EUROPEAN EMISSIONS TRADING SCHEME ED INCLUSIONE DEL TRASPORTO AEREO NEL SISTEMA: ANALISI E PROSPETTIVE - di Omar Makimov Pallotta Klaus Füßer

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EUROPEAN EMISSIONS TRADING SCHEME ED INCLUSIONE
   DEL TRASPORTO AEREO NEL SISTEMA: ANALISI E
                  PROSPETTIVE

                         di

                Omar Makimov Pallotta
                    Klaus Füßer

                   Settembre 2013

                                        Working Paper Omar Makimov Pallotta
Gli autori

Omar Makimov Pallotta è studente in Giurisprudenza presso l’Università degli
Studi di Teramo (Italia) e tirocinante presso lo studio legale Füßer & Kollegen di
Lipsia (Germania).

Klaus Füßer è avvocato specializzato in diritto amministrativo e diritto
dell’ambiente a Lipsia (Germania).

Citazione consigliata

Questo Working Paper dovrebbe essere citato come segue:

Omar Makimov Pallotta & Klaus Füßer, European Emissions Trading Scheme ed
inclusione del trasporto aereo nel sistema: analisi e prospettive,
http://www.fuesser.de/de/home.html

Copyright

© 2013 Omar Makimov Pallotta, Klaus Füßer.

                                                           Working Paper Omar Makimov Pallotta
Gli autori ringraziano sentitamente per la disponibilità e gli utili consigli il prof.
Enzo di Salvatore e la prof.ssa Pia Acconci dell'Università degli Studi di Teramo.
Un ringraziamento speciale va anche, ovviamente, a tutti i professionisti e i
collaboratori dello studio legale Füßer & Kollegen di Leipzig (Germania) per
l’accoglienza e l’amicizia dimostrata.

                                                              Working Paper Omar Makimov Pallotta
RAe Füßer & Kollegen                                                                                                      Seite 4 von 83

       European Emissions Trading Scheme ed inclusione del trasporto aereo nel
                            sistema: analisi e prospettive

                                                                    Indice

Introduzione .....................................................................................................................................6
I. I “tradable pollution rights” ...................................................................................................7
   1.     Al di là del “command and control”. Origini, funzionamento, vantaggi e difetti
          (alla luce dell'esperienza statunitense) dello strumento di tutela ambientale. .......7
   2.     Caratteristiche basilari dei sistemi di scambio di quote di emissione.................... 10
      2.1 I due schemi principali............................................................................................... 10
      2.2 I metodi di allocazione delle quote .......................................................................... 11
      2.3 Mercato e controlli ..................................................................................................... 11
II. Il Sistema Europeo di Scambio di Quote di Emissione: la Direttiva 2003/87/CE ....... 14
   1. L'emissions trading a livello internazionale: la disciplina prevista dall'UNFCCC e
        dal Protocollo di Kyoto ..................................................................................................... 14
   2. L'Emissions Trading Europeo ........................................................................................... 16
      2.1 Riflessioni e decisioni delle istituzioni europee: tre anni, tre atti. ...................... 16
        2.1.1 1999..................................................................................................................... 16
        2.1.2 2000..................................................................................................................... 17
        2.1.3 2001..................................................................................................................... 18
      2.2 La Direttiva 2003/87/CE: la disciplina.................................................................... 18
      2.3 Le prime reazioni alla Direttiva in giurisprudenza: la sentenza “Arcelor” (ECJ
             C-127/07) ................................................................................................................... 23
      2.4 L'implementazione della direttiva 2003/87/CE in Italia: un iter convulso. ....... 25
      2.5 Un problema giuridico dai risvolti pratici: la natura giuridica delle quote di
             emissioni. .................................................................................................................... 28
III.    L'inclusione del trasporto aereo nel sistema europeo di scambio di quote di
        emissioni: la Direttiva 2008/101/CE .............................................................................. 33
   1.     L'impatto del trasporto aereo sul clima, le indicazioni del Protocollo di Kyoto ....
          e il passo indietro dell'ICAO. ....................................................................................... 33
   2.     La Comunicazione della Commissione UE “Reducing the Climate Change .........
          Impact of Aviation” e la proposta di Direttiva. ......................................................... 35
   3.     L'iter di adozione della Direttiva: le posizioni del Parlamento Europeo e del
          Consiglio dell'Unione Europea. .................................................................................... 37
   4.     La Direttiva 2008/101/CE: disciplina. ........................................................................ 39
   5.     Le reazioni della comunità internazionale alla Direttiva 2008/101/CE. ................ 47
   6.     La conformità al diritto internazionale dell'inclusione del trasporto aereo nell'EU
          ETS: la sentenza della Corte di Giustizia “Air Transport Association vs. SS for
          Energy and Climate Change”....................................................................................... 51
   7.     Un risvolto pratico dell'inclusione del trasporto aereo nell'EU ETS: l'aumento ....
          dei prezzi dei biglietti aerei........................................................................................... 55

