Gestione del paziente con pregresso inibitore nell'emofilia A - G. Malcangi, V. Iandolo, R. Marino, A. C. Molinari, R. C. Santoro, A. Tagliaferri

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Gestione del paziente con pregresso inibitore nell'emofilia A - G. Malcangi, V. Iandolo, R. Marino, A. C. Molinari, R. C. Santoro, A. Tagliaferri
G. Malcangi, V. Iandolo, R. Marino,
A. C. Molinari, R. C. Santoro, A. Tagliaferri

Gestione del paziente
con pregresso inibitore
nell’emofilia A
G. Malcangi, V. Iandolo, R. Marino,
A. C. Molinari, R. C. Santoro, A. Tagliaferri

Gestione del paziente
con pregresso inibitore
nell’emofilia A
A cura di
 Giuseppe Malcangi 1, Valeria Iandolo 1, Renato Marino 1, Angelo Claudio Molinari 2,
 Rita Carlotta Santoro 3, Annarita Tagliaferri 4
 1
     Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Bari, Centro Emofilia e Trombosi, Bari, Italia
 2
     Istituto Giannina Gaslini, Centro Regionale di Riferimento per le Malattie Emorragiche,
     Genova, Italia
 3
     Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio, Centro Regionale di Riferimento per le malattie
     Emorragiche e Trombotiche, Catanzaro, Italia
 4
     Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma, Struttura Semplice Dipartimentale Centro Hub
     Emofilia e Malattie Emorragiche Congenite, Parma, Italia

 © 2020 The Author(s)
 Questo volume è pubblicato sotto licenza CC BY-NC 4.0
 (https://creativecommons.org/licenses/by-nc/4.0)
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 Prima edizione Dicembre 2020
 Tutti i diritti riservati

 https://doi.org/10.7175/952

 Immagine in copertina:
 ID 19369928 © Danieltaeger | Dreamstime.com

 ISBN 978-88-97419-95-2

 SEEd S.r.l. declina ogni responsabilità derivante da un uso improprio delle informazioni contenute
 nel presente volume. Tali informazioni non devono essere utilizzate o interpretate come ausilio
 diagnostico e/o terapeutico e non devono essere intese come sostitutive del consulto del medico.

II
Sommario

Prefazione..........................................................................................................................................1
Introduzione: l’emofilia di tipo A.............................................................................................2
1 I concentrati con emivita prolungata (EHL)...............................................................4
         1.1 Che cosa sono............................................................................................................4
         1.2 L’accoglienza da parte di medici e pazienti....................................................5
2       L’insorgenza di inibitore: l’evento collaterale più temuto..................................7
         2.1 Gli inibitori...................................................................................................................7
         2.2 Le possibilità terapeutiche....................................................................................8
3       ITI (prima linea)................................................................................................................... 11
4       Rescue ITI (seconda linea).............................................................................................. 14
5       Emicizumab........................................................................................................................... 15
6       Eradicazione incompleta dell’inibitore: strategie nella pratica clinica...... 22
7       Eradicazione completa dell’inibitore: quali farmaci somministrare dopo?
        Strategie in letteratura e nella pratica clinica....................................................... 24
8       Efmoroctocog alfa nell’ITI: dati dalla letteratura................................................ 29
9       Switch a EHL in pazienti con pregresso inibitore................................................. 32
10 Bibliografia............................................................................................................................ 36
Finanziamenti............................................................................................................................... 47
Conflitti di interesse................................................................................................................... 47

                                                                                                                                                    III
Prefazione

  La gestione del paziente affetto da emofilia A con inibitore o con storia di
inibitore è un tema controverso dell’ematologia.
  Sebbene vi siano delle linee guida e diversi protocolli di trattamento siano
stati sperimentati nel tempo, anche con un discreto successo, molti sono an-
cora i dubbi, dato che la variabilità interindividuale di risposta alle terapie, sia
quelle volte all’eradicazione dell’inibitore, sia per la profilassi delle emorra-
gie, che per la gestione dei sanguinamenti in acuto, rende difficile raccoman-
dare una strategia invece di un’altra.
  Inoltre negli ultimi anni si è assistito a importanti innovazioni nella terapia
dell’emofilia grazie alla commercializzazione di nuovi prodotti, in particola-
re i concentrati di fattore VIII (FVIII) ricombinante con emivita prolungata
(extended half-life – EHL) ed emicizumab, anticorpo monoclonale bispecifico a
somministrazione sottocutanea. Ulteriori farmaci per tale patologia sono in
corso di sperimentazione e potenzialmente in futuro offriranno agli emofilici
ulteriori possibilità di trattamento, andando così ad affinare ulteriormente la
personalizzazione della terapia, un tema caro a tutti coloro che sono affetti
da patologie croniche.
  Il presente volume nasce dal desiderio di alcuni medici esperti nella gestio-
ne dell’emofilia di condividere le esperienze di diversi centri emofilia italiani
(Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Bari, Istituto Giannina Ga-
slini di Genova, Azienda Ospedaliera Pugliese-Ciaccio di Catanzaro e Azienda
Ospedaliero-Universitaria di Parma) per stimolare la discussione sul miglior
approccio di trattamento nei pazienti affetti da emofilia A con inibitore pre-
sente o pregresso. Pertanto SEEd Medical Publishers ha organizzato, con il
contributo incondizionato di Swedish Orphan Biovitrum s.r.l. (SOBI) Italia,
due meeting online focalizzati su alcuni aspetti della gestione del paziente
con emofilia A. Le esperienze condivise e gli spunti di discussione emersi nel
corso dei due incontri relativi a induzione dell’immunotolleranza e tratta-
mento del paziente con pregresso inibitore sono illustrati in questo testo e
sostanziati dalla letteratura più recente sul tema.
  Ad agosto 2020 sono state pubblicate le più recenti linee guida della World
Federation of Hemophilia [1], alle cui principali raccomandazioni si è fatto rife-
rimento nel testo, che era in corso di stesura al momento della loro pubbli-
cazione.

                                                                                   1
Introduzione: l’emofilia di tipo A

  L’emofilia di tipo A è una malattia rara congenita dovuta alla carenza del
FVIII della coagulazione. I geni del FVIII sono localizzati sul cromosoma X: la
malattia (X-linked) viene trasmessa come carattere recessivo e si manifesta
nei maschi, mentre le femmine possono esserne portatrici sane e trasmetter-
la ai figli. La maggior parte delle mutazioni è famigliare, ma si calcola che nel
30% circa dei casi le mutazioni possano essere sporadiche [1].
  Si tratta di una malattia rara, per la quale si stima una prevalenza mondiale
di maschi affetti pari a poco meno di un milione, cifra che tiene conto di una
quota maggioritaria di pazienti a cui non è mai stata posta la diagnosi [1].
La prevalenza stimata alla nascita è di 24,6 casi ogni 100.000 maschi [1]. Dati
recenti riportano poco più di 4.000 malati in Italia [2, 3], che fanno riferimen-
to a 52 centri per il trattamento dell’emofilia distribuiti su tutto il territorio
italiano [4], affiliati all’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE). Dal punto
di vista clinico, l’emofilia A si manifesta con sintomi emorragici del tutto si-
mili ma di maggiore o minore frequenza e gravità, a seconda della gravità del
difetto coagulativo:
  •• emofilia grave (FVIII < 1%): frequenti emorragie spontanee o causate
       anche da minimi traumatismi;
  •• emofilia moderata (FVIII > 1-5%): occasionalmente emorragie spon-
       tanee, più spesso emorragie secondarie a traumatismi anche modesti,
       manovre invasive, interventi chirurgici;
  •• emofilia lieve (FVIII > 5-40%): emorragie in seguito a traumi di una
       certa entità o interventi chirurgici.
  I distretti più colpiti dalle emorragie spontanee sono le articolazioni, con
generazione di emartri (in particolare caviglie, ginocchia e gomiti), e i mu-
scoli [1]. Emartri ripetuti e non adeguatamente trattati possono portare nel
tempo a una complicanza cronica estremamente invalidante: l’artropatia
emofilica [1].
  I pazienti possono presentare emorragie in altre sedi: cerebrali, gastro-in-
testinali (ematemesi, melena, proctorragia), genito-urinari (ematuria), orofa-
ringee, oculari, spinali e nelle cavità (emotorace, emoperitoneo, emopericar-
dio). Sebbene rare, alcune di esse sono urgenze mediche, che devono essere
diagnosticate e trattate precocemente, specie se possono mettere in pericolo

