Ferdinando Carulli i Concerti per Chitarra e Orchestra - Diploma Accademico di I livello Scuola di Chitarra Giuseppe Ugo Mazzone n. matricola: 102257

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Diploma Accademico di I livello
                    Scuola di Chitarra

             Ferdinando Carulli
      i Concerti per Chitarra e Orchestra

                                        Giuseppe Ugo Mazzone
                                          n. matricola: 102257

Relatore: Mo Marco Nicolè

                 Anno Accademico: 2019/2020
Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 2
Indice

Prefazione ………………...……………………………….…...... p. 5

Cenni biografici …………………………………………………. p. 7

Produzione ………………………………………………………. p. 11

     Metodi …………………………………………………….. p. 14

     Per chitarra sola ………………………………………….. p. 17

     Per Ensemble …………………...………………………… p. 19

La chitarra francese …..…………...…………………………..… p. 23

Concerti per chitarra e orchestra ………..……...……..…...……. p. 27

     Concerto in Sol per flauto e chitarra …….….….………… p. 29

     Concerto in La op. 8 …………….……..…………........…. p. 32

     Petit Concerto de société in Mi op.140 ………….…...….... p. 34

Postfazione ……………….………………………...………..….. p. 39

Appendice …………………………………………………….…. p. 41

     Dal budello alla seta ……………………………………… p. 41

Bibliografia ………………………………………….….……….. p. 49

Discografia ……………………………………………………… p. 51

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 3
Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 4
Prefazione

   Ricorrendo quest’anno il duecentocinquantesimo anniversario dalla
nascita del compositore chitarrista Ferdinando Carulli, i docenti delle
classi di chitarra del Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia
hanno voluto rendergli omaggio incentivando approfondimenti e
riflessioni sullo stesso.
   Un’occasione interessante e formativa, coinvolgente a tal punto da
spingermi a esaminare ulteriormente l’argomento.
   Desidero ringraziare il Mo Marco Riboni, per i puntuali consigli e la
disponibilità a fornirmi un suo articolo ancora inedito, e tutta la scuola
di chitarra, nello specifico il Mo Dario Bisso, per la monografia trattata
durante il corso di Letteratura, e il Mo Marco Nicolè, per il
meraviglioso percorso di studi intrapreso insieme - restando in tema di
anniversari esattamente dieci anni fa.

    Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 5
Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 6
Cenni biografici

   La produzione di Ferdinando Carulli - a lungo noto esclusivamente
per il famoso Metodo per chitarra op. 27 - non fu presa in seria
considerazione fino alla fine del XX Secolo, quando vennero editi i
primi accurati cataloghi1, opere monografiche2 e incisioni. Tra queste
emblematiche furono3:

• Vivaldi, Dowland, Torelli, Carulli. The Virtuoso Guitar. Die Wiener
  Solisten, Wilfried Böttcher, Karl Scheit. Vanguard Stereolab, 1962;
• Vivaldi,    Carulli,   Giuliani.    Altitalienische   Gitarrenkonzerte.
  Siegfried Behrend, I Musici. Deutsche Grammophon, 1969;
• Lawes, Carulli, Sor, Albéniz, Granados, De Falla, Ravel. Julian
  Bream & John Williams. RCA Red Seal, 1972.

   Fino ad allora Carulli è stato considerato un compositore
secondario, di musica semplice per principianti, giudizio che tuttavia
confonde il valore didattico di molti suoi lavori con l’alto livello
artistico raggiunto dallo stesso in altre opere.
   Le notizie biografiche sono ferme ai dati del XIX Secolo. Viene
citato la prima volta nel quarto volume del Dizionario e Bibliografia
della musica (1826) di Pietro Licthenthal, il quale lo ricorda

1 M. Dell’Ara e R. Chiesa, Elenco delle opere di F. Carulli, in Il Fronimo
  XXVIII, Milano, Suvini Zerboni, Luglio 1979, pp. 9-23; M. Torta,
  Catalogo tematico delle opere di F. Carulli, Lucca, LIM, 2 voll., 1993.
2 Curate da M. Bertazzi (1984) e M. Torta (1988). Significativo anche il
  contributo di R. Chiesa (vedi p. 13).
3 K. Scheit e S. Behrend proposero entrambi il Concerto in La op. 8, J.
  Bream e J. Williams il Duo in Sol op. 34 (nel 1974 la Serenade op. 96).

    Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 7
unicamente per la reputazione goduta dal suo Metodo, già il più
diffuso in Europa4.
    Nel 1830 F. J. Fétis5 in La musique mise à la portèe de tout le
monde ritrae il «Signor Carulli» come il primo tra i chitarristi
romantici ad aver realmente affrontato le problematiche dello
strumento, trovando soluzione alle difficoltà di diteggiatura,
all’estensione limitata e agli svantaggi dell’esile spessore sonoro
(nella chitarra dell’epoca ancor più evidente rispetto a quella moderna,
di ascendenza flamenca). Grazie a lui la chitarra non sarà più
esclusivamente «destinata a sostenere leggermente la voce nei piccoli
pezzi» in voga all’epoca, quali romanze, couplets e boleri.
    Al 1835 risale il primo metodico tentativo di catalogazione delle
sue opere6: Gustav Schilling in Universal Lexicon ne numera trecento.
    Dopo brevissimi accenni sulla gioventù7, soltanto nel 1883, in
Biographie universelle des musiciens (decima ed.)8, F. J. Fétis
compilerà la prima biografia esaustiva, a cui si rifaranno tutti coloro
che in seguito tratteranno del compositore.
    Figlio di un eminente letterato 9, segretario del delegato della
giurisdizione napoletana, F. Carulli nacque a Napoli il 10 Febbraio
1770. Fu iniziato alla musica da un prete, avvicinandosi da principio
al violoncello. Ben presto tuttavia si diede allo studio autodidatta della
4   Tale fonte contraddice chi fa risalire al 1832 la 1 a ed. del Metodo op. 27,
    in realtà data della prima ed. tedesca.
5   François Joseph Fétis (1784–1871), musicologo e compositore belga,
    figlio di un organista, studiò al Conservatorio di Parigi, dove dal 1821
    insegnò contrappunto e fuga. Nel 1827 fondò Ravue et Gazette musicale
    de Paris. Nel 1833 diventò direttore del Conservatorio di Bruxelles.
6   Già nel 1808 esisteva un catalogo delle opere stampate da Ricordi
    (fondata lo stesso anno), arrivato già al n. 156.
7   Marchese di Villarosa, Memorie dei Compositori di Musica del regno di
    Napoli, 1840 e H. Mendel, Musikalisches Conversations Lexicon, 1872.
8   La prima ed. contò ben 8 volumi pubblicati tra il 1860 e il 1865.
9   Giuseppe Carulli.

     Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 8
chitarra, che in quel tempo conosceva forse il periodo più oscuro della
sua storia, dimentica della sua gloriosa tradizione. Il fatto che lo
strumento fosse quasi del tutto sprovvisto di insegnanti, metodi e
repertorio (formativo e concertistico) stimolò il giovane Carulli fino a
scoprire possibilità tecnico-sonore e processi esecutivi all’epoca
sconosciuti, riuscendo con pieno successo a reinserirla tra i più nobili
strumenti solistici.
   Dopo brevi permanenze a Torino (1792), Livorno (1797-1801) e
Vienna (1807), durante le quali svolse una brillante attività
concertistica, nell’Aprile 1808 si trasferì a Parigi. Subito divenne
musicista di successo, affermandosi come chitarrista virtuoso e
altrettanto valido didatta. Di lì a poco scrisse infatti il Méthode
complète pour guitarre op. 27, apprezzato a livello internazionale: in
pochi anni ne curò altre tre edizioni, con aggiunte e supplementi (opp.
61, 71 e 192). In seguito Carulli volle aggiornare la sua didattica,
pubblicando il Méthode complète pour parvenir à pincer de la guitare
op. 24110; benché il nuovo metodo risultasse effettivamente più
razionale, raggiungendo un più avanzato livello tecnico rispetto al
primo, il testo di riferimento rimase comunque lo storico Metodo op.
27 (e lo è tuttora).
   Originale anche Harmonie appliquèe à la guitare, un trattato di
accompagnamento basato su un’attenta teoria dell’armonia.
   Il 15 Dicembre 1826 brevettò la chitarra decacorde11 - per cui
scrisse un metodo apposito, Méthode complète pour la décacorde

10 Primo metodo di Carulli edito in Italia - Lucca e Firenze, 1832 (in realtà
   trattandosi della quinta ed. dell’op. 27, riveduta e ampliata,).
11 La chitarra a dieci corde tornò in auge, in contesto moderno, ad opera del
   liutaio spagnolo José Ramírez III e del chitarrista Narciso Yepes (il
   quale, non a caso, di Carulli registrò solo il Divertimento per il
   Decacordo, in Gitarrenmusik. Deutsche Grammophon, 1979).

    Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 9
nouvelle guitare op. 293 – realizzata da R. F. Lacôte12. Nel Dizionario
dei Chitarristi e dei Liutai italiani (1937) si parla invece di una
chitarra di Carulli «riccamente lavorata in tartaruga con fiori di
giglio in madreperla»; costruita dal liutaio Claude Boivin, era
appartenuta a una figlia del re Luigi XV.
   Prova di quanto fosse una figura di rilievo nell’ambito musicale del
tempo, tra le lettere autografe di N. Paganini 13 - pubblicate in
Paganini intimo da A. Codignola (1935) - ve ne è una indirizzata
«All’onestissimo Signore Carulli», datata 10 Aprile 183114, in cui si
impegna a fornire al collega un biglietto per un suo concerto; coglie
l’occasione anche per complimentarsi dell’«egregio suo figlio»15.
   La famiglia Carulli vantava di un altro musicista, fratello di
Ferdinando e anch’egli valente chitarrista, Raffaele16.
   Il 21 Febbraio 1841 Ravue et Gazette musicale de Paris pubblica il
necrologio di F. Carulli.

12 René François Lacôte (1785-1855), apprendista di Joseph Pons, fu un
   liutaio parigino di spicco. Costruì chitarre per F. Sor, D. Aguado e N.
   Coste. Il musicologo René Vannes, nel Dizionario Universale dei Liutai
   (1932), ne parla come lo «Stradivari della chitarra».
13 Egli stesso chitarrista, compose per lo strumento Ghiribizzi, Sonate,
   Variazioni, Trio, Quartetti e, a quanto pare, concerti (non pervenuti).
14 L’autografo è conservato presso la biblioteca del Conservatorio di Parigi.
15 Gustavo Carulli (nato il 20 Giugno 1801 durante la permanenza di F.
   Carulli a Livorno, morto nel 1876) fu insegnante di canto presso il
   Conservatorio di Parigi e buon conoscitore della chitarra. A differenza
   del padre, poté avvalersi di ottimi insegnanti. Compose la farsa I tre
   mariti, rappresentata al Teatro alla Scala di Milano il 18 marzo 1825.
   Benché interpretata da cantanti di fama, ebbe un modesto successo e non
   fu più riproposta. Non giovò il fatto che in quella stagione di dodici
   opere in cartellone più della metà fossero di G. Rossini e W. A. Mozart.
16 Tra le fonti una Pastorale di Raffaele Carulli, conservata presso la
   biblioteca del Conservatorio G. Verdi di Milano, e l’annuncio di un
   «Concerto di chitarra francese dato dal napoletano Raffaello Carulli»
   nel 1792 (S. Cordero, Rivista Musicale Italiana, 1930).

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 10
Produzione

   Tratti distintivi della musica di Carulli sono sicuramente la pulizia
di scrittura, una buona inventiva melodica e talvolta autentico estro
poetico; attraverso circa quattrocento opere17 (trecentosessantaquattro
numerate, ma molte altre no) esplora la tecnica e la sonorità della
chitarra, trattandola in ogni forma e per i contesti più vari.
   Tra tante centinaia di composizioni, tuttavia, il valore qualitativo è
disomogeneo: coesistono brani ispirati, altri più semplici ma dal
profondo valore didattico, come anche lavori senza alcuna pretesa
dettati da criteri di consumo18.
   Fin da subito sviluppò una sua personale scrittura musicale, alla
quale rimase a lungo fedele19. Le melodie, poste in primo piano,
possiedono un carattere sereno, lievemente malinconico, mai
drammatico; armonicamente, invece, si passa da impianti elementari a
situazioni di maggior sottigliezza, specie nei lavori cameristici.
   Aspetto da non sottovalutare nell’indagine estetica della sua musica
è una particolare inclinazione a concepirla in modo programmatico20.

17 Le molte ristampe d’epoca hanno causato notevole incertezza, che rende
   tuttora impossibile una precisa catalogazione.
18 I brani più mediocri - oltre che a una possibile mancanza d’ispirazione
   contingente - non sono dovuti a incapacità quanto, piuttosto, a un’attenta
   scelta di mercato.
19 Un parziale rinnovamento può riscontrarsi dopo il trasferimento a Parigi
   (vedi p. 30).
20 Come sostiene M. Dell’Ara in Indagine preliminare sulla vita e
   sull’opera nell’articolo Ferdinando Carulli, in Il Fronimo XXVIII,
   Milano, Suvini Zerboni, Luglio 1979.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 11
Ciò emerge dai titoli di alcuni brani21 ed è riconducibile alla musica
descrittivo-sentimentale dei clavicembalisti settecenteschi o al
virtuosismo “pittorico” italico-vivaldiano. I suoi tentativi evocativi
oggi possono far sorridere, ma testimoniano la volontà del
compositore di scrivere musica che coinvolgesse il maggior numero di
persone e adatta a qualsiasi contesto (in linea con la poetica dello Stile
Galante, di poco precedente).
   Di qui anche la consistente operazione di ispirazione a musiche dei
compositori di riferimento della cultura musicale europea, in primis
Rossini, Mozart e Beethoven22.
   Nella maggior parte dei casi, invece, i titoli delle sue opere sono
alquanto neutri, corrispondendo al termine della forma compositiva
(studi, sonate, variazioni, fantasie, duo, etc.), spesso affiancato dalla
dicitura faciles e/o aux amateurs23.
   Parlando dell’operato di Carulli, non può non segnalarsi lo storico
dissidio con il coevo compositore torinese Francesco Molino (1768-
1847), immortalato dalla famosa rappresentazione satirica di Charles
de Marescot, Discussione tra Carullisti e Molinisti, raffigurante una
vera e propria rissa a colpi di chitarra tra i due schieramenti.
   Francesco Molino, oboista nell’esercito prima, violinista nel Teatro
Regio e nella Cappella Reale dei Savoia poi, si trasferì a Parigi nel
1819, subito affermandosi anch’egli come ottimo concertista e didatta

