Forget to be forgotten - La strada impervia del diritto all'oblio nell'era del web

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Editoriale

          Forget to be forgotten
          La strada impervia del diritto all’oblio nell’era del web
          Gaetano Arnò
          Avvocato cassazionista, Data Protection Officer delle entità legali del Network PwC in Italia, già
          docente di diritto industriale – diritto dell’informatica presso l’Università Cattolica di Milano

          Dafne Chillemi
          LL.M, Avvocato, Senior Associate della Operating Unit Intellectual Property, TMT & Digital
          Solution di PwC – TLS Avvocati e Commercialisti

          Premessa

          L’
                     oblio, un concetto che evoca qualcosa di nebuloso, un velo che
                     nasconde e cancella fatti o persone, un tempo noti, che nessuno,
                     in alcun luogo e tempo, ricorderà mai più.
                     In epoca romana esisteva l’istituto della damnatio memoriae, locu-
          zione che significa letteralmente “condanna della memoria”, una pena parti-
          colarmente severa (solitamente applicata nei confronti di chi veniva ritenuto
          nemico o traditore di Roma e del Senato) consistente nella cancellazione di
          qualsiasi traccia o elemento riguardante una persona, come se non fosse mai
          esistita. Poteva essere irrogata in diverse forme, che andavano dalla abolitio
          nominis (il praenomen del condannato non si sarebbe tramandato in seno
          alla famiglia venendo cancellato da tutte le iscrizioni), alla rescissio actorum
                                                                                                                      privacy&  n.3 dicembre 2020

          (completa distruzione di tutte le opere realizzate dal reo nell’esercizio della
          propria carica), fino all’abbattimento di statue e monumenti onorari e lo
          sfregio dei ritratti presenti sulle monete. Una vera e propria morte civile,
          certamente favorita dalla disponibilità limitata di fonti storiche nell’antichità1.

          1
           Sul punto, si veda L. Fascione, Manuale di diritto pubblico romano, II edizione, Giappichelli,
          Torino, 2013. Nell’Historia Augusta, si trova il riferimento dell’irrogazione della damnatio                      5

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Curiosamente, in tempi recenti, la situazione sembra essersi sostanzialmente
                              capovolta, tanto che alle condanne irrogate dall’autorità giudiziaria si lega,
                              in qualità di pena accessoria, la pubblicazione della sentenza2. Ricordare
                              per punire; e allora l’essere dimenticati, in questi casi, lungi dal risultare
                              qualcosa di odioso, viene bramato e invocato quale “diritto” della persona.
                              Arrivati ai giorni nostri, l’oblio ha subito un’ulteriore trasformazione, quasi
                              assumendo le sembianze di Giano bifronte. Da un lato, nell’era della rivolu-
                              zione 4.0 (secondo alcuni addirittura già 5.0), dei social media e del discusso
                              dominio degli influencer, rappresenta una sorta di mostro da sconfiggere
                              ad ogni costo; bisogna infatti apparire, far parlare di sé, essere dovunque,
                              a qualsiasi costo. Dall’altro lato, una volta entrati nel mondo di internet e
                              delle sue mille sfaccettature tecniche, sono molto pochi (ammesso che vi
                              siano) coloro che riescono volontariamente ad essere totalmente dimenticati
                              (o cancellati che dir si voglia).
                              Viviamo nella stagione della c.d. “web reputation”, dove l’identità personale
                              è forgiata non solo (e talvolta non tanto) dalle opere o azioni concretamente
                              realizzate nel corso della vita (sul piano lavorativo o personale), ma anche, e
                              spesso soprattutto, dalle tracce più o meno consapevolmente lasciate in rete,
                              come se una sorta di filo di Arianna seguisse costantemente il “navigante”
                              nei suoi movimenti nel labirinto del web.

                              memoriae nei confronti di alcuni personaggi di rilievo, quali, ad esempio, l’imperatore Com-
                              modo: “Che il ricordo dell’assassino e del gladiatore sia cancellato del tutto. Lasciate che le statue
                              dell’assassino e del gladiatore siano rovesciate. Lasciate che la memoria dell’osceno gladiatore sia
                              completamente cancellata. Gettate il gladiatore nell’ossario. Ascolta oh Cesare: lascia che l’omicida
                              sia trascinato con un gancio, alla maniera dei nostri padri, lascia che l’assassino del Senato sia
                              trascinato con il gancio. Più feroce di Domiziano, più turpe di Nerone. Ciò che ha fatto agli altri,
                              sia fatto a lui stesso. Sia da salvare invece il ricordo di chi è senza colpa. Si ripristinino gli onori
                              degli innocenti, vi prego” (Historia Augusta, Commodo, 19.1.). Il caso dell’imperatore Commodo
                              è altresì singolare, dal momento che in seguito la pena fu revocata e trasformata addirittura
                              in apoteosi per ordine dell’imperatore Settimio Severo che voleva, in tal modo, legittimare il
                              proprio potere. Da notarsi come anche nei confronti di altri personaggi che hanno subito tale
                              condanna (ad esempio, l’imperatore Massimino Trace – Historia Augusta, I due Massimini,
                              26.2-4) senza successiva apoteosi, siamo in grado oggi di sapere cosa gli accadde e perché,
                              con buona pace dell’oblio già in epoca romana!
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                                Vedasi, ad esempio, articolo 36 c.p., articolo 536 c.p.p., articolo 126 D.Lgs. 30/2005 (“Codice
                              della proprietà industriale”). In ambito data protection, l’articolo 16 del Regolamento n. 1/2019,
                              concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti
                              e all’esercizio dei poteri demandati al Garante per la protezione dei dati personali prevede che
                              “Ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 2, lettera i), e dell’articolo 83 del RGPD nonché dell’articolo
 Editoriale

                              166 del Codice, il Collegio adotta l’ordinanza ingiunzione, con la quale dispone altresì in ordine
                              all’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sua pubblicazione, per intero o per
                              estratto, sul sito web del Garante ai sensi dell’articolo 166, comma 7, del Codice” (https://www.
   6                          garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9107633).