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IV.    Le risoluzioni adottate dall'ICAO e la decisione dell'Unione Europea di “fermare ...
       le lancette” all'EU ETS per i voli internazionali............................................................. 58
  1.      Le Risoluzioni ICAO A35-5, A36-22 e A37-19 e i motivi dell'impasse in seno
          all'Organizzazione Internazionale dell'Aviazione Civile. ........................................... 58
  2.      ICAO come unico forum compatibile con la negoziazione di un accordo globale
          sull'EU ETS? ................................................................................................................... 60
  3.      La decisione dell'ICAO di istituire un' “High-Level Group” e la reazione
          dell'Unione Europea: la Decisione 377/2013/UE. .................................................... 62
  4.      Risvolti pratici della Decisione “stop the clock”. ...................................................... 66
     4.1 Obblighi MRV, clausola “de minimis” e rischio di ........................................
             “windfall profits and losses”.................................................................................... 66
     4.2 I danni subiti dagli operatori aerei a seguito della sospensione parziale del
             sistema EU ETS e l'azione per risarcimento dei danni ex art. 340 TFUE. ........ 70
V.     Conclusioni: La 38ª Assemblea Generale ICAO come “deadline” per un accordo
       globale volto a contrastare le emissioni del trasporto aereo internazionale. ........... 81

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                                         Introduzione

La continua tensione dell'umanità verso il progresso e la costante elaborazione di
politiche funzionali alla crescita comportano inevitabilmente svariati effetti colla-
terali. Uno di essi è il consumo delle risorse naturali: dal petrolio alle foreste, nul-
la sfugge alla sete implacabile dell'uomo. Tuttavia, la natura non si risparmia con
i segnali di allarme, spesso inequivocabili: innalzamento del livello del mare, ri-
scaldamento globale sono solo alcuni di essi. Per questo, da circa cinquant'anni a
questa parte, le nazioni industrializzate hanno promosso delle politiche di prote-
zione ambientale sempre più stringenti (dette “di sviluppo sostenibile”1). Man
mano, tali azioni a tutela dell'ambiente hanno coinvolto anche il piano sovrastata-
le, costituendo oggetto di convenzioni internazionali. Col tempo, si è iniziato a
puntare il dito contro i maggiori responsabili del depauperamento delle risorse na-
turali. In questo lavoro focalizzeremo l'attenzione su uno degli strumenti giuridi-
co-economici più discussi nel campo delle politiche ambientali, ossia lo scambio
di quote di emissione, con speciale riguardo all'inclusione del trasporto aereo en-
tro il quadro dell'European Union Emissions Trading Scheme (il sistema europeo
per lo scambio delle quote di emissione). L'ambiente (e, con esso, ovviamente,
l'atmosfera) salubre è probabilmente il bene più caro agli uomini, oggetto di un
vero e proprio diritto secondo molte carte costituzionali europee2; nonostante
questo, rischiamo di comprometterlo per sempre, attraverso - ad esempio - un
utilizzo incontrollato di fonti di emissione legate al consumo di combustibili fossi-
li. Una di tali fonti è senza dubbio il trasporto aereo: la medesima brama di pro-
gresso che abbiamo appena descritto spinge la società a chiedere a gran voce
spostamenti veloci, che soddisfino un risparmio di tempo che, spesso, corrispon-
de a risparmio di denaro. Col tempo, quel mezzo di trasporto che all'origine dei
voli commerciali era considerato esclusiva delle classi più abbienti è divenuto og-
gi (anche grazie alla discesa sul mercato delle compagnie aeree “low cost”) frui-
bile a tutti. Come è facile intuire, ciò ha comportato una crescita progressiva del
settore e, con essa, un aumento proporzionale delle emissioni rilasciate nell'at-
mosfera; un dato di fatto, questo, che ha indotto la comunità internazionale a
prendere seriamente in considerazione l'impatto del trasporto aereo sul clima a
partire dagli anni novanta.

1   Comunicazione della Commissione dell'Unione Europea del 1 ottobre 2003 “Verso una
    strategia tematica per l'uso sostenibile delle risorse naturali”, COM(2003) 572, dove si
    specifica chiaramente che per “sviluppo sostenibile” delle risorse naturali si intende garanzia
    della disponibilità dell'approvvigionamento e gestione dell'impatto ambientale del loro uso.
2   J. Y. FABERON, Lo status costituzionale dell'ambiente in Francia, in Diritto ambientale e
    Costituzione. Esperienze europee, a cura di D. AMIRANTE, FrancoAngeli, 2000, 106ss.

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                             I.     I “tradable pollution rights”

1.    Al di là del “command and control”. Origini, funzionamento, vantaggi e
      difetti (alla luce dell'esperienza statunitense) dello strumento di tutela
      ambientale.

