Gestione del paziente con pregresso inibitore nell'emofilia A - G. Malcangi, V. Iandolo, R. Marino, A. C. Molinari, R. C. Santoro, A. Tagliaferri
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G. Malcangi, V. Iandolo, R. Marino, A. C. Molinari, R. C. Santoro, A. Tagliaferri Gestione del paziente con pregresso inibitore nell’emofilia A
G. Malcangi, V. Iandolo, R. Marino, A. C. Molinari, R. C. Santoro, A. Tagliaferri Gestione del paziente con pregresso inibitore nell’emofilia A
A cura di Giuseppe Malcangi 1, Valeria Iandolo 1, Renato Marino 1, Angelo Claudio Molinari 2, Rita Carlotta Santoro 3, Annarita Tagliaferri 4 1 Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Bari, Centro Emofilia e Trombosi, Bari, Italia 2 Istituto Giannina Gaslini, Centro Regionale di Riferimento per le Malattie Emorragiche, Genova, Italia 3 Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio, Centro Regionale di Riferimento per le malattie Emorragiche e Trombotiche, Catanzaro, Italia 4 Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Struttura Semplice Dipartimentale Centro Hub Emofilia e Malattie Emorragiche Congenite, Parma, Italia © 2020 The Author(s) Questo volume è pubblicato sotto licenza CC BY-NC 4.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0) Il fee per l'open access è stato corrisposto da Swedish Orphan Biovitrum s.r.l. Il permesso per il riutilizzo commerciale deve essere richiesto scrivendo a: © SEEd srl Via Magenta 35 – 10128 Torino, Italia Tel. +39.011.566.02.58 www.seedmedicalpublishers.com info@seedstm.com Prima edizione Dicembre 2020 Tutti i diritti riservati https://doi.org/10.7175/952 Immagine in copertina: ID 19369928 © Danieltaeger | Dreamstime.com ISBN 978-88-97419-95-2 SEEd S.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio delle informazioni contenute nel presente volume. Tali informazioni non devono essere utilizzate o interpretate come ausilio diagnostico e/o terapeutico e non devono essere intese come sostitutive del consulto del medico. II
Sommario Prefazione..........................................................................................................................................1 Introduzione: l’emofilia di tipo A.............................................................................................2 1 I concentrati con emivita prolungata (EHL)...............................................................4 1.1 Che cosa sono............................................................................................................4 1.2 L’accoglienza da parte di medici e pazienti....................................................5 2 L’insorgenza di inibitore: l’evento collaterale più temuto..................................7 2.1 Gli inibitori...................................................................................................................7 2.2 Le possibilità terapeutiche....................................................................................8 3 ITI (prima linea)................................................................................................................... 11 4 Rescue ITI (seconda linea).............................................................................................. 14 5 Emicizumab........................................................................................................................... 15 6 Eradicazione incompleta dell’inibitore: strategie nella pratica clinica...... 22 7 Eradicazione completa dell’inibitore: quali farmaci somministrare dopo? Strategie in letteratura e nella pratica clinica....................................................... 24 8 Efmoroctocog alfa nell’ITI: dati dalla letteratura................................................ 29 9 Switch a EHL in pazienti con pregresso inibitore................................................. 32 10 Bibliografia............................................................................................................................ 36 Finanziamenti............................................................................................................................... 47 Conflitti di interesse................................................................................................................... 47 III
Prefazione La gestione del paziente affetto da emofilia A con inibitore o con storia di inibitore è un tema controverso dell’ematologia. Sebbene vi siano delle linee guida e diversi protocolli di trattamento siano stati sperimentati nel tempo, anche con un discreto successo, molti sono an- cora i dubbi, dato che la variabilità interindividuale di risposta alle terapie, sia quelle volte all’eradicazione dell’inibitore, sia per la profilassi delle emorra- gie, che per la gestione dei sanguinamenti in acuto, rende difficile raccoman- dare una strategia invece di un’altra. Inoltre negli ultimi anni si è assistito a importanti innovazioni nella terapia dell’emofilia grazie alla commercializzazione di nuovi prodotti, in particola- re i concentrati di fattore VIII (FVIII) ricombinante con emivita prolungata (extended half-life – EHL) ed emicizumab, anticorpo monoclonale bispecifico a somministrazione sottocutanea. Ulteriori farmaci per tale patologia sono in corso di sperimentazione e potenzialmente in futuro offriranno agli emofilici ulteriori possibilità di trattamento, andando così ad affinare ulteriormente la personalizzazione della terapia, un tema caro a tutti coloro che sono affetti da patologie croniche. Il presente volume nasce dal desiderio di alcuni medici esperti nella gestio- ne dell’emofilia di condividere le esperienze di diversi centri emofilia italiani (Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Bari, Istituto Giannina Ga- slini di Genova, Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio di Catanzaro e Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma) per stimolare la discussione sul miglior approccio di trattamento nei pazienti affetti da emofilia A con inibitore pre- sente o pregresso. Pertanto SEEd Medical Publishers ha organizzato, con il contributo incondizionato di Swedish Orphan Biovitrum s.r.l. (SOBI) Italia, due meeting online focalizzati su alcuni aspetti della gestione del paziente con emofilia A. Le esperienze condivise e gli spunti di discussione emersi nel corso dei due incontri relativi a induzione dell’immunotolleranza e tratta- mento del paziente con pregresso inibitore sono illustrati in questo testo e sostanziati dalla letteratura più recente sul tema. Ad agosto 2020 sono state pubblicate le più recenti linee guida della World Federation of Hemophilia [1], alle cui principali raccomandazioni si è fatto rife- rimento nel testo, che era in corso di stesura al momento della loro pubbli- cazione. 1
