Forget to be forgotten - La strada impervia del diritto all'oblio nell'era del web
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Editoriale Forget to be forgotten La strada impervia del diritto all’oblio nell’era del web Gaetano Arnò Avvocato cassazionista, Data Protection Officer delle entità legali del Network PwC in Italia, già docente di diritto industriale – diritto dell’informatica presso l’Università Cattolica di Milano Dafne Chillemi LL.M, Avvocato, Senior Associate della Operating Unit Intellectual Property, TMT & Digital Solution di PwC – TLS Avvocati e Commercialisti Premessa L’ oblio, un concetto che evoca qualcosa di nebuloso, un velo che nasconde e cancella fatti o persone, un tempo noti, che nessuno, in alcun luogo e tempo, ricorderà mai più. In epoca romana esisteva l’istituto della damnatio memoriae, locu- zione che significa letteralmente “condanna della memoria”, una pena parti- colarmente severa (solitamente applicata nei confronti di chi veniva ritenuto nemico o traditore di Roma e del Senato) consistente nella cancellazione di qualsiasi traccia o elemento riguardante una persona, come se non fosse mai esistita. Poteva essere irrogata in diverse forme, che andavano dalla abolitio nominis (il praenomen del condannato non si sarebbe tramandato in seno alla famiglia venendo cancellato da tutte le iscrizioni), alla rescissio actorum privacy& n.3 dicembre 2020 (completa distruzione di tutte le opere realizzate dal reo nell’esercizio della propria carica), fino all’abbattimento di statue e monumenti onorari e lo sfregio dei ritratti presenti sulle monete. Una vera e propria morte civile, certamente favorita dalla disponibilità limitata di fonti storiche nell’antichità1. 1 Sul punto, si veda L. Fascione, Manuale di diritto pubblico romano, II edizione, Giappichelli, Torino, 2013. Nell’Historia Augusta, si trova il riferimento dell’irrogazione della damnatio 5 01_PwC_dicembre_2020.indd 5 09/12/20 15:58
Curiosamente, in tempi recenti, la situazione sembra essersi sostanzialmente capovolta, tanto che alle condanne irrogate dall’autorità giudiziaria si lega, in qualità di pena accessoria, la pubblicazione della sentenza2. Ricordare per punire; e allora l’essere dimenticati, in questi casi, lungi dal risultare qualcosa di odioso, viene bramato e invocato quale “diritto” della persona. Arrivati ai giorni nostri, l’oblio ha subito un’ulteriore trasformazione, quasi assumendo le sembianze di Giano bifronte. Da un lato, nell’era della rivolu- zione 4.0 (secondo alcuni addirittura già 5.0), dei social media e del discusso dominio degli influencer, rappresenta una sorta di mostro da sconfiggere ad ogni costo; bisogna infatti apparire, far parlare di sé, essere dovunque, a qualsiasi costo. Dall’altro lato, una volta entrati nel mondo di internet e delle sue mille sfaccettature tecniche, sono molto pochi (ammesso che vi siano) coloro che riescono volontariamente ad essere totalmente dimenticati (o cancellati che dir si voglia). Viviamo nella stagione della c.d. “web reputation”, dove l’identità personale è forgiata non solo (e talvolta non tanto) dalle opere o azioni concretamente realizzate nel corso della vita (sul piano lavorativo o personale), ma anche, e spesso soprattutto, dalle tracce più o meno consapevolmente lasciate in rete, come se una sorta di filo di Arianna seguisse costantemente il “navigante” nei suoi movimenti nel labirinto del web. memoriae nei confronti di alcuni personaggi di rilievo, quali, ad esempio, l’imperatore Com- modo: “Che il ricordo dell’assassino e del gladiatore sia cancellato del tutto. Lasciate che le statue dell’assassino e del gladiatore siano rovesciate. Lasciate che la memoria dell’osceno gladiatore sia completamente cancellata. Gettate il gladiatore nell’ossario. Ascolta oh Cesare: lascia che l’omicida sia trascinato con un gancio, alla maniera dei nostri padri, lascia che l’assassino del Senato sia trascinato con il gancio. Più feroce di Domiziano, più turpe di Nerone. Ciò che ha fatto agli altri, sia fatto a lui stesso. Sia da salvare invece il ricordo di chi è senza colpa. Si ripristinino gli onori degli innocenti, vi prego” (Historia Augusta, Commodo, 19.1.). Il caso dell’imperatore Commodo è altresì singolare, dal momento che in seguito la pena fu revocata e trasformata addirittura in apoteosi per ordine dell’imperatore Settimio Severo che voleva, in tal modo, legittimare il proprio potere. Da notarsi come anche nei confronti di altri personaggi che hanno subito tale condanna (ad esempio, l’imperatore Massimino Trace – Historia Augusta, I due Massimini, 26.2-4) senza successiva apoteosi, siamo in grado oggi di sapere cosa gli accadde e perché, con buona pace dell’oblio già in epoca romana! 2 Vedasi, ad esempio, articolo 36 c.p., articolo 536 c.p.p., articolo 126 D.Lgs. 30/2005 (“Codice della proprietà industriale”). In ambito data protection, l’articolo 16 del Regolamento n. 1/2019, concernente le procedure interne aventi rilevanza esterna, finalizzate allo svolgimento dei compiti e all’esercizio dei poteri demandati al Garante per la protezione dei dati personali prevede che “Ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 2, lettera i), e dell’articolo 83 del RGPD nonché dell’articolo Editoriale 166 del Codice, il Collegio adotta l’ordinanza ingiunzione, con la quale dispone altresì in ordine all’applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sua pubblicazione, per intero o per estratto, sul sito web del Garante ai sensi dell’articolo 166, comma 7, del Codice” (https://www. 6 garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9107633). 01_PwC_dicembre_2020.indd 6 09/12/20 15:58
