio su tavola 350x250 cm [32] n.6 Piedigrotta, Napoli 2018 [33] n.7 tramonto nei pressi di Sorano 2020 35
Puoi anche leggere