2
le funzioni vitali (es.: emorragie cerebrali, emoftoe, emorragie lingua e collo,
ecc.).
   L’approccio terapeutico ha subìto una profonda e rapida evoluzione
dalla seconda metà del XX secolo; la base del trattamento è la sommini-
strazione del fattore coagulativo carente all’insorgenza della emorragia.
Il gold standard di trattamento è la terapia sostitutiva endovenosa con con-
centrati di FVIII, che possono essere di origine plasmatica o ricombinanti [1]
e che devono essere somministrati all’insorgenza della emorragia. Tanto più
precoce è il trattamento, tanto maggiore sono l’efficacia e la rapidità della
risoluzione dei sintomi. La somministrazione endovenosa di FVIII non solo
consente di arrestare le emorragie, ma anche di prevenirle in caso di traumi
o interventi chirurgici. Un regime terapeutico che sta modificando la storia
naturale dell’Emofilia è la profilassi, che consiste nella somministrazione pro-
grammata dei concentrati al fine di prevenire o di ridurre la frequenza degli
episodi emorragici. Può essere effettuata come profilassi primaria (iniziata
in assenza di danno articolare documentato, prima del secondo emartro cli-
nicamente evidente e prima dei 3 anni di età), secondaria (iniziata in assen-
za di danno articolare documentato, dopo o in corrispondenza del secondo
emartro clinicamente evidente) o terziaria (iniziata in presenza di artropatia
emofilica documentata) [1]. La somministrazione al bisogno, benché utile in
acuto ai fini di far cessare il sanguinamento e ridurre il dolore, non cambia la
storia naturale della malattia e dunque non impedisce la formazione del dan-
no muscolo-scheletrico: pertanto si raccomanda di effettuare la profilassi [1].
   Tra le altre terapie che possono essere utilizzate, vi sono desmopressina,
efficace nei pazienti con forma lieve di emofilia A, acido tranexamico, utile
soprattutto per i sanguinamenti a livello delle mucose, gli agenti bypassanti,
che favoriscono la formazione del coagulo agendo a monte o a valle del FVIII,
ed emicizumab, un anticorpo monoclonale bispecifico che mima l’azione del
fattore VIII [1]. Gli agenti bypassanti ed emicizumab risultano particolarmen-
te utili in caso di insorgenza di inibitore, evento meglio descritto nel Capitolo
2 del presente volume.

                                                                                3
1     I concentrati con emivita prolungata (EHL)

1.1   Che cosa sono

  Grazie all’entrata in commercio dei concentrati di FVIII, è stato possibile ri-
durre notevolmente la frequenza delle emorragie, migliorando lo status delle
articolazioni e la qualità di vita dei pazienti [3].
  Tuttavia, i primi concentrati di FVIII utilizzati erano esclusivamente pla-
sma-derivati e la loro infusione ha purtroppo determinato il diffondersi, tra i
pazienti con emofilia, di infezioni da virus quali HBV, HCV e HIV [4]. Nel 1992
sono stati introdotti i primi FVIII ricombinanti [5] e per entrambe le categorie
di prodotti – plasma-derivati e ricombinanti – nel tempo sono state sviluppa-
te e affinate le tecniche di inattivazione virale e di altri patogeni. Grazie a tali
progressi, nessun caso di trasmissione di HBV, HCV o HIV è stato registrato
negli ultimi 25 anni a seguito dell’utilizzo di FVIII plasma-derivato [4]. Per
quanto riguarda i FVIII ricombinanti, dall’immissione in commercio non sono
state rilevate trasmissioni virali riconducibili al loro uso [4], ragion per cui
l’Associazione Italiana Centri Emofilia (AICE) stessa li raccomanda come pro-
dotti di scelta nei pazienti mai o minimamente trattati e in coloro che sono
già stati precedentemente trattati con prodotti ricombinanti [4]. Benché nes-
sun prodotto biologico possa garantire l’assenza totale di rischio, i FVIII at-
tualmente in commercio possono essere considerati virologicamente sicuri.
  Una volta arginato il rischio infettivo, la ricerca ha affrontato un’altra que-
stione, che riduce la qualità di vita e l’aderenza alla terapia [6]: la necessità di
effettuare numerose infusioni endovenose. La breve emivita del FVIII rende
infatti indispensabile l’elevata frequenza di somministrazione. Per superare
questi problemi sono stati prodotti in laboratorio dei fattori con emivita pro-
lungata (extended half-life – EHL). Attualmente in Italia sono commercializzati
4 concentrati EHL: tre PEGilati (rurioctocog alfa pegol, damoctocog alfa pegol
e turoctocog alfa PEGilato [7, 8]) e uno coniugato con Fc (efmoroctocog alfa
[9]). Quest’ultimo è l’unico ad avere anche l’indicazione pediatrica, mentre i
PEGilati possono essere utilizzati solo nei pazienti con età ≥ 12 anni.
  Efmoroctocog alfa è stato il primo EHL a essere commercializzato in Italia, a
luglio 2016, ed è stato l’unico fino a gennaio 2020 [6].

4
1.2   L’accoglienza da parte di medici e pazienti
   Secondo l’esperienza dei clinici scriventi, i concentrati EHL sono stati accol-
ti con un certo entusiasmo. Hanno, infatti, modificato gli schemi di profilassi
e le modalità di trattamento e approccio alla malattia sia da parte dei pazienti,
sia da parte dei medici che li hanno in cura, permettendo di superare i pro-
tocolli che venivano usati da 20 anni e favorendo la personalizzazione della
terapia, con un notevole vantaggio per i pazienti. Tuttavia, alcuni clinici re-
stano refrattari al cambiamento e non hanno riconosciuto il vantaggio dello
switch da standard half-life (SHL) a EHL.
   Lo studio retrospettivo a singolo centro condotto da Tagliaferri e colleghi
[6] su 18 pazienti con emofilia A ha dimostrato che, a seguito di tale switch, è
stato possibile ridurre la frequenza di infusione di circa il 30% fin dall’inizio
della profilassi con il prodotto EHL. Un’ulteriore riduzione della frequenza di
somministrazione di circa il 40% è stata osservata nella maggior parte dei pa-
zienti, insieme all’incremento, al contempo, della soddisfazione per il tratta-
mento, e alla diminuzione del consumo settimanale e annuale di concentrato
mediamente del 12%, migliorando la gestione delle emorragie intercorrenti
e mantenendo stabili i tassi di sanguinamento e i trough level del FVIII, che in
alcuni casi sono aumentati [6].
   In generale, con l’introduzione dei concentrati EHL, sono cambiati gli algo-
ritmi decisionali del medico, che ora deve tener conto di diverse variabili che
influiscono sul processo decisionale:
   •• età;
   •• trough level del FVIII;
   •• emivita del FVIII;
   •• stato articolare;
   •• storia di inibitore;
   •• aderenza alla terapia;
   •• storia clinica;
   •• tipo di attività e stile di vita;
   •• eventi avversi;
   •• accesso venoso;
   •• regime terapeutico precedente.
   Parallelamente si sono modificate anche le richieste da parte del paziente,
che ora ha aspettative diverse anche in merito alla qualità di vita.
   Una survey condotta in Germania, Austria e Svizzera poco prima dell’im-
missione in commercio degli EHL ha raccolto circa un migliaio di questionari
da soggetti affetti da emofilia di tipo A e di tipo B (dovuta a carenza di fattore