Basti pensare, tra i molteplici possibili esempi, a come i professionisti che si occupano della selezione delle risorse umane, oltre al curriculum vitae, pongano ormai estrema attenzione anche ai profili social del candidato (primi fra tutti Linkedin, Facebook, Instagram, Twitter, Youtube). A quanti giovani “postare” quel video così divertente di una serata brava con gli amici è apparsa un’idea brillante, come provato dai molti “mi piace” raccolti. E quante volte, col (maledetto) senno di poi, si sono accorti che forse quel filmato era meglio tenerlo per sé, così come sarebbe stato meglio, ad esem- pio, non aver fatto apprezzamenti “coloriti” o esuberanti su determinati argomenti o personaggi. La malia del web è proprio questa: esalta e diffonde ovunque pressoché in tempo reale, elargisce generosamente piccole o grandi dosi di una agognata celebrità (positiva o negativa che sia), regala la possibilità di navigare senza limiti e confini su milioni di siti cercando, e quasi sempre trovando, miliardi di informazioni (talvolta inutili ma più spesso di grande utilità). Al tempo stesso, tuttavia, il World Wide Web non dimentica. Quasi mai. Forget to be forgotten, dimenticati di essere dimenticato: un’affermazione che somiglia sinistramente ad una minaccia, ma che forse ben rispecchia lo “stato dell’arte” in merito al tanto discusso diritto all’oblio, da tempo assurto alle luci della ribalta, seppure con un corollario di conseguenze e limitazioni socio-giuridiche e tecnologiche tutt’altro che marginali. Dalla cancellazione tout court alla deindicizzazione, dai limiti territoriali a quelli informatici, sino all’eterna lotta con il diritto di cronaca (espressione del diritto del pubblico di sapere), essere dimenticati – in particolare in internet – rappresenta, al momento, un lusso per pochi eletti. Il diritto all’oblio: nascita ed evoluzione Dagli albori alla prima Direttiva in ambito data protection L’opera della giurisprudenza è stata sicuramente determinante nel sancire la nascita e l’evoluzione del diritto all’oblio che, in origine, non godeva di autonomo riconoscimento, venendo piuttosto considerato una sorta di mani- privacy& n.3 dicembre 2020 festazione di alcuni diritti inviolabili dell’uomo, quali il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto alla riservatezza, il diritto alla dignità ed alla identità personale3. 3 Come noto, anche il diritto alla privacy ha avuto una strada piuttosto tortuosa prima di essere riconosciuto un autonomo diritto dell’uomo. Nel 1980, all’interno della rivista legale pubblicata dall’università di Harvard, Samuel Warren e Luis Brandeis sono i primi a parlare di un vero e 7 01_PwC_dicembre_2020.indd 7 09/12/20 15:58
In questo contesto, il diritto all’oblio era genericamente ritenuto un “diritto alla privacy storica, che permetterebbe all’individuo di mantenere il controllo di informazioni un tempo diffuse ma ormai dimenticate”4. A partire dagli anni ’50, in Italia – ancor prima dei Giudici – è stata la dottrina ad iniziare a ragionare su quanto il trascorrere del tempo potesse incidere sulla tutela dell’identità della persona, soprattutto in relazione al rapporto con il diritto di cronaca, e se fosse lecito pubblicare e ripercorrere nuovamente fatti ormai appartenenti al passato5. L’orientamento prevalente, seguito dalla Corte di Cassazione, negava che lo scorrere del tempo consentisse di dimenticare avvenimenti di cronaca pas- sata, i quali potevano dunque essere nuovamente trattati, anche a distanza di diversi anni6. proprio “right to privacy”, che nella loro concezione si riassumeva in un “right to be let alone”. Il diritto alla privacy (o, come originariamente concepito, il diritto alla riservatezza) nasceva con lo scopo principale di evitare la diffusione di informazioni facenti capo ad un individuo determinato nei confronti di terzi. In Italia è stata la Corte di Cassazione (nella sentenza n. 2129 del 29 maggio 1975, reperibile al seguente indirizzo http://www.jus.unitn.it/users/pascuzzi/ varie/sem-inf99/Cass_1975.htm) a fornire un contributo notevole in materia, dapprima preci- sando che “il nostro ordinamento riconosce il diritto alla riservatezza, che consiste nella tutela di quelle situazioni e vicende strettamente personali e familiari le quali, anche se verificatesi fuori del domicilio domestico, non hanno per i terzi un interesse socialmente apprezzabile, contro le ingerenze che, sia pure compiute con mezzi leciti, per scopi non esclusivamente spe- culativi e senza offesa per l’onore, la reputazione o il decoro, non sono giustificati da interessi pubblici preminenti”, e successivamente,, nel 1998 (Corte di Cassazione Civile, Sezione III, n. 5658 del 1998 in Il Foro Italiano, Vol. 121, n. 9, Settembre 1998), affermando l’esistenza di “un vero e proprio diritto alla riservatezza anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria”. La “costituzionalizzazione” giunge invece attraverso l’articolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ove si sancisce come “1. Ogni persona ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che la riguardano. 2. Tali dati devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge. Ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica. 3. Il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di un’autorità indipendente”. 4 M. Mezzanotte, Il diritto all’oblio. Contributo allo studio della privacy storica, Edizioni Scien- tifiche Italiane, 2009. 5 Sul punto, vedasi F. Mantovani, Diritto alla riservatezza e libertà di manifestazione del pensiero con riguardo alla pubblicità dei fatti criminosi, Archivio giuridico Filippo Serafini, 1968, pp. 40 e ss. e G. Galli, Riservatezza e cronaca giudiziaria, in Il diritto alla riservatezza, 1963, pp. 163 e ss. che afferma come “il rievocare ad esempio che l’indiziato di un reato sessuale già è stato coinvolto in precedente della stessa natura, determina automaticamente nel grosso pubblico un immediato giudizio di quasi definitiva colpevolezza, e riapre nella vita dell’individuo una Editoriale parentesi di triste notorietà su episodi che, quale ne sia stato l’esito di fronte alla giustizia, appartengono al passato”. 6 Le prime pronunce di rilievo vertevano su vicende legate alla divulgazione di opere letterarie 8 e cinematografiche su personaggi all’epoca noti. La prima riguardava la pubblicazione di due 01_PwC_dicembre_2020.indd 8 09/12/20 15:58
Una maggiore apertura si avrà solamente con l’avvento degli anni ‘70, sulla scia dei primi riconoscimenti della privacy come diritto fondamentale dell’uomo7 e, soprattutto, del diritto all’identità personale8. Per assistere ad una vera “svolta” è però necessario attendere l’emanazione della Direttiva 95/49 CE (“Direttiva Privacy”)9, recepita in Italia con Leg- ge n. 675 del 31 dicembre 199610, sulla quale iniziano a fondarsi i nuovi film biografici sul tenore Enrico Caruso i cui discendenti si opponevano alla proiezione assu- mendo che ledesse la vita privata dell’artista. Inizialmente, il Pretore di Roma fu favorevole a riconoscere l’esistenza di “un diritto soggettivo all’illesa intimità della vita privata”, confermato anche dal Tribunale e dalla Corte d’Appello, ma negato dalla Corte di Cassazione, secondo la quale “nessuna disposizione di legge autorizza a ritenere che sia stato sancito, come principio generale, il rispetto assoluto della intimità della vita privata, e tantomeno come limite alla libertà dell’arte” (vedasi P. Gargano, Una vita, una leggenda: Enrico Caruso, il più grande tenore del