Hermes e l'hillmanalisi - Giorgio Antonelli, Roma

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Hermes e l’hillmanalisi
                Giorgio Antonelli, Roma

   Nel (pre)principio (della psicoanalisi) è il segreto
dell’ars (analytica). Freud ne parla il meno possibile
e, dopo qualche tradito annuncio o promessa di un
testo a riguardo, non impiega più di tanto a smettere
di parlarne, salvo tornarci come a un interminabile
da costruire verso la fine della vita. Le non numerose
volte che ci prova, comunque, molto prima della fine,
lo fa nel modo del levare, come un redivivo demone
di Socrate, articolando la tecnica a un non fare. La
secretata ars, nel frattempo, attraversa l’aria, frequenta
provvisori anfratti, penetra contingenti cripte, s’infila
perfino in esplosive bottiglie, s’apparenta addirittura
a Ade e mobilmente riposa chez Hermes. Mentre l’ars
attende di calare sotto forma di trovata, d’incontro, di
dono, d’insight, Freud intima a Ferenczi di mantenere
segreti i risultati dei suoi esperimenti con la trasmissione
(transfert) del pensiero intrapresi dall’ungherese nella
prospettiva di un potenziamento dell’ars, esperimenti
cui occasionalmente anche Freud partecipava insieme
alla figlia Anna.
   L’appello al segreto emana potenza: Ferenczi
ottempera e tiene anche segreti gli appunti sul proprio
finale, esiziale, dissanguante esperimento con la tecnica
reciproca. Quando però Rank inizia (traumaticamente)
a nascere, cioè a mettere pubblicamente per iscritto il
proprio desiderio di nascere, Freud è pronto a redarguirlo,
in una lettera a Ferenczi, adducendo a motivo il fatto
che Rank non avrebbe descritto esattamente la propria
tecnica. Soltanto al padre dell’orda spetta quel diritto
al segreto di cui fa questione Piera Aulagnier. Cosa
tema Freud nella circostanza è che Rank si serva di lui
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facendone a meno. E confida il suo timore a Ferenczi,
perché sa che questi non si serve del padre non
potendone fare a meno. All’uscita del primo effettivo
manuale di tecnica psicoanalitica, di cui Rank è autore,
Ferenczi è conseguentemente il primo a insorgere
per stigmatizzarlo come un fallimento, cioè come un
testo di tecnica rankiana, non psicoanalitica (così che
l’ars continua a rimanere segreta). Nel segreto della sua
stanza autoanalitica, tuttavia, Ferenczi inizia a pensare
che la disonestà di Freud appunto in questo risieda: nel
non voler rivelare il segreto della tecnica ai pazienti (i
quali, d’altro canto, sono tenuti per contratto a rivelare
tutti i loro segreti). La ferencziana tesi della freudiana
disonestà del segreto rimarrà comunque secretata per
decenni nel Diario Clinico. Accade anche che, afferrati
nella secretante morsa dell’analisi, il marito analista
(Rado, in analisi a Berlino con Abraham) ignori che
contemporaneamente la moglie analista, Erzsebet, sia
in analisi a Budapest con Ferenczi.
    Nelle famigerate discussioni controverse degli anni
quaranta Anna Freud ripete la mossa del padre con
Melanie Klein: le rimprovera di non spiegare la propria
tecnica. Kohut, dal canto suo, sosteneva di non essersi
mai molto interessato della tecnica come argomento
separato. Era comunque critico delle analisi kleiniane,
di quel loro veicolare plumbee atmosfere di colpa, a tal
punto da considerare i kleiniani dei nemici. Si ricorda
anche, Kohut, di quando, nel corso di un gruppo di
lavoro dell’APA, presieduto da Gitelson, “uno degli
argomenti era se ci dovessero essere o no dei corsi
separati di tecnica” e ricorda ancora che “vi era molta
polemica contro corsi separati di tecnica”.1
    Nel principio della psicoanalisi gli psicoanalisti
sono i supposti custodire il segreto dell’ars. Se qualche
psicocustode osa esporsi a parlarne, c’è qualche
altro psicocustode pronto a stigmatizzare. L’ars resta
comunque altro da ciò che è esibito. Può risentirsi
Melanie Klein del fatto che Anna Freud la faccia
    1
      Kohut, H., 1996, Lezioni di tecnica psicoanalitica. Le conferenze dell’Istituto di
Chicago, Astrolabio, Roma, 1997, pp. 360-361.
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oggetto di critica a partire da una (colpevole) mancata
rivelazione della propria tecnica? No, non è da quella