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Basti pensare, tra i molteplici possibili esempi, a come i professionisti che
          si occupano della selezione delle risorse umane, oltre al curriculum vitae,
          pongano ormai estrema attenzione anche ai profili social del candidato
          (primi fra tutti Linkedin, Facebook, Instagram, Twitter, Youtube). A quanti
          giovani “postare” quel video così divertente di una serata brava con gli amici
          è apparsa un’idea brillante, come provato dai molti “mi piace” raccolti. E
          quante volte, col (maledetto) senno di poi, si sono accorti che forse quel
          filmato era meglio tenerlo per sé, così come sarebbe stato meglio, ad esem-
          pio, non aver fatto apprezzamenti “coloriti” o esuberanti su determinati
          argomenti o personaggi.
          La malia del web è proprio questa: esalta e diffonde ovunque pressoché in
          tempo reale, elargisce generosamente piccole o grandi dosi di una agognata
          celebrità (positiva o negativa che sia), regala la possibilità di navigare senza
          limiti e confini su milioni di siti cercando, e quasi sempre trovando, miliardi
          di informazioni (talvolta inutili ma più spesso di grande utilità).
          Al tempo stesso, tuttavia, il World Wide Web non dimentica. Quasi mai.
          Forget to be forgotten, dimenticati di essere dimenticato: un’affermazione
          che somiglia sinistramente ad una minaccia, ma che forse ben rispecchia lo
          “stato dell’arte” in merito al tanto discusso diritto all’oblio, da tempo assurto
          alle luci della ribalta, seppure con un corollario di conseguenze e limitazioni
          socio-giuridiche e tecnologiche tutt’altro che marginali. Dalla cancellazione
          tout court alla deindicizzazione, dai limiti territoriali a quelli informatici, sino
          all’eterna lotta con il diritto di cronaca (espressione del diritto del pubblico
          di sapere), essere dimenticati – in particolare in internet – rappresenta, al
          momento, un lusso per pochi eletti.

          Il diritto all’oblio: nascita ed evoluzione

                 Dagli albori alla prima Direttiva in ambito data
                 protection
          L’opera della giurisprudenza è stata sicuramente determinante nel sancire
          la nascita e l’evoluzione del diritto all’oblio che, in origine, non godeva di
          autonomo riconoscimento, venendo piuttosto considerato una sorta di mani-
                                                                                                                     privacy&  n.3 dicembre 2020

          festazione di alcuni diritti inviolabili dell’uomo, quali il diritto al rispetto
          della vita privata e familiare, il diritto alla riservatezza, il diritto alla dignità
          ed alla identità personale3.

          3
            Come noto, anche il diritto alla privacy ha avuto una strada piuttosto tortuosa prima di essere
          riconosciuto un autonomo diritto dell’uomo. Nel 1980, all’interno della rivista legale pubblicata
          dall’università di Harvard, Samuel Warren e Luis Brandeis sono i primi a parlare di un vero e                    7

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In questo contesto, il diritto all’oblio era genericamente ritenuto un “diritto
                              alla privacy storica, che permetterebbe all’individuo di mantenere il controllo
                              di informazioni un tempo diffuse ma ormai dimenticate”4.
                              A partire dagli anni ’50, in Italia – ancor prima dei Giudici – è stata la
                              dottrina ad iniziare a ragionare su quanto il trascorrere del tempo potesse
                              incidere sulla tutela dell’identità della persona, soprattutto in relazione al
                              rapporto con il diritto di cronaca, e se fosse lecito pubblicare e ripercorrere
                              nuovamente fatti ormai appartenenti al passato5.

                              L’orientamento prevalente, seguito dalla Corte di Cassazione, negava che lo
                              scorrere del tempo consentisse di dimenticare avvenimenti di cronaca pas-
                              sata, i quali potevano dunque essere nuovamente trattati, anche a distanza
                              di diversi anni6.

                              proprio “right to privacy”, che nella loro concezione si riassumeva in un “right to be let alone”.
                              Il diritto alla privacy (o, come originariamente concepito, il diritto alla riservatezza) nasceva
                              con lo scopo principale di evitare la diffusione di informazioni facenti capo ad un individuo
                              determinato nei confronti di terzi. In Italia è stata la Corte di Cassazione (nella sentenza n. 2129
                              del 29 maggio 1975, reperibile al seguente indirizzo http://www.jus.unitn.it/users/pascuzzi/
                              varie/sem-inf99/Cass_1975.htm) a fornire un contributo notevole in materia, dapprima preci-
                              sando che “il nostro ordinamento riconosce il diritto alla riservatezza, che consiste nella tutela
                              di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari le quali, anche se verificatesi
                              fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile,
                              contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente spe-
                              culativi e senza offesa per l’onore, la reputazione o il decoro, non sono giustificati da interessi
                              pubblici preminenti”, e successivamente,, nel 1998 (Corte di Cassazione Civile, Sezione III, n.
                              5658 del 1998 in Il Foro Italiano, Vol. 121, n. 9, Settembre 1998), affermando l’esistenza di
                              “un vero e proprio diritto alla riservatezza anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste
                              dalla legge ordinaria”. La “costituzionalizzazione” giunge invece attraverso l’articolo 8 della
                              Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ove si sancisce come “1. Ogni persona ha
                              diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano. 2. Tali dati devono
                              essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della
                              persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il
                              diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica. 3. Il rispetto di
                              tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente”.
                              4
                                M. Mezzanotte, Il diritto all’oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Edizioni Scien-
                              tifiche Italiane, 2009.
                              5
                                Sul punto, vedasi F. Mantovani, Diritto alla riservatezza e libertà di manifestazione del pensiero
                              con riguardo alla pubblicità dei fatti criminosi, Archivio giuridico Filippo Serafini, 1968, pp. 40
                              e ss. e G. Galli, Riservatezza e cronaca giudiziaria, in Il diritto alla riservatezza, 1963, pp. 163
                              e ss. che afferma come “il rievocare ad esempio che l’indiziato di un reato sessuale già è stato
                              coinvolto in precedente della stessa natura, determina automaticamente nel grosso pubblico
                              un immediato giudizio di quasi definitiva colpevolezza, e riapre nella vita dell’individuo una
 Editoriale

                              parentesi di triste notorietà su episodi che, quale ne sia stato l’esito di fronte alla giustizia,
                              appartengono al passato”.
                              6
                                Le prime pronunce di rilievo vertevano su vicende legate alla divulgazione di opere letterarie
   8                          e cinematografiche su personaggi all’epoca noti. La prima riguardava la pubblicazione di due

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Una maggiore apertura si avrà solamente con l’avvento degli anni ‘70,
          sulla scia dei primi riconoscimenti della privacy come diritto fondamentale
          dell’uomo7 e, soprattutto, del diritto all’identità personale8.
          Per assistere ad una vera “svolta” è però necessario attendere l’emanazione
          della Direttiva 95/49 CE (“Direttiva Privacy”)9, recepita in Italia con Leg-
          ge n. 675 del 31 dicembre 199610, sulla quale iniziano a fondarsi i nuovi