Introduzione: l’emofilia di tipo A L’emofilia di tipo A è una malattia rara congenita dovuta alla carenza del FVIII della coagulazione. I geni del FVIII sono localizzati sul cromosoma X: la malattia (X-linked) viene trasmessa come carattere recessivo e si manifesta nei maschi, mentre le femmine possono esserne portatrici sane e trasmetter- la ai figli. La maggior parte delle mutazioni è famigliare, ma si calcola che nel 30% circa dei casi le mutazioni possano essere sporadiche [1]. Si tratta di una malattia rara, per la quale si stima una prevalenza mondiale di maschi affetti pari a poco meno di un milione, cifra che tiene conto di una quota maggioritaria di pazienti a cui non è mai stata posta la diagnosi [1]. La prevalenza stimata alla nascita è di 24,6 casi ogni 100.000 maschi [1]. Dati recenti riportano poco più di 4.000 malati in Italia [2, 3], che fanno riferimen- to a 52 centri per il trattamento dell’emofilia distribuiti su tutto il territorio italiano [4], affiliati all’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE). Dal punto di vista clinico, l’emofilia A si manifesta con sintomi emorragici del tutto si- mili ma di maggiore o minore frequenza e gravità, a seconda della gravità del difetto coagulativo: •• emofilia grave (FVIII < 1%): frequenti emorragie spontanee o causate anche da minimi traumatismi; •• emofilia moderata (FVIII > 1-5%): occasionalmente emorragie spon- tanee, più spesso emorragie secondarie a traumatismi anche modesti, manovre invasive, interventi chirurgici; •• emofilia lieve (FVIII > 5-40%): emorragie in seguito a traumi di una certa entità o interventi chirurgici. I distretti più colpiti dalle emorragie spontanee sono le articolazioni, con generazione di emartri (in particolare caviglie, ginocchia e gomiti), e i mu- scoli [1]. Emartri ripetuti e non adeguatamente trattati possono portare nel tempo a una complicanza cronica estremamente invalidante: l’artropatia emofilica [1]. I pazienti possono presentare emorragie in altre sedi: cerebrali, gastro-in- testinali (ematemesi, melena, proctorragia), genito-urinari (ematuria), orofa- ringee, oculari, spinali e nelle cavità (emotorace, emoperitoneo, emopericar- dio). Sebbene rare, alcune di esse sono urgenze mediche, che devono essere diagnosticate e trattate precocemente, specie se possono mettere in pericolo 2
le funzioni vitali (es.: emorragie cerebrali, emoftoe, emorragie lingua e collo, ecc.). L’approccio terapeutico ha subìto una profonda e rapida evoluzione dalla seconda metà del XX secolo; la base del trattamento è la sommini- strazione del fattore coagulativo carente all’insorgenza della emorragia. Il gold standard di trattamento è la terapia sostitutiva endovenosa con con- centrati di FVIII, che possono essere di origine plasmatica o ricombinanti [1] e che devono essere somministrati all’insorgenza della emorragia. Tanto più precoce è il trattamento, tanto maggiore sono l’efficacia e la rapidità della risoluzione dei sintomi. La somministrazione endovenosa di FVIII non solo consente di arrestare le emorragie, ma anche di prevenirle in caso di traumi o interventi chirurgici. Un regime terapeutico che sta modificando la storia naturale dell’Emofilia è la profilassi, che consiste nella somministrazione pro- grammata dei concentrati al fine di prevenire o di ridurre la frequenza degli episodi emorragici. Può essere effettuata come profilassi primaria (iniziata in assenza di danno articolare documentato, prima del secondo emartro cli- nicamente evidente e prima dei 3 anni di età), secondaria (iniziata in assen- za di danno articolare documentato, dopo o in corrispondenza del secondo emartro clinicamente evidente) o terziaria (iniziata in presenza di artropatia emofilica documentata) [1]. La somministrazione al bisogno, benché utile in acuto ai fini di far cessare il sanguinamento e ridurre il dolore, non cambia la storia naturale della malattia e dunque non impedisce la formazione del dan- no muscolo-scheletrico: pertanto si raccomanda di effettuare la profilassi [1]. Tra le altre terapie che possono essere utilizzate, vi sono desmopressina, efficace nei pazienti con forma lieve di emofilia A, acido tranexamico, utile soprattutto per i sanguinamenti a livello delle mucose, gli agenti bypassanti, che favoriscono la formazione del coagulo agendo a monte o a valle del FVIII, ed emicizumab, un anticorpo monoclonale bispecifico che mima l’azione del fattore VIII [1]. Gli agenti bypassanti ed emicizumab risultano particolarmen- te utili in caso di insorgenza di inibitore, evento meglio descritto nel Capitolo 2 del presente volume. 3
1 I concentrati con emivita prolungata (EHL) 1.1 Che cosa sono Grazie all’entrata in commercio dei concentrati di FVIII, è stato possibile ri- durre notevolmente la frequenza delle emorragie, migliorando lo status delle articolazioni e la qualità di vita dei pazienti [3]. Tuttavia, i primi concentrati di FVIII utilizzati erano esclusivamente pla- sma-derivati e la loro infusione ha purtroppo determinato il diffondersi, tra i pazienti con emofilia, di infezioni da virus quali HBV, HCV e HIV [4]. Nel 1992 sono stati introdotti i primi FVIII ricombinanti [5] e per entrambe le categorie di prodotti – plasma-derivati e ricombinanti – nel tempo sono state sviluppa- te e affinate le tecniche di inattivazione virale e di altri patogeni. Grazie a tali progressi, nessun caso di trasmissione di HBV, HCV o HIV è stato registrato negli ultimi 25 anni a seguito dell’utilizzo di FVIII plasma-derivato [4]. Per quanto riguarda i FVIII ricombinanti, dall’immissione in commercio non sono state rilevate trasmissioni virali riconducibili al loro uso [4], ragion per cui l’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE) stessa li raccomanda come pro- dotti di scelta nei pazienti mai o minimamente trattati e in coloro che sono già stati precedentemente trattati con prodotti ricombinanti [4]. Benché nes- sun prodotto biologico possa garantire l’assenza totale di rischio, i FVIII at- tualmente in commercio possono essere considerati virologicamente sicuri. Una volta arginato il rischio infettivo, la ricerca ha affrontato un’altra que- stione, che riduce la qualità di vita e l’aderenza alla terapia [6]: la necessità di effettuare numerose infusioni endovenose. La breve emivita del FVIII rende infatti indispensabile l’elevata frequenza di somministrazione. Per superare questi problemi sono stati prodotti in laboratorio dei fattori con emivita pro- lungata (extended half-life – EHL). Attualmente in Italia sono commercializzati 4 concentrati EHL: tre PEGilati (rurioctocog alfa pegol, damoctocog alfa pegol e turoctocog alfa PEGilato [7, 8]) e uno coniugato con Fc (efmoroctocog alfa [9]). Quest’ultimo è l’unico ad avere anche l’indicazione pediatrica, mentre i PEGilati possono essere utilizzati solo nei pazienti con età ≥ 12 anni. Efmoroctocog alfa è stato il primo EHL a essere commercializzato in Italia, a luglio 2016, ed è stato l’unico fino a gennaio 2020 [6]. 4