mondo, L’Airone, Milano, 1997, Pretore di Roma, 19 novembre 1951in https://www.jstor. org/stable/23143233?seq=1, Tribunale di Roma, 14 settembre 1953 in https://www.jstor. org/stable/23145955?seq=1 e Corte di Cassazione n. 4487/1956 in https://www.jstor.org/ stable/23146612?seq=1) Un altro caso interessante è stato quello portato innanzi ai giudici dai familiari di Claretta Petacci e Benito Mussolini, a seguito della pubblicazione – effettuata dal settimanale Il Tempo – di una puntata di un romanzo incentrato sulla relazione sentimentale che aveva legato la giovane donna al Duce. Il Tribunale di Milano (sentenza del 28 marzo 1958), pur escludendo che potesse sussistere l’autonoma tutela di un diritto al riserbo, ritenne in ogni caso offensivi i contenuti del romanzo per i familiari di Claretta Petacci. In secondo grado, i giudici della Corte di Appello di Milano si spinsero oltre ravvisando anche una lesione della riservatezza. Anche stavolta la Corte di Cassazione si oppose però al riconoscimento di un diritto alla riservatezza, affermando, tuttavia, come la divulgazione di notizie relative alla vita privata, in assenza di un consenso almeno implicito del soggetto e di un preminente interesse pubblico alla conoscenza di determinati fatti, sia in grado di ledere “il diritto assoluto di personalità, inteso quale diritto erga omnes alla libertà di autodeterminazione nello svolgimento della personalità dell’uomo come singolo” (sul punto, si veda E. Ligi, Il diritto alle vicende e la sfera della personalità, in Foro italiano, 1955, volume 1, pagg. 394 e ss..; E. Carnelutti, Diritto alla vita privata, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1955, volume 1, pagg. 3 e ss., Corte di Cassazione n. 1446/1966, in Giustizia civile, 1966, volume 1, pag. 1255). 7 Sul punto, vedasi, ad esempio, la sentenza n. 38/1973 della Corte Costituzionale, disponibile all’indirizzo http://www.giurcost.org/decisioni/1973/0038s-73.html, nella quale si affermava come il testo degli articoli 21, comma 2, e 12 della Costituzione contenesse il riconoscimento della riservatezza come diritto soggettivo, da tutelare così come sancito dagli articoli 7 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (“CEDU”). 8 V. Zeno-Zencovich, Una svolta giurisprudenziale nella tutela della riservatezza, Diritto dell’in- privacy& n.3 dicembre 2020 formazione e dell’informatica, 1986, vol.1, p. 934 e ss. 9 Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati https://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/ALL/?uri=CE- LEX%3A31995L0046. 10 Legge n. 675 del 31 dicembre 1996, Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trat- tamento dei dati personali, consultabile al seguente indirizzo https://www.garanteprivacy.it/ home/docweb/-/docweb-display/docweb/28335. Pur non affermando esplicitamente l’esistenza di un vero e proprio diritto all’oblio, estremamente interessante risulta il dettato dell’articolo 9, 9 01_PwC_dicembre_2020.indd 9 09/12/20 15:58
ragionamenti della giurisprudenza, in particolare con specifico riguardo alla pubblicazione di notizie (per la maggior parte concernenti fatti di cronaca giudiziaria) rievocative di vicende passate che i diretti interessati ritenevano lesive della propria identità e riservatezza, soprattutto nell’eventualità che successivamente avessero addirittura dimostrato la propria estraneità ai fatti. All’esito di questa evoluzione, è proprio la Corte di Cassazione a specificare come “la divulgazione di notizie che arrecano pregiudizio all’onore e alla reputazione deve, in base al diritto di cronaca, considerarsi lecita quando ricorrono tre condizioni: la verità oggettiva della notizia pubblicata; l’in- teresse pubblico alla conoscenza del fatto (c.d. pertinenza); la correttezza formale dell’esposizione (c.d. continenza)”. D’altro canto, “viene invece in considerazione un nuovo profilo del diritto di riservatezza recentemente definito anche come diritto all’oblio inteso come giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata. (...) Quando il fatto precedente per altri eventi sopravvenuti ritorna di attualità, rinasce un nuovo interesse pubblico all’informazione, non strettamente legato alla contemporaneità fra divulgazione e fatto pubblico che si deve contemperare con quel prin- cipio, adeguatamente valutando la ricorrente correttezza delle fonti di informazione”11. L’avvento di internet Ricordando i primi “vagiti” del diritto all’oblio, occorre sempre tenere a mente che, in parallelo allo sviluppo dottrinale e giurisprudenziale sul tema, la tecnologia stava vivendo una sorta di “nuova epifania” con la nascita di internet e del world wide web12. comma 1, lettera e), per il quale i dati personali oggetto di trattamento devono essere “conser- vati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati”, nonché l’articolo 13 comma 1, lettera c), numero 1, secondo il quale “in relazione al trattamento di dati personali l’interessato [aveva] diritto (...) di ottenere, a cura del titolare o del responsabile, senza ritardo la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguar- dano, anche se non ancora registrati, e la comunicazione in forma intellegibile dei medesimi dati e della loro origine, nonché della logica e delle finalità su cui si basa il trattamento (...)”. 11 Cass., civile sez. III 09 aprile 1998 n. 3679, consultabile al seguente indirizzo http://www. diritto civile.it/Proprieta-e-Condominio/Cassazione-civile-sez.-III-09-aprile-1998-n.-3679. html; e Cass., n. 5525/2012, disponibile all’indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/xway/ Editoriale application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db =snciv&id=./20120410/snciv@s30@a2012@n05525@tS.clean.pdf. 12 Nel 1991, il ricercatore del CERN di Ginevra Tim Berners definì il protocollo HyperText Tran- 10 sfer Protocol (“HTTP”), che permette una lettura ipertestuale non sequenziale dei documenti 01_PwC_dicembre_2020.indd 10 09/12/20 15:58