      La ricerca di un nuovo metodo efficace per proteggere adeguatamente
      l'ambiente, senza però compromettere la produttività di settori industriali (e
      non), ha spinto gli Stati, prima in via strettamente individuale, poi sul piano
      internazionale, ad elaborare degli strumenti alternativi a quelli tradizional-
      mente utilizzati in questo ambito. Infatti, se gli Stati Uniti possono essere
      considerati pionieri nell'applicazione sistematica sul lungo periodo dei “tra-
      dable pollution rights”, gli altri Stati sono stati succubi del metodo “com-
      mand and control” fino almeno agli anni '90. Tale metodo, anche noto co-
      me “regolamentazione diretta”, prevede l'imposizione da parte delle autorità
      statali di livelli minimi di qualità ambientale, tetti massimi alle emissioni e
      normative tecniche; il mancato rispetto di questi standards dà luogo, soli-
      tamente, a sanzioni penali o amministrative3. Tuttavia, i risultati di questa
      politica ambientale sono apparsi insoddisfacenti sotto molteplici profili: ad
      esempio quello della rigidità nell'approcciare differenti situazioni geografico-
      ambientali locali4, ma anche il profilo dei costi amministrativi e attuativi ha
      ben presto “mostrato il fianco”. Alla luce di ciò, gli Stati hanno iniziato pro-
      gressivamente a mostrare un certo interesse per l'idea dei “tradable pollu-
      tion rights”, nata nella mente di J.H Dales negli anni '60, ma già fumosa-
      mente delineata da John Stuart Mill addirittura nel 18485. Siffatto interesse
      è da collegare alla pretesa che lo strumento ha di garantire la perfetta co-
      niugazione tra tutela dell'ambiente ed efficienza economica: vediamo come.
      “Tradable pollution rights” significa letteralmente “diritti di inquinamento
      trasferibili” e ciò lascia intuire che l'adozione dello strumento implichi l'isti-
      tuzione di un quadro regolamentare volto a creare un mercato artificiale dei
      diritti d'inquinamento, entro il quale essi possano circolare secondo deter-
      minate regole. Generalmente (ma non sempre) viene fissato un livello mas-
      simo di inquinamento relativamente ad una determinata area e, sulla base di
      tale livello, si fissa il numero totale di “diritti” (quelle che vengono chiamate
      “quote di emissione”) da assegnare agli inquinatori sulla base delle emissioni

3    Una esaustiva trattazione degli strumenti “command-and-control” è contenuta in M. FAURE,
     Environmental regulation, in GOUCKAERT-BOUDEWIN-DE GEEST-GERRIT (a cura di), Ency-
     clopedia of Law and Economics, 2000, 452ss.
4    M. CLARICH, La tutela dell'ambiente attraverso il mercato, in Diritto Pubblico, 2007, 220ss.
5    J.S MILL, Principles of Political Economy, Londra, 1848.

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      pregresse, a titolo oneroso (vendita all'asta) o gratuito. E' evidente come
      ciascun inquinatore potrà emettere una quantità imprecisata di gas serra fin-
      tantoché riuscirà a “coprire” le sue emissioni con una corrispondente quan-
      tità di “diritti”, che esso dovrà acquistare nell'ambito del mercato delle quo-
      te creato ad-hoc; ovviamente, se l'impianto risulterà virtuoso, immettendo
      nell'atmosfera una quantità di gas serra inferiore al numero di quote posse-
      dute, potrà vendere quel “surplus” sul mercato, generando ricavi. L'inquina-
      tore che supererà i limiti concessi dalle quote assegnategli potrà decidere,
      senza averne comunque l'obbligo, di investire in innovazioni tecnologiche
      “green”, qualora l'introduzione di queste ultime comporti esborsi inferiori ri-
      spetto all'acquisto di quote “di copertura” (a tutto vantaggio dell'ambiente:
      ciò accade solitamente quando il prezzo delle quote è alto, ossia quando il
      mercato, grazie all'azione di vari fattori che in parte esamineremo, è suffi-
      cientemente “liquido”6). Tutto ciò lascia ben intendere come il sistema dei
      tradable pollution rights persegua la tutela ambientale attraverso un sistema
      di disincentivazione economica per gli impianti “over-quota”: se si inquina
      più del “dovuto”, bisognerà affrontare un esborso di denaro (in armonia col
      principio “chi inquina paga”7), il quale sarà poi destinato alla promozione di
      progetti “eco-friendly” nel caso di aggiudicazione di quote all'asta; altrimen-
      ti, l'altra via percorribile sono – come appena visto – gli investimenti diretti
      a ridurre le emissioni del proprio impianto. Insomma, da questo quadro e-
      stremamente semplicistico si deduce il salto di qualità rispetto al sistema
      command-and-control: con i diritti di inquinamento trasferibili, le imprese si
      fanno sostanzialmente carico delle emissioni di gas serra8, ossia di un' “e-
      sternalità negativa”9, ricavandone un vantaggio in termini economici in caso
      di emissioni ridotte (vendita di quote in eccedenza), contribuendo alla cre-
      scita materiale di un “fondo” per gli investimenti a tutela dell'ambiente (ac-
      quisto delle quote all'asta) o impegnandosi a introdurre tecnologie “verdi” in
      grado di riportare l'impianto sotto i limiti delle quote assegnate. E' evidente
      il “carattere premiale” della normativa. Come spesso accade, tuttavia, non
      manca chi, tra studiosi ed esperti di legislazione e politica ambientale, scor-
      ge nei tradable pollution rights un sistema eccessivamente “soft”, che tende
      a fare dell'ambiente un oggetto di scambio piuttosto che l'oggetto della tu-
      tela in senso stretto10. Se Regno Unito e Danimarca hanno introdotto sistemi

6    Un mercato può dirsi liquido quando si incontrano facilmente domanda e offerta.
7    Previsto anche dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, art. 191, par. 2.
8    Frequentemente indicati con l'acronimo GHG (Greenhouse gases).
9    M. CLARICH, cit., 219.
10   Efficace la definizione dello scambio di quote data da M.E. GRASSO, Il processo
     partecipativo in materia di emissioni di “gas serra” nel rapporto di complementarietà