          film biografici sul tenore Enrico Caruso i cui discendenti si opponevano alla proiezione assu-
          mendo che ledesse la vita privata dell’artista. Inizialmente, il Pretore di Roma fu favorevole a
          riconoscere l’esistenza di “un diritto soggettivo all’illesa intimità della vita privata”, confermato
          anche dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, ma negato dalla Corte di Cassazione, secondo la
          quale “nessuna disposizione di legge autorizza a ritenere che sia stato sancito, come principio
          generale, il rispetto assoluto della intimità della vita privata, e tantomeno come limite alla
          libertà dell’arte” (vedasi P. Gargano, Una vita, una leggenda: Enrico Caruso, il più grande tenore
          del mondo, L’Airone, Milano, 1997, Pretore di Roma, 19 novembre 1951in https://www.jstor.
          org/stable/23143233?seq=1, Tribunale di Roma, 14 settembre 1953 in https://www.jstor.
          org/stable/23145955?seq=1 e Corte di Cassazione n. 4487/1956 in https://www.jstor.org/
          stable/23146612?seq=1)
          Un altro caso interessante è stato quello portato innanzi ai giudici dai familiari di Claretta
          Petacci e Benito Mussolini, a seguito della pubblicazione – effettuata dal settimanale Il Tempo
          – di una puntata di un romanzo incentrato sulla relazione sentimentale che aveva legato la
          giovane donna al Duce. Il Tribunale di Milano (sentenza del 28 marzo 1958), pur escludendo
          che potesse sussistere l’autonoma tutela di un diritto al riserbo, ritenne in ogni caso offensivi i
          contenuti del romanzo per i familiari di Claretta Petacci. In secondo grado, i giudici della Corte
          di Appello di Milano si spinsero oltre ravvisando anche una lesione della riservatezza. Anche
          stavolta la Corte di Cassazione si oppose però al riconoscimento di un diritto alla riservatezza,
          affermando, tuttavia, come la divulgazione di notizie relative alla vita privata, in assenza di un
          consenso almeno implicito del soggetto e di un preminente interesse pubblico alla conoscenza
          di determinati fatti, sia in grado di ledere “il diritto assoluto di personalità, inteso quale diritto
          erga omnes alla libertà di autodeterminazione nello svolgimento della personalità dell’uomo
          come singolo” (sul punto, si veda E. Ligi, Il diritto alle vicende e la sfera della personalità, in Foro
          italiano, 1955, volume 1, pagg. 394 e ss..; E. Carnelutti, Diritto alla vita privata, in Rivista
          trimestrale di diritto pubblico, 1955, volume 1, pagg. 3 e ss., Corte di Cassazione n. 1446/1966,
          in Giustizia civile, 1966, volume 1, pag. 1255).
          7
            Sul punto, vedasi, ad esempio, la sentenza n. 38/1973 della Corte Costituzionale, disponibile
          all’indirizzo http://www.giurcost.org/decisioni/1973/0038s-73.html, nella quale si affermava
          come il testo degli articoli 21, comma 2, e 12 della Costituzione contenesse il riconoscimento
          della riservatezza come diritto soggettivo, da tutelare così come sancito dagli articoli 7 e 8
          della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (“CEDU”).
          8
            V. Zeno-Zencovich, Una svolta giurisprudenziale nella tutela della riservatezza, Diritto dell’in-
                                                                                                                            privacy&  n.3 dicembre 2020

          formazione e dell’informatica, 1986, vol.1, p. 934 e ss.
          9
             Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa
          alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla
          libera circolazione di tali dati https://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/ALL/?uri=CE-
          LEX%3A31995L0046.
          10
             Legge n. 675 del 31 dicembre 1996, Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trat-
          tamento dei dati personali, consultabile al seguente indirizzo https://www.garanteprivacy.it/
          home/docweb/-/docweb-display/docweb/28335. Pur non affermando esplicitamente l’esistenza
          di un vero e proprio diritto all’oblio, estremamente interessante risulta il dettato dell’articolo 9,                9

01_PwC_dicembre_2020.indd 9                                                                                          09/12/20 15:58
ragionamenti della giurisprudenza, in particolare con specifico riguardo alla
                               pubblicazione di notizie (per la maggior parte concernenti fatti di cronaca
                               giudiziaria) rievocative di vicende passate che i diretti interessati ritenevano
                               lesive della propria identità e riservatezza, soprattutto nell’eventualità che
                               successivamente avessero addirittura dimostrato la propria estraneità ai fatti.
                               All’esito di questa evoluzione, è proprio la Corte di Cassazione a specificare
                               come “la divulgazione di notizie che arrecano pregiudizio all’onore e alla
                               reputazione deve, in base al diritto di cronaca, considerarsi lecita quando
                               ricorrono tre condizioni: la verità oggettiva della notizia pubblicata; l’in-
                               teresse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); la correttezza
                               formale dell’esposizione (c.d. continenza)”. D’altro canto, “viene invece in
                               considerazione un nuovo profilo del diritto di riservatezza recentemente
                               definito anche come diritto all’oblio inteso come giusto interesse di ogni
                               persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che
                               arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una
                               notizia in passato legittimamente divulgata. (...) Quando il fatto precedente
                               per altri eventi sopravvenuti ritorna di attualità, rinasce un nuovo interesse
                               pubblico all’informazione, non strettamente legato alla contemporaneità
                               fra divulgazione e fatto pubblico che si deve contemperare con quel prin-
                               cipio, adeguatamente valutando la ricorrente correttezza delle fonti di
                               informazione”11.

                                      L’avvento di internet
                               Ricordando i primi “vagiti” del diritto all’oblio, occorre sempre tenere a
                               mente che, in parallelo allo sviluppo dottrinale e giurisprudenziale sul tema,
                               la tecnologia stava vivendo una sorta di “nuova epifania” con la nascita di
                               internet e del world wide web12.

                               comma 1, lettera e), per il quale i dati personali oggetto di trattamento devono essere “conser-
                               vati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non
                               superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente
                               trattati”, nonché l’articolo 13 comma 1, lettera c), numero 1, secondo il quale “in relazione al
                               trattamento di dati personali l’interessato [aveva] diritto (...) di ottenere, a cura del titolare o
                               del responsabile, senza ritardo la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguar-
                               dano, anche se non ancora registrati, e la comunicazione in forma intellegibile dei medesimi
                               dati e della loro origine, nonché della logica e delle finalità su cui si basa il trattamento (...)”.
                               11
                                  Cass., civile sez. III 09 aprile 1998 n. 3679, consultabile al seguente indirizzo http://www.
                               diritto civile.it/Proprieta-e-Condominio/Cassazione-civile-sez.-III-09-aprile-1998-n.-3679.
                               html; e Cass., n. 5525/2012, disponibile all’indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/xway/
 Editoriale

                               application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db
                               =snciv&id=./20120410/snciv@s30@a2012@n05525@tS.clean.pdf.
                               12
                                  Nel 1991, il ricercatore del CERN di Ginevra Tim Berners definì il protocollo HyperText Tran-
   10                          sfer Protocol (“HTTP”), che permette una lettura ipertestuale non sequenziale dei documenti