La rete “mischia” le carte in tavola. Da questo momento in poi, il diritto all’oblio assume tre sfaccettature diverse: quella sinteticamente ricostruita nei precedenti paragrafi, consistente nel “diritto di un soggetto di non vedere pubblicate alcune notizie relative a vicende, già legittimamente pubblicate, rispetto all’accadimento delle quali è trascorso un notevole lasso di tempo”13; la versione “aggiornata”, si potrebbe dire 2.0, fondata sul postulato che le informazioni immesse nella rete vi restano per un arco temporale illimitato a disposizione di un numero elevatissimo di siti, social network, piattaforme, alla mercé di una platea di soggetti potenzialmente infinita14; e infine la terza accezione, caratterizzata dal diritto alla rettifica e alla cancellazione dei dati personali o all’opposizione al loro trattamento, ai sensi dell’articolo 12 della Direttiva Privacy e, successivamente, dell’articolo 17 del Regolamento UE 2016/679 (“GDPR”). Le mutate circostanze non sono sfuggite agli operatori del settore e sono state prontamente prese in considerazione tanto dalla giurisprudenza quanto dall’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali (“Garante” o “Garante Privacy”), chiamate a prendere posizione in merito ad alcune vicende legate a fatti di cronaca giudiziaria che coinvolgevano anche quo- tidiani e siti di informazione on line. In alcuni casi, infatti, le pubblicazioni, pur se originariamente legittimate sulla base del diritto di cronaca, erano mediante l’utilizzo di rimandi (i link), lanciando il primo sito web della storia (https://web. archive.org/web/20150717103715/http://info.cern.ch/hypertext/WWW/TheProject.html). Il 30 aprile 1993 il CERN decide di rendere pubblica la tecnologia alla base del World Wide Web in modo che sia liberamente implementabile da chiunque. L’evoluzione futura della rete è migrata poi verso la sempre maggiore diffusione di contenuti multimediali (streaming di prodotti audio e video, web tv e web radio, etc.), rendendo necessari la decentralizzazione delle risorse, la compressione dei dati e la rete di accesso a banda larga. Al fine di rendere questa massa di informazioni e contenuti maggiormente “ordinata” e fruibile, nel 1997 nasce il motore di ricerca Google, il quale consente di reperire le informazioni sul web attraverso parole chiave e l’indicizzazione dei contenuti. L’avvento dei motori di ricerca ha tuttavia un prezzo piuttosto caro, consistente nel declino progressivo dell’idea iniziale di “open web” alla base della rete. La nascita dei grandi colossi come Google, Yahoo e Facebook consente l’im- plementazione di una infrastruttura sempre più potente ma, al tempo stesso, sempre più nelle mani delle imprese appena menzionate e delle grandi piattaforme commerciali, che riescono a sfruttare le informazioni veicolate ai propri fini. Per ulteriori informazioni vedasi https://www. privacy& n.3 dicembre 2020 wired.it/internet/web/2019/03/11/internet-world-wide-web-storia/#:~:text=%C3%88%20 la%20nascita%20del%20world,sul%20funzionamento%20dello%20stesso%20web. 13 G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità in Diritto dell’infor- mazione e dell’informatica, Giuffrè Editore, 4-5/2014. 14 G. Cavallari, Il diritto all’oblio alla luce del recente Regolamento 2016/679, Ius in Itinere, 10 giugno 2019, reperibile al seguente indirizzo https://www.iusinitinere.it/il-dirittoalloblio-al- la-luce-del-recente-regolamento-2016-679 20574#:~:text=Le%20diverse%20definizioni%20 di%20diritto%20all’oblio&text=Si%20%C3%A8%20quindi%20fatto%20riferimento,un%20 notevole%20lasso%20di%20tempo%E2%80%9D. 11 01_PwC_dicembre_2020.indd 11 09/12/20 15:58
state memorizzate negli archivi dei quotidiani e risultavano pertanto repe- ribili in internet senza però essere state rettificate per tenere conto degli sviluppi successivi. Nel nuovo contesto oggetto di analisi, la Suprema Corte – riprendendo in parte i principi di diritto affermati nella citata sentenza n. 3679/1998 e tenuto conto del dettato dell’articolo 11, comma 1 lett. b), D.Lgs. n. 196 del 2003 – ha stabilito che “il titolare dell’organo di informazione (nel caso, la società Rcs Quotidiani s.p.a.) che avvalendosi di un motore di ricerca (nel caso, Google) memorizza la medesima (n.d.r.: notizia) anche nella rete internet è tenuto ad osservare i criteri di proporzionalità, necessità, pertinenza e non eccedenza dell’informazione, avuto riguardo alla finalità che ne consente il lecito trattamento, nonché a garantire la contestualizzazione e l’aggiorna- mento della notizia già di cronaca oggetto di informazione e di trattamento, a tutela del diritto del soggetto cui i dati pertengono alla propria identità personale o morale nella sua proiezione sociale, nonché a salvaguardia del diritto del cittadino utente di ricevere una completa e corretta informazione, non essendo al riguardo sufficiente le mera generica possibilità di rinveni- re all’interno del ‘mare di Internet’ ulteriori notizie concernenti il caso di specie, ma richiedendosi, atteso il ravvisato persistente interesse pubblico alla conoscenza della notizia in argomento, la predisposizione di sistema idoneo a segnalare (nel corso o a margine) la sussistenza di un seguito e di uno sviluppo della notizia, e quale esso sia stato (nel caso, dei termini della intervenuta relativa definizione in via giudiziaria), consentendo il rapido ed agevole accesso da parte degli utenti ai fini del relativo adeguato approfon- dimento, giusta modalità operative stabilite, in mancanza di accordo tra le parti, dal giudice di merito”15. Il Garante Privacy, dal canto suo, ha da subito precisato che il diritto all’oblio è chiaramente enunciato all’interno della Legge n. 675/1996, in particolare all’articolo 9, ai sensi del quale “l’interessato ha quindi non solo il diritto di richiedere che i propri dati siano pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite, ma anche quello di poter esercitare, ove possibile, il proprio “diritto all’oblio”, ossia il diritto che certi avvenimenti della propria 15 Cass., sez. III Civ., n. 5525/2012, consultabile al seguente indirizzo https://www.leggioggi. it/wp-content/uploads/2012/04/sentenza_cassazione_civile_5525_2012.pdf. Interessante il passaggio nel quale la Suprema Corte opera la distinzione tra “archivio” e “memoria”: il primo è organizzato secondo canoni di ricerca e criteri predeterminati, la seconda risulta priva di Editoriale qualsivoglia regola di organizzazione delle informazioni. Nella realtà della rete, l’attività di archiviazione è affidata ai motori di ricerca. Sul punto, vedasi anche Cass., sez. III Civ., sen- tenza 26 giugno 2013, n. 16111, F. Pizzetti, Il caso del diritto all’oblio, Giappichelli Editore, 12 Torino 2013. 01_PwC_dicembre_2020.indd 12 09/12/20 15:58