21 Les amours de Venus et Adonis op. 42; La Paix, pièce historique op. 85;
   Fantasie sur Le bon Roi Dagobert op. 98; La Cosaque varièe op. 126;
   Sul margine d’un rio op. 142; La Prise d'Alger, Pièce héroïque op. 327;
   Sonata sentimentale “Napoleon au Temple de la gloire” op. 33; etc.
22 Recente l’incisione di Beethoven For Two Guitars. Schneiderman-
   Yamaya Duo. Hänssler Classic, 2017.
23 Ancora una volta per aprire il repertorio a un più largo pubblico.
   Singolare il titolo Morceaux progressifs a l'usage des commerçants
   soigneusement doigté.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 12
della chitarra. Lo scontro tra i due era quasi inevitabile: l'impostazione
strumentale di Molino24, infatti, differiva alquanto da quella di Carulli
- giunto a Parigi dodici anni prima - ormai affermatasi presso gli
ambienti della capitale francese. Ciò nonostante Molino ottenne la sua
fama nell'ambito chitarristico, benché il suo Metodo op. 24 riscosse
molto meno successo rispetto a quello del rivale.

   Segue a questo punto un’analisi del repertorio: per sommi capi per
quanto riguarda la produzione solistica e cameristica, mentre più
concreta e dettagliata per quella orchestrale.
   A tal scopo particolarmente preziosa è stata la lettura di Il
repertorio chitarristico (parte terza ) di Ruggero Chiesa25, «uno dei
primi – se non il primo – a ripescare l’operato di Carulli dalle ortiche
in cui era stato gettato dall’ignoranza e dai preconcetti di gran parte
del chitarrismo novecentesco». Vale la pena riportare anche il resto
dell’elogio al contributo di Chiesa, sempre di Marco Riboni26:

     «In poco più di venti, densissime pagine 25 veniva tratteggiata e
analizzata con grande lucidità l’intera produzione del musicista napoletano.
Lo scritto sottintendeva alle sue spalle una mole di lavoro impressionante,
giacché lo studioso aveva letto e analizzato una per una tutte le opere di
Carulli in suo possesso (basterebbe un semplice e distratto sguardo alla
quantità dei ponderosi faldoni tutt’ora giacenti negli scaffali presso il fondo
Ruggero Chiesa [...] per rendersi conto dell’entità di tale affermazione). [...]
ogni singola frase è un distillato di grande competenza e di profondo acume
critico, quasi una sorta di ipertesto che rimanda a competenze storico-
stilistiche di stampo enciclopedico».

24 Ad esempio il rifiuto di usare il pollice sinistro nella diteggiatura.
25 in Il Fronimo LXXV, Aprile 1991, pp. 22-43.
26 in Il Fronimo CLXI, Gennaio 2013, p. 26.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 13
Metodi

  Prima di approfondire la produzione vera e propria non si può non
accennare all’impostazione posturale e tecnico-meccanica sostenuta
dall’autore stesso, proposta nei numerosi metodi.

   •     Méthode      complete   pour    guitare   ou   lyre   composèe
         exclusivement pour l’enseignement de son fils Gustave op. 27,
         Parigi, Carli, ca. 1809-1812;
   •     Premiére suite à la Methode de guitare ou lyre pu methode
         pour apprende à accompagner le chant op. 61, Parigi, Carli,
         ca. 1808-1811;
   •     Deuxième suite […] op. 71, Parigi, Carli, ca. 1808-1811;
   •     Supplement à la Méthode ou la première année d'étude de
         guitare Ouvrage élémentaire […] op. 192, Parigi, Carli, ca.
         1808-1822;
   •     Methode complete pour parvenir à pincer de la guitare par les
         moyens les plus simples et les plus faciles suive de 44
         Morceaux […] op. 241, Parigi, Carli, 1825;
   •     L’harmonia appliquèe à la guitare […], Parigi, Petit, 1825;
   •     L'Anti-methode ou l'élève guidè par le maitre […] op. 270,
         Parigi, Petit, 1826;
   •     Methode complete pour le decacorde nouvelle guitare plus
         harmonieuse et beaucoup plus facile que la guitare ordinaire
         […] op. 293, Parigi, Carli, ca. 1827;
   •     Nouvelle Methode de la guitare […] Deuxième édition
         considèrablement augmentés, Pargi, Aulagnier, 1834.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 14
A proposito dell’accordatura afferma che «Il miglior modo di
accordare la chitarra è a orecchio, come si accorda il violino» per
quarte (tranne il Si): «si accorda la quinta corda che è il La con il
diapason, strumento d’acciaio così chiamato, o con un altro
strumento che è stato accordato con il diapason; successivamente si
posa un dito sul quinto tasto della stessa corda, che suona Re, e si
accorda la quarta all’unisono: si posa un dito sul quinto tasto della
quarta corda, che suona Sol, e si accorda la terza all’unisono […]».
   Nella postura «bisogna stare seduti né troppo alti né troppo bassi
perché la chitarra non sia troppo alta sul petto o bassa verso le
ginocchia. Si deve appoggiare lo strumento sulla coscia sinistra, il
manico più elevato rispetto alla cassa. Le signore possono collocare
uno sgabello sotto il piede sinistro»; curioso il fatto che solo nel
Metodo op. 293 consiglierà un poggiapiedi anche agli uomini.
   La posizione seduta - grazie alla quale si ha maggior stabilità dello
strumento e libertà delle braccia - indicava un uso “colto” della
chitarra; tuttavia, egli stesso aggiunge che volendo «si può cantare e
accompagnarsi camminando» con l’aiuto di una tracolla.
   Per quanto riguarda il braccio destro, delle tre posizioni che si
riscontrano nell’iconografia – con il polso, con il gomito o con
l’avambraccio     sulla   fascia   –   suggerisce    di    poggiarlo    con
l’avambraccio27, in modo da non limitare in alcun modo
l’articolazione della mano. Questa «deve appoggiarsi leggermente sul
mignolo che deve posarsi vicino al cantino, precisamente al mezzo
della distanza tra ponte e rosetta28. Questa mano non ha una