parte che rintuzza l’attacco. Il perché se ne sta sepolto
nelle millecinquecento pagine che la grande madre della
psicoanalisi inglese ha dedicato alla (propria) tecnica
analitica senza pubblicarle. Un’apertura su questo
segreto la dobbiamo a Elizabeth Spillius, che vi ha
dedicato un saggio. Non solo scrive, la Klein, che si
ha sempre una grande difficoltà a parlare della propria
tecnica, aggiunge che si tratta di una cosa segretissima.2
Anche l’analisi reciproca di Ferenczi era una cosa
segretissima e, di ostracismo in ostracismo, ha dovuto
attendere decenni per vedere la luce. Analogo postumo
destino editoriale è toccato alle Cogitations di Bion, un
corrispettivo meno intimo del segreto e secretato Diario
Clinico ferencziano, luogo di un tentato squadernarsi
dell’ars. I segreti di Freud traslano poi agli omonimi
Archivi di cui è stato custode arcigno Eissler e regista
in grigio Anna Freud. Occorreva conquistarne il favore
per forzare i secretati documenti, impresa nella quale
riuscì Masson con i manifesti risultati che sappiamo.
    Quanto a lei, Anna Freud, si è sottoposta a una
protratta analisi col padre (pratica non infrequente negli
anni ruggenti e perfino soap-operistici della psicoanalisi)
ma, a Jokl che glielo chiede, non esita a negarlo. Ne è
al corrente la nemica Melanie Klein? Forse. Lo sapeva
il suo primo analista, Ferenczi, al quale Freud l’aveva
comunicato per lettera al tempo in cui la Klein era in
analisi con lo psicoanalista ungherese. Al tempo delle
discussioni controverse, tuttavia, la Klein non avrebbe
saputo che farsene di questa presumibile conoscenza, lei
che aveva nascosto il figlio Erich dietro lo pseudonimo
del piccolo paziente Fritz in un articolo pubblicato nel
1920 dal titolo quantomeno emblematico: Il romanzo
familiare in statu nascendi. Di quale famiglia starebbe
parlando la grande madre della psicoanalisi inglese?
Della famiglia psicoanalisi? Una famiglia nella quale,
per analoghi rapporti, rientrano a pieno titolo anche
  2
      Encounters with Melanie Klein. Selected Papers of Elizabeth Spillius, Routledge,
Howe, 2007, p. 69.
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Jung e Abraham, che avevano sottoposto ad analisi le
rispettive mogli.
   Partecipa della declinazione secretante dell’ars anche
Hillman. Il processo terapeutico è per lui un mistero
ed è questo mistero a costituire il vero retroterra della
segretezza analitica. Un vaso chiuso è il contenitore
delle forze trascendenti e impersonali della psiche,
quelle stesse che producono la guarigione. Non è
davanti, visibilmente, che la guarigione viene preparata,
ma dietro il sipario. Analista e analizzato sono immersi
nell’oblio di tanta segretezza e riemergono senza sapere
che cosa sia accaduto. Una cosa però la si sa: si sa di
essere trasformati. È il come che fa difetto al sapere.
Anche Hillman non fa eccezione a questa generalizzata
appartenenza dell’ars al dominio di Hermes. A suo
tempo Jung consentiva solo una circolazione ermetica,
esoterica (interna alla scuola) dei propri seminari, la cui
pubblicazione non è ancora stata completata (il che vale
anche per i seminari di Lacan). Non solo. Quando le sue
lettere sono state pubblicate in due volumi (nell’edizione
inglese) ci si è guardati bene dal precisare che si trattava
soltanto del 10% del totale.
   Per dar conto della passione secretante che ha
impregnato tanta storia della psicologia del profondo
occorre intanto far riferimento al desiderio di Freud.
Quella violenta passione trae anche alimento da
una peculiare insoddisfazione che sarebbe rimasta
anch’essa segreta se l’unica persona cui Freud l’ha
confidata, sua cognata, non l’avesse rivelata a Jekels:
Freud era assolutamente insoddisfatto della mancata
corrispondenza tra teoria e tecnica. Mentre l’ars non
vuole saperne di assoggettamenti, vige un contagio del
segreto, un’irradiazione del desiderio di Freud. Prova
ne sia che quando Jones gli propone l’idea, condivisa
con Ferenczi e Rank, di un comitato a difesa (da Jung)
dell’ortodossia psicoanalitica, è Freud a nominarlo
come segreto ed è così che rimarrà impresso nella storia
della disciplina. È altrettanto comprensibile, alla luce
dell’irradiazione secretante del desiderio di Freud, il
fatto che all’interno di quello stesso comitato segreto