                                                                                 5
IX della coagulazione) e dai loro genitori [10]. I dati raccolti riguardavano per
l’83% pazienti con emofilia A, per lo più di grado grave. Le loro aspettative nei
confronti degli EHL sono risultate essere principalmente una minor frequen-
za di infusione (55,2%) e una maggiore efficacia (32,1%). Il 59,5% dei pazienti
intervistati si è dichiarato disponibile a effettuare lo switch a EHL, quando
disponibile sul mercato, se tale prodotto garantisce un’emivita prolungata e
lo stesso profilo di sicurezza del fattore in uso.
   Che l’esigenza prioritaria del paziente sia la riduzione del numero di infu-
sioni in misura nettamente maggiore rispetto alla maggior efficacia del pro-
dotto è stato ulteriormente confermato da una survey online che ha coinvol-
to 89 tra pazienti e parenti di bambini affetti da emofilia A [11].

6
2     L’insorgenza di inibitore: l’evento
      collaterale più temuto

2.1   Gli inibitori

   In emofilia si utilizza il termine “inibitori” per indicare gli anticorpi po-
liclonali anti-FVIII ad alta affinità con azione neutralizzante sviluppati nei
confronti dei concentrati del fattore della coagulazione che vengono infusi
[1, 12]. La loro presenza deve essere sospettata in tutti i casi in cui il paziente
non presenta risposta clinica alla somministrazione di FVIII, specialmente se
prima era responsivo. Lo sviluppo di inibitori è una delle complicanze più gra-
vi correlate al trattamento nell’emofilia A [1] e determina un aumento del ri-
schio di emorragie cerebrali fatali e complicanze muscoloscheletriche, dolore
e limitazioni fisiche, oltre a costituire un grosso problema per il prosieguo del
trattamento per la malattia di base.
   Il paziente ha sviluppato inibitori se il metodo Bethesda rivela la presenza
di un titolo di anticorpi anti-FVIII > 0,6 unità Bethesda (UB). Inoltre, si parla di
“inibitore Low Responder (LR)” con un titolo anticorpale < 5,0 UB e di “inibitore
High Responder (HR)” se ≥ 5,0 UB [1].
   Benché la risposta immunitaria alla base del loro sviluppo non sia anco-
ra ben compresa, sono state comunque identificate alcune caratteristiche: il
gruppo di Whelan e colleghi ha rivelato che gli inibitori sono IgG4, tipologia
di IgG non rilevata nei pazienti senza inibitori [13].
   Sono stati individuati alcuni fattori di rischio che possono concorrere a de-
terminare l’insorgenza di inibitori [1]:
   •• storia familiare di inibitori;
   •• ascendenza africana nera;
   •• ascendenza ispanica e afro-americana;
   •• mutazioni genetiche del FVIII (esistono dei database utili a classificare
       quelle note e a indicare la gravità e la propensione a sviluppare inibitori
       [14]);
   •• esposizione a massicce quantità di FVIII (in occasione di emorragie e,
       soprattutto, di chirurgie).
   L’incidenza cumulativa di sviluppo di inibitori tra pazienti che non sono
mai stati trattati con FVIII è del 30%; tra questi, il 79% dei pazienti sviluppa

                                                                                   7
inibitori nel corso delle prime 20 esposizioni e il 21% nel corso delle prime 75
esposizioni [1].
   È stato osservato che gli inibitori si sviluppano nel 25-30% dei pazienti con
emofilia grave [15] e nel 5-10% dei pazienti con emofilia lieve o moderata
[16]. Tuttavia, in questi ultimi, l’esposizione a elevati livelli di fattore VIII per
infusione continua può contribuire in maniera determinante all’insorgenza
di inibitore [17]. Mentre nei pazienti con inibitore LR le emorragie possono
essere trattate con la somministrazione di dosi elevate di fattore VIII che rie-
scono a saturare e neutralizzare l’anticorpo, nei pazienti con inibitore HR tale
strategia non dà gli stessi risultati; pertanto gli episodi emorragici, in questa
categoria di soggetti, risultano più difficili da controllare e comportano rischi
elevati di morbilità [18], mortalità [19] e disabilità, che a loro volta determi-
nano pesanti ricadute sulla qualità di vita correlata alla salute (HRQoL) [20] e
sui costi sanitari, che risultano 3 volte più elevati [21, 22].
   In particolare, secondo lo studio NIS [20], la qualità di vita degli adolescen-
ti affetti da emofilia A grave con inibitore ad alto titolo viene inficiata so-
prattutto negli aspetti riguardanti le attività sportive e scolastiche, l’ambito
familiare e la percezione di se stessi. Negli adulti gli ambiti più colpiti sono
risultati essere le attività sportive e ricreative e la percezione del futuro.
   L’impegno (il disease burden per gli anglosassoni) richiesto per la gestione
dell’emofilia complicata dalla presenza di inibitore, nel caso dei pazienti pe-
diatrici, ricade soprattutto sui caregiver. Uno studio [23] basato sulla som-
ministrazione di questionari ai caregiver di pazienti pediatrici emofilici con
(n=30) e senza inibitore (n=274) ha rilevato un burden mediano totale signi-
ficativamente superiore (99,0 vs. 76,5; P < 0,0001) nei caregiver dei pazienti
con inibitore rispetto ai caregiver dei soggetti senza inibitore. Gli aspetti più
interessati sono risultati essere quelli del sacrificio personale e delle questio-
ni logistiche.
   Lo studio retrospettivo di Walsh e colleghi [19] ha analizzato i dati di 7.386
pazienti affetti da emofilia A grave in un periodo di 13 anni, rilevando che
il numero di decessi legati alle emorragie è significativamente maggiore nei
pazienti con inibitore (41,7% vs 12,0%).