27 In linea con la scuola spagnola di Sor e Aguado.
28 Nel Metodo op. 293 aggiornerà la sua didattica non prescrivendo più il
   mignolo sulla cassa armonica. Pur non essendo ancora perpendicolare
   alle corde, la posizione della mano destra stava infatti differenziandosi
   da quella quasi parallela dei chitarristi e tiorbisti barocchi.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 15
posizione fissa [...] se si vuole addolcire i suoni e imitare l’arpa si
deve avvicinare alla rosetta, quando invece si vuole suonare forte si
deve avvicinare al ponticello», il che testimonierebbe l’uso delle
unghie29. «Con il pollice si pizzicano la sesta, quinta e quarta corda;
terza e seconda coll’indice e il cantino con il medio».
   Nella mano sinistra «il pollice non ha una posizione fissa, a
seconda che le altre dita prendono posizioni più o meno difficili deve
essere più indietro o più avanti». Particolarità tecnica ereditata dai
chitarristi del Settecento e dalla pratica popolare – per questo invisa a
Molino – è l’uso del pollice «in fuori» per tastare i bassi, segnalato,
nelle opere pervenuteci con diteggiatura dell’autore, con l’indicazione
pouce o con un asterisco.
   In merito all’articolazione e la diteggiatura non vi sono grosse
differenze con la pratica moderna. Ancora non affermato era l’utilizzo
dell’anulare della destra: Carulli stesso nei passaggi più veloci
prescrive l’alternanza sì, ma solo indice-medio.
   Da sottolineare quanto la tecnica delle note ribattute - conosciuta
come tremolo e spesso erroneamente ritenuta prerogativa dei
compositori per chitarra di ascendenza flamenca, come F. Tarrega -
fosse in realtà frequente già nel repertorio ottocentesco. Invece della
successione anulare-medio-indice si usava pollice-indice-medio30.
   Pratica strumentale propria dei chitarristi iberici e molto in voga
nella Parigi dell’epoca era l’effetto a «l’espagnole», un rasgueado
avente come successione indice-medio-anulare-pollice e infine di
nuovo indice ma nel verso opposto – come spiega Carulli nell’op. 209.

29 Alcuni studiosi ritengono che la scuola di Carulli utilizzasse le unghie,
   senza le quali tra l’altro perderebbe di efficacia molta della sua musica.
30 Quella originale della tradizione popolare flamenca sarebbe indice,
   anulare, medio, indice.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 16
Per chitarra sola

     Molta parte dei brani solistici di Carulli31 sono destinati a un
pubblico di dilettanti, pensati quindi per creare un facile effetto.
     Le numerose Sonate32 non mancano di originalità artistica, ma
spesso sviluppano il materiale tematico in modo ridondante e alquanto
prevedibile33. Inoltre, nonostante il titolo, hanno poco a che vedere con
la forma-sonata tradizionalmente intesa34.
     Le sonate scritte in Italia, ma anche durante i primi anni parigini 35,
sono sviluppate orizzontalmente. Così, se da un lato vengono esibite a
pieno le possibilità virtuosistiche dello strumento, dall’altro il peso
sonoro risulta piuttosto scarno, tanto da rendere indispensabile
l’accompagnamento di una seconda chitarra, fungente da sostegno
armonico36. Questo disequilibrio strumentale, dovuto al frenetico
spostamento da una posizione all’altra, sulla falsa riga della tipica

31 Prime incisioni di un brano di Carulli per chitarra sola furono: Overture
     (in Guitar Masterpieces. Manuel Gayol. Kapp Records, 1960) e
     Capriccio (in Guitar Recital. Antonín Bartoš. Supraphon, 1966).
32   Opp. 9, 16, 21, 47, 56, 81, 83, 159, etc. e molte altre senza numero d’op.
     Incisioni di riferimento sicuramente Fernando Carulli. Guitar Sonatas
     op. 21 Nos. 1-3, op. 5. Richard Savino. Naxos, 1995 e Carulli. Guitar
     Works. Alfonso Baschiera. Nar Classical, 2017.
33   Secondo l’autorevole opinione di R. Chiesa, nelle sonate Carulli parte
     bene, ma poi, nei vari movimenti, ricade nella prolissità e nel mestiere.
      «Se alcune sonate fossero ridotte a un unico movimento il problema
     sarebbe risolto, ma per prendere questa decisione bisogna abbandonare
     ogni scrupolo filologico. Forse ne varrebbe la pena [...]».
34   Per un approfondimento a tal riguardo si vedano gli interventi di M.
     Riboni, Lo stile classico. La forma-sonata e i chitarristi dell’Ottocento
     (ottava parte), in Il Fronimo CLXI, Milano, Suvini Zerboni, Gennaio
     2013 e “ “ (nona parte), in Il Fronimo CLXII, Aprile 2013.
35   La stessa Grande Sonata op. 9, eseguita durante il memorabile concerto
     di debutto del musicista a Parigi, il 15 Maggio 1809.
36   Stessa funzione del basso continuo nelle sonate barocche.

     Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 17
scrittura sonatistica per violino dell’epoca, fu certamente la ragione
che rese difficile l’inserimento dei suoi lavori solistici nell’odierno
repertorio, molto più che la debolezza inventiva, che invero non
manca nella vasta produzione carulliana.
   Nella Sonata op. 5b inizia ad avvertirsi una certa stabilità: i due
tempi non si allontanano praticamente mai dalla prima posizione,
trovando più solidi punti di appoggio armonico. Si raggiunge
finalmente un giusto equilibrio fonico con le Trois Sonates op. 21,
forse le migliori nel genere. Altro tentativo di scrivere un lavoro di
maggior consistenza, forse meno riuscito, fu la Grande sonata op. 83,
poco convincente e piena di artifici tecnici fini a se stessi.
   Tra le variazioni spicca sicuramente il Solo varié sur l’air de la
Molinara op. 107, ma soprattutto Sul margine d’un rio op. 142, degne
di competere con le sue simili di M. Giuliani37 e F. Sor38.
   Frequente la dicitura Fantasia: spesso si tratta tuttavia di temi con
variazioni intercalate da episodi liberi.
   Meno convenzionali anche i Solo op. 20 e 229, mentre di breve
respiro le 32 Bagatelle (Les petits riens) op. 273, Six divertissements
op. 317 e Sei Andanti op. 320 – benché in quest’ultimi si riscontri un
curioso allontanamento dai soliti stilemi galanti e una costruzione
armonica più ricercata.

37 Le Variazioni furono la forma più coltivata da Giuliani; una quarantina
   delle sue opere riportano tale denominazione nel titolo.
38 Emblematiche Introduction et variations sur un thème de Mozart op. 9, 2
   Thèmes variés et 12 ménuts op. 11, Les Folies d’Espagne avec
   variations op. 15a.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 18
Per Ensemble

   Se da un lato la scrittura orizzontale rende inefficaci molte sonate,
dall’altro aumenta notevolmente il valore musicale delle circa ottanta
opere per due chitarre39, tra cui Trois Duos opp. 48, 62, 67, 104, Trois
Sérénades op. 96, Duo brillant op. 113, Fantaisie op. 117, Nocturne
concertant opp. 118, 143, Duo Concertant op. 328.
   In questo contesto le melodie possono infatti espandersi
liberamente, diventando in alcuni casi addirittura monodiche. Non si
deve tuttavia fraintendere che Carulli componesse per duo40 per
“rinforzare” una parte solistica altrimenti instabile. Al contrario creava
dialoghi particolarmente eloquenti e saggiamente proporzionati.
   Egli sarà l’autore ottocentesco più prolifico nel trattare questo
insieme producendo tutti lavori di ottima qualità41.
   Efficaci e originali, rispettivamente per il buon equilibrio tra le
parti e per la ricerca timbrica, appaiono le pagine in combinazione con
altri strumenti. Esemplari sono:

39 Storica incisione, oltre alle già citate Julian Bream & John Williams
   together (1972 e 1974), è anche Diabelli, Giuliani, Carulli. Works For
   Two Guitars. Pepe Romero e Celedonio Romero. Philips, 1977. Di
   recente pubblicazione invece Carulli. Chamber Music for two Guitars.
   Alfonso Baschiera, Marco Nicolè. Da Vinci Classics, 2019.
40 Il titolo Duo potrebbe sembrare riduttivo, ma in realtà viene utilizzato
   anche per opere di vaste proporzioni, com’è il caso dell’op. 62.
41 Compose anche quattro trio (opp. 92 bis, 131 bis, 251 e 255) di cui però
   attualmente si conosce solo la Petit fantasie op. 251.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 19
• per violino42 e chitarra: 3 Duos opp. 4, 22, 147, Duetto op. 13, Duo
     opp. 17, 19, 26, 154, 158, Petits duos opp. 31, 129, 198, 309,
     Notturno opp. 88, 113, Recreations op. 263, etc43
• per flauto e chitarra44: 6 Duetti op. 51, 6 Sérénades op. 109, 3 Petits
     Duos op. 191, etc.
• per voce e chitarra45: Trois ariettes et trois romances italiennes op.
     3a, Trois ariettes italiennes op. 4a, Solfèges op. 195, etc.
• per viola e chitarra: Due duetti op. 137
• per fortepiano e chitarra: 3 Vales op. 32, Duo opp. 37, 134, 135,
     150, 151, Nocturne opp. 127, 131, 189, etc.

     Tra le circa venti opere per quest’ultimo organico troviamo alcuni
dei momenti più alti di tutta la produzione di Carulli. Se nel Duo op.
37 si ha già prova di uno slancio davvero inconsueto, emergono per
profondità artistica il Gran duo concertant op. 65 e, decisamente, i
Gran Duo op. 86 e op. 70, eleganti di una movenza quasi mozartiana.
     Tale repertorio è oggi caduto in dimenticanza perché diventato
improponibile, data l'elevata sonorità del moderno pianoforte, che
andrebbe a scompensare l’originale equilibrio tra i due strumenti.
     Questa musica può quindi essere eseguita in modo ideale soltanto
con l’utilizzo di una tastiera storica46.

42 Per il violino Carulli impiega una scrittura curiosamente specifica (passi
      particolarmente adatti al gioco dell’arco, frequenti note doppie, accordi
      anche a quattro voci), ad eccezione di rari casi in cui la presenza è
      richiesta ad libitum.
43    In alcuni casi si osserva la doppia destinazione «per violino o flauto»,
      ancora molto frequente nella pratica ottocentesca.
44    Una decina di opere, contro le oltre sessanta per chit. e v.no.
45    Nella sua instancabile attività didattica produsse anche un metodo
      apposito: Mèthode pour apprendre à accompagner le chant op. 61.
46    Quanto meno un clavicembalo che, se pur diverso timbricamente,
      riprodurrebbe almeno l’ampiezza sonora del fortepiano.

      Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 20
Tanto critica la combinazione chitarra-pianoforte al giorno d’oggi,
quanto invece proficua quella tra chitarra francese e fortepiano47
all’epoca. Non a caso scrissero per tale organico anche M. Giuliani 48,
M. Carcassi49, F. Molino, J. N. Hemmel50, J. Küffner51, etc.
     Nel corpus carulliano più rari sono invece i Trio (9 per fl., v.no e
chit., 2 per v.no, v.la e chit. e 2 per due v.ni e chit.)52 e i quartetti53 .
     L’opera più rappresentativa in questo caso è Trois trios concertants
op. 103, dedicati a un nobile inglese, tale Lord Soulton, da Carulli
tanto celebrato per la sua bravura alla chitarra, in un’insolita
prefazione allo spartito. Oltre a ciò, la particolare accuratezza nel
concertare abilmente esaltando il timbro dei singoli strumenti fa
pensare a una lucrosa commissione.

47 Incisione di riferimento sicuramente Carulli. Complete Works For Guitar
     & Fortepiano. Massimo Palumbo, Leopoldo Saracino. Brilliant Classics
     (8×CD), 2008. Ultimamente anche il Duo Savigni ha intrapreso
     un’operazione di recupero di tali sonorità registrando con strumenti
     d’epoca (di Carulli: Ouverture da Il Barbiere di Siviglia e Gran Duo op.
     86). Meno filologica, ma sicuramente valida, Carulli: 2 Sonatas -
     Diabelli: Sonate op. 68 & Grande Sonate Brillante op. 102. Works For
     Guitar And Piano. Pepe Romero e Wilhelm Hellweg. Philips, 1983.
48   Vedi nota n. 77.
49   Abilissimo chitarrista fiorentino, anch’egli si trasferì a Parigi (nel 1820)
     dove dominava ormai Carulli. Tuttavia soffrì meno del primato di quello
     - rispetto a F. Molino - essendo interessato più a una carriera
     concertistica. Come virtuoso raccolse successi in tutta Europa.
50   Studiò con Mozart, Haydn e Salieri. Amico di M. Giuliani e del
     violinista J. Mayseder, in occasione del Congresso di Vienna, i tre
     intrapresero una fortunata stagione concertistica.
51   Fu violinista alla corte di Würzburg e, quando questa divenne parte della
     Baviera, sovraintendente alla musica militare.
52   Il Trio op. 24 apparve in Franz Schubert, Ferdinando Carulli. Michel
     Debost, Oscar Ghiglia, Bruno Pasquier, Paul Boufil. EMI, 1970.
53   Unici il Notturno per clarinetto o flauto, due violini e chitarra e 2 Piccoli
     quartetti per chitarra, flauto, violino e violoncello, sorti entrambi come
     adattamenti di suoi preesistenti lavori considerati di poco successo.

     Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 21
Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 22
La chitarra francese

   Il concepimento di un concerto per chitarra solista e orchestra fu
possibile soltanto dopo l’avvento della cosiddetta chitarra francese,
notevolmente diversa dalla chitarra in voga nel Sei-Settecento.
   Per comprendere perché fu chiamata francese e quali furono le
novità tecniche, sonore, espressive, ma prima di tutto costruttive, che
fecero della chitarra uno degli strumenti più diffusi nella pratica
musicale del XIX Secolo, è necessario un breve excursus
sull’evoluzione dello strumento a partire dalla veneranda chitarra
barocca.    Quest’ultima,    all’epoca    soprannominata      spagnola54,
nonostante la maggior parte del repertorio fosse nato in Italia e in
Francia55, vide come fase di suo maggior sviluppo il periodo compreso
tra il 1600 e il 1750: aveva cinque ordini di corde - retaggio dei cori
del liuto – e un simbolismo e sistema di intavolatura tutto suo.
   Alla fine del XVIII Secolo stava tuttavia giungendo ormai alla fine
dei suoi giorni, «perdendo i capelli»56, ovvero le corde doppie.
   La diffusione in Europa del pensiero illuminista, volto alla
semplificazione e razionalizzazione dell’esuberanza barocca, o ancor
più rococò, coinvolse infatti le modalità compositive come anche la
liuteria stessa, portando col tempo a due risultati paralleli: il
rallentamento dei ritmi armonici - e la corrispettiva promozione della