01_PwC_dicembre_2020.indd 10                                                                                                       09/12/20 15:58
La rete “mischia” le carte in tavola. Da questo momento in poi, il diritto
          all’oblio assume tre sfaccettature diverse: quella sinteticamente ricostruita
          nei precedenti paragrafi, consistente nel “diritto di un soggetto di non vedere
          pubblicate alcune notizie relative a vicende, già legittimamente pubblicate,
          rispetto all’accadimento delle quali è trascorso un notevole lasso di tempo”13;
          la versione “aggiornata”, si potrebbe dire 2.0, fondata sul postulato che le
          informazioni immesse nella rete vi restano per un arco temporale illimitato
          a disposizione di un numero elevatissimo di siti, social network, piattaforme,
          alla mercé di una platea di soggetti potenzialmente infinita14; e infine la
          terza accezione, caratterizzata dal diritto alla rettifica e alla cancellazione dei
          dati personali o all’opposizione al loro trattamento, ai sensi dell’articolo 12
          della Direttiva Privacy e, successivamente, dell’articolo 17 del Regolamento
          UE 2016/679 (“GDPR”).
          Le mutate circostanze non sono sfuggite agli operatori del settore e sono
          state prontamente prese in considerazione tanto dalla giurisprudenza
          quanto dall’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali (“Garante”
          o “Garante Privacy”), chiamate a prendere posizione in merito ad alcune
          vicende legate a fatti di cronaca giudiziaria che coinvolgevano anche quo-
          tidiani e siti di informazione on line. In alcuni casi, infatti, le pubblicazioni,
          pur se originariamente legittimate sulla base del diritto di cronaca, erano

          mediante l’utilizzo di rimandi (i link), lanciando il primo sito web della storia (https://web.
          archive.org/web/20150717103715/http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html).
          Il 30 aprile 1993 il CERN decide di rendere pubblica la tecnologia alla base del World Wide
          Web in modo che sia liberamente implementabile da chiunque. L’evoluzione futura della rete
          è migrata poi verso la sempre maggiore diffusione di contenuti multimediali (streaming di
          prodotti audio e video, web tv e web radio, etc.), rendendo necessari la decentralizzazione
          delle risorse, la compressione dei dati e la rete di accesso a banda larga. Al fine di rendere
          questa massa di informazioni e contenuti maggiormente “ordinata” e fruibile, nel 1997 nasce
          il motore di ricerca Google, il quale consente di reperire le informazioni sul web attraverso
          parole chiave e l’indicizzazione dei contenuti. L’avvento dei motori di ricerca ha tuttavia un
          prezzo piuttosto caro, consistente nel declino progressivo dell’idea iniziale di “open web” alla
          base della rete. La nascita dei grandi colossi come Google, Yahoo e Facebook consente l’im-
          plementazione di una infrastruttura sempre più potente ma, al tempo stesso, sempre più nelle
          mani delle imprese appena menzionate e delle grandi piattaforme commerciali, che riescono a
          sfruttare le informazioni veicolate ai propri fini. Per ulteriori informazioni vedasi https://www.
                                                                                                                           privacy&  n.3 dicembre 2020

          wired.it/internet/web/2019/03/11/internet-world-wide-web-storia/#:~:text=%C3%88%20
          la%20nascita%20del%20world,sul%20funzionamento%20dello%20stesso%20web.
          13
             G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità in Diritto dell’infor-
          mazione e dell’informatica, Giuffrè Editore, 4-5/2014.
          14
             G. Cavallari, Il diritto all’oblio alla luce del recente Regolamento 2016/679, Ius in Itinere, 10
          giugno 2019, reperibile al seguente indirizzo https://www.iusinitinere.it/il-dirittoalloblio-al-
          la-luce-del-recente-regolamento-2016-679 20574#:~:text=Le%20diverse%20definizioni%20
          di%20diritto%20all’oblio&text=Si%20%C3%A8%20quindi%20fatto%20riferimento,un%20
          notevole%20lasso%20di%20tempo%E2%80%9D.                                                                          11

01_PwC_dicembre_2020.indd 11                                                                                        09/12/20 15:58
state memorizzate negli archivi dei quotidiani e risultavano pertanto repe-
                               ribili in internet senza però essere state rettificate per tenere conto degli
                               sviluppi successivi.
                               Nel nuovo contesto oggetto di analisi, la Suprema Corte – riprendendo in
                               parte i principi di diritto affermati nella citata sentenza n. 3679/1998 e tenuto
                               conto del dettato dell’articolo 11, comma 1 lett. b), D.Lgs. n. 196 del 2003 –
                               ha stabilito che “il titolare dell’organo di informazione (nel caso, la società
                               Rcs Quotidiani s.p.a.) che avvalendosi di un motore di ricerca (nel caso,
                               Google) memorizza la medesima (n.d.r.: notizia) anche nella rete internet è
                               tenuto ad osservare i criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non
                               eccedenza dell’informazione, avuto riguardo alla finalità che ne consente il
                               lecito trattamento, nonché a garantire la contestualizzazione e l’aggiorna-
                               mento della notizia già di cronaca oggetto di informazione e di trattamento,
                               a tutela del diritto del soggetto cui i dati pertengono alla propria identità
                               personale o morale nella sua proiezione sociale, nonché a salvaguardia del
                               diritto del cittadino utente di ricevere una completa e corretta informazione,
                               non essendo al riguardo sufficiente le mera generica possibilità di rinveni-
                               re all’interno del ‘mare di Internet’ ulteriori notizie concernenti il caso di
                               specie, ma richiedendosi, atteso il ravvisato persistente interesse pubblico
                               alla conoscenza della notizia in argomento, la predisposizione di sistema
                               idoneo a segnalare (nel corso o a margine) la sussistenza di un seguito e di
                               uno sviluppo della notizia, e quale esso sia stato (nel caso, dei termini della
                               intervenuta relativa definizione in via giudiziaria), consentendo il rapido ed
                               agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo adeguato approfon-
                               dimento, giusta modalità operative stabilite, in mancanza di accordo tra le
                               parti, dal giudice di merito”15.
                               Il Garante Privacy, dal canto suo, ha da subito precisato che il diritto all’oblio
                               è chiaramente enunciato all’interno della Legge n. 675/1996, in particolare
                               all’articolo 9, ai sensi del quale “l’interessato ha quindi non solo il diritto
                               di richiedere che i propri dati siano pertinenti e non eccedenti rispetto alle
                               finalità perseguite, ma anche quello di poter esercitare, ove possibile, il
                               proprio “diritto all’oblio”, ossia il diritto che certi avvenimenti della propria

                               15
                                  Cass., sez. III Civ., n. 5525/2012, consultabile al seguente indirizzo https://www.leggioggi.
                               it/wp-content/uploads/2012/04/sentenza_cassazione_civile_5525_2012.pdf. Interessante il
                               passaggio nel quale la Suprema Corte opera la distinzione tra “archivio” e “memoria”: il primo
                               è organizzato secondo canoni di ricerca e criteri predeterminati, la seconda risulta priva di
 Editoriale

                               qualsivoglia regola di organizzazione delle informazioni. Nella realtà della rete, l’attività di
                               archiviazione è affidata ai motori di ricerca. Sul punto, vedasi anche Cass., sez. III Civ., sen-
                               tenza 26 giugno 2013, n. 16111, F. Pizzetti, Il caso del diritto all’oblio, Giappichelli Editore,
   12                          Torino 2013.