vita, e situazioni personali non siano più oggetto di un trattamento di dati (nei limiti previsti dalla legge)”16. Successivamente, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 196 del 2003 (“Codice Privacy”), il Garante, confrontandosi con un ricorso avente ad oggetto la permanenza in rete di notizie pregiudizievoli per l’attività dell’in- teressato, prescriveva, nei confronti del titolare del trattamento, una serie di azioni da intraprendere affinché potessero essere mitigati gli effetti dovuti alla pubblicazione sul web della sentenza di condanna subita dal soggetto. Alla base del ragionamento del Garante stava la presa di coscienza che il trascorrere di un determinato lasso di tempo e il ravvedimento operoso dell’interessato non potessero essere inficiati dalla permanenza online di informazioni relative al provvedimento di condanna17. 16 Garante per la Protezione dei Dati Personali, Relazione annuale 1998, rinvenibile al seguente indirizzo https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/1341498. 17 Sul punto, il Garante espressamente statuiva come “I ricorrenti prefigurano in particolare la possibilità, per l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, di scegliere selettiva- mente, mediante operatori logici, quali parti dei propri documenti possano essere rilevate dai motori di ricerca e proposte, come risultato, a chi faccia uso in Internet di specifiche stringhe di ricerca utilizzando in modo opportuno i suddetti operatori logici booleani (And, Or, Not). Ciò non riflette, però, il reale funzionamento dei motori di ricerca standard, intendendo con ciò quelli a maggiore diffusione, la cui azione nella fase di raccolta delle informazioni sulle pagine disponibili nel world wide web (fase di grabbing e di successiva indicizzazione) è influenzabile dal singolo amministratore di un sito web soltanto tramite la compilazione del file robots.txt, previsto dal “Robots Exclusion Protocol”, o tramite l´uso del “Robots Meta tag”. Si tratta di convenzioni concordate nella comunità Internet dai soggetti che sviluppano i protocolli, e non di standard veri e propri, allo stato largamente accettate nel contesto dei motori di ricerca. Tali convenzioni prevedono la possibilità per il gestore di un sito web di escludere selettivamente alcuni contenuti dall’azione di uno o più motori di ricerca. Oggetto dell’esclusione o della limitazione di accesso resta, però, sempre la pagina web o l’insieme di pagine web o di link in essa contenuti, anziché singole parole chiave o specifiche clausole di ricerca composte con operatori logici. Ciò, avviene sia con il “Robots Exclusion Protocol”, sia con il ricorso ai Robots Meta tag da inserire nel codice delle pagine da visualizzare. Un’azione su singole parole chiave è possibile, ma soltanto “in positivo”, ovvero è possibile per l’ammini- stratore del sito promuovere pagine web inserendo, con opportuni comandi, alcune keyword che possono anche non corrispondere a parole presenti nel documento pubblicato. Tale mec- canismo, come richiamato dall’Autorità resistente nella memoria difensiva, non è mai stato utilizzato sul sito dell’Autorità stessa per evidenziare documenti in relazione all’identità delle privacy& n.3 dicembre 2020 parti. Alla luce di quanto sopra considerato, non risulta allo stato tecnicamente praticabile la soluzione volta a far sì che i nominativi degli interessati contenuti nelle decisioni pubblicate sul sito siano rilevabili da motori di ricerca solo mediante l’associazione di più parole chiave che uniscono il nominativo dei ricorrenti alla materia trattata nei provvedimenti. Tuttavia, la diretta individuabilità in Internet, tramite motori di ricerca esterni, della decisione adottata dalla resistente nel 1996, non risulta più giustificata in rapporto alle finalità perseguite nel caso di specie. In applicazione del principio di cui all´art. 11, comma 1, lett. e), del Codice, l’Autorità resistente potrà continuare a pubblicare i propri provvedimenti sul relativo sito web modulando, però, nel tempo il periodo entro il quale le decisioni riguardanti i ricorrenti 13 01_PwC_dicembre_2020.indd 13 09/12/20 15:58
La svolta: il caso Google Spain Il “punto di non ritorno” nel riconoscimento del diritto all’oblio può essere individuato in una importante sentenza della Corte di Giustizia Europea (sentenza C-131/12, in data 13 maggio 2014)18 chiamata a pronunciarsi sull’esistenza dell’obbligo dei gestori dei motori di ricerca di internet di rimuovere o, più propriamente, “de-indicizzare” i risultati delle ricerche riguardanti specifiche informazioni che potrebbero influenzare in maniera negativa la reputazione degli interessati. Il caso muoveva dalla vicenda di un cittadino spagnolo assoggettato ad una procedura di recupero crediti di cui era stata a suo tempo data notizia da un quotidiano. A distanza di oltre di 15 anni, digitando il nome dell’interessato sul motore di ricerca Google, si veniva immediatamente re-indirizzati a tali pagine di stampa. Appositamente interpellata, l’Autorità Garante per la protezione dei dati personali spagnola ha negato l’esistenza del diritto di chiedere la cancella- zione della notizia dalle pagine del quotidiano e ha rimesso al vaglio della Corte UE la valutazione della richiesta di rimozione dei risultati della ricerca da parte di Google. Come noto, ne è scaturita una pronuncia che ha lasciato stupiti molti operatori del settore per una serie di motivi concorrenti tra loro, a partire dal fatto che i Giudici comunitari (disattendendo completamente le affer- mazioni e le richieste dell’Avvocato Generale) hanno ribaltato le posizioni precedentemente affermatesi in tema di diritto all’oblio ed in merito alla responsabilità dei c.d. service provider, fino a quel momento ritenuti – al ricorrere di determinate circostanze – spettatori impassibili dei contenuti pubblicati di cui si fanno meri “portatori”19. saranno direttamente individuabili in Internet tramite comuni motori di ricerca esterni.”. Il provvedimento è reperibile al seguente indirizzo https://www.gpdp.it/web/guest/home/ docweb/-/docweb-display/docweb/1116068. 18 Consultabile al seguente indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?u- ri=CELEX%3A62012CJ0131. 19 In tema di responsabilità del service provider, la norma di riferimento è la Direttiva dell’8 giugno del 2000 (“Direttiva sul commercio elettronico”, 2000/31/CE; recepita dal D.Lgs. n. 70 del 2003), che ha sancito l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza per gli ISP (articolo 15, 2000/31/CE). I due punti focali della normativa sono: (i) il principio della neutralità degli operatori, in virtù del quale gli ISP non sono responsabili se la loro attività si limita ad un ruolo tecnico e non selezionano né i contenuti, né i destinatari delle informazioni, e (ii) l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza sui contenuti diffusi dai destinatari dei propri servizi. Editoriale Tuttavia, come correttamente rileva G. M. Riccio in Diritto all’oblio e responsabilità dei motori di ricerca, op. cit., “a distanza di quasi un quindicennio, lo scenario da cui muoveva la direttiva è però radicalmente mutato. Lo studio dello sviluppo delle imprese della new economy ha 14 evidenziato alcune peculiarità rispetto alle imprese tradizionali, tra cui la capacità di realizzare, 01_PwC_dicembre_2020.indd 14 09/12/20 15:58