1.2 L’accoglienza da parte di medici e pazienti Secondo l’esperienza dei clinici scriventi, i concentrati EHL sono stati accol- ti con un certo entusiasmo. Hanno, infatti, modificato gli schemi di profilassi e le modalità di trattamento e approccio alla malattia sia da parte dei pazienti, sia da parte dei medici che li hanno in cura, permettendo di superare i pro- tocolli che venivano usati da 20 anni e favorendo la personalizzazione della terapia, con un notevole vantaggio per i pazienti. Tuttavia, alcuni clinici re- stano refrattari al cambiamento e non hanno riconosciuto il vantaggio dello switch da standard half-life (SHL) a EHL. Lo studio retrospettivo a singolo centro condotto da Tagliaferri e colleghi [6] su 18 pazienti con emofilia A ha dimostrato che, a seguito di tale switch, è stato possibile ridurre la frequenza di infusione di circa il 30% fin dall’inizio della profilassi con il prodotto EHL. Un’ulteriore riduzione della frequenza di somministrazione di circa il 40% è stata osservata nella maggior parte dei pa- zienti, insieme all’incremento, al contempo, della soddisfazione per il tratta- mento, e alla diminuzione del consumo settimanale e annuale di concentrato mediamente del 12%, migliorando la gestione delle emorragie intercorrenti e mantenendo stabili i tassi di sanguinamento e i trough level del FVIII, che in alcuni casi sono aumentati [6]. In generale, con l’introduzione dei concentrati EHL, sono cambiati gli algo- ritmi decisionali del medico, che ora deve tener conto di diverse variabili che influiscono sul processo decisionale: •• età; •• trough level del FVIII; •• emivita del FVIII; •• stato articolare; •• storia di inibitore; •• aderenza alla terapia; •• storia clinica; •• tipo di attività e stile di vita; •• eventi avversi; •• accesso venoso; •• regime terapeutico precedente. Parallelamente si sono modificate anche le richieste da parte del paziente, che ora ha aspettative diverse anche in merito alla qualità di vita. Una survey condotta in Germania, Austria e Svizzera poco prima dell’im- missione in commercio degli EHL ha raccolto circa un migliaio di questionari da soggetti affetti da emofilia di tipo A e di tipo B (dovuta a carenza di fattore 5
IX della coagulazione) e dai loro genitori [10]. I dati raccolti riguardavano per l’83% pazienti con emofilia A, per lo più di grado grave. Le loro aspettative nei confronti degli EHL sono risultate essere principalmente una minor frequen- za di infusione (55,2%) e una maggiore efficacia (32,1%). Il 59,5% dei pazienti intervistati si è dichiarato disponibile a effettuare lo switch a EHL, quando disponibile sul mercato, se tale prodotto garantisce un’emivita prolungata e lo stesso profilo di sicurezza del fattore in uso. Che l’esigenza prioritaria del paziente sia la riduzione del numero di infu- sioni in misura nettamente maggiore rispetto alla maggior efficacia del pro- dotto è stato ulteriormente confermato da una survey online che ha coinvol- to 89 tra pazienti e parenti di bambini affetti da emofilia A [11]. 6
2 L’insorgenza di inibitore: l’evento collaterale più temuto 2.1 Gli inibitori In emofilia si utilizza il termine “inibitori” per indicare gli anticorpi po- liclonali anti-FVIII ad alta affinità con azione neutralizzante sviluppati nei confronti dei concentrati del fattore della coagulazione che vengono infusi [1, 12]. La loro presenza deve essere sospettata in tutti i casi in cui il paziente non presenta risposta clinica alla somministrazione di FVIII, specialmente se prima era responsivo. Lo sviluppo di inibitori è una delle complicanze più gra- vi correlate al trattamento nell’emofilia A [1] e determina un aumento del ri- schio di emorragie cerebrali fatali e complicanze muscoloscheletriche, dolore e limitazioni fisiche, oltre a costituire un grosso problema per il prosieguo del trattamento per la malattia di base. Il paziente ha sviluppato inibitori se il metodo Bethesda rivela la presenza di un titolo di anticorpi anti-FVIII > 0,6 unità Bethesda (UB). Inoltre, si parla di “inibitore Low Responder (LR)” con un titolo anticorpale < 5,0 UB e di “inibitore High Responder (HR)” se ≥ 5,0 UB [1]. Benché la risposta immunitaria alla base del loro sviluppo non sia anco- ra ben compresa, sono state comunque identificate alcune caratteristiche: il gruppo di Whelan e colleghi ha rivelato che gli inibitori sono IgG4, tipologia di IgG non rilevata nei pazienti senza inibitori [13]. Sono stati individuati alcuni fattori di rischio che possono concorrere a de- terminare l’insorgenza di inibitori [1]: •• storia familiare di inibitori; •• ascendenza africana nera; •• ascendenza ispanica e afro-americana; •• mutazioni genetiche del FVIII (esistono dei database utili a classificare quelle note e a indicare la gravità e la propensione a sviluppare inibitori [14]); •• esposizione a massicce quantità di FVIII (in occasione di emorragie e, soprattutto, di chirurgie). L’incidenza cumulativa di sviluppo di inibitori tra pazienti che non sono mai stati trattati con FVIII è del 30%; tra questi, il 79% dei pazienti sviluppa 7
inibitori nel corso delle prime 20 esposizioni e il 21% nel corso delle prime 75 esposizioni [1]. È stato osservato che gli inibitori si sviluppano nel 25-30% dei pazienti con emofilia grave [15] e nel 5-10% dei pazienti con emofilia lieve o moderata [16]. Tuttavia, in questi ultimi, l’esposizione a elevati livelli di fattore VIII per infusione continua può contribuire in maniera determinante all’insorgenza di inibitore [17]. Mentre nei pazienti con inibitore LR le emorragie possono essere trattate con la somministrazione di dosi elevate di fattore VIII che rie- scono a saturare e neutralizzare l’anticorpo, nei pazienti con inibitore HR tale strategia non dà gli stessi risultati; pertanto gli episodi emorragici, in questa categoria di soggetti, risultano più difficili da controllare e comportano rischi elevati di morbilità [18], mortalità [19] e disabilità, che a loro volta determi- nano pesanti ricadute sulla qualità di vita correlata alla salute (HRQoL) [20] e sui costi sanitari, che risultano 3 volte più elevati [21, 22]. In particolare, secondo lo studio NIS [20], la qualità di vita degli adolescen- ti affetti da emofilia A grave con inibitore ad alto titolo viene inficiata so- prattutto negli aspetti riguardanti le attività sportive e scolastiche, l’ambito familiare e la percezione di se stessi. Negli adulti gli ambiti più colpiti sono risultati essere le attività sportive e ricreative e la percezione del futuro. L’impegno (il disease burden per gli anglosassoni) richiesto per la gestione dell’emofilia complicata dalla presenza di inibitore, nel caso dei pazienti pe- diatrici, ricade soprattutto sui caregiver. Uno studio [23] basato sulla som- ministrazione di questionari ai caregiver di pazienti pediatrici emofilici con (n=30) e senza inibitore (n=274) ha rilevato un burden mediano totale signi- ficativamente superiore (99,0 vs. 76,5; P < 0,0001) nei caregiver dei pazienti con inibitore rispetto ai caregiver dei soggetti senza inibitore. Gli aspetti più interessati sono risultati essere quelli del sacrificio personale e delle questio- ni logistiche. Lo studio retrospettivo di Walsh e colleghi [19] ha analizzato i dati di 7.386 pazienti affetti da emofilia A grave in un periodo di 13 anni, rilevando che il numero di decessi legati alle emorragie è significativamente maggiore nei pazienti con inibitore (41,7% vs 12,0%). 2.2 Le possibilità terapeutiche Appare evidente come la risoluzione di un problema così impattante sulla salute del paziente emofilico sia di primaria importanza. Dello stesso avviso 8