54 A dire di J. G. Walther - nella voce Guitarre del Musicalisches Lexicon
   (1732) - perché strumento prediletto dalle donne spagnole.
55 Per essa composero F. Corbetta e De Visèe, musicisti virtuosi, degni
    della corte di Luigi XIV.
56 Pittorica espressione del chitarrista statunitense Thomas F. Heck.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 23
melodia - e la graduale eliminazione dei raddoppi, prima solo dei
cantini, infine anche dei bassi.
   Al raggiungimento di quest’ultima trasformazione concorse anche
l’avvento, probabilmente dalla Cina, di una nuova tecnica per la
produzione di corde in seta, avvolte da filo metallico morbido [vedi
appendice]. Queste erano di gran lunga più precise: finalmente, perché
la loro altezza fosse ben definita, non fu più necessario raddoppiare i
bassi all’ottava, come era stato fatto su liuti e chitarre per secoli.
   La vicenda di tale evoluzione - che terminò con l’aggiunta di una
sesta corda - è chiaramente ricostruibile attraverso uno sguardo ai
metodi pubblicati in questo periodo, per così dire, di passaggio.
   Fino al 1777 tutti i metodi erano dedicati ancora allo strumento a
cinque cori. Quell’anno, tuttavia, avvenne la svolta: apparve il primo
metodo esplicitamente scritto per chitarra a cinque corde singole,
Traitè des Agrèmens de la Musique, Exècutès sur la Guitarre, scritto
dal bresciano Giacomo Merchi.
   Se infatti egli stesso nel 1761 aveva fatto pubblicare a Parigi Guide
de Ecoliers de Guitarre per chitarra spagnola, sedici anni dopo aveva
intuito che il futuro della chitarra fossero le corde singole: «sono più
agevoli ad accordare e si pizzicano con maggior precisione; infine,
esse danno un suono puro, forte e pastoso che si avvicina a quello
dell'arpa, specie se sono un po' grosse». Nel suo nuovo metodo si
preoccupa inoltre di spiegare al lettore come eseguire gli abbellimenti
dato il nuovo settaggio di corde.
   A questo punto sorge spontanea la domanda: Merchi stava
adattandosi all’abitudine parigina di suonare con corde singole o
introduceva presso il pubblico francese una moda precedentemente
conosciuta in Italia? Quest’ultima sembra la dinamica più credibile.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 24
Infatti, mentre in Francia, anche dopo il 1777 venivano pubblicati
ancora metodi per chitarra barocca57, di cui però pratica voleva che si
utilizzassero soltanto cinque dei dieci piroli a disposizione, in Italia
venivano già da tempo costruite chitarre apposite – uno dei primi
esemplari recava sul cartiglio la scritta «Ferdinandus Gagliano Filius
Nicolai fecit Neap 1774»58.
   Inoltre la prima fonte datata pervenutaci in cui appare l’aggettivo
francese fu uno spartito edito a Napoli nel 1792: Sei canzoncine con
accompagnamento di chitarra francese. Il motivo per cui l’autore,
Giuseppe Aprile, si riferì alla nuova chitarra chiamandola francese, e
non napoletana, pare da ricondursi al fatto che il termine francese nel
Regno di Napoli dell’epoca, retto dalla dinastia dei Borboni,
equivaleva all’espressione alla moda.
   La chitarra a cinque corde semplici ebbe vita breve. Negli anni
Ottanta del Settecento infatti, sempre a Napoli, apparivano le prime
chitarre a sei corde, imbracciate dal giovane Carulli.
   Un altro compositore chitarrista, C. Doisy 59 (?-1807), di poco più
anziano di Carulli e nato - non solo vissuto - a Parigi, fece esperienza
diretta di questi anni “caotici” in cui la chitarra barocca non era del
tutto scomparsa (chi la suonava imperterrito a “dieci corde”, chi a
cinque), mentre a Napoli i liutai costruivano chitarre alla moda (alcuni
pentacorde, altri esacorde), e ce ne lascia una preziosa testimonianza.
All’articolo VIII del capitolo I del trattato Manière de montar la
Guitare (non datato), fortunatamente arrivato ai nostri giorni, scrisse:
57 Analizzati in Erik Stenstadvold, An Annoted Bibliography of Guitar
    Methods 1760-1860, Pendragon Press, Hillidale, NY e Londra, 2010.
58 Conservata presso il Museo Heyer di Colonia, la chitarra fu dispersa
   (probabilmente durante uno dei due conflitti mondiali).
59 Da non confondere con l’omonimo e coevo chitarrista parigino nominato
   da F. J. Fetis in Biographie Universelle del Musiciens, vol. III, Parigi,
   1862. I due si conobbero sicuramente.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 25
Il montaggio delle corde è «arbitrario. Alcuni preferiscono le corde
doppie, altri le corde semplici. Per quanto vedo se ne contano
ordinariamente cinque […] Alcuni mettono due La e due Re di cui uno in
seta, l’altro in budello, accordati all’ottava; i Sol e i Si all’unisono e il Mi
solo. Altri» montano «due La e due Re in seta accordati all’unisono, due Sol
e due Si sempre all’unisono e il Mi Solo. [...] Quanto a me adotto più
volentieri le corde semplici perché ne derivano suoni più puri, le corde ben
intonate sono estremamente difficili da reperire, e si impiega molto meno
tempo per accordarle».

   La preferenza di Doisy per le cinque corde semplici è ribadita
nell’articolo II del capitolo XVIII, dedicato alla lira-chitarra60:

    «Del resto ciò che ho appena detto contro la Lyra-chitarra non conduce
a conseguenze. E queste riflessioni, che non fanno legge, servono qui a fare
l’elogio della chitarra a dieci tasti e cinque corde che, nonostante la sua
modesta semplicità, può commuovere quando la si sappia accarezzare».

   La chitarra francese, oggi anche detta romantica, differisce
dall’attuale - questa volta sì spagnola61 - per due principali aspetti: la
dimensione e spessore di tavola e cassa armonica e la tastiera nove
centimetri più corta. Se ciò andava a scapito del volume sonoro, al
contempo facilitava la tecnica della mano sinistra. Tutto il repertorio
ottocentesco è infatti caratterizzato da agili scale e frequenti arpeggi,
veloci e composti, di meno immediata esecuzione sugli strumenti
moderni, i quali - dopo l’esperienza di Andrés Segovia - possiedono
tastiere ancora più lunghe.