2.2   Le possibilità terapeutiche

  Appare evidente come la risoluzione di un problema così impattante sulla
salute del paziente emofilico sia di primaria importanza. Dello stesso avviso

8
Monitorare i pazienti affetti da emofilia a rischio di sviluppo di inibitori
  PREVENZIONE                                RILEVAMENTO                         DECISIONE
  • Identificare i pazienti a rischio di      • Screening precoce e               • Il paziente può essere
    sviluppo di inibitori (i fattori di        frequente dello sviluppo            indirizzato a un centro di
    rischio comprendono il background          di inibitori mediante               cura dell’emofilia con
    genetico e la storia familiare)            esami del sangue                    esperienza nella gestione
  • Promuovere le misure preventive          • Follow-up con conferma              degli inibitori
    che possono ridurre il rischio di          e quantificazione della            • Far convalidare il piano
    sviluppo di inibitori                      concentrazione di                   terapeutico da esperti
  • Monitorare attentamente                    inibitore (saggio                 • Discutere con il paziente
    l’insorgenza di inibitore in tutti i       Bethesda o                          l’inclusione in un registro
    pazienti                                   Nijmegen-Bethesda)

                        Attuale gestione dei pazienti con emofilia e inibitori
  ERADICAZIONE DELL’INIBITORE (STRATEGIA PREFERITA)                TRATTAMENTO DELLE EMORRAGIE
  Eradicazione dell’inibitore mediante ITI con terapia             Gestire gli episodi emorragici mediante
  sostitutiva                                                      l’uso di agenti bypassanti: rFVIIa
  • ITI nei bambini                                                (NovoSeven®) o aPCC (FEIBA).
      o Standard di cura
      o Riportato un buon successo
  • ITI negli adulti:                                              PROFILASSI
      o Non ampiamente accettata, validazione limitata,            Pazienti selezionati possono beneficiare
          scarsa esperienza                                        di profilassi con emicizumab o agenti
      o Considerare un primo ciclo di ITI                          bypassanti (rFVIIa o aPCC)

                                RISPOSTA DEL PAZIENTE ALLA ITI
                                • Quantificare il titolo dell’inibitore
                                • Valutare la farmacocinetica del fattore VIII
                                • Monitorare il fenotipo clinico del paziente

                                   Valutazione della risposta alla ITI

     SUCCESSO                                              INSUCCESSO O SUCCESSO PARZIALE
     • Successo pieno secondo la definizione                Occorre considerare:
       standard                                            • il titolo dell’inibitore residuo
     • Continuare la profilassi con lo stesso               • la risposta clinica al FVIII
       concentrato usato durante la ITI                    • il fenotipo emorragico, l’età, la risposta
                                                             clinica agli agenti bypassanti e lo stato
                                                             delle articolazioni del paziente

  Attuali opzioni terapeutiche nei pazienti con inibitori persistenti dopo fallimento della ITI

  ITI DI SECONDA LINEA                            TRATTAMENTO DI             PROFILASSI
  Nuovo tentativo di ITI con un regime diverso    SANGUINAMENTI              • Profilassi con concentrati di
  • Provare un diverso concentrato di fattore     ACUTI                        fattore in alcuni pazienti con
  • Usare una dose più alta o somministrare il    • Trattamento                inibitori a basso titolo o
     fattore due volte al giorno                    on-demand con              risposta parziale alla ITI
  • Considerare l’associazione con un               agenti bypassanti        • Pazienti selezionati possono
     protocollo immunosoppressivo (ad es.           (rFVIIa o aPCC)            considerare la profilassi con
     aggiungendo rituximab al regime ITI in                                    emicizumab o con agenti
     corso)                                                                    bypassanti (rFVIIa o aPCC)

Figura 1. Monitoraggio dell’insorgenza di inibitori e flowchart di gestione del
paziente con inibitori secondo Ljung e colleghi. Modificato da [16]

                                                                                                                 9
appaiono anche le recentissime linee guida della World Federation of Hemophilia
 (WFH) [1], che confermano quanto già sostenuto da più parti e cioè che l’era-
 dicazione dell’inibitore è l’obiettivo principale da perseguire ogni volta che
 ciò sia possibile [4, 24].
    Ad oggi il trattamento più consolidato per l’eradicazione dell’inibitore è
 l’induzione dell’immunotolleranza (immune tolerance induction – ITI), cioè la
 somministrazione prolungata di dosi elevate di fattore VIII [4, 16]. L’ITI è ef-
 ficace nel 70-80% dei pazienti con emofilia A grave, mentre nei pazienti con
 emofilia lieve o moderata la percentuale di successo è inferiore [1]. I criteri
 per la valutazione del successo della ITI sono clinici, ma soprattutto farmaco-
 cinetici: infatti, l’eradicazione viene definita come un titolo Bethesda persi-
 stentemente negativo, accompagnato da farmacocinetica normale (recupero
 del fattore > 66% ed emivita > 6 ore per FVIII standard) [1]. L’ITI si considera
 fallita quando non si ottiene l’eradicazione dell’inibitore in 2-3 anni [1].
    Nei pazienti con inibitore, per la prevenzione del sanguinamento in profi-
 lassi possono essere utilizzati gli agenti bypassanti (fattore VII ricombinante
 attivato – rFVIIa e complesso protrombinico attivato – aPCC) o emicizumab,
 mentre per il trattamento in acuto di episodi emorragici è possibile ricorrere
 all’uso on demand di agenti bypassanti, quali aPCC e rFVIIa [16].
    La Figura 1 riporta gli algoritmi di monitoraggio e gestione dei pazienti con
 inibitore secondo il gruppo di Ljung e colleghi [16].

10
3    ITI (prima linea)

   L’ITI può essere effettuata somministrando fattore VIII a dosaggio alto (200
UI per kg di peso corporeo ogni giorno), come ad esempio nel protocollo di
Bonn [25], o intermedio (100 UI per kg di peso corporeo ogni giorno). Benché
i protocolli che prevedevano un dosaggio basso (25-50 UI per kg di peso cor-
poreo a giorni alterni) [26] siano caduti in disuso alcuni anni fa, ultimamente
hanno riacquistato importanza a seguito dell’avvento di emicizumab e della
possibilità di combinarne l’uso in profilassi, come illustrato nel Capitolo 5.
   Alcuni autori hanno proposto, soprattutto in pazienti HR, protocolli che
prevedono l’utilizzo combinato con immunosoppressori e immunomodula-
tori [27, 28]. In particolare, il protocollo di Malmö prevede, in presenza di
concentrazioni elevate di inibitore, l’immunoadsorbimento extracorporeo,
l’immunosoppressione mediante ciclofosfamide e l’immunomodulazione con
IVIG, oltre alla somministrazione di concentrato di fattore VIII (per mante-
nere nel paziente livelli di FVIII compresi tra 40 e 100 UI/dL): tale protocollo
presenterebbe il vantaggio, rispetto ai regimi ad alto dosaggio di fattore VIII,
di poter raggiungere la tollerizzazione in 3-4 settimane [28].
   Le linee guida italiane (AICE) [4], europee (European Association for Haemo-
philia and associated disorders – EHAD) [24] e mondiali (WFH) [1] sono concordi
nel sostenere che l’eradicazione dell’inibitore è l’obiettivo principale, perché
l’eliminazione dell’inibitore permette il ripristino della terapia sostitutiva e
quindi il miglioramento della malattia. Suggeriscono, pertanto, di iniziare
l’ITI appena possibile.
   Secondo l’AICE [4], l’ITI deve essere proposta a tutti i pazienti con emofilia
A grave e inibitore, se la loro risposta anamnestica, bassa o alta che sia, inter-
ferisce con la profilassi o il trattamento on demand a regimi standard di FVIII.
Dal momento che l’inibitore insorge di solito entro 50-100 giorni di esposizio-
ne al FVIII, i soggetti più colpiti sono i pazienti pediatrici. Se l’eradicazione
precoce ha successo, tali pazienti avranno la possibilità in tempi successivi
di effettuare la profilassi con FVIII, con grande vantaggio anche in vista di
possibili eventi traumatici o interventi chirurgici; è stato calcolato che l’e-
radicazione precoce dell’inibitore sia in grado di far ottenere un rapporto di
costo-utilità ottimale nel lungo termine [29]. L’AICE, pertanto, suggerisce di
iniziare l’ITI il prima possibile, ma consiglia di attendere che i livelli di inibi-
tore scendano al di sotto della soglia di 10 UB/ml perché, a seguito di alcuni