Monitorare i pazienti affetti da emofilia a rischio di sviluppo di inibitori PREVENZIONE RILEVAMENTO DECISIONE • Identificare i pazienti a rischio di • Screening precoce e • Il paziente può essere sviluppo di inibitori (i fattori di frequente dello sviluppo indirizzato a un centro di rischio comprendono il background di inibitori mediante cura dell’emofilia con genetico e la storia familiare) esami del sangue esperienza nella gestione • Promuovere le misure preventive • Follow-up con conferma degli inibitori che possono ridurre il rischio di e quantificazione della • Far convalidare il piano sviluppo di inibitori concentrazione di terapeutico da esperti • Monitorare attentamente inibitore (saggio • Discutere con il paziente l’insorgenza di inibitore in tutti i Bethesda o l’inclusione in un registro pazienti Nijmegen-Bethesda) Attuale gestione dei pazienti con emofilia e inibitori ERADICAZIONE DELL’INIBITORE (STRATEGIA PREFERITA) TRATTAMENTO DELLE EMORRAGIE Eradicazione dell’inibitore mediante ITI con terapia Gestire gli episodi emorragici mediante sostitutiva l’uso di agenti bypassanti: rFVIIa • ITI nei bambini (NovoSeven®) o aPCC (FEIBA). o Standard di cura o Riportato un buon successo • ITI negli adulti: PROFILASSI o Non ampiamente accettata, validazione limitata, Pazienti selezionati possono beneficiare scarsa esperienza di profilassi con emicizumab o agenti o Considerare un primo ciclo di ITI bypassanti (rFVIIa o aPCC) RISPOSTA DEL PAZIENTE ALLA ITI • Quantificare il titolo dell’inibitore • Valutare la farmacocinetica del fattore VIII • Monitorare il fenotipo clinico del paziente Valutazione della risposta alla ITI SUCCESSO INSUCCESSO O SUCCESSO PARZIALE • Successo pieno secondo la definizione Occorre considerare: standard • il titolo dell’inibitore residuo • Continuare la profilassi con lo stesso • la risposta clinica al FVIII concentrato usato durante la ITI • il fenotipo emorragico, l’età, la risposta clinica agli agenti bypassanti e lo stato delle articolazioni del paziente Attuali opzioni terapeutiche nei pazienti con inibitori persistenti dopo fallimento della ITI ITI DI SECONDA LINEA TRATTAMENTO DI PROFILASSI Nuovo tentativo di ITI con un regime diverso SANGUINAMENTI • Profilassi con concentrati di • Provare un diverso concentrato di fattore ACUTI fattore in alcuni pazienti con • Usare una dose più alta o somministrare il • Trattamento inibitori a basso titolo o fattore due volte al giorno on-demand con risposta parziale alla ITI • Considerare l’associazione con un agenti bypassanti • Pazienti selezionati possono protocollo immunosoppressivo (ad es. (rFVIIa o aPCC) considerare la profilassi con aggiungendo rituximab al regime ITI in emicizumab o con agenti corso) bypassanti (rFVIIa o aPCC) Figura 1. Monitoraggio dell’insorgenza di inibitori e flowchart di gestione del paziente con inibitori secondo Ljung e colleghi. Modificato da [16] 9
appaiono anche le recentissime linee guida della World Federation of Hemophilia (WFH) [1], che confermano quanto già sostenuto da più parti e cioè che l’era- dicazione dell’inibitore è l’obiettivo principale da perseguire ogni volta che ciò sia possibile [4, 24]. Ad oggi il trattamento più consolidato per l’eradicazione dell’inibitore è l’induzione dell’immunotolleranza (immune tolerance induction – ITI), cioè la somministrazione prolungata di dosi elevate di fattore VIII [4, 16]. L’ITI è ef- ficace nel 70-80% dei pazienti con emofilia A grave, mentre nei pazienti con emofilia lieve o moderata la percentuale di successo è inferiore [1]. I criteri per la valutazione del successo della ITI sono clinici, ma soprattutto farmaco- cinetici: infatti, l’eradicazione viene definita come un titolo Bethesda persi- stentemente negativo, accompagnato da farmacocinetica normale (recupero del fattore > 66% ed emivita > 6 ore per FVIII standard) [1]. L’ITI si considera fallita quando non si ottiene l’eradicazione dell’inibitore in 2-3 anni [1]. Nei pazienti con inibitore, per la prevenzione del sanguinamento in profi- lassi possono essere utilizzati gli agenti bypassanti (fattore VII ricombinante attivato – rFVIIa e complesso protrombinico attivato – aPCC) o emicizumab, mentre per il trattamento in acuto di episodi emorragici è possibile ricorrere all’uso on demand di agenti bypassanti, quali aPCC e rFVIIa [16]. La Figura 1 riporta gli algoritmi di monitoraggio e gestione dei pazienti con inibitore secondo il gruppo di Ljung e colleghi [16]. 10
3 ITI (prima linea) L’ITI può essere effettuata somministrando fattore VIII a dosaggio alto (200 UI per kg di peso corporeo ogni giorno), come ad esempio nel protocollo di Bonn [25], o intermedio (100 UI per kg di peso corporeo ogni giorno). Benché i protocolli che prevedevano un dosaggio basso (25-50 UI per kg di peso cor- poreo a giorni alterni) [26] siano caduti in disuso alcuni anni fa, ultimamente hanno riacquistato importanza a seguito dell’avvento di emicizumab e della possibilità di combinarne l’uso in profilassi, come illustrato nel Capitolo 5. Alcuni autori hanno proposto, soprattutto in pazienti HR, protocolli che prevedono l’utilizzo combinato con immunosoppressori e immunomodula- tori [27, 28]. In particolare, il protocollo di Malmö prevede, in presenza di concentrazioni elevate di inibitore, l’immunoadsorbimento extracorporeo, l’immunosoppressione mediante ciclofosfamide e l’immunomodulazione con IVIG, oltre alla somministrazione di concentrato di fattore VIII (per mante- nere nel paziente livelli di FVIII compresi tra 40 e 100 UI/dL): tale protocollo presenterebbe il vantaggio, rispetto ai regimi ad alto dosaggio di fattore VIII, di poter raggiungere la tollerizzazione in 3-4 settimane [28]. Le linee guida italiane (AICE) [4], europee (European Association for Haemo- philia and associated disorders – EHAD) [24] e mondiali (WFH) [1] sono concordi nel sostenere che l’eradicazione dell’inibitore è l’obiettivo principale, perché l’eliminazione dell’inibitore