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due suoi illustri rappresentanti, Ferenczi e Rank,
segretamente (cioè senza che gli altri del comitato
segreto, Abraham, Eitingon, Jones e Sachs, ne sappiano
alcunché) scrivano un testo sulle prospettive di sviluppo
della psicoanalisi destinato a ingenerare polemiche a
non finire in senso alla cosa psicoanalisi e a iniziare un
nuovo corso della stessa. Oggetto del libro ovviamente
è la tecnica analitica, nelle sue interrelazioni con la
teoria, con ripresa in grande stile dell’ipnosi. Radiata
dall’ufficialità, anche questa doveva essere praticata in
segreto.
   La misura di tanta secretante passione non può essere
colmata dal solo, contratto, desiderio di Freud e dei suoi
discepoli, ma esonda in un resto archetipico, un resto cioè
refrattario a ogni assorbimento, a ogni appartenenza.
Qualcosa in quel desiderio, come ha riconosciuto anche
Lacan, non è stato analizzato. Qualcosa, dunque, di quel
desiderio, è rimasto segreto. Se Freud arriva ad inviare
Winterstein a Zurigo a farvi un’analisi (didattica) con
Jung con l’intento di spiare la tecnica dei zurighesi,
allo stesso modo i berlinesi fanno il terzo grado a un
paziente di Rank per cavarne informazioni sulla sua
tecnica. Si rivela anche qui l’altra compensante faccia
della passione secretante: il voler sapere tutto del segreto
altrui a dispetto di ogni vincolo professionale. Freud
e company non hanno nessun riguardo a riguardo.
Quando Jones va in analisi con Ferenczi, diventa per
ciò stesso oggetto analitico dello scambio epistolare tra
l’ungherese e Freud. E molti altri triangolanti e anche
quadrangolanti esempi potrebbero essere addotti. A
estrema compensazione della passione secretante si
colloca infine l’analisi a porte aperte di Ferenczi, quel suo
configurare una situazione nella quale tutti (pazienti e
analista) sappiano tutto (complessi, fantasmi, vergogne)
di tutti (pazienti e analista): una banda di gangster. E,
però, quando lo stesso Ferenczi apprende della disonestà
di un suo paziente analista, Feldmann, si sentirà a tal
punto schiacciato dal vincolo del segreto professionale
da esigerne l’espulsione dal gruppo di Budapest.
   Alchimia e Gnosticismo e molto altro ancora
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(le dottrine non scritte di Platone, ad esempio, le
iniziazioni ai misteri) hanno storicamente incarnato
l’equazione secretante dell’ars, ma a ridosso di queste
incarnazioni, affinché tanta passione possa trovare un
punto originario di attrazione, dobbiamo rivolgerci ad
altro pulsare. Col segreto, s’è detto, siamo chez Hermes.
Hermes dà voce a quel resto archetipico che contiene
il contratto desiderio di Freud, discepoli e vari epigoni
e che il contratto desiderio di Freud, discepoli e vari
epigoni, nel loro avvincersi al segreto dell’ars, non può
contenere. Hillman non fa eccezione, ma diversamente
da loro, da Freud incognito Apollo, Rank incognita
Artemide e Ferenczi incognito Dioniso, sa che più di
Athena è Hermes a guidarlo.
    L’ars analytica è un Corpus Hermeticum. In principio il
segreto dell’ars è presso Hermes, il dio che attraversa
l’aria, non diversamente da come l’attraversano
identificazioni, introiezioni, proiezioni, identificazioni
proiettive. È questo il dio che guida le anime, che invia
i sogni, che conduce i nostri pensieri, identificazioni,
introiezioni, proiezioni, identificazioni proiettive alle
anime di chi ci sta vicino. È Hermes il logos che presiede
alla parola analitica, ma anche al silenzio che s’ingenera
improvviso tra due interlocutori. Hermes è il dio che trans
fert. Gode anche Hermes di un’originaria qualità ctonia,
che lo apparenta a Ade, per essere originariamente dio
delle acque sotterranee, dio che scava e dio che copre.
Soprattutto è hermeneùs, cioè toglie l’occulto.3
    A Hermes, capo delle Grazie, sono particolarmente
gradite tà technikà érga, le opere dell’ars. Quando
Lopez Pedraza, cui anche dobbiamo, con Hillman, la
nascita della psicologia archetipica, prova a spiegare
cos’è la psicoterapia junghiana, ne dà una definizione
compiutamente hermetica, lui che a Hermes e figli
ha dedicato uno dei testi portanti di quella nascita: la
psicoterapia junghiana non è qualcosa che deve essere fatto, è