                                                                                   11
studi, era stato ipotizzato che valori non troppo elevati costituissero un fatto-
 re favorevole per il successo dell’eradicazione dell’inibitore [4, 30–32]. Tutta-
 via lo studio di Nakar e colleghi [33] ha rilevato, al contrario, che la sommini-
 strazione tempestiva di ITI, cioè entro un mese dall’insorgenza dell’inibitore,
 in soggetti con livelli di inibitore superiori a 10 UB/ml possa essere un fattore
 che favorisce l’eradicazione dell’inibitore, dal momento che l’eradicazione è
 avvenuta con successo nel 100% (13/13) dei pazienti studiati. A seguito di tale
 esperienza si è iniziato a ipotizzare che i livelli di inibitore pre-ITI > 10 UB non
 siano un criterio sfavorevole per il successo dell’eradicazione.
   Tuttavia successivamente Ljung [34], nello stilare un elenco dei fattori pro-
 gnostici positivi e negativi di successo della ITI in prima linea, ha incluso an-
 che il titolo di inibitore pre-ITI < 10 UB/ml tra i fattori prognostici positivi,
 che risultano essere:
   •• titolo inibitore pre-ITI < 10 UB/ml;
   •• titolo del picco storico < 200 UB/ml;
   •• picco in corso di ITI < 100 UB/ml;
   •• periodo tra diagnosi di inibitore e inizio della ITI < 5 anni;
   •• giovane età del paziente;
   •• nessuna interruzione in corso di ITI.
   Anche negli adulti è possibile iniziare la ITI, soprattutto se l’inibitore de-
 termina una elevata frequenza di manifestazioni emorragiche e se presenta-
 no fattori prognostici favorevoli al raggiungimento del successo completo o
 parziale [4].
   Nei pazienti con prognosi favorevole è consigliabile iniziare l’ITI a dosi in-
 termedie o alte (almeno 100 UI/kg/die o 200 UI/kg/die) [4]. Tuttavia, secon-
 do la nostra esperienza, diversamente da quanto riportato nelle linee guida
 AICE, è consigliabile proporre la ITI ad alte dosi anche nei pazienti con pro-
 gnosi sfavorevole, poiché la pratica clinica dimostra che è possibile raggiun-
 gere l’eradicazione. Invece è poco indicato il dosaggio basso di ITI da solo (50
 UI/kg tre volte alla settimana), specialmente nella popolazione pediatrica,
 dal momento che si associa a un maggior tempo per l’eradicazione e a un nu-
 mero più elevato di sanguinamenti intercorrenti [4].
   Nello studio randomizzato International Immune Tolerance [35], in 115 pa-
 zienti affetti da emofilia A con elevato titolo di inibitore e fattori prognostici
 positivi non sono state riscontrate differenze tra le ITI a dose alta (200 UI/kg/
 die) o bassa (50 UI/kg 3 giorni a settimana) in termini di successo nell’eradica-
 zione, ma nei pazienti che assumevano dosi basse il successo è stato raggiunto
 più tardi e si è manifestato un numero maggiore di emorragie, che sono un
 fattore prognostico negativo per la buona riuscita dell’eradicazione [36, 37]. A

12
supporto di quest’ultima osservazione, infatti, il report prospettico [36] dello
studio osservazionale ObsITI ha analizzato 48 pazienti che ricevevano ITI e ha
dimostrato che il tempo di raggiungimento del successo completo dell’eradi-
cazione era influenzato da: titolo dell’inibitore al momento dell’inizio della
ITI (≤ o > di 10 UB), numero di fattori prognostici negativi già noti (nessuno
oppure 1 o più), numero di sanguinamenti al mese (≤ o > di 0,5) e titolo del
picco dell’inibitore nel corso della ITI (≤ 50 UB o compreso tra 50 e 200 UB o
> 200 UB). Similmente, lo studio retrospettivo multicentrico ITER [37], che ha
analizzato 71 pazienti, ha consentito agli autori di concludere che l’incidenza
di sanguinamenti in corso di ITI era inversamente associata al tempo di otte-
nimento del successo in termini di eradicazione dell’inibitore.
  L’ITI viene generalmente effettuata con lo stesso prodotto che ha deter-
minato l’insorgenza di inibitore [4], ma la letteratura scarseggia di dati a
supporto di tale pratica comune. Secondo le linee guida americane [38] e ita-
liane [4], non vi è evidenza sufficiente per preferire un prodotto a un altro;
inoltre un FVIII plasma-derivato contenente fattore von Willebrand (vWF)
potrebbe essere una buona opzione dal momento che il vWF, secondo alcuni
studi [36, 39–41], sembra aumentare la probabilità di tollerizzazione. Altri
studi, comunque, non hanno rilevato associazioni tra outcome e tipo di con-
centrato di FVIII [42, 43].

                                                                               13
4    Rescue ITI (seconda linea)

   Ancor più complessa e priva di certezze appare la seconda linea, da attuare
 a seguito di comprovato insuccesso della ITI di prima linea, secondo i criteri
 riportati nel Capitolo 2.
   In caso di fallimento dell’ITI di prima linea, Brackmann e colleghi [44] sug-
 geriscono diverse strategie: interrompere la ITI con FVIII e utilizzare i fat-
 tori bypassanti in profilassi, oppure riprendere l’ITI aumentando le dosi del
 FVIII precedentemente utilizzato o cambiando prodotto a favore di un FVIII
 plasma-derivato ricco di vWF e valutare eventualmente l’aggiunta di un im-
 munosoppressore. È possibile anche ricorrere a combinazioni diverse delle
 strategie sopra riportate. Brackmann e colleghi giudicano l’esperienza con gli
 EHL troppo limitata per poter fornire delle raccomandazioni in merito [44].
   All’incertezza sul protocollo ottimale da seguire si aggiunge il fatto che la
 ITI è una terapia impegnativa per il paziente, ma anche per la famiglia, ampia-
 mente coinvolta nella maggior parte dei casi, in quanto molto spesso si tratta
 di pazienti pediatrici. In effetti l’elevata frequenza di infusioni determina in
 molti casi la necessità di impiantare accessi venosi centrali e/o fistole artero-
 venose, con tutte le problematiche e le possibili complicanze infettive che ne
 derivano. Se il primo ciclo di ITI non dà il successo sperato, si deve ricorrere
 al secondo o al terzo ciclo, di cui però non sono noti i regimi ottimali e i pro-
 dotti più efficaci. Inoltre la somministrazione protratta nel tempo di dosaggi
 elevati di FVIII porta a un incremento dei costi a carico del sistema sanitario.
   Anche la profilassi con agenti bypassanti presenta delle problematiche. In
 particolare, la risposta varia su base sia inter-, sia intraindividuale, dal mo-
 mento che l’efficacia in alcuni pazienti è risultata variare nel tempo. Inoltre
 mancano test validati per il monitoraggio della profilassi e l’uso prolungato
 comporta costi notevoli. Infine il 10-20% degli episodi emorragici non risul-
 ta trattato adeguatamente, fattore che, come visto sopra, oltre a ritardare il
 buon esito dell’eradicazione, rischia di peggiorare l’artropatia emofilica del
 paziente.