permette il ripristino della terapia sostitutiva e quindi il miglioramento della malattia. Suggeriscono, pertanto, di iniziare l’ITI appena possibile. Secondo l’AICE [4], l’ITI deve essere proposta a tutti i pazienti con emofilia A grave e inibitore, se la loro risposta anamnestica, bassa o alta che sia, inter- ferisce con la profilassi o il trattamento on demand a regimi standard di FVIII. Dal momento che l’inibitore insorge di solito entro 50-100 giorni di esposizio- ne al FVIII, i soggetti più colpiti sono i pazienti pediatrici. Se l’eradicazione precoce ha successo, tali pazienti avranno la possibilità in tempi successivi di effettuare la profilassi con FVIII, con grande vantaggio anche in vista di possibili eventi traumatici o interventi chirurgici; è stato calcolato che l’e- radicazione precoce dell’inibitore sia in grado di far ottenere un rapporto di costo-utilità ottimale nel lungo termine [29]. L’AICE, pertanto, suggerisce di iniziare l’ITI il prima possibile, ma consiglia di attendere che i livelli di inibi- tore scendano al di sotto della soglia di 10 UB/ml perché, a seguito di alcuni 11
studi, era stato ipotizzato che valori non troppo elevati costituissero un fatto- re favorevole per il successo dell’eradicazione dell’inibitore [4, 30–32]. Tutta- via lo studio di Nakar e colleghi [33] ha rilevato, al contrario, che la sommini- strazione tempestiva di ITI, cioè entro un mese dall’insorgenza dell’inibitore, in soggetti con livelli di inibitore superiori a 10 UB/ml possa essere un fattore che favorisce l’eradicazione dell’inibitore, dal momento che l’eradicazione è avvenuta con successo nel 100% (13/13) dei pazienti studiati. A seguito di tale esperienza si è iniziato a ipotizzare che i livelli di inibitore pre-ITI > 10 UB non siano un criterio sfavorevole per il successo dell’eradicazione. Tuttavia successivamente Ljung [34], nello stilare un elenco dei fattori pro- gnostici positivi e negativi di successo della ITI in prima linea, ha incluso an- che il titolo di inibitore pre-ITI < 10 UB/ml tra i fattori prognostici positivi, che risultano essere: •• titolo inibitore pre-ITI < 10 UB/ml; •• titolo del picco storico < 200 UB/ml; •• picco in corso di ITI < 100 UB/ml; •• periodo tra diagnosi di inibitore e inizio della ITI < 5 anni; •• giovane età del paziente; •• nessuna interruzione in corso di ITI. Anche negli adulti è possibile iniziare la ITI, soprattutto se l’inibitore de- termina una elevata frequenza di manifestazioni emorragiche e se presenta- no fattori prognostici favorevoli al raggiungimento del successo completo o parziale [4]. Nei pazienti con prognosi favorevole è consigliabile iniziare l’ITI a dosi in- termedie o alte (almeno 100 UI/kg/die o 200 UI/kg/die) [4]. Tuttavia, secon- do la nostra esperienza, diversamente da quanto riportato nelle linee guida AICE, è consigliabile proporre la ITI ad alte dosi anche nei pazienti con pro- gnosi sfavorevole, poiché la pratica clinica dimostra che è possibile raggiun- gere l’eradicazione. Invece è poco indicato il dosaggio basso di ITI da solo (50 UI/kg tre volte alla settimana), specialmente nella popolazione pediatrica, dal momento che si associa a un maggior tempo per l’eradicazione e a un nu- mero più elevato di sanguinamenti intercorrenti [4]. Nello studio randomizzato International Immune Tolerance [35], in 115 pa- zienti affetti da emofilia A con elevato titolo di inibitore e fattori prognostici positivi non sono state riscontrate differenze tra le ITI a dose alta (200 UI/kg/ die) o bassa (50 UI/kg 3 giorni a settimana) in termini di successo nell’eradica- zione, ma nei pazienti che assumevano dosi basse il successo è stato raggiunto più tardi e si è manifestato un numero maggiore di emorragie, che sono un fattore prognostico negativo per la buona riuscita dell’eradicazione [36, 37]. A 12
supporto di quest’ultima osservazione, infatti, il report prospettico [36] dello studio osservazionale ObsITI ha analizzato 48 pazienti che ricevevano ITI e ha dimostrato che il tempo di raggiungimento del successo completo dell’eradi- cazione era influenzato da: titolo dell’inibitore al momento dell’inizio della ITI (≤ o > di 10 UB), numero di fattori prognostici negativi già noti (nessuno oppure 1 o più), numero di sanguinamenti al mese (≤ o > di 0,5) e titolo del picco dell’inibitore nel corso della ITI (≤ 50 UB o compreso tra 50 e 200 UB o > 200 UB). Similmente, lo studio retrospettivo multicentrico ITER [37], che ha analizzato 71 pazienti, ha consentito agli autori di concludere che l’incidenza di sanguinamenti in corso di ITI era inversamente associata al tempo di otte- nimento del successo in termini di eradicazione dell’inibitore. L’ITI viene generalmente effettuata con lo stesso prodotto che ha deter- minato l’insorgenza di inibitore [4], ma la letteratura scarseggia di dati a supporto di tale pratica comune. Secondo le linee guida americane [38] e ita- liane [4], non vi è evidenza sufficiente per preferire un prodotto a un altro; inoltre un FVIII plasma-derivato contenente fattore von Willebrand (vWF) potrebbe essere una buona opzione dal momento che il vWF, secondo alcuni studi [36, 39–41], sembra aumentare la probabilità di tollerizzazione. Altri studi, comunque, non hanno rilevato associazioni tra outcome e tipo di con- centrato di FVIII [42, 43]. 13
4 Rescue ITI (seconda linea) Ancor più complessa e priva di certezze appare la seconda linea, da attuare a seguito di comprovato insuccesso della ITI di prima linea, secondo i criteri riportati nel Capitolo 2. In caso di fallimento dell’ITI di prima linea, Brackmann e colleghi [44] sug- geriscono diverse strategie: interrompere la ITI con FVIII e utilizzare i fat- tori bypassanti in profilassi, oppure riprendere l’ITI aumentando le dosi del FVIII precedentemente utilizzato o cambiando prodotto a favore di un FVIII plasma-derivato ricco di vWF e valutare eventualmente l’aggiunta di un im- munosoppressore. È possibile anche ricorrere a combinazioni diverse delle strategie sopra riportate. Brackmann e colleghi giudicano l’esperienza con gli EHL troppo limitata per poter fornire delle raccomandazioni in merito [44]. All’incertezza sul protocollo ottimale da seguire si aggiunge il fatto che la ITI è una terapia impegnativa per il paziente, ma anche per la famiglia, ampia- mente coinvolta nella maggior parte dei casi, in quanto molto spesso si tratta di pazienti pediatrici. In effetti l’elevata frequenza di infusioni determina in molti casi la necessità di impiantare accessi venosi centrali e/o fistole artero- venose, con tutte le problematiche e le possibili complicanze infettive che ne derivano. Se il primo ciclo di ITI non dà il successo sperato, si deve ricorrere al secondo o al terzo ciclo, di cui però non sono noti i regimi ottimali e i pro- dotti più efficaci. Inoltre la somministrazione protratta nel tempo di dosaggi elevati di FVIII porta a un incremento dei costi a carico del sistema sanitario. Anche la profilassi con agenti bypassanti presenta delle problematiche. In particolare, la risposta varia su base sia inter-, sia intraindividuale, dal mo- mento che l’efficacia in alcuni pazienti è risultata variare nel tempo. Inoltre mancano test validati per il monitoraggio della profilassi e l’uso prolungato comporta costi notevoli. Infine il 10-20% degli episodi emorragici non risul- ta trattato adeguatamente, fattore che, come visto sopra, oltre a ritardare il buon esito dell’eradicazione, rischia di peggiorare l’artropatia emofilica del paziente. 14