01_PwC_dicembre_2020.indd 12                                                                                                   09/12/20 15:58
vita, e situazioni personali non siano più oggetto di un trattamento di dati
          (nei limiti previsti dalla legge)”16.
          Successivamente, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 196 del 2003
          (“Codice Privacy”), il Garante, confrontandosi con un ricorso avente ad
          oggetto la permanenza in rete di notizie pregiudizievoli per l’attività dell’in-
          teressato, prescriveva, nei confronti del titolare del trattamento, una serie di
          azioni da intraprendere affinché potessero essere mitigati gli effetti dovuti
          alla pubblicazione sul web della sentenza di condanna subita dal soggetto.
          Alla base del ragionamento del Garante stava la presa di coscienza che il
          trascorrere di un determinato lasso di tempo e il ravvedimento operoso
          dell’interessato non potessero essere inficiati dalla permanenza online di
          informazioni relative al provvedimento di condanna17.

          16
             Garante per la Protezione dei Dati Personali, Relazione annuale 1998, rinvenibile al seguente
          indirizzo https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1341498.
          17
             Sul punto, il Garante espressamente statuiva come “I ricorrenti prefigurano in particolare
          la possibilità, per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, di scegliere selettiva-
          mente, mediante operatori logici, quali parti dei propri documenti possano essere rilevate dai
          motori di ricerca e proposte, come risultato, a chi faccia uso in Internet di specifiche stringhe
          di ricerca utilizzando in modo opportuno i suddetti operatori logici booleani (And, Or, Not).
          Ciò non riflette, però, il reale funzionamento dei motori di ricerca standard, intendendo con
          ciò quelli a maggiore diffusione, la cui azione nella fase di raccolta delle informazioni sulle
          pagine disponibili nel world wide web (fase di grabbing e di successiva indicizzazione) è
          influenzabile dal singolo amministratore di un sito web soltanto tramite la compilazione del
          file robots.txt, previsto dal “Robots Exclusion Protocol”, o tramite l´uso del “Robots Meta
          tag”. Si tratta di convenzioni concordate nella comunità Internet dai soggetti che sviluppano
          i protocolli, e non di standard veri e propri, allo stato largamente accettate nel contesto dei
          motori di ricerca. Tali convenzioni prevedono la possibilità per il gestore di un sito web di
          escludere selettivamente alcuni contenuti dall’azione di uno o più motori di ricerca. Oggetto
          dell’esclusione o della limitazione di accesso resta, però, sempre la pagina web o l’insieme di
          pagine web o di link in essa contenuti, anziché singole parole chiave o specifiche clausole di
          ricerca composte con operatori logici. Ciò, avviene sia con il “Robots Exclusion Protocol”, sia
          con il ricorso ai Robots Meta tag da inserire nel codice delle pagine da visualizzare. Un’azione
          su singole parole chiave è possibile, ma soltanto “in positivo”, ovvero è possibile per l’ammini-
          stratore del sito promuovere pagine web inserendo, con opportuni comandi, alcune keyword
          che possono anche non corrispondere a parole presenti nel documento pubblicato. Tale mec-
          canismo, come richiamato dall’Autorità resistente nella memoria difensiva, non è mai stato
          utilizzato sul sito dell’Autorità stessa per evidenziare documenti in relazione all’identità delle
                                                                                                                      privacy&  n.3 dicembre 2020

          parti. Alla luce di quanto sopra considerato, non risulta allo stato tecnicamente praticabile la
          soluzione volta a far sì che i nominativi degli interessati contenuti nelle decisioni pubblicate
          sul sito siano rilevabili da motori di ricerca solo mediante l’associazione di più parole chiave
          che uniscono il nominativo dei ricorrenti alla materia trattata nei provvedimenti. Tuttavia, la
          diretta individuabilità in Internet, tramite motori di ricerca esterni, della decisione adottata
          dalla resistente nel 1996, non risulta più giustificata in rapporto alle finalità perseguite nel
          caso di specie. In applicazione del principio di cui all´art. 11, comma 1, lett. e), del Codice,
          l’Autorità resistente potrà continuare a pubblicare i propri provvedimenti sul relativo sito
          web modulando, però, nel tempo il periodo entro il quale le decisioni riguardanti i ricorrenti             13

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La svolta: il caso Google Spain
                               Il “punto di non ritorno” nel riconoscimento del diritto all’oblio può essere
                               individuato in una importante sentenza della Corte di Giustizia Europea
                               (sentenza C-131/12, in data 13 maggio 2014)18 chiamata a pronunciarsi
                               sull’esistenza dell’obbligo dei gestori dei motori di ricerca di internet di
                               rimuovere o, più propriamente, “de-indicizzare” i risultati delle ricerche
                               riguardanti specifiche informazioni che potrebbero influenzare in maniera
                               negativa la reputazione degli interessati.
                               Il caso muoveva dalla vicenda di un cittadino spagnolo assoggettato ad una
                               procedura di recupero crediti di cui era stata a suo tempo data notizia da un
                               quotidiano. A distanza di oltre di 15 anni, digitando il nome dell’interessato
                               sul motore di ricerca Google, si veniva immediatamente re-indirizzati a tali
                               pagine di stampa.
                               Appositamente interpellata, l’Autorità Garante per la protezione dei dati
                               personali spagnola ha negato l’esistenza del diritto di chiedere la cancella-
                               zione della notizia dalle pagine del quotidiano e ha rimesso al vaglio della
                               Corte UE la valutazione della richiesta di rimozione dei risultati della ricerca
                               da parte di Google.
                               Come noto, ne è scaturita una pronuncia che ha lasciato stupiti molti
                               operatori del settore per una serie di motivi concorrenti tra loro, a partire
                               dal fatto che i Giudici comunitari (disattendendo completamente le affer-
                               mazioni e le richieste dell’Avvocato Generale) hanno ribaltato le posizioni
                               precedentemente affermatesi in tema di diritto all’oblio ed in merito alla
                               responsabilità dei c.d. service provider, fino a quel momento ritenuti – al
                               ricorrere di determinate circostanze – spettatori impassibili dei contenuti
                               pubblicati di cui si fanno meri “portatori”19.