60 Vedi nota n. 76.
61 Sorta per mano del liutaio Antonio de Torres Jurado (Almería, 1817–
   1892), a partire dagli strumenti popolari flamenchi, diffusasi nel 2 o 1800.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 26
Concerti per chitarra e orchestra

   L’evoluzione, o meglio “razionalizzazione illuministica”, della
chitarra ne promosse la larga diffusione della pratica, ora accessibile
anche a un ampio pubblico di dilettanti – di certo più di prima.
   Per le limitate dimensioni dell’organico (un quartetto d’archi, due
oboi e due corni al massimo), il concerto per chitarra trovò quindi
grande fortuna nei salotti e nelle sale altolocate del XIX Secolo.
   Segue l’elenco completo dei concerti ottocenteschi pervenutici62:

    •   B. Vidal63 (?-1800), Concerto in Re;
    •   Luigi Boccherini64 (1743-1805), Sinfonia G 523;
    •   Charles Doisy65 (?-1807), Concerto in Sol per chitarra;
    •   Antoine L’Hoyer66 (1768-1852), Concerto op. 16 (1802);
    •   Giovanni Battista Viotti67 (1755-1824), Concerto n. 2;

62 In ordine pseudo cronologico.
63 Autore di uno dei primissimi metodi per la nuova chitarra francese:
   Nouvelle méthode de guitarre, dediée aux amateurs.
64 Sicuramente più noto per i celebri Quintetti per quartetto d’archi e
   chitarra (G445-453), composti intorno al 1780 su commissione della
   famiglia madrilena dei Benavent Osuna.
65 Vedi nota n. 59. Compose numerosi duetti per chit. in coppia con un’altra
   chit., violino, flauto, ma anche violoncello, oboe, clarinetto e fagotto.
66 Virtuoso chitarrista francese, fu tra i primissimi compositori romantici,
   principalmente di musica da camera. La sua musica cadde tuttavia
   nell'oscurità prima ancora della sua morte. Ebbe però una notevole
   carriera militare come membro d'élite di Gardes du Corps du Roi,
   Cavaliere dell'Ordine di San Giovanni e dell'Ordine di San Luigi.
67 Compositore violinista italiano, fu musicista nelle corti di Francia,
   Germania e Inghilterra dell’Europa d’epoca napoleonica.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 27
•   Ferdinando Carulli68 (1770-1841), Concerto in Sol per flauto e
         chitarra, Concerto in La op. 8 (1809 e 1810), Petit Concerto
         de société in Mi op. 140 (1820);
     •   Mauro Giuliani69 (1781-1829), Concerto in La op. 30 (1810),
         Concerto in La op. 36 (1812), Concerto in Fa op. 7070 (1823);
     •   Francesco Molino71 (1775-1847), Concerto in Mi op. 56;
     •   Giuseppe Malerbi (1771-1849), Concerto in Re;
     •   Luigi Legnani72 (1790-1877), Concerto per chitarra e archi73.

     Nel catalogo delle opere a stampa di Carulli noto fino a oggi
risultano inoltre i seguenti titoli, di cui non si hanno attualmente
notizie né della datazione74, né circa la loro possibile esistenza e
reperibilità presso biblioteche o collezioni private.

     •   Quarto Concerto e variazioni per chitarra e archi op. 21975;

68 A livello discografico, dopo le già citate (vedi nota n. 3) registrazioni del
     Concerto in La op. 8, significativa per la riscoperta definitiva di tale
     repertorio fu: Fernando Carulli, Francesco Molino – Concerti; Mozart -
     Adagio Kv 261, Rondo Kv 37. Pepe Romero, The Academy of St. Martin
     in the Fields, Iona Brown. Philips, 1990. L’integrale dei concerti verrà
     pubblicato soltanto nel 2011 (Concerti per chitarra e orchestra. Giulio
     Tampalini, Brescia Orchestra, Ezio Rojatti. Amadeus). In questa
     incisione compare anche il Concerto in re di G. Malerbi, canonico
     organista emiliano maestro di G. Rossini.
69   Vedi nota n. 77.
70   Quest’ultimo per chitarra terzina, più piccola e accordata una terza sopra.
71   Vedi p. 12.
72   Musicista ferrarese, si produsse come tenore e chitarrista in Italia e
     Austria. Appassionato di liuteria, ideò una chitarra a otto corde
     collaborando con il rinomato liutaio Georg Stauffer. Gran parte dei suoi
     lavori sono virtuosistici, imperniati sullo schema della variazione.
73   Pervenutoci nella sola parte per chitarra.
74   Come anche d’altra parte per il Concerto in Sol per flauto e chitarra.
75   In altre fonti indicato come Concerto n. 4 per chit. con
     accompagnamento di orch. o pf. in La maggiore o Variazioni sulla
     Marcia di Aline per chit. e orch.

     Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 28
•   Concerto per chitarra o lira76 con accompagnamento di due
        violini, due oboi, due corni, flauto obbligato, alto e basso.

   Prima di osservare nel dettaglio i singoli concerti di Carulli è però
necessaria una considerazione generale: queste opere mancano di una
dimensione “quartettistica” come anche cameristica. Non vi è vero e
proprio dialogo fra chitarra e orchestra: quest’ultima si limita a
sostenere armonicamente il solista, senza grande inventiva. Spesso
appare in blocchi compatti, nettamente contrapposti al solo.
   Non bisogna tuttavia dimenticare l’uso edonistico di questa musica,
già tipico dei salotti settecenteschi dove l’importante era suscitare
facili passioni con l’alternanza di Forte e Piano e di Allegro e Adagio.

Concerto in Sol per flauto e chitarra

   Privo di numero d’opera, il Concerto in Sol è arrivato ai nostri
giorni in due manoscritti, entrambi non autografi: una versione per
chitarra sola, l’altra per chitarra e flauto – si tende a considerare
quest’ultima quella originale.
   Nonostante non sia datato, viene comunemente considerato il
primo lavoro di Carulli in questo settore [vedi p. 37]. Fu scritto in
Italia e, stranamente, vi rimase – oggi è conservato presso la

76 La lira-chitarra, inventata intono al 1800 dal liutaio francese Pierre
    Charles Mareschal, aveva sei corde singole, accordate come la chitarra.
    La tastiera era posta tra due bracci curvi collegati direttamente alla cassa
    armonica – ricordando appunto la lira greca. Fu molto popolare nella
    Parigi del primo ventennio del XIX Secolo, soprattutto in ambiente
    aristocratico (Maria Antonietta ne possedeva una). Porro, Carulli, Sor,
    Carcassi, Giuliani composero per questo strumento; di lì a poco venne
    tuttavia soppiantata dallo svilupparsi del repertorio per chit. In Italia
    erano famose quelle del liutaio napoletano Gennaro Fabbricatore.

    Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 29
Biblioteca di Ostiglia - rappresentando una delle poche testimonianze
della produzione carulliana prima del trasferimento a Parigi. Carulli
non si preoccupò infatti di portarlo con sé e farlo stampare presso un
editore della nuova residenza, come pure non diffuse molte altre
composizioni cameristiche, anche di una certa rilevanza, rimaste così
giacenti presso le biblioteche italiane.
   Benché fosse ancora vicino a uno stile di stampo tardo
settecentesco, il suo valore artistico e unicità nel genere ne avrebbero
assicurato il successo anche presso gli ambienti, moderni e
all’avanguardia, della Parigi del primo Ottocento. Carulli, tuttavia,
sentiva probabilmente la necessità di abbandonare insieme all’Italia
tutto ciò che fosse troppo evidentemente legato al passato e iniziare
una nuova “fase parigina”. Effettivamente rinnovò in parte il suo stile,
ma senza compiere stravolgimenti eclatanti.
   Non secondario il fatto che, l’anno prima di trasferirsi, aveva
sostato a Vienna, dove il pugliese Mauro Giuliani77 inaugurava la sua
carriera con la storica esecuzione del Concerto in La op. 30, a cui
Carulli fu senza dubbio presente. Egli era consapevole della direzione
decisamente nuova verso cui stava evolvendosi la chitarra: era
necessario adottare schemi compositivi alla moda78, ma, prima ancora,

