Festival 2014 - Persinsala Teatro

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Ambizioni     –                          Orizzonti
Festival 2014
written by Daniele Rizzo | Agosto 7, 2014
Due autori ormai classici della letteratura moderna e
contemporanea sono protagonisti di un contraddittorio
mercoledì al Festival Orizzonti d’Arte.

La complessità intesa come sinonimo di profondità è una grande
virtù se maneggiata con la dovuta maestria e, da questo punto
di vista, la lingua italiana non teme confronti per ricchezza
sintattica, semantica e di fonemi. La capacità di partorire
interi mondi per immagini concettuali o semplici inflessioni
dialettali – cangianti anche tra territori immediatamente
limitrofi – rende bene ciò cui ci riferiamo.

Una grande potenzialità che, risalendo alle sue nobili origini
greche, parte dalla retorica sofistica e giunge alla logica
formale, passando così attraverso la dinastia filosofica – nel
bene e nel male – più importante e influente della storia del
pensiero e della civiltà occidentale. La ricerca socratica di
un contenuto capace di evitare il nichilismo etico e civico,
l’individuazione di questo contenuto in un sapere stabile e
duraturo di carattere ideale garantito dal divino in Platone e
l’aristotelica formazione di un sistema di regole logiche
capaci di assicurarlo hanno determinato conseguenze
strutturali dal punto di vista teoretico e pratico delle
esistenze: su tutte, una impostazione individuale e collettiva
che pensa il culmine della società nella dedizione alla
tecnica. Manifestazione più esemplare del valore della
scienza, la Verità della sua applicazione sarebbe allora
garanzia stessa di una necessaria presenza di auctoritas in
ambito culturale, politico e morale: riuscire a raggiungere un
obiettivo concreto, sperimentabile e replicabile a partire da
ipotesi (pre)determinate non costituisce forse la prova di
basi teoriche certe e corrispondenti alla Verità? Come anche
dell’importanza di una conseguente casta di sacerdoti, da
intendere in senso lato, depositaria di tale commistione tra
saggezza e sapienza?
Paradossalmente fu Galilei il primo che riuscì a incarnare la
piena consapevolezza di questo spirito: senza nasconderne la
parzialità, l’umana e non divina – dunque fallibile –
conoscenza scientifica non è forse la migliore strategia cui
il genere umano può volgersi per aspirare al miglioramento di
questo che è l’unico mondo che siamo sicuri di abitare?

Una deriva arida e palesemente falsa non solo perché miseria e
sofferenza sembrano endemicamente in quotidiana crescita.
Soprattutto perché sembrerebbero esserlo in relazione a quei
progressi tecnologici cui corrispondono orrori di bisogni
alimentari e morte diffusi esponenzialmente senza precedenti
accanto a opportunità che troppo, troppo lentamente allargano
il proprio target di godimento. Dall’africana ebola a quel
conflitto israelo-palestinese (cui Eva Robin’s farà esplicita
allusione durante lo spettacolo), giusto per citare due esempi
dell’oggi.

Proprio per contrarietà e per reazione, nel contemporaneo – e
stabilmente da fine ottocento – è iniziata un’opera di
demolizione di questa prospettiva di pura ideologia. Una
cultura del sospetto che ha coinvolto ogni forma artistica, in
primis la letteratura che, proprio nel tentativo di segnare un
solco di responsabilità, ha finito per far clamorosamente
intrecciare tra loro diverse forme espressive.

Warhol, Heidegger e Schoenberg (presenti a questo Orizzonti
Festival), Nietzsche, Joyce e Sartre, Bergson, Kandinsky e
Barba, Foucault, Breton e Carmelo Bene ne sono solo alcuni
esempi.

In questo club di contestatori dell’ordine disciplinare
costituito, di cantori delle contraddizioni contemporanee, di
denuncia delle invasive pratiche che condizionano ormai
palesemente la formazione stessa della coscienza, rientra a
pieno titolo l’autrice austriaca protagonista di questa messa
in scena del Teatro di Vita.