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      nazionali di scambio di quote di emissione solo all'inizio del ventunesimo se-
      colo, gli Stati Uniti sono in assoluto i pionieri in materia, avendo previsto
      una serie di sistemi di emissions trading (offset, bubble, netting, banking)
      già dal 197711 e avendo definitivamente introdotto lo scambio di diritti di
      emissione nel 1990 con l' “Acid Rain Program” (Titolo IV dei “Clean Air Act
      Amendments”), relativamente alle emissioni di biossido di zolfo (SO2). Tale
      sistema prevedeva, in sostanza, l'attribuzione alle imprese di un certo nu-
      mero di permessi di inquinamento da parte dell'EPA (Agenzia per la prote-
      zione dell'ambiente), che potevano essere utilizzati o ceduti sul mercato
      dall'impresa stessa. L'esperienza statunitense in materia di emissions
      trading ci permette di delineare per sommi capi i vantaggi, ma soprattutto i
      difetti dello scambio di diritti di inquinamento, visto che l'applicazione dell'
      “Acid Rain Program” copre un lasso di tempo sufficientemente lungo per
      dare delle valutazioni attendibili. La riduzione complessiva dei costi per l'ab-
      battimento delle emissioni ottenuta dall'emissions trading statunitense nei
      suoi primi tredici anni di applicazione rispetto al tradizionale approccio della
      regolamentazione diretta è stato del 57%12 (pari a quasi 3 miliardi di dollari
      in meno) e nessun impianto ha prodotto più emissioni di quelle consentite
      dai permessi rilasciati (che erano, però, abbondanti)13. L'emissions trading
      statunitense non è, tuttavia, esente da critiche: il mercato dei permessi di
      emissione è stato per lungo tempo “fermo” a causa degli alti costi delle
      transazioni e perché, come appena sottolineato, la copiosità delle quote rila-
      sciate ha permesso alle imprese di rientrare nei limiti previsti senza ricorrere
      ad acquisti sul mercato e dunque di accantonare i diritti in eccedenza, per
      poi utilizzarli in fasi successive (fenomeno del “banking”). Inoltre, il mercato
      statunitense ha mostrato scarsa “liquidità” (si pensi al fenomeno dell' “ac-
      quisto e ritiro” delle quote da parte delle associazioni ambientaliste che in-
      tendono abbassare il tetto massimo per le emissioni), con conseguente ca-
      duta dei prezzi dei diritti di emissione. Dunque, al di là delle indubbie con-
      quiste dell' “Acid Rain Program”14, dai suoi “difetti” di funzionamento pos-
      sono essere tratti dei preziosi insegnamenti per futuri sistemi di scambio di

     esistente tra fonti giuridiche europee ed internazionali, in Rivista giuridica dell'ambiente,
     2009, 6, 1055 (“compromesso strumentale all'attuazione dello sviluppo sostenibile”)
11   Per una completa disamina di questi strumenti e delle politiche ambientali che li hanno
     accompagnati, si veda V. JACOMETTI, Lo scambio di quote di emissione. Analisi di un
     nuovo strumento di tutela ambientale in prospettiva comparatistica, Giuffrè, 2010, 37ss
12   A.D ELLERMAN, P.L JOSKOW, D. HARRISON JR., Emissions trading in the US. Experience,
     Lessons and Considerations for Greenhouse Gases, prepared for the Pew Centre on Global
     Climate Change, 2003, 16ss.
13   V. JACOMETTI, cit., 88ss.
14   A.D ELLERMAN, P.L JOSKOW, D. HARRISON JR., cit., 45-46.

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       quote di emissione: in primo luogo, per avere un mercato dei permessi “at-
       tivo”, bisogna fissare un basso “cap” generale (livello massimo di emissioni
       consentite in una data area), con conseguente numero inferiore di quote as-
       segnate a ciascun impianto; in secondo luogo, per avere dei prezzi/quota
       mediamente alti (in modo da incoraggiare gli investimenti in tecnologie ver-
       di) bisogna garantire “liquidità” di mercato, incoraggiando una partecipazio-
       ne massiccia agli scambi, non solo da parte dei gestori degli impianti (che
       sarebbero in ogni caso indotti dal numero inferiore di quote rilasciate), ma
       anche da parte di brokers e intermediari finanziari.

2.     Caratteristiche basilari dei sistemi di scambio di quote di emissione

2.1       I due schemi principali

          Nell'elaborare uno schema per lo scambio di quote di emissione, dopo
          aver stabilito con certezza quale sia l'ambito di applicazione (ricompren-
          dente gli inquinanti e i settori da regolamentare), si passa alla scelta del
          modello di riferimento. I modelli di riferimento per l'elaborazione di un si-
          stema di emissions trading sono il “cap-and trade” e il “baseline-and-
          credit”. Per quanto concerne il primo, ne abbiamo già delineato le caratte-
          ristiche fondamentali, ma giova qui ripeterle brevemente: l'autorità pub-
          blica fissa un livello massimo di emissioni per una determinata area e, sul-
          la base di tale livello, assegna e rilascia alle imprese un numero propor-
          zionale di quote, secondo metodi differenti, che a breve vedremo in det-
          taglio. Da quel momento, le imprese potranno utilizzare, conservare o
          vendere le quote sul mercato, in base al livello delle proprie emissioni. Il
          modello “baseline-and-credit”, invece, non prevede la fissazione di limiti
          massimi alle emissioni, ma semplicemente la previsione di un livello di ri-
          ferimento (“baseline”, appunto) che servirà per confrontarlo con le emis-
          sioni dei singoli impianti: se queste ultime saranno inferiori alla “baseli-
          ne”, il gestore riceverà dei “crediti di emissione”, che potranno essere
          venduti alle imprese che invece hanno superato il livello di riferimento. Il
          meccanismo appena descritto, apparentemente lineare, ha in sé un difet-
          to connaturato: non essendo previsti dei tetti massimi, nel caso in cui
          dovessero subentrare fonti di inquinamento non comprese tra quelle fa-
          centi parte dell' “ambito di applicazione” del sistema, il livello totale delle
          emissioni relative a quella data area potrebbe nel complesso aumentare,
          vanificando il circolo virtuoso messo in moto dallo schema15.

