FRANCIA: IL DISASTRO FRANCE - INSOUMISE di Jacques Sapir - sollevazione

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FRANCIA: IL DISASTRO FRANCE - INSOUMISE di Jacques Sapir - sollevazione
FRANCIA: IL DISASTRO FRANCE
INSOUMISE di Jacques Sapir

[ martedì 28 maggio 2019 ]

Successo non pienissimo per il Rassemblement National,
sconfitta attenuata per En Marche, una mezza sorpresa per gli
ambientalisti e opposizione per il resto atomizzata, sia a
destra che a sinistra: ecco il panorama politico che sta
emergendo dopo le elezioni europee. Se gli avversari di Macron
vogliono contare qualcosa, dovranno avviare cambiamenti
radicali.

Le elezioni europee in Francia si sono basate principalmente
su temi francesi. Questa è la prima lezione che se ne può
trarre: erano un voto sul Presidente.

Questo spiega perché il numero di astensionisti è stato molto
inferiore rispetto al 2014. Sebbene le classi lavoratrici, e
anche i giovani, si siano ampiamente astenuti, il tasso di
partecipazione è aumentato di quasi otto punti percentuali
rispetto al livello eccezionalmente basso del 2014.
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Il fallimento di Emmanuel Macron

Queste elezioni hanno visto il relativo successo del
Rassemblement National (RN), che batte la lista La République
En Marche (LREM) – Mouvement Democrate (MoDem)- Renaissance,
guidata da Nathalie Loiseau. Il relativo insuccesso di questa
lista, nonostante il sostegno attivo ricevuto da parte del
presidente, è degno di nota. Emmanuel Macron aveva appoggiato
oltre ogni decenza, visto il suo ruolo, la lista LREM. Questo
sostegno, per molti aspetti scandaloso, non ne ha evitato il
fallimento. È quindi una sconfitta personale e inciderà sulla
capacità del presidente di rianimare la sua politica. Emmanuel
Macron ora è costretto in una posizione difensiva e un po’ più
screditato, sia a livello nazionale che a livello europeo.

Il successo della lista RN, guidata da Jordan Bardella, è
innegabile, ma non si tratta affatto di un trionfo. L’RN
fatica a riconquistare la percentuale del 24% ottenuta nel
2014.

L’insuccesso della lista Loiseau è comunque relativo, per due
motivi: il primo è la percentuale ottenuta, superiore al 22%
della lista LREM. Quindi non si tratta di un crollo.

La seconda ragione è il vero collasso, invece, del partito Les
Républicains (LR), guidato da François-Xavier Bellamy. Con
poco più dell’8% e il quarto posto, la lista LR subisce una
vera e propria disfatta, che può solo mettere in discussione
la direzione esercitata da Laurent Wauquiez. Una sconfitta che
può essere spiegata dalla polarizzazione tra RN e LREM che si
è imposta nelle ultime settimane della campagna.

Un certo numero di elettori di LR sono passati a uno di questi
due partiti, e probabilmente più verso LREM che su RN. Questo
non è sorprendente. Emmanuel Macron è diventato, a causa del
movimento dei gilet gialli, il simbolo del partito
dell’ordine. È quindi naturale che una parte dell’elettorato
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della destra legittimista, come una parte degli elettori di
François Fillon nel primo turno della presidenziale 2017, si
sia ritrovato tra gli elettori che hanno votato per la lista
LREM.

Le conseguenze di questa situazione sono contraddittorie.
Emmanuel Macron ha sicuramente limitato i danni e può cantare
vittoria a breve termine. Ma il suo potenziale serbatoio di
voti si è ridotto e ha esaurito le sue riserve. Ciò avrà
conseguenze sulle prossime elezioni amministrative del 2020,
perché i Repubblicani possono sperare di recuperare solo
schierandosi apertamente all’opposizione, contro Emmanuel
Macron. Liste unitarie ora sono meno probabili a livello
locale. Tuttavia, è attraverso queste elezioni che la capacità
di LREM di mettere radici a livello locale sarà persa o vinta,
il che è la condizione della sua sopravvivenza e quindi della
capacità di Emmanuel Macron di ripresentarsi nel 2022.