                               saranno direttamente individuabili in Internet tramite comuni motori di ricerca esterni.”. Il
                               provvedimento è reperibile al seguente indirizzo https://www.gpdp.it/web/guest/home/
                               docweb/-/docweb-display/docweb/1116068.
                               18
                                  Consultabile al seguente indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?u-
                               ri=CELEX%3A62012CJ0131.
                               19
                                  In tema di responsabilità del service provider, la norma di riferimento è la Direttiva dell’8
                               giugno del 2000 (“Direttiva sul commercio elettronico”, 2000/31/CE; recepita dal D.Lgs. n. 70
                               del 2003), che ha sancito l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza per gli ISP (articolo
                               15, 2000/31/CE). I due punti focali della normativa sono: (i) il principio della neutralità degli
                               operatori, in virtù del quale gli ISP non sono responsabili se la loro attività si limita ad un ruolo
                               tecnico e non selezionano né i contenuti, né i destinatari delle informazioni, e (ii) l’assenza
                               di un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti diffusi dai destinatari dei propri servizi.
 Editoriale

                               Tuttavia, come correttamente rileva G. M. Riccio in Diritto all’oblio e responsabilità dei motori
                               di ricerca, op. cit., “a distanza di quasi un quindicennio, lo scenario da cui muoveva la direttiva
                               è però radicalmente mutato. Lo studio dello sviluppo delle imprese della new economy ha
   14                          evidenziato alcune peculiarità rispetto alle imprese tradizionali, tra cui la capacità di realizzare,

01_PwC_dicembre_2020.indd 14                                                                                                       09/12/20 15:58
La dottrina20 ha prontamente identificato (e riassunto) i seguenti principi
          alla base della decisione della Corte di Giustizia UE:
          • ai gestori dei motori di ricerca che non hanno la propria sede all’interno
              del territorio dell’Unione Europea ma che ivi abbiano un’organizzazione
              stabile si applicano le norme della Direttiva Privacy (oltre a quelle spe-
              cifiche eventualmente adottate dallo Stato Membro interessato);
          • l’attività svolta dai motori di ricerca deve essere qualificata come tratta-
              mento di dati personali;
          • al ricorrere delle condizioni fissate dalla normativa europea in materia di
              data protection, i gestori dei motori di ricerca sono obbligati a rimuovere
              dall’elenco dei risultati ottenuti (o ottenibili) in relazione ad un deter-
              minato soggetto tutti i link ed i collegamenti a pagine e siti on line che
              lo riguardano;
          • il bilanciamento di interessi tra il diritto di cronaca e il diritto alla riserva-
              tezza dell’individuo va effettuato tenendo conto che i diritti fondamentali
              enunciati dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unio-
              ne Europea “prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse
              economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale
              pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca
              concernente il nome di questa persona”.

          A fronte di questi principi, in larga parte condivisibili, la sentenza ha susci-
          tato molteplici perplessità laddove prevede che il bilanciamento di interessi
          appena menzionato debba essere valutato caso per caso dal titolare del
          trattamento (e dunque dal gestore del motore di ricerca), sollevando le cri-
          tiche di autorevoli giuristi che hanno considerato questa impostazione alla
          stregua dell’attribuzione – da parte di un organo di giustizia – di un potere

          in un lasso di tempo relativamente breve, posizioni monopolistiche o dominanti sul mercato
          di riferimento. Allo stesso modo, pur in presenza di costi di start-up molto limitati, alcune di
          queste imprese hanno generato enormi utili, moltiplicando il proprio potere commerciale in
          pochi anni: non stupisce, quindi, che, scorrendo la classifica dei marchi di maggior valore, ci si
          avvede che le prime quattro posizioni sono occupate da società che operano prevalentemente
          nel ‘mondo’ di internet. In tale contesto, è giocoforza ammettere che gli operatori di internet,
                                                                                                                         privacy&  n.3 dicembre 2020

          pur se agiscono da intermediari, hanno assunto un ruolo di deep pocket e, sempre per tale
          ragione, appare condivisibile la conclusione della Corte di Giustizia, che afferma categorica-
          mente che il riconoscimento di un diritto all’oblio in capo ai singoli cittadini debba prevalere
          ‘sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca’”.
          20
             T. E. Frosini, Google e il diritto all’oblio preso sul serio, G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio
          nel quadro dei diritti della personalità, cit., S. Sica e V. d’Antonio, La procedura di de-indiciz-
          zazione, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, a cura di G. Resta e V.
          Zeno-Zencovich, Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento di Giurisprudenza, Collana
          Consumatori e Mercato, Roma Tre Press, 2015.                                                                  15

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“para-costituzionale”21 ai grandi player del web e cioè a degli operatori
                               privati, chiamati in prima battuta ad effettuare il vaglio di fondatezza delle
                               richieste degli interessati22.
                               Peraltro, una richiesta di deindicizzazione non sembrerebbe presupporre
                               necessariamente un trattamento illecito del contenuto pubblicato sul sito
                               originario né l’esistenza di un pregiudizio nei confronti dell’interessato (condi-
                               zioni che avrebbero invece potuto supportare una richiesta di cancellazione).
                               Probabilmente la Corte di Giustizia non aveva affatto intenzione di delineare
                               il quadro di riferimento e di applicazione del diritto all’oblio, quanto piutto-
                               sto di affermare alcuni principi che ne discendono, pur differenziandosene.
                               In termini più concreti ed espliciti, regolare una sorta di diritto non tanto
                               ad essere dimenticato quanto ad ottenere che il proprio nome non venga

                               21
                                  T.E. Frosini, op. cit., O. Pollicino, Un digital right to privacy preso (troppo) sul serio dai
                               giudici di Lussemburgo? Il ruolo degli articoli 7 e 8 della carta di Nizza nel reasoning di Google
                               Spain, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, a cura di G. Resta e V.
                               Zeno-Zencovich, Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento di Giurisprudenza, Collana
                               Consumatori e Mercato, Roma Tre Press, 2015. In particolare, O. Pollicino puntualizza come
                               attribuire “un obbligo di rimozione dei link a carico esclusivamente del motore di ricerca,
                               indipendentemente da quello che fa o non fa l’editore del sito web il cui link è indicizzato dal
                               motore stesso, rischia non solo di portare ad una deresponsabilizzazione del primo e ad una
                               responsabilizzazione forse eccessiva del secondo, ma ha come primo effetto quello di fare
                               emergere un contrasto lampante, e paradossale in un apparato argomentativo che fa della tutela
                               di (alcuni) diritti protetti dal bill of rights europeo la propria stella cometa, con un principio
                               costituzionale fondamentale che caratterizza il nucleo duro di qualsiasi ordinamento che si
                               fondi sulla rule of law. Il riferimento è evidentemente alla necessità di prevedere una riserva
                               di giurisdizione nei casi di una possibile restrizione (in questo caso a seguito di bilanciamento)
                               dei diritti fondamentali in gioco. Necessità che non sembra essere stata presa in considerazione
                               dalla Corte di giustizia che, in sostanza, delega ad un operatore privato, che però svolge, di
                               fatto, sul web, una funzione pubblica di natura para-costituzionale, di operare quel bilancia-
                               mento di interessi che viene teorizzato dalla stessa Corte tra diritto alla privacy e diritto ad
                               essere informati”. Vedasi anche S. Sica e V. D’Antonio, op., cit., che sul punto sottolineano
                               come “sarebbe stato auspicabile affidare il vaglio delle istanze di deindicizzazione direttamente
                               ai Garanti nazionali oppure prevederne l’interpello necessario da parte dei motori di ricerca: ciò
                               avrebbe consentito un’indubbia garanzia di obiettività di giudizio”.
                               22
                                  I quali, laddove si vedessero rifiutare la propria richiesta da parte del motore di ricerca,
                               potrebbero comunque sempre adire l’autorità nazionale di protezione dei dati personali
                               oppure l’autorità giudiziaria, così come specificato al paragrafo 82 della decisione; “l’autorità
                               di controllo o l’autorità giudiziaria, all’esito della valutazione dei presupposti di applicazione
                               degli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46, da effettuarsi
                               allorché ricevono una domanda quale quella oggetto del procedimento principale, possono
                               ordinare al suddetto gestore di sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una
                               ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da
 Editoriale

                               terzi e contenenti informazioni relative a tale persona, senza che un’ingiunzione in tal senso
                               presupponga che tale nome e tali informazioni siano, con il pieno consenso dell’editore o su
                               ingiunzione di una delle autorità sopra menzionate, previamente o simultaneamente cancellati
   16                          dalla pagina web sulla quale sono stati pubblicati”.