5 Emicizumab Da gennaio 2019 è disponibile un nuovo farmaco per la terapia del paziente con storia di inibitore ad alto titolo (> 5 BU): emicizumab. Questo anticorpo monoclonale bispecifico, che mima l’azione del FVIII [45, 46], consentendo alla reazione a catena della coagulazione di avviarsi, non è influenzato dalla presenza di anticorpi anti-FVIII [46], caratteristica che ha determinato l’im- missione in commercio con indicazione esclusiva per pazienti con emofilia A con inibitori del FVIII (in seguito l’indicazione è stata estesa anche ai pazienti con emofilia A grave senza inibitori del FVIII) [47]. Lo studio di fase I ha di- mostrato che l’emivita di emicizumab è di 4-5 settimane [48]. Studi successivi ne hanno dimostrato l’efficacia nel ridurre il sanguinamento [49] e l’elevato livello di soddisfazione da parte dei pazienti, che possono beneficiare di una più maneggevole modalità di somministrazione (sottocutanea invece che en- dovenosa) e di una ridotta frequenza di somministrazione; tali caratteristiche potenzialmente favoriscono l’aderenza al trattamento e migliorano la qualità di vita [50]. Lo studio HAVEN 1 [51], di fase 3, ha randomizzato pazienti ≥ 12 anni affetti da emofilia A con inibitore in tre bracci di trattamento. I pazienti che prima ricevevano agenti bypassanti on-demand sono stati randomizzati 2:1 a riceve- re la profilassi con emicizumab (n=35, gruppo A) o nessuna profilassi (n=18, gruppo B). Un terzo braccio di trattamento era costituito da 49 partecipanti che prima ricevevano agenti bypassanti in profilassi e durante lo studio han- no ricevuto la profilassi con emicizumab (gruppo C). La maggior parte dei pazienti era affetta da emofilia grave. Il confronto tra il gruppo A e il gruppo B dopo 24 settimane ha fatto emergere che emicizumab è in grado di ridur- re dell’87% il tasso annualizzato di sanguinamento (annualized bleeding rate – ABR). Nei 24 pazienti del braccio C per i quali erano presenti i dati, è stato calcolato che la profilassi con emicizumab ha comportato una riduzione del tasso di sanguinamento del 79% rispetto alla profilassi con agenti bypassanti che ricevevano precedentemente. Lo stesso tipo di analisi nello studio HAVEN 2 [52], di fase 3, ha rilevato, invece, nei 15 pazienti pediatrici (< 12 anni) per i quali erano disponibili i dati, una riduzione di ABR del 99% rispetto alla pre- cedente profilassi con agenti bypassanti. Emicizumab, una volta raggiunto lo steady state, fornisce un livello di pro- tezione efficace e sostenuto nel tempo, dal momento che la sua emivita è di 15
alcune settimane [48]. Il fascino che ricopre per il paziente dipende in larga parte dalla modalità di somministrazione, non più endovenosa, ma sottocu- tanea, e dalla frequenza di somministrazione, generalmente ogni 1-2 setti- mane. È anche stato dimostrato che la profilassi con emicizumab è associata a miglioramenti sostanziali e significativi nella qualità di vita correlata alla salute [53]. Alla luce di questi importanti risultati di emicizumab nel controllo delle emorragie e della migliore maneggevolezza rispetto alle somministrazioni endovenose che caratterizzano gli altri prodotti generalmente usati in emofi- lia, è lecito domandarsi se abbia ancora senso effettuare l’ITI. Dal fronte clinico, la domanda che i partecipanti agli incontri si sono posti è stata se fosse ancora opportuno effettuare il trattamento per l’eradicazione dell’inibitore, vista l’innovazione che ha portato emicizumab: la risposta che è emersa dal dibattito vede ancora l’eradicazione con il fattore VIII come gold standard. Come ribadito anche dalle più recenti linee guida WFH [1], è neces- sario quantomeno tentare di eradicare l’inibitore, perché la sua presenza è un fattore prognostico negativo per il paziente [36, 37], perché gli agenti bypas- santi per la gestione dei sanguinamenti hanno minor efficacia e maggiori ef- fetti collaterali (es. rischio di trombosi con aPCC) [51, 54] e per le situazioni, come quella di un intervento chirurgico, in cui è necessario premunirsi contro il rischio emorragico somministrando dosi massive di prodotto; emicizumab, infatti, non è in grado di garantire l’emostasi in questi casi. Inoltre, avere la possibilità di tornare ad assumere la terapia sostitutiva con FVIII è sempre un vantaggio. Lo stesso studio HAVEN 1 [51] ha messo in luce che in corso di trattamento con emicizumab si sono verificati diversi sanguinamenti. Ulteriori opzioni terapeutiche sono in corso di sperimentazione e la stessa terapia genica sembra ora profilarsi all’orizzonte come una possibilità concre- ta [55]. Tuttavia, quest’ultima sarà preclusa ai pazienti che hanno sviluppato l’inibitore. L’eradicazione dell’inibitore mediante ITI si conferma, pertanto, l’obiettivo a cui puntare anche nel prossimo futuro e il ricorso a emicizumab da solo deve avvenire solo dopo il fallimento della terapia con ITI. La differenza rispetto al passato è che la commercializzazione di nuovi pro- dotti come emicizumab consente di tentare protocolli di combinazione emi- cizumab + ITI che sono meno invasivi per il paziente e più sostenibili anche dal punto di vista economico. Il gruppo di lavoro di Carcao e colleghi [56], su basi puramente teoriche, aveva ipotizzato di modificare l’algoritmo di gestione del paziente con inibi- tore per introdurre la profilassi di combinazione emicizumab + ITI (Figura 2), nell’ipotesi che essa possa garantire un’adeguata prevenzione del sanguina- 16
mento, diminuire la necessità di accessi venosi centrali e al contempo mante- nere una ragionevole probabilità di successo della ITI. Monitoraggio mensile del titolo dell’inibitore, dello stato delle articolazioni e del fenotipo sanguinamento Iniziare non Un paziente non in grado di appena viene Paziente con emofilia A aderire all’ITI può iniziare rilevato che sviluppa un emicizumab e rivalutare un inibitore inibitore l’ITI in qualsiasi momento 50 UI/kg 3 volte Se non si aggiunge alla settimana + emicizumab, Escalation emicizumab raccomandati gli stessi se il titolo regimi già descritti dell’inibitore aumenta 200 UI/kg al giorno + emicizumab Non responding Responding Punto di Calo 20% decisione dal titolo massimo dal titolo massimo a 9 mesi Switch di prodotto Considerare e/o intensificazione interruzione ITI e del regime inizio di emicizumab Valutazione esito ITI a 18 o 33 mesi o dopo Risposta Successo Fallimento parziale Figura 2. Proposta del gruppo di Carcao e colleghi per la gestione del paziente affetto da emofilia A con inibitore. Modificata da [56] 17