14
5    Emicizumab

  Da gennaio 2019 è disponibile un nuovo farmaco per la terapia del paziente
con storia di inibitore ad alto titolo (> 5 BU): emicizumab. Questo anticorpo
monoclonale bispecifico, che mima l’azione del FVIII [45, 46], consentendo
alla reazione a catena della coagulazione di avviarsi, non è influenzato dalla
presenza di anticorpi anti-FVIII [46], caratteristica che ha determinato l’im-
missione in commercio con indicazione esclusiva per pazienti con emofilia A
con inibitori del FVIII (in seguito l’indicazione è stata estesa anche ai pazienti
con emofilia A grave senza inibitori del FVIII) [47]. Lo studio di fase I ha di-
mostrato che l’emivita di emicizumab è di 4-5 settimane [48]. Studi successivi
ne hanno dimostrato l’efficacia nel ridurre il sanguinamento [49] e l’elevato
livello di soddisfazione da parte dei pazienti, che possono beneficiare di una
più maneggevole modalità di somministrazione (sottocutanea invece che en-
dovenosa) e di una ridotta frequenza di somministrazione; tali caratteristiche
potenzialmente favoriscono l’aderenza al trattamento e migliorano la qualità
di vita [50].
  Lo studio HAVEN 1 [51], di fase 3, ha randomizzato pazienti ≥ 12 anni affetti
da emofilia A con inibitore in tre bracci di trattamento. I pazienti che prima
ricevevano agenti bypassanti on-demand sono stati randomizzati 2:1 a riceve-
re la profilassi con emicizumab (n=35, gruppo A) o nessuna profilassi (n=18,
gruppo B). Un terzo braccio di trattamento era costituito da 49 partecipanti
che prima ricevevano agenti bypassanti in profilassi e durante lo studio han-
no ricevuto la profilassi con emicizumab (gruppo C). La maggior parte dei
pazienti era affetta da emofilia grave. Il confronto tra il gruppo A e il gruppo
B dopo 24 settimane ha fatto emergere che emicizumab è in grado di ridur-
re dell’87% il tasso annualizzato di sanguinamento (annualized bleeding rate
– ABR). Nei 24 pazienti del braccio C per i quali erano presenti i dati, è stato
calcolato che la profilassi con emicizumab ha comportato una riduzione del
tasso di sanguinamento del 79% rispetto alla profilassi con agenti bypassanti
che ricevevano precedentemente. Lo stesso tipo di analisi nello studio HAVEN
2 [52], di fase 3, ha rilevato, invece, nei 15 pazienti pediatrici (< 12 anni) per i
quali erano disponibili i dati, una riduzione di ABR del 99% rispetto alla pre-
cedente profilassi con agenti bypassanti.
  Emicizumab, una volta raggiunto lo steady state, fornisce un livello di pro-
tezione efficace e sostenuto nel tempo, dal momento che la sua emivita è di

                                                                                   15
alcune settimane [48]. Il fascino che ricopre per il paziente dipende in larga
 parte dalla modalità di somministrazione, non più endovenosa, ma sottocu-
 tanea, e dalla frequenza di somministrazione, generalmente ogni 1-2 setti-
 mane. È anche stato dimostrato che la profilassi con emicizumab è associata
 a miglioramenti sostanziali e significativi nella qualità di vita correlata alla
 salute [53].
    Alla luce di questi importanti risultati di emicizumab nel controllo delle
 emorragie e della migliore maneggevolezza rispetto alle somministrazioni
 endovenose che caratterizzano gli altri prodotti generalmente usati in emofi-
 lia, è lecito domandarsi se abbia ancora senso effettuare l’ITI.
    Dal fronte clinico, la domanda che i partecipanti agli incontri si sono posti
 è stata se fosse ancora opportuno effettuare il trattamento per l’eradicazione
 dell’inibitore, vista l’innovazione che ha portato emicizumab: la risposta che
 è emersa dal dibattito vede ancora l’eradicazione con il fattore VIII come gold
 standard. Come ribadito anche dalle più recenti linee guida WFH [1], è neces-
 sario quantomeno tentare di eradicare l’inibitore, perché la sua presenza è un
 fattore prognostico negativo per il paziente [36, 37], perché gli agenti bypas-
 santi per la gestione dei sanguinamenti hanno minor efficacia e maggiori ef-
 fetti collaterali (es. rischio di trombosi con aPCC) [51, 54] e per le situazioni,
 come quella di un intervento chirurgico, in cui è necessario premunirsi contro
 il rischio emorragico somministrando dosi massive di prodotto; emicizumab,
 infatti, non è in grado di garantire l’emostasi in questi casi. Inoltre, avere la
 possibilità di tornare ad assumere la terapia sostitutiva con FVIII è sempre
 un vantaggio. Lo stesso studio HAVEN 1 [51] ha messo in luce che in corso di
 trattamento con emicizumab si sono verificati diversi sanguinamenti.
    Ulteriori opzioni terapeutiche sono in corso di sperimentazione e la stessa
 terapia genica sembra ora profilarsi all’orizzonte come una possibilità concre-
 ta [55]. Tuttavia, quest’ultima sarà preclusa ai pazienti che hanno sviluppato
 l’inibitore. L’eradicazione dell’inibitore mediante ITI si conferma, pertanto,
 l’obiettivo a cui puntare anche nel prossimo futuro e il ricorso a emicizumab
 da solo deve avvenire solo dopo il fallimento della terapia con ITI.
    La differenza rispetto al passato è che la commercializzazione di nuovi pro-
 dotti come emicizumab consente di tentare protocolli di combinazione emi-
 cizumab + ITI che sono meno invasivi per il paziente e più sostenibili anche
 dal punto di vista economico.
    Il gruppo di lavoro di Carcao e colleghi [56], su basi puramente teoriche,
 aveva ipotizzato di modificare l’algoritmo di gestione del paziente con inibi-
 tore per introdurre la profilassi di combinazione emicizumab + ITI (Figura 2),
 nell’ipotesi che essa possa garantire un’adeguata prevenzione del sanguina-

16
mento, diminuire la necessità di accessi venosi centrali e al contempo mante-
nere una ragionevole probabilità di successo della ITI.

                     Monitoraggio mensile del titolo dell’inibitore, dello stato delle articolazioni e del fenotipo sanguinamento
    Iniziare non
                                                                                                                                                                 Un paziente non in grado di
   appena viene                                                                                                                     Paziente con emofilia A
                                                                                                                                                                  aderire all’ITI può iniziare
        rilevato                                                                                                                        che sviluppa un
                                                                                                                                                                   emicizumab e rivalutare
    un inibitore                                                                                                                           inibitore
                                                                                                                                                                  l’ITI in qualsiasi momento

                                                                                                                                       50 UI/kg 3 volte                Se non si aggiunge
                                                                                                                                       alla settimana +                   emicizumab,
     Escalation                                                                                                                          emicizumab                  raccomandati gli stessi
      se il titolo                                                                                                                                                     regimi già descritti
   dell’inibitore
        aumenta                                                                                                                      200 UI/kg al giorno +
                                                                                                                                         emicizumab

                                                                                                                                       Non responding                       Responding

       Punto di
                                                                                                                                          Calo 20%
      decisione                                                                                                                       dal titolo massimo                 dal titolo massimo
       a 9 mesi

                                                                                                                                     Switch di prodotto                Considerare
                                                                                                                                     e/o intensificazione            interruzione ITI e
                                                                                                                                          del regime              inizio di emicizumab

                                                                                                                                    Valutazione esito ITI a
                                                                                                                                     18 o 33 mesi o dopo

                                                                                                                                                              Risposta
                                                                                                                                      Successo                                    Fallimento
                                                                                                                                                              parziale