01_PwC_dicembre_2020.indd 16                                                                                                     09/12/20 15:58
più associato ad un determinato contenuto, oppure che sia data tutela al
          ripensamento della propria visibilità telematica; più che di un vero e proprio
          diritto all’oblio, di un diritto a “non essere trovati facilmente”23.
          A valle della sentenza, Google non è ovviamente rimasta inerte, avendo
          provveduto a nominare un comitato consultivo di esperti24 incaricato di
          elaborare attraverso una piattaforma (naturalmente online) specifici pareri
          sul bilanciamento tra il diritto all’oblio e il diritto del pubblico di “sapere”
          nei casi sottoposti ad esame25.
          Oggi è dunque possibile chiedere direttamente a Google, attraverso la com-
          pilazione di un apposito modulo, di rimuovere dal suo indice tutti i collega-
          menti ritenuti lesivi della propria vita privata ed attendere pazientemente
          (?) la risposta del gigante di Mountain View26.
          Lo stesso procedimento vale, mutatis mutandis, nei confronti degli altri
          motori di ricerca (tra i più importanti dei quali, come si vedrà nel prosieguo,
          vi sono anche Bing e Yahoo!).
          Da allora qualcosa si è sicuramente mosso, considerato che nei 5 anni
          successivi alla pubblicazione della sentenza, soltanto Google ha ricevuto
          oltre 850.000 richieste di de-indicizzazione nei confronti di 3,3 milioni di
          siti internet27; dati, questi, che tuttavia non escludono la presenza (o persi-
          stenza) di alcune zone d’ombra non perfettamente eliminate (o individuate)
          dai Giudici comunitari.
          Ad esempio, non risulta chiarissimo cosa si intenda quando i medesimi
          Giudici affermano che la domanda di de-indicizzazione dell’interessato
          non può essere accolta laddove sussistano motivi particolari (fra i quali, la
          posizione ricoperta dal soggetto nella vita pubblica) oppure l’interesse del
          pubblico risulta in ogni caso preponderante rispetto all’intrusione nella vita
          privata dello stesso interessato.
          In prima battuta, non pare più dirimente il riferimento alla definizione del
          soggetto che “ricopre una carica nella vita pubblica”. Nell’era dei social

          23
             S. Sica, V. D’ Antonio, op., cit.
          24
             Per maggiori informazioni sulla composizione e sulle attività del Google Advisory Council
          consultare l’indirizzo https://archive.google.com/advisorycouncil/.
                                                                                                                          privacy&  n.3 dicembre 2020

          25
             T. E. Frosini, op. cit.
          26
             Il modulo di Google per il “diritto all’oblio”, Il Post, 30 maggio 2014, consultabile all’indirizzo
          https://www.ilpost.it/2014/05/30/google-modulo-diritto-oblio/.
          27
             Si fa presto a dire diritto all’oblio, Il Post, 23 settembre 2019, consultabile al seguente link
          https://www.ilpost.it/2019/09/23/diritto-oblio-corte-giustizia-unione-europea-primadanoi/.
          In una apposita sezione di Google, inoltre, è possibile rinvenire tutte le statistiche e le infor-
          mazioni in merito alle richieste di de-indicizzazione affrontate quotidianamente dal motore di
          ricerca. Per maggiori informazioni visitare https://transparencyreport.google.com/eu-privacy/
          overview?hl=en.                                                                                                17

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network e degli influencer, infatti, il concetto di personaggio pubblico ha
                               subito un radicale ripensamento, portando alla ribalta e riconoscendo di
                               fatto (a suon di “like”) la celebrità a soggetti che in precedenza sarebbero
                               stati considerati assolutamente comuni e anonimi28.
                               Inoltre, data la rilevante mole di richieste successive alla pubblicazione
                               della sentenza Google, non può escludersi il rischio che i motori di ricerca
                               optino per un approccio volto ad evitare il più possibile eventuali “conten-
                               ziosi” con gli interessati, assecondando anche richieste di deindicizzazione
                               carenti dei relativi presupposti. A ciò potrebbe conseguire che chi è in gra-
                               do di mettere in campo le migliori strategie di cancellazione e di gestione
                               dei contenuti online assumerebbe un significativo vantaggio rispetto alla
                               massa di user del web, tenuto anche conto, come si vedrà di seguito, che il
                               processo di de-indicizzazione risulta, nei fatti, particolarmente complesso
                               da mettere in atto29.

                                       Il GDPR, cancellazione vs de-indicizzazione
                               Appena qualche anno dopo la sentenza Google Spain, lo scenario normativo
                               di riferimento è cambiato nuovamente con l’emanazione del GDPR.
                               La novità del Regolamento risiede sicuramente nell’esplicita considerazione
                               del fenomeno di internet e della tecnologia sottostante, anche se nessun
                               cenno viene fatto al ruolo dei gestori dei motori di ricerca30.
                               L’articolo 17, paragrafo 1, GDPR, prevede che “l’interessato ha il diritto di
                               ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo
                               riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo
                               di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei
                               motivi seguenti:
                               a. i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali
                                   sono stati raccolti o altrimenti trattati;

                               28
                                  G. M. Riccio, op., cit. L’autore riflette sul punto affermando che “da decenni si discute dell’affie-
                               volimento della dimensione dicotomica pubblico/privato: con la diffusione dei nuovi media e la
                               parcellizzazione dei canali di comunicazione (social network, televisioni satellitari, ecc.) quali sono
                               le figure pubbliche? Una persona che non ha accesso ai canali televisivi o alla carta stampata, ma
                               che ha diecimila follower su Twitter, acquista il rango di figura pubblica?”.
                               29
                                  G. M. Riccio, op., cit., S. Sica e V. d’ Antonio, op., cit.
                               30
                                  Il Considerando 66, GDPR, prevede infatti che “Per rafforzare il «diritto all’oblio» nell’ambiente
                               online, è opportuno che il diritto di cancellazione sia esteso in modo tale da obbligare il titolare del
                               trattamento che ha pubblicato dati personali a informare i titolari del trattamento che trattano tali
                               dati personali di cancellare qualsiasi link verso tali dati personali o copia o riproduzione di detti
 Editoriale

                               dati personali. Nel fare ciò, è opportuno che il titolare del trattamento adotti misure ragionevoli
                               tenendo conto della tecnologia disponibile e dei mezzi a disposizione del titolare del trattamento,
                               comprese misure tecniche, per informare della richiesta dell’interessato i titolari del trattamento
   18                          che trattano i dati personali”.