Protocollo di Atlanta Profilassi con emicizumab Induzione dell’immunotolleranza Dose di carico FVIII ricombinante o • 3 mg/kg s.c./settimana per plasma-derivato 4 settimane • 50-100 UI/kg e.v. 3 Opzioni di mantenimento della dose volte/settimana a partire da ≥4 • 1,5 mg/kg s.c./settimana settimane dopo aver iniziato • 3 mg/kg s.c. ogni 2 settimane emicizumab Figura 3. Protocollo di Atlanta per la gestione del paziente emofilico con inibitore. Modificato da [57] Una prima esperienza di profilassi di combinazione emicizumab + ITI è stata pubblicata da Batsuli e colleghi nel 2019 [57]. Si tratta di una case series di 7 pazienti pediatrici con emofilia A grave e inibitore: oltre a emicizumab, 6 sog- getti hanno ricevuto 3 diversi concentrati di FVIII ricombinante alla dose di 100 UI/kg per 3 volte alla settimana e 1 paziente ha ricevuto un FVIII plasma- derivato alla dose iniziale di 50 UI/kg tre volte alla settimana. Il protocollo utilizzato è stato denominato “Protocollo di Atlanta” ed è riportato nella Fi- gura 3. I risultati sono stati incoraggianti. Per 5 pazienti erano già stati fatti pre- cedentemente dei tentativi di ITI. Tre pazienti hanno raggiunto la negativiz- zazione dell’inibitore in 40 settimane o meno e 2 di questi pazienti hanno ottenuto un normale recovery “in vivo” del FVIII, ma tutti, al termine del pe- riodo di osservazione descritto nello studio, hanno proseguito il protocollo di Atlanta, che può quindi rappresentare un approccio interessante nei pazienti pediatrici con emofilia e inibitore. Il protocollo di Tokyo [58], invece, è stato testato solo su 3 pazienti, che hanno mostrato una riduzione del titolo dell’inibitore, in assenza di manife- stazioni trombotiche e di anomalie di laboratorio. Tale protocollo ha impie- gato efmoroctocog alfa EHL a bassa dose (50 UI/kg) due volte alla settimana in combinazione con emicizumab. Altri studi che puntano ad approfondire la profilassi di combinazione ITI + emicizumab sono in corso: ad esempio lo studio osservazionale prospettico 18
di coorte MOTIVATE [59] è ancora in fase di reclutamento. Ha l’obiettivo di analizzare 120 pazienti suddivisi in 3 gruppi: •• ITI; •• ITI + emicizumab; •• emicizumab o aPCC o rFVIIa. Tali nuovi dati potranno essere di ausilio nelle scelte terapeutiche. Nel lavoro pubblicato nel 2020 da Escuriola-Ettinghausen e colleghi [60], il gruppo di panelist ha suggerito tre possibili approcci nei confronti del pa- ziente con pregresso inibitore eradicato con ITI in associazione con emicizu- mab, i cui vantaggi e punti ancora aperti sono stati discussi dai clinici nel corso degli incontri e sono riportati qui di seguito. 1. Proseguire la profilassi con emicizumab dopo aver sospeso gradualmen- te il fattore VIII: a. non si sa per quanto tempo persisterà la tolleranza in assenza di esposizione al fattore VIII e quale sarà, dunque, il rischio di recidiva dell’inibitore; b. non si conosce quale potrebbe essere la risposta del paziente al suc- cessivo contatto con il fattore VIII, per esempio in caso di chirurgia o emorragia; c. il paziente potrebbe perdere la capacità di praticare l’autoinfusione con il fattore VIII; d. non è ancora chiaro con quale schema dovrebbe avvenire la gradua- le sospensione del fattore VIII. 2. Proseguire la profilassi con emicizumab aggiungendo basse dosi/minori frequenze di infusione di fattore VIII: a. il paziente manterrebbe la tolleranza al fattore VIII; b. il paziente preserverebbe la capacità di autoinfondersi; c. rimane da chiarire quale sia la dose di fattore VIII da utilizzare; d. rimane da chiarire quale concentrato di fattore VIII usare; e. rimane da chiarire quale sia l’intervallo di infusione ideale; f. rimane da chiarire per quanto tempo occorre continuare a sommini- strare il fattore VIII. 3. Sospendere la profilassi con emicizumab (se effettuata durante la ITI) e continuare la profilassi con il solo fattore VIII: a. il paziente manterrebbe la tolleranza al fattore VIII; b. il paziente preserverebbe la capacità di autoinfondersi; c. il paziente continuerebbe a ricevere la sua terapia d’elezione, cioè il trattamento sostitutivo con il FVIII, anche se perderebbe la possibilità di utilizzare un farmaco vantaggioso dal punto di 19
vista della via di somministrazione e della frequenza di infusio- ne; d. si eviterebbe di dover disporre di due farmaci, uno per la profilassi e l’altro per il trattamento di emorragie intercorrenti e per la chirur- gia; e. rimane da chiarire se sia meglio continuare con lo stesso concentra- to di FVIII usato per la ITI o se preferire per esempio un FVIII EHL. In merito agli ultimi due punti evidenziati nell’approccio n. 2, il già citato lavoro di Carcao e colleghi [56] ha suggerito di mantenere la somministra- zione del fattore VIII una volta alla settimana per 6 mesi, a cui dovrebbero seguire altri 6 mesi di somministrazione del FVIII una volta ogni due settima- ne. Trascorsi questi due periodi, secondo il FIT group, il fattore VIII dovrebbe essere sospeso. Il monitoraggio per l’insorgenza di inibitore dovrebbe essere effettuato con regolarità sia durante questi 12 mesi, sia in seguito. Lo stesso gruppo di Carcao [56], in merito all’approccio n. 3, sottolinea che, data la maneggevolezza di emicizumab in termini di via di somministrazione e di frequenza di somministrazione, difficilmente il paziente che l’ha utilizza- to vorrà sospenderlo. Tuttavia, lo statunitense Guy Young nella sua review del 2019 [61] si dichia- ra a netto favore dell’approccio n. 3, asserendo che la profilassi con il fattore VIII dopo eradicazione dell’inibitore dovrebbe continuare per tutta la vita e che non c’è un razionale alla base dell’approccio FVIII + emicizumab, che ol- tretutto risulterebbe più costoso. Nell’esperienza dei clinici presenti ai meeting, i pazienti (o i loro caregiver) che sono andati incontro a eradicazione dell’inibitore hanno sentimenti con- trastanti nei confronti della gestione post-ITI, anche alla luce della recente in- troduzione di emicizumab quale nuova opzione terapeutica. L’idea di iniziare una profilassi con il solo emicizumab dà loro una sensazione di liberazione da un trattamento quotidiano endovenoso sfiancante e faticoso, che spesso si protrae per alcuni anni (considerando sia l’ITI di prima linea e sia l’eventuale riscorso a rescue ITI) e può complicarsi con emorragie intercorrenti a volte difficili da trattare con agenti bypassanti. I pazienti, pur manifestando interesse per questa nuova profilassi, che per- cepiscono essere correlata a un miglioramento della loro qualità di vita, al contempo si mostrano spesso preoccupati relativamente al rischio di recidiva dell’inibitore in assenza di esposizione al fattore VIII. D’altro canto l’even- tuale associazione del fattore VIII a emicizumab potrebbe rappresentare per molti di loro un ritorno alla “schiavitù” delle infusioni per via endovenosa. Vogliono avere inoltre certezze sulla sicurezza nel lungo termine di un far- 20