15    V. JACOMETTI, cit., 104.

                                                                 Working Paper Omar Makimov Pallotta
RAe Füßer & Kollegen                                                                 Seite 11 von 83

2.2       I metodi di allocazione delle quote

          Un problema non indifferente sta nello stabilire come distribuire le quote
          tra i beneficiari. Anche in questo caso i metodi principali sono due: “auc-
          tioning” e “grandfathering”; nel primo caso, le quote sono messe all'asta;
          nel secondo caso, esse sono distribuite gratuitamente ai gestori degli im-
          pianti sulla base delle emissioni prodotte negli anni precedenti. General-
          mente, il metodo più utilizzato è quello del grandfathering, che impone al-
          le imprese di acquistare quote soltanto nel caso di mancato rispetto del
          limite di emissioni (rappresentato – nel “cap-and-trade” dal numero totale
          di permessi assegnati, oppure dal superamento del livello di riferimento,
          nel “baseline-and-credit”). Tuttavia, l'assegnazione gratuita non è ben vi-
          sta dalle imprese che iniziano ad operare in un determinato mercato (co-
          siddetti “nuovi entranti”), le quali, per poter avviare l'attività, dovranno
          procurarsi i permessi acquistandoli nelle vendite all'asta, con evidente
          squilibrio concorrenziale16. Per questo motivo, da più parti si è levato il
          grido “more auctioning”, in quanto le aste garantirebbero maggiore equità
          ai nuovi e ai vecchi gestori17. E' bene qui specificare che i sistemi di e-
          missions trading prevedono generalmente “periodi di funzionamento”
          suddivisi poi in “periodi di adempimento” (di solito annuali); al termine di
          ciascun periodo di adempimento, i gestori sono obbligati a restituire
          all'autorità competente, a seguito dei dovuti controlli (vedi infra), un nu-
          mero di quote pari alle emissioni registrate dall'impianto durante il periodo
          in questione (ossia le quote utilizzate “a copertura” delle proprie emissio-
          ni), comprese quelle eventualmente acquistate all'asta, affinché possano
          essere dalla medesima autorità.

2.3       Mercato e controlli

          Il mercato delle quote di emissione è una creazione artificiale ed è carat-
          terizzato da un intervento, più o meno incisivo, dell'autorità pubblica, al
          fine di garantire il buon andamento e la correttezza delle transazioni. In
          un primo momento, gli scambi avvengono bilateralmente e prevedono la
          stesura di un singolo specifico contratto, ma, man mano, grazie alla par-

16    Anche se in dottrina si è specificato che l'utilizzo delle quote assegnate gratuitamente non
      avviene gratuitamente (sic) e dunque non sorgerebbe alcun “vantaggio competitivo” per
      l'impresa che abbia giovato del “grandfathering”. Ciò in virtù del fatto che, potendo
      l'impresa vendere le quote assegnate a titolo gratuito, il loro utilizzo per fini di “copertura”
      delle proprie emissioni costituisce “mancato guadagno” e va sommato ai costi di produzione.
      Cfr. V. JACOMETTI, cit., 115-116.
17    Tale esigenza è stata avvertita dall'Unione Europea, come si può notare dalla lettura
      dell'art.10 bis , par 11, della Direttiva 2003/87/CE come modificata dalla Direttiva
      2009/29/CE.

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RAe Füßer & Kollegen                                                             Seite 12 von 83

         tecipazione degli intermediari finanziari che facilitano l'incontro tra do-
         manda e offerta, si consolida l'utilizzo di condizioni generali di contratto,
         con un evidente risparmio dei costi transattivi. L'intervento dei “market
         makers”, inoltre, proprio perchè funzionale alla generazione di domanda e
         offerta (si pensi alla promozione degli strumenti derivati come “future”
         “forward” o “swap”), contribuisce alla “liquidità” del mercato, scongiu-
         rando un crollo repentino dei prezzi delle quote di emissione. Tale “liquidi-
         tà” è messa tuttavia in pericolo da coloro che agiscono con la finalità di
         abbassare il livello massimo di inquinamento attraverso l'acquisto e il riti-
         ro delle quote dal mercato; il pericolo può giungere anche dall'eccessivo
         livello dell'offerta, che può avere gravi ripercussioni sui prezzi dei per-
         messi. Per questi motivi, è necessario attribuire una certa discrezionalità
         alla pubblica autorità, che deve poter riequilibrare il mercato attraverso
         azioni mirate (ad esempio: immettere nel mercato nuovi permessi attinti
         da una riserva speciale oppure acquistare eccedenze di offerta). Abbiamo
         già descritto l'obbligo che sorge in capo ai gestori di restituire all'autorità
         competente un numero di quote corrispondente alle emissioni prodotte
         nel periodo di adempimento. Tuttavia, per i gestori sarebbe semplice re-
         stituire un numero di quote inferiore al dovuto se non ci fossero dei mec-
         canismi di monitoraggio, segnalazione e verifica dei dati relativi a ciascun
         impianto. Gli obblighi MRV (“Monitoring, Reporting and Verification”) so-
         no infatti tipici di tutti i sistemi di emissions trading e, nel tempo, sono
         stati declinati nelle forme più varie (dalla segnalazione diretta ai rilievi ef-
         fettuati sui bacini idrici). Un efficace sistema di raffronto tra emissioni ef-
         fettive e quote restituite è altresì agevolato dall'instaurazione di registri
         elettronici, che permettono alle autorità competenti di verificare ogni mu-
         tamento della titolarità delle quote senza dubbi sull'attendibilità delle in-
         formazioni. Come intuibile, un sistema di emissions trading non potrebbe
         mai garantire il rispetto dei livelli massimi di inquinamento previsti senza
         un efficace sistema sanzionatorio. I sistemi si dividono, di massima, in
         due modelli: “seller liability” e “buyer liability”; nel primo caso, la respon-
         sabilità per mancato rispetto dei livelli di emissione ricade su colui che ha
         venduto le sue quote sul mercato ad altri gestori: è il modello più diffu-
         so18, in quanto implica sostanzialmente l'assenza di rischio per gli acqui-
         renti di quote, i quali potranno impiegare le quote acquistate a prescinde-
         re dal rispetto o meno dei livelli di emissione da parte dell'alienante. Il se-