     3  
         Accadico ermu = ciò che è nascosto e neu = togliere via, in Semerano, G., 1994,
Le origini della cultura europea. Vol. II. Dizionari etimologici. Basi semitiche delle lingue
indoeuropee. Dizionario della lingua greca. Olschki, Firenze, p. 98.
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qualcosa che accade.4 Questo è anche Hermes, il dio nei
cui doni ci s’imbatte, il dio delle cose che si trovano
lungo il cammino. “Chi s’imbatte in qualche cosa di
prezioso sulla via, colui al quale capita improvvisamente
un colpo di fortuna, costui ringrazia Hermes. Perciò si
chiama, com’è noto, tutto ciò che si può definire trovato
dono suo (hermaion).”5 Se ne ricordino gli psicoterapeuti
quando s’imbattono in un insight. Non si riducano
a essere delinquenti di rimbalzo nel dissimulare
provenienze altre. Hermes è il dio dell’inappartenenza,
dunque non ci appartengono propriamente neanche i
suoi trovati doni. Ed è per questo motivo, perché non ci
appartengono, che possiamo veramente goderne.
    Fugax ille Mercurius: la materia mercuriale nell’alchimia
è estremamente evasiva. E, però, il mysterium coniunctionis
avviene da quelle fuggitive, scioglienti parti. Per dirla
con Jung: Mercurio è un demone che aleggia tra
paziente e psicoterapeuta. Nel transfert di paziente e
psicoterapeuta si tratta dunque di un loro venire alle
prese con ciò che non può appartenere. Non è proprio
nella natura del dio di vincolarsi a una determinata
regione, fosse anche quella del setting: non c’è temenos che
tenga di fronte alla volatilità degli insight. Non sarebbe
forse (stato) il caso di metterli per iscritto, di desecretare
l’ars? I supposti custodi dell’ars non sono stati per lo più
di quest’avviso, non hanno per lo più scritto manuali di
tecnica. Non Freud, non Jung, non Adler, non Lacan
e nemmeno Hillman. Il signor P, psicoterapeuta, il
cui nome tengo segreto, lamenta proprio questo, che
Hillman non ci ha detto nulla di tecnica analitica. D’altro
canto il signor H, psicoterapeuta, il cui nome anche
tengo segreto, non si dichiara granché impressionato
dalla sperimentata (come paziente) ars di Hillman. Né
l’uno né l’altro hanno onorato come avrebbero dovuto
Hermes attraverso Hillman. Nello stesso tempo il loro
duplice lamento è stato il mio hermaion.
     4
       Post-Jungian Movements: Conversations with Rafael López Pedraza by Axel Capriles
M., 2007, in Spring 77. Philosophy and Psychology, New Orleans, p. 247.
     5
       Otto, W. F., 1929, Gli dei della Grecia. L’immagine del divino riflessa nello spirito greco.
Il Saggiatore, Milano, 1968, p. 136.
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   Ci si può lamentare del fatto che Hillman non ci
ha parlato di tecnica analitica? Certamente no, rimane
però l’altro interrogativo: se nessuno la desecreta, come
si apprende l’ars? Cosa intende dire Ferenczi quando
equipara a un’analisi terapeutica la cosiddetta analisi
didattica, questo spazio ipotetico di apprendimento
dell’ars nel quale Adler da subito non ripone alcuna
fiducia? Cosa analizza l’aspirante analista al cospetto
del suo didatta, l’analista supposto insegnare? Il proprio
controtransfert, rispondevano gli ungheresi. Il proprio
controtransfert, non l’ars. Quanto all’insegnamento dei
berlinesi, esso inflazionava l’aspirante psicoanalista di
teoria. Navigando lungo la linea spirituale di Ferenczi,
Lacan ha ripensato l’assoluta Hilflosigkeit dell’aspirante
analista, la necessità che questi sprofondi nell’angoscia
dell’angoscia, che sperimenti l’assoluto essere inerme.
Si può insegnare l’assoluto essere inerme? L’idea
che l’ars sia insegnabile correla con un mondo non
hermetico di verità, un mondo sottratto all’inganno. Un
mondo immaginario di onnipotenti corrispondenze di
oggetti e desideri. All’ombra di Hermes sappiamo però
che l’origine è inganno. Non è questa forse la lezione
dell’inno omerico dedicato al dio? L’origine non è
innocente. L’innocenza viene dopo. L’aspirante analista
non deve imparare l’ars, deve sperimentare l’angoscia
spingendosi in territorio selvaggio. Lì regna Artemide,
lì diventa Atteone: così Giegerich nella sua negativa
declinazione dell’anima. Analogamente, se è vero che
nella pratica analitica di Ferenczi non si tratta più di
tecnica ma di posizione etica, allora occorrerà definire
tale posizione come modo di abitare i luoghi. Selvaggio
diventa allora l’aspirante analista là dove sa abitare
territori selvaggi. Nei territori selvaggi la psicoterapia
non è qualcosa che deve essere fatto, è qualcosa che
accade.
   Cosa apprendono, o sostengono di aver appreso, gli
psicoterapeuti dagli psicoterapeuti? Lampl-de Groot
scrive di aver imparato da Freud come si evolve l’analisi.
Melanie Klein afferma di aver appreso da Ferenczi la
realtà dell’inconscio. Gedo ha appreso da Gitelson che
Hermes e l’hillmanalisi                               17