01_PwC_dicembre_2020.indd 18                                                                                                          09/12/20 15:58
b. l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento conformemente
             all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 9, paragrafo 2, lettera
             a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;
          c. l’interessato si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo
             1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al
             trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21,
             paragrafo 2;
          d. i dati personali sono stati trattati illecitamente;
          e. i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuri-
             dico previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto
             il titolare del trattamento;
          f. i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della
             società dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1.

          Il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbliga-
          to, ai sensi del paragrafo 1, a cancellarli, tenendo conto della tecnologia
          disponibile e dei costi di attuazione, adotta le misure ragionevoli, anche
          tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati
          personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o
          riproduzione dei suoi dati personali31.
          I paragrafi 1 e 2 non si applicano nella misura in cui il trattamento sia
          necessario: a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di
          informazione; b) per l’adempimento di un obbligo giuridico che richieda il
          trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è sog-
          getto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel
          pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il
          titolare del trattamento; c) per motivi di interesse pubblico nel settore della
          sanità pubblica in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e
          dell’articolo 9, paragrafo 3; d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse,
          di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo
          89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di
          rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli
          obiettivi di tale trattamento; o e) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa
                                                                                                                         privacy&  n.3 dicembre 2020

          di un diritto in sede giudiziaria”32.

          31
             Articolo 19, GDPR. Sul punto vedasi anche G.M. Riccio, G. Scorza, E. Belisario, GDPR e
          normativa privacy commentario, Wolters Kluwer, 2018, pp. 180 e ss.
          32
             Si noti, inoltre, come il D. Lgs.n. 101/2018, di adeguamento alla normativa dettata dal
          GDPR, ha esteso le limitazioni dell’esercizio del diritto all’oblio ad ulteriori specifiche ipotesi
          che possono determinare un pregiudizio effettivo e concreto agli interessi tutelati dalle dispo-
          sizioni dettate in materia di (i) antiriciclaggio, (ii) sostegno alle vittime di richieste estorsive,         19

01_PwC_dicembre_2020.indd 19                                                                                      09/12/20 15:58
È evidente la differenza tra il diritto alla cancellazione disciplinato nell’arti-
                               colo 17, GDPR, e la richiesta di de-indicizzazione formulata nei confronti dei
                               motori di ricerca. In quest’ultimo caso l’interessato non domanda (né quindi
                               tanto meno ottiene) “un colpo di spugna” radicale sui propri dati personali
                               presenti su determinati siti web, ma soltanto che specifiche informazioni
                               collegate al proprio nome non siano più disponibili all’interno degli indici
                               di ricerca gestiti dai motori online33.
                               La de-indicizzazione, infatti, non comporta la scomparsa dei dati all’interno
                               dei siti, per così dire, di “origine” (ad esempio, una testata giornalistica on
                               line), che saranno sempre reperibili laddove si conosca l’url34 originale, pur
                               risultando difficilmente accessibili agli utenti mediante l’usuale consulta-
                               zione del World Wide Web svolta tramite motori di ricerca, i quali rendono
                               indubbiamente più agevole reperire le informazioni presenti online35.

                               (iii) attività delle Commissioni parlamentari d’inchiesta, (iv) attività di un soggetto pubblico
                               connesse al sistema dei pagamenti, (v) controllo degli intermediari e dei mercati finanziari,
                               (vi) svolgimento delle attività difensive o esercizio di un diritto in sede giudiziaria, (vii) riser-
                               vatezza dell’identità del dipendente in ambito di whistleblowing, (viii) ragioni di giustizia. Da
                               ricordare anche il riconoscimento del diritto all’oblio per le persone decedute (vedasi articoli
                               2 undecies, 2 duodecies e 2 terdecies D.Lgs. n. 1010/2018).
                               33
                                  In data 7 luglio 2020 lo EDPB ha adottato le Guidelines 5/2019 on the criteria of the Right
                               to be Forgotten in the search engines cases under the GDPR (part 1), documento volto a definire
                               una serie di criteri per una corretta applicazione del diritto all’oblio in relazione alla facoltà
                               dell’interessato di richiedere al fornitore di un motore di ricerca online di cancellare uno o più
                               collegamenti a pagine web dall’elenco dei risultati visualizzati a seguito di una ricerca effettuata
                               sulla base del suo nome. Nel documento viene espressamente precisato come – nonostante
                               l’articolo 17, GDPR, si applichi a tutti i titolari del trattamento – le guidelines si concentrano
                               esclusivamente sui fornitori di motori di ricerca cristallizzando il concetto che esercitare il diritto
                               alla deindicizzazione non significa ottenere la cancellazione del dato dal sito web di origine,
                               né dall’indice e dalla cache del fornitore del motore di ricerca: “Se una persona interessata
                               ottiene la cancellazione di un determinato contenuto, ciò comporterà la cancellazione di quel
                               contenuto specifico dall’elenco dei risultati di ricerca relativi alla persona interessata quando
                               la ricerca è, come di regola, effettuata utilizzando il nome quale criterio di ricerca. Ciò non
                               toglie che, utilizzando altri criteri di ricerca, il contenuto sarà ugualmente disponibile. Ma in
                               alcuni casi i “motori di ricerca” dovranno cancellare definitivamente tali dati dai propri indici
                               o dalla cache”. Le Linee Guida si strutturano in due sezioni, la prima dedicata all’analisi dei
                               presupposti validi per una richiesta di deindicizzazione, la seconda incentrata sulle eccezioni
                               alla deindicizzazione stessa (le linee guida sono consultabili al seguente indirizzo https://
                               edpb.europa.eu/sites/edpb/files/files/file1/edpb_guidelines_201905_rtbfsearchengines_after-
                               publicconsultation_en.pdf). Sul punto vedasi anche D. Battaglia, European Data Protection
                               Board, arrivano le Linee Guida sul Diritto all’Oblio, Federprivacy, 12 dicembre 2019, reperibile
                               al seguente indirizzo https://www.federprivacy.org/informazione/primo-piano/european-da-
                               ta-protection-board-arrivano-le-linee-guida-sul-diritto-all-oblio.
 Editoriale

                               34
                                  L’acronimo URL sta per Uniform Resource Locator e indica una sequenza di caratteri che
                               identifica univocamente l’indirizzo di una risorsa su una rete di computer, ad esempio un
                               documento, un’immagine, un file video su di un host server accessibile ad un client.
   20                          35
                                  L. Bolognini, G. Ragusa, Effetti dei motori di ricerca sul pluralismo dell’informazione – Aspetti

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