Figura 2. Proposta del gruppo di Carcao e colleghi per la gestione del paziente
affetto da emofilia A con inibitore. Modificata da [56]

                                                                                                                                                                                                 17
Protocollo di Atlanta

          Profilassi con emicizumab              Induzione dell’immunotolleranza
     Dose di carico                            FVIII ricombinante o
     • 3 mg/kg s.c./settimana per              plasma-derivato
       4 settimane                             • 50-100 UI/kg e.v. 3
     Opzioni di mantenimento della dose          volte/settimana a partire da ≥4
     • 1,5 mg/kg s.c./settimana                  settimane dopo aver iniziato
     • 3 mg/kg s.c. ogni 2 settimane             emicizumab

 Figura 3. Protocollo di Atlanta per la gestione del paziente emofilico con inibitore.
 Modificato da [57]

   Una prima esperienza di profilassi di combinazione emicizumab + ITI è stata
 pubblicata da Batsuli e colleghi nel 2019 [57]. Si tratta di una case series di 7
 pazienti pediatrici con emofilia A grave e inibitore: oltre a emicizumab, 6 sog-
 getti hanno ricevuto 3 diversi concentrati di FVIII ricombinante alla dose di
 100 UI/kg per 3 volte alla settimana e 1 paziente ha ricevuto un FVIII plasma-
 derivato alla dose iniziale di 50 UI/kg tre volte alla settimana. Il protocollo
 utilizzato è stato denominato “Protocollo di Atlanta” ed è riportato nella Fi-
 gura 3.
   I risultati sono stati incoraggianti. Per 5 pazienti erano già stati fatti pre-
 cedentemente dei tentativi di ITI. Tre pazienti hanno raggiunto la negativiz-
 zazione dell’inibitore in 40 settimane o meno e 2 di questi pazienti hanno
 ottenuto un normale recovery “in vivo” del FVIII, ma tutti, al termine del pe-
 riodo di osservazione descritto nello studio, hanno proseguito il protocollo di
 Atlanta, che può quindi rappresentare un approccio interessante nei pazienti
 pediatrici con emofilia e inibitore.
   Il protocollo di Tokyo [58], invece, è stato testato solo su 3 pazienti, che
 hanno mostrato una riduzione del titolo dell’inibitore, in assenza di manife-
 stazioni trombotiche e di anomalie di laboratorio. Tale protocollo ha impie-
 gato efmoroctocog alfa EHL a bassa dose (50 UI/kg) due volte alla settimana
 in combinazione con emicizumab.
   Altri studi che puntano ad approfondire la profilassi di combinazione ITI +
 emicizumab sono in corso: ad esempio lo studio osservazionale prospettico

18
di coorte MOTIVATE [59] è ancora in fase di reclutamento. Ha l’obiettivo di
analizzare 120 pazienti suddivisi in 3 gruppi:
   •• ITI;
   •• ITI + emicizumab;
   •• emicizumab o aPCC o rFVIIa.
   Tali nuovi dati potranno essere di ausilio nelle scelte terapeutiche.
   Nel lavoro pubblicato nel 2020 da Escuriola-Ettinghausen e colleghi [60],
il gruppo di panelist ha suggerito tre possibili approcci nei confronti del pa-
ziente con pregresso inibitore eradicato con ITI in associazione con emicizu-
mab, i cui vantaggi e punti ancora aperti sono stati discussi dai clinici nel
corso degli incontri e sono riportati qui di seguito.
   1. Proseguire la profilassi con emicizumab dopo aver sospeso gradualmen-
      te il fattore VIII:
       a. non si sa per quanto tempo persisterà la tolleranza in assenza di
           esposizione al fattore VIII e quale sarà, dunque, il rischio di recidiva
           dell’inibitore;
       b. non si conosce quale potrebbe essere la risposta del paziente al suc-
           cessivo contatto con il fattore VIII, per esempio in caso di chirurgia
           o emorragia;
       c. il paziente potrebbe perdere la capacità di praticare l’autoinfusione
           con il fattore VIII;
       d. non è ancora chiaro con quale schema dovrebbe avvenire la gradua-
           le sospensione del fattore VIII.
   2. Proseguire la profilassi con emicizumab aggiungendo basse dosi/minori
      frequenze di infusione di fattore VIII:
       a. il paziente manterrebbe la tolleranza al fattore VIII;
       b. il paziente preserverebbe la capacità di autoinfondersi;
       c. rimane da chiarire quale sia la dose di fattore VIII da utilizzare;
       d. rimane da chiarire quale concentrato di fattore VIII usare;
       e. rimane da chiarire quale sia l’intervallo di infusione ideale;
       f. rimane da chiarire per quanto tempo occorre continuare a sommini-
           strare il fattore VIII.
   3. Sospendere la profilassi con emicizumab (se effettuata durante la ITI) e
      continuare la profilassi con il solo fattore VIII:
       a. il paziente manterrebbe la tolleranza al fattore VIII;
       b. il paziente preserverebbe la capacità di autoinfondersi;
       c. il paziente continuerebbe a ricevere la sua terapia d’elezione,
           cioè il trattamento sostitutivo con il FVIII, anche se perderebbe
           la possibilità di utilizzare un farmaco vantaggioso dal punto di

                                                                                  19
vista della via di somministrazione e della frequenza di infusio-
            ne;
        d. si eviterebbe di dover disporre di due farmaci, uno per la profilassi e
            l’altro per il trattamento di emorragie intercorrenti e per la chirur-
            gia;
        e. rimane da chiarire se sia meglio continuare con lo stesso concentra-
            to di FVIII usato per la ITI o se preferire per esempio un FVIII EHL.
   In merito agli ultimi due punti evidenziati nell’approccio n. 2, il già citato
 lavoro di Carcao e colleghi [56] ha suggerito di mantenere la somministra-
 zione del fattore VIII una volta alla settimana per 6 mesi, a cui dovrebbero
 seguire altri 6 mesi di somministrazione del FVIII una volta ogni due settima-
 ne. Trascorsi questi due periodi, secondo il FIT group, il fattore VIII dovrebbe
 essere sospeso. Il monitoraggio per l’insorgenza di inibitore dovrebbe essere
 effettuato con regolarità sia durante questi 12 mesi, sia in seguito.
   Lo stesso gruppo di Carcao [56], in merito all’approccio n. 3, sottolinea che,
 data la maneggevolezza di emicizumab in termini di via di somministrazione
 e di frequenza di somministrazione, difficilmente il paziente che l’ha utilizza-
 to vorrà sospenderlo.
   Tuttavia, lo statunitense Guy Young nella sua review del 2019 [61] si dichia-
 ra a netto favore dell’approccio n. 3, asserendo che la profilassi con il fattore
 VIII dopo eradicazione dell’inibitore dovrebbe continuare per tutta la vita e
 che non c’è un razionale alla base dell’approccio FVIII + emicizumab, che ol-
 tretutto risulterebbe più costoso.
   Nell’esperienza dei clinici presenti ai meeting, i pazienti (o i loro caregiver)
 che sono andati incontro a eradicazione dell’inibitore hanno sentimenti con-
 trastanti nei confronti della gestione post-ITI, anche alla luce della recente in-
 troduzione di emicizumab quale nuova opzione terapeutica. L’idea di iniziare
 una profilassi con il solo emicizumab dà loro una sensazione di liberazione
 da un trattamento quotidiano endovenoso sfiancante e faticoso, che spesso si
 protrae per alcuni anni (considerando sia l’ITI di prima linea e sia l’eventuale
 riscorso a rescue ITI) e può complicarsi con emorragie intercorrenti a volte
 difficili da trattare con agenti bypassanti.
   I pazienti, pur manifestando interesse per questa nuova profilassi, che per-
 cepiscono essere correlata a un miglioramento della loro qualità di vita, al
 contempo si mostrano spesso preoccupati relativamente al rischio di recidiva
 dell’inibitore in assenza di esposizione al fattore VIII. D’altro canto l’even-
 tuale associazione del fattore VIII a emicizumab potrebbe rappresentare per
 molti di loro un ritorno alla “schiavitù” delle infusioni per via endovenosa.
 Vogliono avere inoltre certezze sulla sicurezza nel lungo termine di un far-