La dottrina20 ha prontamente identificato (e riassunto) i seguenti principi alla base della decisione della Corte di Giustizia UE: • ai gestori dei motori di ricerca che non hanno la propria sede all’interno del territorio dell’Unione Europea ma che ivi abbiano un’organizzazione stabile si applicano le norme della Direttiva Privacy (oltre a quelle spe- cifiche eventualmente adottate dallo Stato Membro interessato); • l’attività svolta dai motori di ricerca deve essere qualificata come tratta- mento di dati personali; • al ricorrere delle condizioni fissate dalla normativa europea in materia di data protection, i gestori dei motori di ricerca sono obbligati a rimuovere dall’elenco dei risultati ottenuti (o ottenibili) in relazione ad un deter- minato soggetto tutti i link ed i collegamenti a pagine e siti on line che lo riguardano; • il bilanciamento di interessi tra il diritto di cronaca e il diritto alla riserva- tezza dell’individuo va effettuato tenendo conto che i diritti fondamentali enunciati dagli articoli 7 e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unio- ne Europea “prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona”. A fronte di questi principi, in larga parte condivisibili, la sentenza ha susci- tato molteplici perplessità laddove prevede che il bilanciamento di interessi appena menzionato debba essere valutato caso per caso dal titolare del trattamento (e dunque dal gestore del motore di ricerca), sollevando le cri- tiche di autorevoli giuristi che hanno considerato questa impostazione alla stregua dell’attribuzione – da parte di un organo di giustizia – di un potere in un lasso di tempo relativamente breve, posizioni monopolistiche o dominanti sul mercato di riferimento. Allo stesso modo, pur in presenza di costi di start-up molto limitati, alcune di queste imprese hanno generato enormi utili, moltiplicando il proprio potere commerciale in pochi anni: non stupisce, quindi, che, scorrendo la classifica dei marchi di maggior valore, ci si avvede che le prime quattro posizioni sono occupate da società che operano prevalentemente nel ‘mondo’ di internet. In tale contesto, è giocoforza ammettere che gli operatori di internet, privacy& n.3 dicembre 2020 pur se agiscono da intermediari, hanno assunto un ruolo di deep pocket e, sempre per tale ragione, appare condivisibile la conclusione della Corte di Giustizia, che afferma categorica- mente che il riconoscimento di un diritto all’oblio in capo ai singoli cittadini debba prevalere ‘sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca’”. 20 T. E. Frosini, Google e il diritto all’oblio preso sul serio, G. Finocchiaro, Il diritto all’oblio nel quadro dei diritti della personalità, cit., S. Sica e V. d’Antonio, La procedura di de-indiciz- zazione, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, a cura di G. Resta e V. Zeno-Zencovich, Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento di Giurisprudenza, Collana Consumatori e Mercato, Roma Tre Press, 2015. 15 01_PwC_dicembre_2020.indd 15 09/12/20 15:58
“para-costituzionale”21 ai grandi player del web e cioè a degli operatori privati, chiamati in prima battuta ad effettuare il vaglio di fondatezza delle richieste degli interessati22. Peraltro, una richiesta di deindicizzazione non sembrerebbe presupporre necessariamente un trattamento illecito del contenuto pubblicato sul sito originario né l’esistenza di un pregiudizio nei confronti dell’interessato (condi- zioni che avrebbero invece potuto supportare una richiesta di cancellazione). Probabilmente la Corte di Giustizia non aveva affatto intenzione di delineare il quadro di riferimento e di applicazione del diritto all’oblio, quanto piutto- sto di affermare alcuni principi che ne discendono, pur differenziandosene. In termini più concreti ed espliciti, regolare una sorta di diritto non tanto ad essere dimenticato quanto ad ottenere che il proprio nome non venga 21 T.E. Frosini, op. cit., O. Pollicino, Un digital right to privacy preso (troppo) sul serio dai giudici di Lussemburgo? Il ruolo degli articoli 7 e 8 della carta di Nizza nel reasoning di Google Spain, in Il diritto all’oblio su internet dopo la sentenza Google Spain, a cura di G. Resta e V. Zeno-Zencovich, Università degli Studi di Roma Tre, Dipartimento di Giurisprudenza, Collana Consumatori e Mercato, Roma Tre Press, 2015. In particolare, O. Pollicino puntualizza come attribuire “un obbligo di rimozione dei link a carico esclusivamente del motore di ricerca, indipendentemente da quello che fa o non fa l’editore del sito web il cui link è indicizzato dal motore stesso, rischia non solo di portare ad una deresponsabilizzazione del primo e ad una responsabilizzazione forse eccessiva del secondo, ma ha come primo effetto quello di fare emergere un contrasto lampante, e paradossale in un apparato argomentativo che fa della tutela di (alcuni) diritti protetti dal bill of rights europeo la propria stella cometa, con un principio costituzionale fondamentale che caratterizza il nucleo duro di qualsiasi ordinamento che si fondi sulla rule of law. Il riferimento è evidentemente alla necessità di prevedere una riserva di giurisdizione nei casi di una possibile restrizione (in questo caso a seguito di bilanciamento) dei diritti fondamentali in gioco. Necessità che non sembra essere stata presa in considerazione dalla Corte di giustizia che, in sostanza, delega ad un operatore privato, che però svolge, di fatto, sul web, una funzione pubblica di natura para-costituzionale, di operare quel bilancia- mento di interessi che viene teorizzato dalla stessa Corte tra diritto alla privacy e diritto ad essere informati”. Vedasi anche S. Sica e V. D’Antonio, op., cit., che sul punto sottolineano come “sarebbe stato auspicabile affidare il vaglio delle istanze di deindicizzazione direttamente ai Garanti nazionali oppure prevederne l’interpello necessario da parte dei motori di ricerca: ciò avrebbe consentito un’indubbia garanzia di obiettività di giudizio”. 22 I quali, laddove si vedessero rifiutare la propria richiesta da parte del motore di ricerca, potrebbero comunque sempre adire l’autorità nazionale di protezione dei dati personali oppure l’autorità giudiziaria, così come specificato al paragrafo 82 della decisione; “l’autorità di controllo o l’autorità giudiziaria, all’esito della valutazione dei presupposti di applicazione degli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46, da effettuarsi allorché ricevono una domanda quale quella oggetto del procedimento principale, possono ordinare al suddetto gestore di sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da Editoriale terzi e contenenti informazioni relative a tale persona, senza che un’ingiunzione in tal senso presupponga che tale nome e tali informazioni siano, con il pieno consenso dell’editore o su ingiunzione di una delle autorità sopra menzionate, previamente o simultaneamente cancellati 16 dalla pagina web sulla quale sono stati pubblicati”. 01_PwC_dicembre_2020.indd 16 09/12/20 15:58