Il successo di EELV, il fallimento
di France Insoumise

Il successo di Europe Écologie Les Verts (EELV) è
indiscutibile. La lista dell’EELV arriva terza, con oltre il
12% dei voti. Ma bisogna ricordare che le elezioni europee
sono sempre state favorevoli alle formazioni ecologiste. Le
percentuali di domenica sera non sono il risultato più alto
mai raggiunto dagli ambientalisti. Inoltre, questo risultato è
collegato all’altra sorpresa di queste elezioni: il crollo,
non c’è altra parola, della lista di La France Insoumise
(LFI), guidata da Manon Aubry, così come il cattivo risultato
registrato dalla lista del Partito Comunista Francese (PCF),
guidata da Yan Brossat, con il 2,4% circa.

Per La France Insoumise il problema è più grave. Con poco più
del 6,5%, alla pari con la lista di PS – Place Publique, LFI
registra una sconfitta che è un vero disastro. Le cause sono
note. Proprio come in Spagna, dove Podemos paga a caro prezzo
le sue esitazioni e la sua politica confusa, LFI paga fino
all’ultimo spicciolo il suo cambio di linea, che si è
verificato a partire dalla fine della primavera 2018, e che ha
provocato manovre interne indegne e l’esclusione o l’abbandono
volontario dei cosiddetti “sovranisti di sinistra”.

L’abbandono della linea di “assemblea del popolo”, che ha
portato Jean-Luc Mélenchon a quasi il 20% nel primo turno
delle elezioni presidenziali del 2017, è la causa di questo
collasso. Lo testimoniano le dichiarazioni di Jean-Luc
Mélenchon, rilasciate nella serata di domenica 26: nelle frasi
esitanti, nel vocabolario che si voleva gollista, appariva
l’estrema confusione di quello che è il leader di fatto di
LFI. La France Insoumise non potrà risparmiarsi una profonda
autocritica, che implichi un raddrizzamento della linea
politica – che dovrebbe tornare alle posizioni della primavera
2017 – e una istituzionalizzazione democratica, con strutture
di funzionamento chiare e trasparenti.

Il problema principale è quello della linea politica. Alcuni,
che sognano solo di riportare LFI sulle sterili posizioni di
una unione delle sinistre, lo hanno capito bene. Abbiamo
potuto vederlo durante la serata post-elettorale. Ma anche la
questione della democrazia interna e della trasparenza ha
giocato un ruolo in questa sconfitta. LFI non ha certo
mostrato il suo volto migliore negli ultimi nove mesi. C’è
tuttavia da temere che la vittoria del RN spinga alcuni dei
quadri in una logica di farlocco antifascismo da operetta,
mentre la logica dovrebbe essere quella di sfidare la presa di
RN sulle masse rispondendo alle loro aspirazioni e rilanciando
il tema della sovranità.
Sovranisti, il prezzo della
divisione

Bisogna analizzare inoltre il fallimento delle diverse
formazioni che rivendicano anche la sovranità. Pagano tutti la
mancanza di maturità politica. Il partito di Nicolas Dupont-
Aignan, Debout la France (DLF), a fronte della drammatica
caduta della lista LR, a rigor di logica avrebbe dovuto
progredire. E invece ha fatto marcia indietro rispetto al
risultato del primo turno delle elezioni presidenziali.
Un’analisi seria della strategia, ma anche dello stile di
leadership, è essenziale come condizione per la sopravvivenza
stessa di questo partito.

Questo vale anche per l’Union Populaire Républicaine (UPR) e
Les Patriotes. L’UPR supera di poco l’1% e Les Patriotes si è
fermata allo 0,7%. Eppure la loro esposizione mediatica è
stata superiore a quella del partito animalista, arrivato
circa al 2,4%. Siamo ben oltre il momento in cui bisogna
smetterla con le esclusioni reciproche, con il comportamento
settario degli uni verso gli altri. L’esistenza di tanti
micropartiti non è giustificata e li condanna a vegetare, come
avviene oggi. Si pone la questione di una fusione tra DLF, UPR
e Les Patriotes, tanto più importante quanto è evidente il
fallimento della strategia di DLF, che aveva moderato le sue
posizioni sull’UE nella speranza di strappare qualche voto ai
repubblicani. La legittimità dell’esistenza di questi tre
partiti è posta direttamente in questione, dopo le elezioni
europee del 26 maggio. E quando si rivendicano gollismo e
sovranità, si dovrebbe dare una certa importanza alla
questione della legittimità.
Un’opposizione in briciole?