un’analisi richiede un ritmo serrato e continuativo di
sedute, una riedizione di quello che deve aver appreso
anche, ad esempio, Rado dopo essere andato in analisi
da Abraham sei giorni alla settimana per due anni.
Polster, analogamente, sostiene di aver imparato da
Perls la potenza della semplice continuità. Un’ottima
indicazione tecnica a saperla incontrare. Cosa ha
imparato Margaret Little dalla mano di Winnicott che le
teneva la mano prima di iniziare, propriamente, l’ora di
analisi? Che l’ars si apprende con un colpo di mano? La
mano c’entra molto ovviamente con l’analisi se Miller, il
Commentatore di Lacan, è arrivato ad affermare che gli
psicoanalisti avrebbero aspirato a un sapere da non mettere
nelle mani di chiunque.6 Le mani di Winnicott, ovviamente,
non sono le mani di chiunque. E neanche lo sono, di
chiunque, quelle di Ferenczi che le precedono. Né,
tantomeno, quelle di Freud al tempo in cui le imponeva
al paziente ipnotizzato. Teagete non aveva argomentato
diversamente, nell’omonimo nonché pseudoplatonico
dialogo, quando riconduceva al contatto con Socrate,
alla presenza di Socrate, l’acquisizione di sapere.
Presenza che vale anche a prescindere dalla mano. Non
per caso Hermes è raffigurato in forma quadrangolare
senza mani e senza piedi, dal momento che, per portare
a compimento ciò che si propone, non ne ha bisogno.
    I soggetti supposti custodire il segreto dell’ars sono
anche disposti a rivelare ciò che hanno appreso da altri
soggetti supposti custodire il segreto dell’ars, ma non
dicono come, ammesso che lo sappiano. Harold Bloom
ha tematizzato, con riferimento al genio dei personaggi
di Chaucer e Shakespeare, una peculiare qualità del loro
dire. Il loro dire è mutativo: mentre dicono, esperiscono
cambiamenti. Un’analogia analitica la si può rinvenire in
quell’arte del parlare di cui ha fatto discorso il quacchero
Rickman: la difficile ars dell’extempore speaking, cioè il dare
libero gioco al processo del pensiero mentre si parla.7 Giegerich,
    6
        Miller, J.-A., 2006, Pezzi staccati. Introduzione al Seminario XXIII “Il Sinthomo”,
Astrolabio, Roma, p. 101.
    7
       Rickman, J., 1951, “Reflections on the Function and Organization of a
Psycho-Analytical Society”, in Selected Contributions to Psycho-Analysis, ed. by Scott,
C. W. M., Hogarth Press, London, 1957, p. 203.
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dal canto suo, ha pensato al vero terapeuta come a uno
che nella stanza d’analisi, invece di applicare teorie o
tecnica, deve sempre estemporizzare. Soltanto a questa
condizione si trova in territorio selvaggio, artemideo.8
L’extempore speaking correla poi con il rilassamento
dell’analista, cioè il suo essere completamente libero
dall’angoscia (costellazione, questa, cui Sterba attribuiva
i successi terapeutici di Ferenczi).9 Strachey, allievo e
traduttore di Freud, ha parlato di interpretazione mutativa.
Io qui voglio parlare di lettura mutativa con riferimento
agli scritti di Hillman, al loro divenire, leggendoli,
hermaia, doni di Hermes, il dio la cui ars è occulta, e
in relazione al nostro accedervi mutando, mutuando,
introiettando. Di questo ha intanto bisogno il signor P.
Quanto al signor H il bisogno, come vedremo, è ancora
altro.
    Che la lettura possa essere mutativa (e mutuativa) in
più di un senso lo spiega bene quella paziente di Lowen
alla quale la lettura de La funzione dell’orgasmo di Reich
aveva permesso di provare l’esperienza dell’orgasmo per
la prima volta nella sua vita.10 Posso anche menzionare
quella mia lettrice nella quale la lettura del mio Discorso
sul sogno induceva il ricordo del sogno in periodi di
assoluta refrattarietà della memoria onirica. Un modo
non ordinario di coscienza di dirmi anche: il suo libro mi
fa dormire, cioè, ridefinendo pro domo mea, mi fa entrare nel
terzo stato.
    Si potrebbe obiettare che di ogni testo, del testo in
quanto tale, è possibile fare letture mutative/mutuative.
Con l’eccezione, solo in apparenza paradossale, della
maggior parte dei testi (in particolare junghiani) dedicati
espressamente alla tecnica analitica nei quali per lo più
l’ars rimane in una sospensione larvale. Tuttavia qualcosa
aleggia negli scritti, solo in apparenza non tecnici, di
Hillman che li apparenta alla volatilità dello spirito