più associato ad un determinato contenuto, oppure che sia data tutela al ripensamento della propria visibilità telematica; più che di un vero e proprio diritto all’oblio, di un diritto a “non essere trovati facilmente”23. A valle della sentenza, Google non è ovviamente rimasta inerte, avendo provveduto a nominare un comitato consultivo di esperti24 incaricato di elaborare attraverso una piattaforma (naturalmente online) specifici pareri sul bilanciamento tra il diritto all’oblio e il diritto del pubblico di “sapere” nei casi sottoposti ad esame25. Oggi è dunque possibile chiedere direttamente a Google, attraverso la com- pilazione di un apposito modulo, di rimuovere dal suo indice tutti i collega- menti ritenuti lesivi della propria vita privata ed attendere pazientemente (?) la risposta del gigante di Mountain View26. Lo stesso procedimento vale, mutatis mutandis, nei confronti degli altri motori di ricerca (tra i più importanti dei quali, come si vedrà nel prosieguo, vi sono anche Bing e Yahoo!). Da allora qualcosa si è sicuramente mosso, considerato che nei 5 anni successivi alla pubblicazione della sentenza, soltanto Google ha ricevuto oltre 850.000 richieste di de-indicizzazione nei confronti di 3,3 milioni di siti internet27; dati, questi, che tuttavia non escludono la presenza (o persi- stenza) di alcune zone d’ombra non perfettamente eliminate (o individuate) dai Giudici comunitari. Ad esempio, non risulta chiarissimo cosa si intenda quando i medesimi Giudici affermano che la domanda di de-indicizzazione dell’interessato non può essere accolta laddove sussistano motivi particolari (fra i quali, la posizione ricoperta dal soggetto nella vita pubblica) oppure l’interesse del pubblico risulta in ogni caso preponderante rispetto all’intrusione nella vita privata dello stesso interessato. In prima battuta, non pare più dirimente il riferimento alla definizione del soggetto che “ricopre una carica nella vita pubblica”. Nell’era dei social 23 S. Sica, V. D’ Antonio, op., cit. 24 Per maggiori informazioni sulla composizione e sulle attività del Google Advisory Council consultare l’indirizzo https://archive.google.com/advisorycouncil/. privacy& n.3 dicembre 2020 25 T. E. Frosini, op. cit. 26 Il modulo di Google per il “diritto all’oblio”, Il Post, 30 maggio 2014, consultabile all’indirizzo https://www.ilpost.it/2014/05/30/google-modulo-diritto-oblio/. 27 Si fa presto a dire diritto all’oblio, Il Post, 23 settembre 2019, consultabile al seguente link https://www.ilpost.it/2019/09/23/diritto-oblio-corte-giustizia-unione-europea-primadanoi/. In una apposita sezione di Google, inoltre, è possibile rinvenire tutte le statistiche e le infor- mazioni in merito alle richieste di de-indicizzazione affrontate quotidianamente dal motore di ricerca. Per maggiori informazioni visitare https://transparencyreport.google.com/eu-privacy/ overview?hl=en. 17 01_PwC_dicembre_2020.indd 17 09/12/20 15:58
network e degli influencer, infatti, il concetto di personaggio pubblico ha subito un radicale ripensamento, portando alla ribalta e riconoscendo di fatto (a suon di “like”) la celebrità a soggetti che in precedenza sarebbero stati considerati assolutamente comuni e anonimi28. Inoltre, data la rilevante mole di richieste successive alla pubblicazione della sentenza Google, non può escludersi il rischio che i motori di ricerca optino per un approccio volto ad evitare il più possibile eventuali “conten- ziosi” con gli interessati, assecondando anche richieste di deindicizzazione carenti dei relativi presupposti. A ciò potrebbe conseguire che chi è in gra- do di mettere in campo le migliori strategie di cancellazione e di gestione dei contenuti online assumerebbe un significativo vantaggio rispetto alla massa di user del web, tenuto anche conto, come si vedrà di seguito, che il processo di de-indicizzazione risulta, nei fatti, particolarmente complesso da mettere in atto29. Il GDPR, cancellazione vs de-indicizzazione Appena qualche anno dopo la sentenza Google Spain, lo scenario normativo di riferimento è cambiato nuovamente con l’emanazione del GDPR. La novità del Regolamento risiede sicuramente nell’esplicita considerazione del fenomeno di internet e della tecnologia sottostante, anche se nessun cenno viene fatto al ruolo dei gestori dei motori di ricerca30. L’articolo 17, paragrafo 1, GDPR, prevede che “l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali, se sussiste uno dei motivi seguenti: a. i dati personali non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; 28 G. M. Riccio, op., cit. L’autore riflette sul punto affermando che “da decenni si discute dell’affie- volimento della dimensione dicotomica pubblico/privato: con la diffusione dei nuovi media e la parcellizzazione dei canali di comunicazione (social network, televisioni satellitari, ecc.) quali sono le figure pubbliche? Una persona che non ha accesso ai canali televisivi o alla carta stampata, ma che ha diecimila follower su Twitter, acquista il rango di figura pubblica?”. 29 G. M. Riccio, op., cit., S. Sica e V. d’ Antonio, op., cit. 30 Il Considerando 66, GDPR, prevede infatti che “Per rafforzare il «diritto all’oblio» nell’ambiente online, è opportuno che il diritto di cancellazione sia esteso in modo tale da obbligare il titolare del trattamento che ha pubblicato dati personali a informare i titolari del trattamento che trattano tali dati personali di cancellare qualsiasi link verso tali dati personali o copia o riproduzione di detti Editoriale dati personali. Nel fare ciò, è opportuno che il titolare del trattamento adotti misure ragionevoli tenendo conto della tecnologia disponibile e dei mezzi a disposizione del titolare del trattamento, comprese misure tecniche, per informare della richiesta dell’interessato i titolari del trattamento 18 che trattano i dati personali”. 01_PwC_dicembre_2020.indd 18 09/12/20 15:58