18   Previsto già negli Stati Uniti dall'Acid Rain Program del 1990, § 411 Clean Air Act: “The
     owner or operator of every unit or process source...that emits sulfur dioxide...in excess of
     the unit's emissions limitation requirements...shall be liable for the payment of an excess
     emissions penalty”.

                                                                      Working Paper Omar Makimov Pallotta
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         condo modello, al contrario, prevede il sorgere della responsabilità in ca-
         po all'acquirente, il quale non potrà impiegare i permessi nell'ipotesi di
         “sovrainquinamento” imputabile al venditore: ciò determina di certo una
         maggiore rigidità del mercato delle quote, in quanto i prezzi di ciascuna
         transazione saranno subordinati alla potenziale capacità del venditore di
         rispettare i limiti rappresentati dal numero di quote possedute (e tali pro-
         cedure di previsione, dette di “due diligence”, hanno ovviamente costi
         notevoli). Dal lato delle sanzioni in senso stretto, esse possono spaziare
         dalla sanzione pecuniaria19, fino a misure di carattere maggiormente “eti-
         co”, come la pratica del “naming and shaming” (pubblicazione dei nomi
         delle imprese non rispettose dei limiti di emissione), assai temuta dagli
         operatori20 . E' doveroso qui precisare che le sanzioni irrogate per manca-
         to rispetto del tetto di emissione non esimono l'operatore inadempiente
         dall'obbligo di restituzione delle quote, che va in ogni caso rispettato.

19   Anche qui si veda § 411 Clean Air Act: “That penalty shall be calculated on the basis of the
     number of tons emitted in excess of the unit's emissions limitation requirement...multiplied
     by $2.000”
20   Sul potere deterrente di questo tipo di sanzioni, si veda D. M. KAHAN, What do alternative
     sanctions mean?, in University of Chicago Law Review, 1996, 638.

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      II.    Il Sistema Europeo di Scambio di Quote di Emissione: la Direttiva
                                    2003/87/CE

1.    L'emissions trading a livello internazionale:                la    disciplina        prevista
      dall'UNFCCC e dal Protocollo di Kyoto

      Sul piano internazionale, possiamo certamente considerare la “United Na-
      tions Framework Convention on Climate Change” (UNFCCC) come il primo
      strumento avente come preciso obiettivo la lotta alle emissioni inquinanti.
      La “Convenzione quadro”, aperta alla firma durante L'Earth Summit delle
      Nazioni Unite tenutosi a Rio de Janeiro e adottata a New York nel maggio
      del 1992, prevede infatti come obiettivo per gli Stati Parti la “stabilizzazione
      della concentrazione in atmosfera di gas serra, ad un livello tale da prevenire
      pericolose interferenze antropogeniche col sistema climatico”21: un obietti-
      vo, appunto, ma non un obbligo, essendo questi ultimi da definire successi-
      vamente, in seno alle Conferenze delle Parti. Ciononostante, la UNFCCC
      prevede un impegno, pur generico e pur assunto solo dai Paesi “industrializ-
      zati” o con economia di transizione22, a riportare le emissioni di gas serra al
      livello registrato nel 1990 entro il 200023. I primi impegni giuridicamente
      vincolanti, nonché la prima previsione dello scambio di quote di emissione a
      livello internazionale, si stabiliranno a Kyoto, nel 1997 durante la terza Con-
      ferenza delle Parti. Il Protocollo adottato in quell'occasione vincola le Parti
      firmatarie facenti parte dell'elenco di cui all'Allegato I della UNFCCC (dun-
      que anche la Comunità Europea) a ridurre, nel periodo 2008-2012, almeno
      del 5% le emissioni di GHG rispetto ai livelli del 199024, con l'indicazione di
      obiettivi differenziati per ciascun Paese. Per facilitare il raggiungimento di
      tale obiettivo, il Protocollo di Kyoto introduce specifici “meccanismi di fles-
      sibilità” da affiancare agli interventi di abbattimento delle emissioni promos-
      si a livello nazionale da ciascun Paese. Tali meccanismi sono: la “Joint Im-
      plementation” (JI), il “Clean Development Mechanism” (CDM) e, per l'ap-

21   Art. 2 UNFCCC.
22   Allegato I all'UNFCCC.
23   Obiettivo raggiunto, ma solo formalmente. Infatti, la riduzione delle emissioni registrata
     effettivamente nel 2000 tra i Paesi dell'Allegato I era legata al crollo della produzione
     industriale nei paesi dell'ex-URSS. Nel complesso, l'Intergovernamental Panel on Climate
     Change registrò tra il 1990 e il 1994 un'aumento delle emissioni di GHG a livello mondiale
     del 70%.
24   Art.3, par 1, Kyoto Protocol to the United Nations Framework Convention on Climate
     Change.