      Giegerich, W., 2001, La vita logica dell’anima, Vivarium, Milano, 2010, p. 489.
     8  

     9
        Sterba, R., 1941, “The Relaxation of the Analyst”, in The Collected Papers,
North River Press, Croton-On-Hudson, New York, 1987, p. 138.
     10  
         Lowen, A., 2004, Onorare il corpo. La nascita della Bioenergetica nell’autobiografia del
suo fondatore. Xenia, Milano, 2011, p. 47.
Hermes e l’hillmanalisi                             19

Mercurio. Qualcosa che è dell’ordine del non contenitivo
e dell’attraversabile. Le style c’est l’analyste. E, però, quello
stile non si compone soltanto di Hermes. Non si ferma
all’extempore speaking, alla pratica di un pensiero che
avviene mentre si dice. Tutto quello che ha fatto, dice di
sé Hillman, emerge da una spinta a distruggere. Marte
lo guida più di Saturno, Hermes più di Athena. Distruzione,
non annichilimento. Decostruzione, non perseguimento
di quella vittoria che appartiene alla nata adulta dalla
testa di Zeus, non a Marte.
    Scrivere libri equivale per Hillman a condurre una
campagna militare. Meier, che a 17 anni legge i Tipi
Psicologici, è il suo nemico preferito. La psicoterapia è un
movimento rivoluzionario contro il puritanesimo. Lo
studio dell’analista è una cellula rivoluzionaria, là dove
orienti in direzione del mondo, delle cose, della bellezza,
della città. Si allea Hillman alla battaglia di Freud, Jung
e Reich contro l’ammortizzamento del desiderio. Va
(in)contro, Hillman, (al)le paure degli analisti di fronte
allo scatenamento dell’immagine (paura che i pazienti
si suicidino, che i pazienti li seducano e viceversa,
che possano essere aggressivi e violenti durante l’ora
analitica). Va contro, Hillman, la terapia-business la cui
materia prima è fatta di traumi e stupri. L’hillmanalisi si
gioca insomma tra Marte e Hermes, tra guerra e segreto.
L’analista à la Hillman non soltanto si fa mediatore tra
le potenze guaritrici dell’inconscio e gli dèi, ma anche
tra gli dèi stessi.
    La vis polemica di Hillman è un hermaion, a saperlo
incontrare, a prova di paranoia,11 erede a suo modo
delle origini del movimento psicoanalitico la cui storia
Ferenczi fa esordire nel segno della Guerrillakrieg, la
guerra di guerriglia, la guerra per bande, la guerra furente
dei singoli che precede quella, regolata, di Athena (la
fondazione dell’IPA). Appunto al Weltbild di Athena
vanno ricondotte quelle che lo psicoanalista ungherese
chiama le Kampfregeln, le regole di combattimento che
    11  
        Quintaes, M., 2008, “Hillman Re-visioning Hillman: Polemics and Paranoia”,
in Archetypal Images. Reflections in Honor of James Hillman, edited by S. Marlan, Spring
Journal Books, Louisiana.
20                   Giorgio Antonelli

esigono il rispetto dei contendenti. La guerra, dunque,
va riportata indietro dalla consolidata, istituzionale
vittoria di Athena al furore di Marte.
    Il Marte che attraversa Hillman investe e decostruisce
tutto lo psicodinamico e lo psicoterapeutico vigente:
Freud (che dimentica Edipo a Colono), Boss (che degrada
gli animali, dunque le immagini), Perls (che rinforza l’Io
eroico), comportamentismo e cognitivismo (per i quali
il desiderio è sbagliato, ergo bisognoso di correzione), la
psicologia dell’Io (perché analogamente adatta oggetti
e desideri), le discipline orientali (perché mancano
l’individuazione delle cose, dunque l’individuazione
tout court), la terapia della memoria (perché nella
memoria si rimane vittime), la psicoterapia di per sé (in
quanto anti-immaginativa e nella misura in cui manca
Afrodite, manca di estendersi al mondo sensibile degli
oggetti, manca la propria equazione estetica), le terapie
incentrate sull’emozione invece che sull’immagine,
perché il trattamento delle emozioni rinforza l’Io (lo
stesso che, ignorandosi come immagine, blocca le
immagini), ogni metodo confessionale personale (dal
momento che incoraggia l’illusione che il possesso
dell’emozione appartenga al senso del proprium), le
terapie che oggettivano il sogno (dal momento che il
sogno non è qualcosa che si ha, nel sogno si è, e tutti
gli eventi vanno considerati oniricamente), Neumann
(con la sua engulfing Grosse Mütter), Esther Harding, che
difende l’eroe uccisore del drago (so moralistic!), la von
Franz (che attacca il Puer Aeternus), Jung, che rimane
impigliato nel conflitto Hermes-Cristo (prova ne sia
il monoteismo del Sé nonché l’oscuramento cristiano
delle immagini alchemiche), la psicologia analitica in
genere (ad esempio perché manca il fondamento del
linguaggio) e, infine, Hillman stesso che traviato dal puer
Keats guarda alla valle del fare l’anima a prescindere
dalle cose del mondo, quel là fuori in cui si fa veramente
individuazione.
    Il Marte che attraversa Hillman guerreggia dunque
col puer che pure l’attraversa, guerreggia cioè con la
Hermes e l’hillmanalisi              21