maco di così recente approvazione. Sono infine consapevoli che emicizumab è efficace solo in profilassi e che quindi le emorragie intercorrenti e le prepa- razioni a interventi chirurgici vanno trattati con il fattore VIII. Le più recenti linee guida WFH [1] non si pronunciano in merito all’uso di emicizumab prima, durante, dopo o al posto del trattamento ITI, sostenendo che sono necessari ulteriori studi clinici per poter trarre una conclusione in merito a questo. Dopo l’eradicazione, però, raccomandano di iniziare la pro- filassi con il FVIII e sottolineano il fatto che, tra gli EHL, efmoroctocog alfa è l’unico a essere stato testato per il suo potenziale tollerogenico nella preven- zione dell’insorgenza di inibitore e nell’induzione dell’immunotolleranza. Per il momento la terapia di combinazione ITI + emicizumab sembra esse- re promettente e aver dato risultati preliminari incoraggianti, con un buon controllo del sanguinamento, una minor frequenza di infusione, un minor ricorso agli accessi venosi centrali e un considerevole risparmio economico derivante dall’impiego di dosi inferiori di fattore VIII. 21
6 Eradicazione incompleta dell’inibitore: strategie nella pratica clinica Come rilevato dalla condivisione dell’esperienza dei clinici scriventi, nella pratica clinica si incontrano anche pazienti in cui l’eradicazione è stata in- completa, cioè si rileva una negativizzazione dell’inibitore, ma la curva far- macocinetica (PK) risulta inadeguata. In tali casi i tentativi di washout dell’ITI sono spesso seguiti da incremento del titolo dell’inibitore e dal manifestarsi di importanti eventi emorragici. Non esiste al momento un algoritmo validato per la gestione di questi pa- zienti. Dal confronto nel corso dei meeting è emerso che allo stato attuale in Italia non è più possibile protrarre la ITI per anni. Oltre alla scarsa tollerabili- tà da parte del paziente, infatti, tale terapia non è più considerata sostenibile nemmeno da un punto di vista economico, soprattutto alla luce delle nuove possibili strategie di profilassi con prodotti non sostitutivi, da soli o in combi- nazione con il fattore VIII. L’uso di FVIII come rescue ITI comporta l’uso di volumi elevati di prodotto, che porta l’infusione a durare parecchi minuti e rende necessario il posizio- namento di cateteri venosi, non sempre ben tollerati dal paziente. Il confronto tra i clinici ha posto in evidenza ancora una volta la necessità di personalizzare la terapia sulla base della curva PK, della tollerabilità del paziente e della risposta clinica. Una strategia da adottare potrebbe essere l’utilizzo della profilassi con emi- cizumab associata alla somministrazione settimanale di concentrato di FVIII. In particolare, si potrebbe continuare l’ITI durante le prime tre settimane di somministrazione di emicizumab (periodo necessario per il raggiungimento di livelli plasmatici di steady-state di emicizumab) e, successivamente, sospende- re l’ITI e continuare la somministrazione settimanale di concentrato di FVIII, al fine di mantenere nel paziente la “memoria immunologica” del FVIII ed evi- tare un rialzo dei livelli di inibitore. Resta da definire la dose di FVIII da som- ministrare e il tipo di concentrato da utilizzare, se continuare con lo stesso FVIII usato in ITI o somministrare un concentrato FVIII EHL. È chiaro che sarà necessario un periodico monitoraggio di laboratorio per valutare se l’inibitore rimane negativo o è presente a livelli bassi e tali da consentire di utilizzare, in caso di emorragie intercorrenti o chirurgie, la terapia sostitutiva con FVIII. 22
Un’opzione alternativa considerata è stata la somministrazione di emi- cizumab da solo, evitando completamente il FVIII, nella speranza che l’i- nibitore si abbassi ulteriormente o si mantenga non rilevabile, in modo da poter consentire l’uso di FVIII in caso di necessità (chirurgie, emorragie in- tercorrenti). 23
7 Eradicazione completa dell’inibitore: quali farmaci somministrare dopo? Strategie in letteratura e nella pratica clinica Nella maggior parte dei casi, dopo l’eradicazione, ci si domanda se sia pru- dente effettuare lo switch a un altro prodotto. Con la disponibilità crescente di prodotti e la maggior facilità con cui i pazienti effettuano lo switch, tale questione è sempre più dibattuta [62]. Diversi sembrano essere i motivi sia clinici, sia di praticità per effettuare lo switch: dal miglior profilo di sicurez- za (reale o percepito) del concentrato, ai minori effetti collaterali, al volume finale del prodotto, alla maggior facilità di conservazione, all’emivita prolun- gata, ecc. [62]. Tuttavia, molti pazienti sviluppano un forte legame psicologico con il pro- dotto che utilizzano e sono restii a effettuare uno switch, specialmente se hanno una storia personale o famigliare di inibitore o se sono portatori di una mutazione ad alto rischio di sviluppo dell’inibitore. I loro timori nei confronti dello switch riguardano principalmente lo sviluppo di inibitori e le incertezze sulla sicurezza di un nuovo prodotto [10]. Efmoroctocog alfa è l’unico EHL per il quale al momento ci siano delle evi- denze di sicurezza a livello di switch dopo successo della ITI effettuata con un altro prodotto [6, 63]. I dati presenti in letteratura, tuttavia, sono limitati, in quanto i pazienti con pregresso inibitore sono spesso esclusi dagli studi cli- nici. Per una consistente percentuale di pazienti (si calcola circa il 15% degli emofilici gravi), pertanto, si ha timore di effettuare lo switch a EHL in quanto si teme la nuova insorgenza di inibitore. Alcuni studi, in effetti, hanno messo in guardia da questa evenienza e hanno suggerito che, se si vuole comunque effettuare lo switch, sia necessario attendere molto tempo. In particolare, le linee guida sull’uso degli EHL della United Kingdom Haemophilia Centre Doctors’ Organisation (UKHCDO) [64] suggeriscono che i pazienti con storia di inibitore che siano stati tollerizzati nell’arco degli ultimi 12 mesi non debbano effet- tuare lo switch ad altri concentrati di FVIII. Tuttavia alcune esperienze cliniche pubblicate sull’argomento sembrano andare nella direzione opposta. In particolare, la review della letteratura di Coppola e colleghi [65] ha ana- lizzato tutte le pubblicazioni che fornivano dati sufficienti circa l’insorgenza 24
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