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      punto, l' “International Emissions Trading” (IET)25. I primi due permettono ai
      Paesi dell'Allegato I alla Convenzione Quadro di elaborare progetti di ridu-
      zione di emissioni in altri Paesi parte all'UNFCCC, in cambio di “unità di ri-
      duzione delle emissioni” (ERU) o “crediti di emissione” (CER). CER ed ERU
      potranno poi essere scambiate nell'ambito dell' “International Emissions
      Trading”, che può essere definito come un sistema internazionale di scam-
      bio di quote di emissione tra i Paesi elencati nell'Allegato I dell'UNFCCC26.
      Tale sistema prevede l'allocazione delle quote (AAUs, “assigned amount u-
      nits”) mediante il metodo del “grandfathering”; I Paesi dell'Allegato I che ri-
      ducono le loro emissioni riuscendo a mantenersi al di sotto del livello previ-
      sto dal Protocollo potranno vendere le AAUs (ma, come detto, anche le ERU
      e le CER derivanti da attività di progetto: vi è rapporto di fungibilità27) ai Pa-
      esi elencati nel medesimo Allegato che trovano difficoltà nel rispettare i vin-
      coli previsti dal Protocollo. In dottrina si sono messi in evidenza i punti de-
      boli del sistema di scambio di quote istituito dal Protocollo di Kyoto28, i quali
      possono essere riassunti nella tendenza all'esclusione dal sistema dei Paesi
      in via di sviluppo, sia direttamente – attraverso la previsione di obblighi giu-
      ridici solo in capo ai Paesi dell'Allegato I – sia indirettamente – a causa del
      metodo di allocazione delle quote (a titolo gratuito sulla base delle emissioni
      pregresse) che penalizza fortemente l'eventuale partecipazione di Paesi in
      via di sviluppo, le cui emissioni pregresse sono ovviamente inferiori a quelle
      dei paesi industrializzati, i quali ora invece crescono (ed emettono) a ritmi
      più bassi. Il Protocollo di Kyoto, inoltre, lascia aperta agli Stati che hanno
      assunto impegni vincolanti la possibilità di adempiere a tali obblighi congiun-
      tamente, attraverso la creazione di “emissions bubbles”29 (bolle di emissio-
      ne): ancora non è del tutto chiaro se tali “bolle” possano essere annoverate
      tra i “meccanismi flessibili”, posto che la “ratio” sembra essere la medesi-
      ma, ma è un dato di fatto che proprio la Comunità Europea, ricompresa tra
      le Parti dell'Allegato I, si è avvalsa di questa opzione. Ci sembra doveroso
      concludere il discorso ricordando che l' “International Emissions Trading”,

25   Rispettivamente, artt. 6, 12 e 17 Kyoto Protocol.
26   Dunque, il sistema di emissions trading internazionale si caratterizza principalmente per i
     soggetti ammessi a scambiare quote, ossia gli Stati, che solo in subordine possono
     ammettere agli scambi anche “legal entities” sotto la responsabilità dei rispettivi governi. A
     tal proposito cfr. S. MARINI, I pollution rights e lo scambio delle quote di emissione,
     disponibile                                                                                 su
     www.dirittoambiente.net/base.php?a=vari_articoli&b=vari&c=&page=22&g=39                e    V.
     JACOMETTI, cit.,159ss.
27   Come stabilito durante la Conferenza delle Parti tenutasi a Marrakech nel Novembre del
     2001.
28   V. JACOMETTI, cit., 164ss.
29   Art.4, par.2, lett. a), Kyoto Protocol.

                                                                        Working Paper Omar Makimov Pallotta
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       come i restanti “meccanismi flessibili” di Kyoto, è subordinato al principio di
       “supplementarietà”; tale principio, la cui inclusione nel testo del Protocollo30
       è stata fortemente caldeggiata dai Paesi in via di sviluppo (sostanzialmente
       ostili ai meccanismi di facilitazione dell'adempimento degli obblighi di ridu-
       zione), prevede che i Paesi di cui all'Allegato I debbano in primo luogo adot-
       tare misure a livello nazionale per rispettare gli obblighi di riduzione assunti
       e dunque ricorrere ai “meccanismi flessibili” solo in via secondaria. Comun-
       que, nonostante la previsione di tale principio, il Protocollo non pone limiti
       espliciti all'utilizzo di JI, CDM e IET al fine di ottemperare agli impegni di ri-
       duzione assunti: è un limite qualitativo, dunque, ma non quantitativo.