Jelinek è famosa al grande pubblico perché da un suo omonimo
romanzo è stato tratto il film La pianista pluripremiato al
Festival del Cinema di Cannes. I suoi testi, come anche la
celebre dichiarazione con cui non si presentò al ritiro del
Nobel nel 2004, sono scontri frontali con le vecchie forme di
narrazione del mondo. Non a caso la motivazione
dell’onorificenza recita «for her musical flow of voices and
counter-voices in novels and plays that with extraordinary
linguistic zeal reveal the absurdity of society’s clichés and
their subjugating power» (Per il musicale flusso di voci e
controvoci dei suoi romanzi e drammi che con una straordinaria
accuratezza linguistica rivelano le assurdità dei cliché della
società e il loro potere di soggiogare).

A esse, l’autrice oppone rinnovate forme stilitiche, scomposte
solo in apparenza. In realtà, in urto con la sistemica
genuflessione nei confronti di miti educativi cui
religiosamente si viene invitati a conformarsi. Rispetto ai
quei conseguenti ideali coercitivi (di genitorialità,
adolescenza, amore, cittadinanza, ecc), nuove letterature
hanno raccolto l’invito maieutico a favore della autentica
realizzazione del sé, della costruzione di un mondo
accogliente, inclusivo e non asservito alla presenza di
autorità incontestabili.

In Jackie e le altre, delirio populista dedicato a Elfriede
Jelinek, l’idiosincrasia e la sperequazione tra quanto ne
rappresenterebbe l’impianto drammaturgico ambìto (sopra
descritto) e quanto effettivamente visto rende complicato un
approccio sereno nei suo confronti. Un allestimento
dichiaratamente pop dalla locandina al chiaro riferimento alle
produzioni seriali di Andy Warhol, i cui primi minuti non
mancano di suscitare una certa curiosità. Merito di una
scenografia composta principalmente dalle stesse interpreti in
primo piano, da un pannello per la proiezione video e da
numerose bamboline di Jackie sedute sullo sfondo – che, però,
scopriremo essere di mero riempimento – e un accompagnamento,
infine, ridondante nella sua riproposizione stereotipi
audiovisivi.

Le quattro protagoniste con i loro altrettanti cubi
illuminati, pseudo Jackie Kennedy Onassis in evocative pose
plastiche, sono apparse ben lontane dalla restituzione visiva
e concettuale di «una eroina e metafora del femminile
contemporaneo».

Intente a un lungo disquisire su giro vita e tailleur di
colore rosa, ingessate da una regia resa ancor più complicata
da complessivi evidenti limiti interpretativi, la Jelinek dei
Teatri di Vita non «congela la storia e procura una visione
“mitica” dell’esistenza», ma incespica su un qualcosa di più
vicino all’esaustività di una pagina di wikipedia che alla
ricerca di «identità, non personificazioni».

In tal senso, placa e riempie il ricordo dell’ascolto
pomeridiano dell’Orlando Furioso di Paolo Panaro
sull’imperdibile lago di Chiusi, uno scenario unico che
invitiamo tutti a visitare perché contribuisce a corroborare
l’idea che Chiusi sia un luogo imperdibile di straordinaria
bellezza e suggestione. Una interpretazione artistica
all’insegna di una artigianalità consapevole che, attraverso
un’opera di bella testimonianza letteraria, cui si accompagna
la felicissima intuizione della scelta della location, è stata
capace di raccogliere giusti consensi a scena aperta.

Una boccata d’ossigeno rispetto a acrobatici intellettualismi
di una forzata ricerca di originalità ben lontana dagli esiti
sperati.

 Gli spettacoli sono andati in scena all’interno di Orizzonti
 Festival 2014:
 Mercoledì 06 agosto 2014

 Lago di Chiusi, ore 19.00
VisitAzioni
L’Orlando Furioso
di e con Paolo Panaro

Piazza Duomo, ore 21.30
Jackie e le altre, delirio populista dedicato a Elfriede
Jelinek
Teatri di Vita
di Andrea Adriatico
con Anna Amadori, Olga Durano, Eva Robin’s, Selvaggia Tegon
Giacoppo
co-produzione Teatri di Vita e Fondazione Orizzonti d’arte
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