20
maco di così recente approvazione. Sono infine consapevoli che emicizumab
è efficace solo in profilassi e che quindi le emorragie intercorrenti e le prepa-
razioni a interventi chirurgici vanno trattati con il fattore VIII.
   Le più recenti linee guida WFH [1] non si pronunciano in merito all’uso di
emicizumab prima, durante, dopo o al posto del trattamento ITI, sostenendo
che sono necessari ulteriori studi clinici per poter trarre una conclusione in
merito a questo. Dopo l’eradicazione, però, raccomandano di iniziare la pro-
filassi con il FVIII e sottolineano il fatto che, tra gli EHL, efmoroctocog alfa è
l’unico a essere stato testato per il suo potenziale tollerogenico nella preven-
zione dell’insorgenza di inibitore e nell’induzione dell’immunotolleranza.
   Per il momento la terapia di combinazione ITI + emicizumab sembra esse-
re promettente e aver dato risultati preliminari incoraggianti, con un buon
controllo del sanguinamento, una minor frequenza di infusione, un minor
ricorso agli accessi venosi centrali e un considerevole risparmio economico
derivante dall’impiego di dosi inferiori di fattore VIII.

                                                                                 21
6    Eradicazione incompleta dell’inibitore:
      strategie nella pratica clinica

   Come rilevato dalla condivisione dell’esperienza dei clinici scriventi, nella
 pratica clinica si incontrano anche pazienti in cui l’eradicazione è stata in-
 completa, cioè si rileva una negativizzazione dell’inibitore, ma la curva far-
 macocinetica (PK) risulta inadeguata. In tali casi i tentativi di washout dell’ITI
 sono spesso seguiti da incremento del titolo dell’inibitore e dal manifestarsi
 di importanti eventi emorragici.
   Non esiste al momento un algoritmo validato per la gestione di questi pa-
 zienti. Dal confronto nel corso dei meeting è emerso che allo stato attuale in
 Italia non è più possibile protrarre la ITI per anni. Oltre alla scarsa tollerabili-
 tà da parte del paziente, infatti, tale terapia non è più considerata sostenibile
 nemmeno da un punto di vista economico, soprattutto alla luce delle nuove
 possibili strategie di profilassi con prodotti non sostitutivi, da soli o in combi-
 nazione con il fattore VIII.
   L’uso di FVIII come rescue ITI comporta l’uso di volumi elevati di prodotto,
 che porta l’infusione a durare parecchi minuti e rende necessario il posizio-
 namento di cateteri venosi, non sempre ben tollerati dal paziente.
   Il confronto tra i clinici ha posto in evidenza ancora una volta la necessità
 di personalizzare la terapia sulla base della curva PK, della tollerabilità del
 paziente e della risposta clinica.
   Una strategia da adottare potrebbe essere l’utilizzo della profilassi con emi-
 cizumab associata alla somministrazione settimanale di concentrato di FVIII.
 In particolare, si potrebbe continuare l’ITI durante le prime tre settimane di
 somministrazione di emicizumab (periodo necessario per il raggiungimento di
 livelli plasmatici di steady-state di emicizumab) e, successivamente, sospende-
 re l’ITI e continuare la somministrazione settimanale di concentrato di FVIII,
 al fine di mantenere nel paziente la “memoria immunologica” del FVIII ed evi-
 tare un rialzo dei livelli di inibitore. Resta da definire la dose di FVIII da som-
 ministrare e il tipo di concentrato da utilizzare, se continuare con lo stesso
 FVIII usato in ITI o somministrare un concentrato FVIII EHL. È chiaro che sarà
 necessario un periodico monitoraggio di laboratorio per valutare se l’inibitore
 rimane negativo o è presente a livelli bassi e tali da consentire di utilizzare,
 in caso di emorragie intercorrenti o chirurgie, la terapia sostitutiva con FVIII.

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Un’opzione alternativa considerata è stata la somministrazione di emi-
cizumab da solo, evitando completamente il FVIII, nella speranza che l’i-
nibitore si abbassi ulteriormente o si mantenga non rilevabile, in modo da
poter consentire l’uso di FVIII in caso di necessità (chirurgie, emorragie in-
tercorrenti).

                                                                             23
7    Eradicazione completa dell’inibitore: quali
      farmaci somministrare dopo? Strategie
      in letteratura e nella pratica clinica

    Nella maggior parte dei casi, dopo l’eradicazione, ci si domanda se sia pru-
 dente effettuare lo switch a un altro prodotto. Con la disponibilità crescente
 di prodotti e la maggior facilità con cui i pazienti effettuano lo switch, tale
 questione è sempre più dibattuta [62]. Diversi sembrano essere i motivi sia
 clinici, sia di praticità per effettuare lo switch: dal miglior profilo di sicurez-
 za (reale o percepito) del concentrato, ai minori effetti collaterali, al volume
 finale del prodotto, alla maggior facilità di conservazione, all’emivita prolun-
 gata, ecc. [62].
    Tuttavia, molti pazienti sviluppano un forte legame psicologico con il pro-
 dotto che utilizzano e sono restii a effettuare uno switch, specialmente se
 hanno una storia personale o famigliare di inibitore o se sono portatori di una
 mutazione ad alto rischio di sviluppo dell’inibitore. I loro timori nei confronti
 dello switch riguardano principalmente lo sviluppo di inibitori e le incertezze
 sulla sicurezza di un nuovo prodotto [10].
    Efmoroctocog alfa è l’unico EHL per il quale al momento ci siano delle evi-
 denze di sicurezza a livello di switch dopo successo della ITI effettuata con un
 altro prodotto [6, 63]. I dati presenti in letteratura, tuttavia, sono limitati, in
 quanto i pazienti con pregresso inibitore sono spesso esclusi dagli studi cli-
 nici. Per una consistente percentuale di pazienti (si calcola circa il 15% degli
 emofilici gravi), pertanto, si ha timore di effettuare lo switch a EHL in quanto
 si teme la nuova insorgenza di inibitore. Alcuni studi, in effetti, hanno messo
 in guardia da questa evenienza e hanno suggerito che, se si vuole comunque
 effettuare lo switch, sia necessario attendere molto tempo. In particolare, le
 linee guida sull’uso degli EHL della United Kingdom Haemophilia Centre Doctors’
 Organisation (UKHCDO) [64] suggeriscono che i pazienti con storia di inibitore
 che siano stati tollerizzati nell’arco degli ultimi 12 mesi non debbano effet-
 tuare lo switch ad altri concentrati di FVIII.
    Tuttavia alcune esperienze cliniche pubblicate sull’argomento sembrano
 andare nella direzione opposta.
    In particolare, la review della letteratura di Coppola e colleghi [65] ha ana-
 lizzato tutte le pubblicazioni che fornivano dati sufficienti circa l’insorgenza

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