b. l’interessato revoca il consenso su cui si basa il trattamento conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), o all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), e se non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento; c. l’interessato si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 1, e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2; d. i dati personali sono stati trattati illecitamente; e. i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo giuri- dico previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento; f. i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione di cui all’articolo 8, paragrafo 1. Il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbliga- to, ai sensi del paragrafo 1, a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione, adotta le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i titolari del trattamento che stanno trattando i dati personali della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali31. I paragrafi 1 e 2 non si applicano nella misura in cui il trattamento sia necessario: a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione; b) per l’adempimento di un obbligo giuridico che richieda il trattamento previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è sog- getto il titolare del trattamento o per l’esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse oppure nell’esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento; c) per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica in conformità dell’articolo 9, paragrafo 2, lettere h) e i), e dell’articolo 9, paragrafo 3; d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento; o e) per l’accertamento, l’esercizio o la difesa privacy& n.3 dicembre 2020 di un diritto in sede giudiziaria”32. 31 Articolo 19, GDPR. Sul punto vedasi anche G.M. Riccio, G. Scorza, E. Belisario, GDPR e normativa privacy commentario, Wolters Kluwer, 2018, pp. 180 e ss. 32 Si noti, inoltre, come il D. Lgs.n. 101/2018, di adeguamento alla normativa dettata dal GDPR, ha esteso le limitazioni dell’esercizio del diritto all’oblio ad ulteriori specifiche ipotesi che possono determinare un pregiudizio effettivo e concreto agli interessi tutelati dalle dispo- sizioni dettate in materia di (i) antiriciclaggio, (ii) sostegno alle vittime di richieste estorsive, 19 01_PwC_dicembre_2020.indd 19 09/12/20 15:58
È evidente la differenza tra il diritto alla cancellazione disciplinato nell’arti- colo 17, GDPR, e la richiesta di de-indicizzazione formulata nei confronti dei motori di ricerca. In quest’ultimo caso l’interessato non domanda (né quindi tanto meno ottiene) “un colpo di spugna” radicale sui propri dati personali presenti su determinati siti web, ma soltanto che specifiche informazioni collegate al proprio nome non siano più disponibili all’interno degli indici di ricerca gestiti dai motori online33. La de-indicizzazione, infatti, non comporta la scomparsa dei dati all’interno dei siti, per così dire, di “origine” (ad esempio, una testata giornalistica on line), che saranno sempre reperibili laddove si conosca l’url34 originale, pur risultando difficilmente accessibili agli utenti mediante l’usuale consulta- zione del World Wide Web svolta tramite motori di ricerca, i quali rendono indubbiamente più agevole reperire le informazioni presenti online35. (iii) attività delle Commissioni parlamentari d’inchiesta, (iv) attività di un soggetto pubblico connesse al sistema dei pagamenti, (v) controllo degli intermediari e dei mercati finanziari, (vi) svolgimento delle attività difensive o esercizio di un diritto in sede giudiziaria, (vii) riser- vatezza dell’identità del dipendente in ambito di whistleblowing, (viii) ragioni di giustizia. Da ricordare anche il riconoscimento del diritto all’oblio per le persone decedute (vedasi articoli 2 undecies, 2 duodecies e 2 terdecies D.Lgs. n. 1010/2018). 33 In data 7 luglio 2020 lo EDPB ha adottato le Guidelines 5/2019 on the criteria of the Right to be Forgotten in the search engines cases under the GDPR (part 1), documento volto a definire una serie di criteri per una corretta applicazione del diritto all’oblio in relazione alla facoltà dell’interessato di richiedere al fornitore di un motore di ricerca online di cancellare uno o più collegamenti a pagine web dall’elenco dei risultati visualizzati a seguito di una ricerca effettuata sulla base del suo nome. Nel documento viene espressamente precisato come – nonostante l’articolo 17, GDPR, si applichi a tutti i titolari del trattamento – le guidelines si concentrano esclusivamente sui fornitori di motori di ricerca cristallizzando il concetto che esercitare il diritto alla deindicizzazione non significa ottenere la cancellazione del dato dal sito web di origine, né dall’indice e dalla cache del fornitore del motore di ricerca: “Se una persona interessata ottiene la cancellazione di un determinato contenuto, ciò comporterà la cancellazione di quel contenuto specifico dall’elenco dei risultati di ricerca relativi alla persona interessata quando la ricerca è, come di regola, effettuata utilizzando il nome quale criterio di ricerca. Ciò non toglie che, utilizzando altri criteri di ricerca, il contenuto sarà ugualmente disponibile. Ma in alcuni casi i “motori di ricerca” dovranno cancellare definitivamente tali dati dai propri indici o dalla cache”. Le Linee Guida si strutturano in due sezioni, la prima dedicata all’analisi dei presupposti validi per una richiesta di deindicizzazione, la seconda incentrata sulle eccezioni alla deindicizzazione stessa (le linee guida sono consultabili al seguente indirizzo https:// edpb.europa.eu/sites/edpb/files/files/file1/edpb_guidelines_201905_rtbfsearchengines_after- publicconsultation_en.pdf). Sul punto vedasi anche D. Battaglia, European Data Protection Board, arrivano le Linee Guida sul Diritto all’Oblio, Federprivacy, 12 dicembre 2019, reperibile al seguente indirizzo https://www.federprivacy.org/informazione/primo-piano/european-da- ta-protection-board-arrivano-le-linee-guida-sul-diritto-all-oblio. Editoriale 34 L’acronimo URL sta per Uniform Resource Locator e indica una sequenza di caratteri che identifica univocamente l’indirizzo di una risorsa su una rete di computer, ad esempio un documento, un’immagine, un file video su di un host server accessibile ad un client. 20 35 L. Bolognini, G. Ragusa, Effetti dei motori di ricerca sul pluralismo dell’informazione – Aspetti 01_PwC_dicembre_2020.indd 20 09/12/20 15:58
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