stessa (dichiarata) origine della psicologia archetipica.12
Hillman adversus Hillman. Se si tratta di andare nel
mondo nell’interesse della propria anima, con ciò
mancando l’inter-esse delle cose del mondo, mancando
cioè l’individuazione, si comprende perché Hillman sia
arrivato a considerare la terapia, fosse anche la migliore,
un contributo alla distruzione del mondo. Marte, però,
non vuole la distruzione, vuole il furore.
    Non basta, comunque, imbattersi in un dono, occorre
saperlo re-visionare come ars. Nell’inno omerico è questo
appunto che Hermes fa appena nato: vede una tartaruga e
immediatamente la re-visiona come lira. Potremmo anche
dire che la ri-legge, dal momento che proprio di questo
si tratta nella re-ligio, di un essere re-legens. Al signor
P consiglio dunque di essere a tal punto religiosus da
rileggere Hillman come se avesse scritto esclusivamente
di tecnica analitica, come se avesse declinato, alla stregua
di altrettanti hermaia, i segreti dell’ars.
     Quale lezione possiamo mutuare, introiettare, noi
re-legentes, da Il sogno e il mondo infero? Ad esempio che
la Traumdeutung di Freud è una onirica tartaruga da
re-visionare nella lira dell’ars analitica. E dalla Re-visione
della psicologia? Che quattro sono i movimenti dell’ars:
per-sonare (cioè far risuonare la soggettività del non
umano), patologizzare (perché l’anima è costretta
sempre ad ammalarsi di nuovo finché non ottiene ciò
che vuole), psicologizzare (cioè vedere in trasparenza),
disumanizzare. Signor P non sono questi moniti analitici
odorosi di tèchne? E non odora di tèchne anche il rimando
di Hillman alla filosofia persiana della luce, via Corbin,
al barzakh, il mondo delle forme sospese, altrimenti
detto mondo immaginale? Se non vediamo tèchne nelle
elevazioni di Sohravardi, come possiamo lamentarci
che Hillman non abbia detto nulla di tecnica analitica?
E quanta ulteriore tèchne si annida nella o, a seconda dei
casi, sprigiona dalla riflessione hillmaniana sul plusvalore
linguistico dell’alchimia? Non soltanto abbiamo bisogno
dell’alchimia per capire teoria e pazienti, ne abbiamo
bisogno perché il suo linguaggio è terapeutico.
   12
        Giegerich, W., 2001, La vita logica dell’anima, cit., p. 178.
22                            Giorgio Antonelli

    C’è, ancora, molto da mutuare dai Racconti che
curano: non è questa forse una splendida metafora
dell’ars? cos’altro sono, poi, le teorie se non racconti?
cos’altro le interpretazioni? C’è anche molto da re-
legere nelle frequentazioni femminili di Hermes: non
soltanto Hestia, come vuole Hillman stesso, ma Hekate,
frequentatrice come Hermes delle strade, la dea dei
trivi. Nei trivi, va da sé, il dire è trivial. Ma, in ottica
archetipica, è concepibile una psicoterapia hekatea che si
preoccupi di trovare le connessioni tra le trivialities della
vita e la psiche.13 Nel setting analitico la banalità può
diventare parola piena. Non importa cosa succeda fuori
della stanza analitica, una volta che si varca la soglia
qualcosa è già accaduto, si è stabilito un temenos, muta
la conversazione, la stanza non è più quella, non è più
quello il respiro.
    Il setting analitico è realmente il luogo più adatto al
farsi dell’ars, al farsi del servizio della psiche (cioè della
psicoterapia), perché la psiche si muove solo attraverso il
rituale, perché è proprio là che si trova la morte, perché
il regno delle immagini s’identifica col regno dei morti.
È nel setting che l’immagine, aereo veicolo dell’ars, si fa,
anche contingente onnicontenitore. Hermes è volatile,
l’insight è volatile, l’ars è volatile. Spetta allo psicoterapeuta
farsi provvisorio contenitore di hermaia, lasciarsi
attraversare dai doni. Hermes non è dio che consenta
appartenenze o contenimenti. Saperlo, introiettarlo,
introiettare l’inappartenenza, la permeabilità dei confini,
danzare con le volatilità compongono l’ars. Spetta allo
psicoterapeuta farsi amico dell’aria, indossare calzari
alati. Dall’aria i pensieri che gli sono destinati non
mancheranno di raggiungerlo.
    Non basta neanche, però, rileggere la tartaruga in
lira. Si tratta di farsi, chez Hermes, ladri. L’ars va rubata.
Occorre farne – e qui Hermes s’apparenta a Marte –
bottino di guerra. L’ars va rubata, facendo a meno