77 Non riuscendo a esplicare pienamente la propria personalità in Italia,
   migrò a Vienna nel 1806. Nella capitale asburgica si inserì a pieno negli
   ambienti di corte e strinse amicizia con personalità di spicco, prima fra
   tutte Beethoven. La sua produzione fu influenzata dai canoni del
   classicismo viennese, trattati tuttavia con stile personale e gusto
   mediterraneo per la melodia spontanea. Abile didatta, anch’egli scrisse
   un metodo, op. 1, ancora attuale, specialmente per quanto riguarda gli
   esercizi per l’articolazione della mano destra (Centoventi arpeggi).
   Come Carulli, esplorò le possibilità della nuova chitarra francese in ogni
   forma, producendo pagine dall’alto valore artistico.
78 É il caso della Polonaise posta come tempo finale del Concerto in La op.
   8 (come lo era nel Concerto in La op. 30 di Giuliani).

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 30
lasciare Vienna, dove un pericoloso rivale stava ormai imponendosi79.
Si spiega così il trasloco definitivo a Parigi dove, essendo sgombra di
concorrenti di rilievo, Carulli poté guadagnarsi successo e fortuna.

   Dopo tale intermezzo biografico - tuttavia necessario per delineare
un quadro d’insieme che faccia meglio comprendere adesso le
caratteristiche stilistico-compositive del concerto in questione, come
anche lo sviluppo delle stesse tra un concerto e l’altro - tornando
all’analisi del Concerto in Sol per flauto e chitarra, esso presenta
come organico due oboi, due corni, violini, viole, violoncelli e
contrabbassi. L’originalità del concerto sta nel rapporto che i due
solisti instaurano tra loro - paritario o di accompagnamento l’un l’altro
- creando, di volta in volta, espressive combinazioni timbriche.
   Nel primo tempo, Allegro, dopo la presentazione tematica da parte
dell’orchestra, il flauto prima e la chitarra dopo espongono il tema,
variandolo a modo loro. Il materiale già esposto viene quindi
rielaborato dai solisti, leggermente accompagnati dall’orchestra.
Segue una consistente sezione in minore in cui chitarra e flauto
interagiscono con maggior dramma. Riappare quindi l’orchestra con la
ripresa del tema iniziale; i solisti cadenzano e una coda orchestrale
conclude il movimento.
   Il secondo tempo, Larghetto espressivo, presenta la forma di un
tema con variazioni. Il carezzevole tema viene esposto inizialmente
dal flauto con accompagnamento della sola chitarra; successivamente
variato, sarà ripresentato ricorrentemente anche dall’orchestra.
   Un breve Allegro di sole quarantasei battute, quasi una coda,
conclude la composizione dalla durata di venti minuti80.
79 Quello che dieci anni dopo accadde invece a F. Molino a Parigi.
80 Carulli, Music for Flute and Guitar. Jean-Pierre Rampal, Alexandre
   Lagoya, Franz List Chamber Orchestra, Janos Rolla. CBS Records,

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 31
Concerto in La op. 8

   Del Concerto in La op. 8 – eseguito, insieme alla Grande Sonata
op. 9 accompagnata81, durante il memorabile concerto di debutto del
musicista al Thèatre Olympique, nel Maggio 1809 - esistono due
versioni differenti: una, pubblicata a Parigi da Naderman nel 1809,
prevede come organico orchestrale un quartetto d’archi, due oboi, due
corni e flauto obbligato; l’altra, edita a Vienna da Haslinger82 nel
1810, con accompagnamento di soli due violini, un violoncello e corni
ad libitum. Le differenze tra le due edizioni non si limitano
all’organico: discostano anche le grafie musicali. L’edizione parigina è
infatti monofonica, per cui la durata dei suoni bassi non è definita;
l’edizione viennese è invece da questo punto di vista molto più
moderna, essendo la chitarra trattata in modo polifonico, con tutte le
durate delle note determinate in modo preciso.
   Benché non si sappia - a dispetto delle date di stampa, anch’esse
messe in discussione - quale dei due sia stato scritto per primo,
probabilmente successiva fu l’edizione viennese, data la maggior
accuratezza. Le molte similitudini, d’altra parte, suggeriscono che non
sia intercorso molto tempo tra la stesura dell’una e dell’altra.
   La tonalità d’impianto e l’insolita suddivisione in due tempi 83,
Allegro e Polonaise, coincidono; gli stessi spunti tematici vengono
tuttavia sviluppati in modo completamente diverso, restando sempre
comunque tra i consueti stilemi di variazione motivico-tematica di

   Masterworks, 1988.
81 Vedi nota n. 35.
82 Stesso editore che nel 1810 pubblicò il Concerto op. 30 di M. Giuliani.
83 Anziché tre, come vorrebbe lo struttura classica del concerto.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 32
Carulli84. Infatti, benché sia innegabile che il pubblico e la critica
parigini abbiano reagito con entusiasmo all’ascolto di questo
innovativo concerto, cogliendone sentori di modernità e raffinata
eleganza, in realtà entrambe le versioni, viste poi in prospettiva,
appaiono prevedibili e in legame di continuità con la precedente
produzione italiana dell’autore.
   Infine, esaminando le pubblicazioni originali, possono contarsi 85
numerose approssimazioni e imprecisioni86. Si tratta probabilmente di
errori dei copisti dell’epoca o dovuti alla fretta con cui gli autori stessi
al tempo scrivevano gli spartiti in vista di un’imminente esibizione.
   L’introduzione orchestrale dell’Allegro, come l’incipit della
Polonaise sono identici. L’Allegro del concerto stampato da Haslinger
appare forse più incisivo, mentre più debole il secondo tempo, troppo
ancorato alla ripetitività del tema principale.
   Per quanto riguarda l’analisi costruttiva dell’opera ci si rifarà a
quest’ultima edizione viennese.
   Il primo tempo, Allegro, è in forma-sonata. Il violino I espone il
tema. Un breve ponte, interessante per il ritmo sincopato, conduce al
tema II. L’esposizione del solista, identica a quella del violino,
arricchisce il brano con una nuova idea, espressa nel passaggio,
derivante probabilmente per inciso ritmico e melodico dal tema II.
Terminata l’esposizione, la chitarra, rievocando la parte del violino del
ponte modulante, inizia lo sviluppo con rapide scale. Un Tutti
riconduce alla tonalità di La maggiore.

84 Arpeggi, scale per terze, seste e ottave, note doppie, sezioni scandite da
   veloci terzine e fasi melodiche riccamente abbellite.
85 Come fa notare M. Torta nella prefazione all’ed. critica del Concerto op.
   8 (ed. viennese) revisionato e diteggiato da F. Lepri nel 2005.
86 Spesso nella disposizione delle legature o nel creare piccole variazioni
   tra una ripetizione e l’altra.

   Giuseppe Ugo Mazzone, Tesi di I livello (B. Marcello, 2020) 33
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