Resta vero che, nonostante la RN, l’opposizione a Emmanuel
Macron è a pezzi. La sua forza deriva dalla debolezza dei suoi
avversari. Possono solo sperare di rifondare la loro
legittimità e costruire le condizioni della loro unità
attraverso i comitati per raccogliere i 4,7 milioni di voti
necessari per il referendum sulla privatizzazione
dell’Aéroports de Paris. L’impegno per questa campagna, senza
alcun calcolo di bottega e senza esclusioni, sarà quindi nelle
prossime settimane il test per capire se un’opposizione a
Emmanuel Macron è in grado di ricostituirsi, ripartire e
lavorare insieme, chiave per il suo successo.

* Fonte: voci dall’estero

SALVINI HA VINTO, SALVINI PUÒ
FALLIRE di Piemme

[ martedì 28 maggio 2019 ]

Come insegnano i casi di Renzi e di Di Maio si fa subito a
salire alle stelle e altrettanto presto a finire nelle stalle.
Matteo Salvini non si monti quindi la testa.

Sei, a ben vedere, sono le proposte politiche fondamentali che
spiegano il suo successo: no deciso all’immigrazione di massa,
sicuritarismo, flat tax, lavoro, critica dura all’Unione
europea austeritaria, la sovranità appartiene al popolo non
alle élite. Con il no all’immigrazione che funge da architrave
della narrazione salviniana, da perno e collante di tutte le
altre rivendicazioni.

Grazie a questo mix ed al suo stile populista ha ottenuto un
consenso massiccio, quindi trasversale a tutte le classi
sociali, e dal Nord al Sud del Paese.

Proposte diverse da quelle che portarono alla vittoria di
Renzi prima e del M5s a guida Di Maio poi, ma l’ onda che lo
ha sospinto tanto in alto è la medesima: la volontà di
cambiamento che è oramai maggioritaria nel popolo.

Il fatto è che questa voglia di cambiamento, malgrado Salvini
si sforzi di dirigerla a destra — per la precisione verso una
destra tradizionalista e reazionaria — cozza contro il sistema
eurocratico e liberista, e le élite che occupano tutti i
gangli del potere.

In questa situazione, se il sistema non cambia, se non accetta
profonde riforme, la volontà di cambiamento, resta inevasa e
insoddisfatta, e, come un fiume carsico, cerca e trova prima o
poi una sua via di sbocco.

Il fiume del cambiamento, dallo sbocco dei Cinque stelle,
rivelatosi inadeguato, ha preso quello della Lega salviniana.
Tanti cittadini hanno scelto Salvini perché credono che egli
sia meno insipiente e tentennante, davvero capace di
rispettare le promesse, tra queste quella di andare “in
Europa” e finalmente “cambiare le regole”. I cittadini non
hanno sfiduciato il governo “populista”, che infatti conserva
la maggioranza, essi hanno detto che il bastone del comando
deve passare Di Maio a Salvini.

Dunque Salvini, terminata la sbornia, sarà posto presto
davanti alle sue enormi responsabilità. Ove non riuscirà a
mantenere la promessa che lui cambierà “l’Europa” e le sue
regole austeritarie, anche lui farà la fine di chi l’ha
preceduto: il fiume carsico cercherà troverà altre vie di
sbocco.

Siamo ancora nella fase in cui la maggioranza dei cittadini
vuole credere sia possibile “cambiare in meglio” l’Unione
europea e riformare il sistema. Siamo cioè ancora entro
l’orizzonte dell’euroscetticismo.

Mettiamoci l’anima pace. Solo una volta oltrepassato questo
orizzonte, dopo quello “populista” verrà il momento
rivoluzionario, quello in cui una sinistra patriottica sarà
messa in grado di lanciare la sua sfida per l’egemonia
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