    13  
         Popovic, V. B., 2008, “Hekate, or On Being Trivial in Psychotherapy”, in
Archetypal Images. Reflections in Honor of James Hillman, cit., p. 390.
Hermes e l’hillmanalisi               23

dell’altro, del padre, di Freud, di Jung, di Hillman, di
Dio, facendone a meno a condizione di servirsene.
Cosa importa a Hermes che le vacche siano di Apollo?
Anche Hillman si fa tartaruga nel momento in cui noi
ci facciamo suoi re-legentes. Per dirla con Lacan l’atto è
nachträglich. L’atto è delinquenziale, come vuole anche
l’Averroè del maître francese. Il che appare del tutto
evidente nell’agire di Hermes. L’atto è delinquenziale
e la psicologia, come ha scritto Lyn Cowan, è subversive.
Marte la guida più di Saturno.
   Capisco bene a quale focus il signor H desiderava
si piegasse la sua analisi con Hillman. Si tratta,
nell’hillmanalisi, di acquisire la capacità (negativa) di
vivere in compagnia di (non) enti: fantasmi, demoni,
spiriti guida, la folla del metaxù, del barzakh, del
bardo. Imago homini deus. E, ancora, di veder personare
attraverso ogni volto, di paziente, d’immagine onirica,
di animale, un Dio. Animal homini deus. Questa capacità
non ci è data da un altro, non basta accedere al setting per
ottenerla. Anima homini deus.
   Signor H, il sognatore sa che attraverso le figure del
sogno personano dèi? Sa di essere anche lui personante
quando entra nel temenos? O si aspetta di essere deificato?
Forse chi entra nel setting dell’hillmanalisi può illudersi di
farsi dio nel tempo. Il setting, certo, di per sé è archetipico.
Come può diventarlo chi vi entra? Come può accedere a
tanta grandeur? Rileggendo, introiettando, rubando. Con
furore. Con gioia. Con la gioia infinita di Hermes. Il non
appartenente. Il non contenente. Signor H, uscendo
dall’hillmanalisi, avresti dovuto comprendere che, già
prima di entrarvi, anche tu eri hermaion, hermano, mano
di un Dio.
24                        Giorgio Antonelli

Abstract
Giorgio Antonelli
Hermes e l’hillmanalisi
   Hillman non ha scritto un manuale di tecnica analitica.
Nemmeno Freud, Jung, Adler o Lacan l’hanno scritto.
Questo significa che non ne hanno fatto discorso? Chi
scrive di psicologia del profondo può prescindere forse
dal fare discorso di tecnica analitica? La tecnica analitica
è però un segreto ben custodito. Un sapere da non
mettere nelle mani di chiunque. Come si apprende allora
da un altro l’ars analytica? Come apprendiamo dagli scritti
di Hillman l’ars se Hillman non ne scrive? La risposta è
semplice, cioè divina: la si apprende all’ombra del dio
Hermes, il dio dell’arte occulta ma anche il dio ladro.
Si apprende dall’altro, il soggetto supposto custodire
il segreto, a dispetto dell’altro, si apprende, per dirla
con Lacan, facendo a meno dell’altro a condizione di
servirsene.
Parole chiave: ars analytica –­ Hermes –­ Marte –­ setting
Giorgio Antonelli
Hermes and Hillmanalysis
    Hillman did not write a manual on the technique of
psychoanalysis. Nor did Freud, Adler, Jung or Lacan.
Does this then mean that they avoided discussing it?
Can anyone writing on psychoanalysis avoid a discourse
on analytical technique? That technique is a well-kept
secret – a knowledge not to be shared with just anyone.
How then does one acquire an “ars analytica”? How
is it possible to acquire an “ars” from the writings of
Hillman if he does not mention it? The answer to this is
simple: it is acquired in the shadow of the god Hermes,
the god of the occult arts, but also the thief god. And
it is learned also from the other, the assumed custodian
of the secret, despite the other; that is, as Lacan tells
us, doing without the other in order to learn from the
Hermes e l’hillmanalisi                           25

same.
Keywords: ars analytica –­ Hermes –­ Mars –­ setting

Giorgio Antonelli, psicoterapeuta, www.giorgioantonelli.it, presidente del
“Centro Studi Psicologia e Letteratura fondato da Aldo Carotenuto” (www.
centrostudipsicologiaeletteratura.org). Insegna psicologia dinamica alla scuola di
specializzazione in psicoterapia a indirizzo analitico ATANOR. Tra le sue più
recenti pubblicazioni figurano Al di là della psicoanalisi. Otto Rank (Lithos, Roma,
2008), Discorso sul sogno (Lithos, Roma, 2010), Il superuomo in psicoanalisi (Alpes,
Roma, 2011) e la raccolta di poesie Inebriatevi volubili (Lithos, Roma, 2012).
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