2.     L'Emissions Trading Europeo

2.1       Riflessioni e decisioni delle istituzioni europee: tre anni, tre atti.

2.1.1        1999

             L'Unione Europea aveva ormai approvato la “convenzione quadro” del-
             le Nazioni Unite sui cambiamenti climatici da sei anni31 e aveva da po-
             co anche firmato il Protocollo di Kyoto, quando nel maggio del 1999 la
             Commissione ha adottato la Comunicazione “Preparazione per l'attua-
             zione del Protocollo di Kyoto”32. Tale atto viene considerato come il
             “primo passo” verso l'elaborazione di un sistema volto a incentivare la
             riduzione delle emissioni di gas serra all'interno dell'UE; Il Protocollo di
             Kyoto aveva previsto, per i Paesi facenti parte dell'Unione preceden-
             temente al 2004, un obiettivo generale di riduzione di GHG dell'8% ri-
             spetto ai livelli del 1990. Nella Comunicazione di cui sopra, la Com-
             missione mette in luce il ruolo strategico dell'Unione Europea nell'ambi-
             to degli sforzi messi in campo dai singoli Stati membri; nell'Introduzio-
             ne stessa si può leggere: “Per continuare a svolgere il suo ruolo guida,
             l'UE dovrebbe prendere le misure necessarie per permettere alla Co-
             munità e agli Stati Membri di attuare il Protocollo di Kyoto al più pre-
             sto. Così facendo, essa rafforzerà la propria credibilità nei negoziati in-
             ternazionali e inciterà le altre parti a fare altrettanto. (…) Se del caso,
             potrebbe essere istituito un sistema di commercializzazione dei diritti di
             emissione all'interno della Comunità entro il 2005”. E' chiara, insom-
             ma, la strategia perseguita dall'Unione: dopo aver usufruito della pos-

30    Art. 17 Kyoto Protocol.
31    Con Decisione del Consiglio 94/69/CE.
32    COM (1999) 230.

                                                                   Working Paper Omar Makimov Pallotta
RAe Füßer & Kollegen                                                                    Seite 17 von 83

             sibilità di istituire una “European Bubble”33 ai sensi dell'art. 4 del Pro-
             tocollo di Kyoto (ripartendo così l'obbligo di riduzione dell'8% in ma-
             niera differenziata tra gli Stati membri), ora l'Unione intende facilitare il
             raggiungimento di quegli obiettivi attraverso l'istituzione di un sistema
             europeo di scambio di quote di emissione.

2.1.2        2000

             Il passo successivo era stato già annunciato nella suddetta Comunica-
             zione della Commissione: l'adozione di un Libro Verde riguardante le
             implicazioni della commercializzazione dei diritti di emissione nell'UE.
             L'atto viene adottato l'8 marzo del 200034 ed è, in sostanza, una sorta
             di analisi (soprattutto) dei vantaggi economici derivanti dallo scambio
             dei diritti di emissione all'interno dell'Unione; esso si pone poi l'ulterio-
             re obiettivo di avviare una consultazione di tutte le “parti interessate”,
             in modo da avviare un proficuo dibattito sul tema ed eventualmente e-
             laborare uno schema di “emissions trading” che soddisfi il più possibile
             le esigenze degli “stakeholders”. Il Libro Verde mette in luce la chiara
             intenzione dell'UE di coinvolgere le imprese stesse negli impegni as-
             sunti da ciascuno Stato nella Conferenza di Kyoto del 1997: se l' “In-
             ternational Emissions Trading” è un sistema incentrato sugli scambi di
             AAUs tra Stati (salvo partecipazione di “legal entities” sotto la respon-
             sabilità dei governi), nel Libro Verde del 2000 si mettono invece le basi
             per un sistema incentrato sullo scambio di quote di emissione tra priva-
             ti, ossia tra imprese: una sorta di “accollo delle esternalità” da parte
             degli inquinatori35. Alla disamina dei problemi principali posti dall' “e-
             missions trading” europeo seguono una serie di ipotesi relative al mo-
             dello da utilizzare e al relativo campo di applicazione, fino a giungere,
             con l'Allegato I, alla vera e propria analisi economica. Alla luce di
             quest'ultima, se ciascuno Stato avesse deciso di raggiungere autono-
             mamente gli obiettivi di Kyoto (attraverso misure esclusivamente “do-
             mestiche”), il costo che l'UE avrebbe dovuto sopportare per ciascun

33   Attraverso l'accordo politico del Giugno 1998 noto come “Burden Sharing Agreement”
     (BSA), i cui risultati in termini di ripartizione degli oneri si possono trovare nell'Allegato I alla
     Comunicazione COM (1999) 230.
34   Libro verde sullo scambio dei diritti di emissione di gas ad effetto serra all'interno dell'Unione
     Europea, COM(2000) 87.
35   Cfr. nota 9.

                                                                             Working Paper Omar Makimov Pallotta
RAe Füßer & Kollegen                                                                  Seite 18 von 83

              anno sarebbe stato maggiore di cinque volte rispetto a quello che risul-
              terebbe in presenza di un sistema di scambio di quote di emissione36.

2.1.3         2001

              Nel 2001 vengono adottati dalla Commissione tre atti in materia di lot-
              ta ai cambiamenti climatici: all'interno di questo pacchetto (che ricom-
              prende anche una Comunicazione relativa al Programma Europeo sul
              Cambiamento Climatico37 e la proposta di decisione per la ratifica del
              Protocollo di Kyoto – adottata il 2 giugno 2002) troviamo la proposta
              di Direttiva sull' “European Union Emissions Trading Scheme”38, che
              vuole porsi come strumento attuativo del Protocollo di Kyoto da parte
              dell'Unione Europea.

2.2       La Direttiva 2003/87/CE: la disciplina

          La proposta della Commissione viene approvata dal Parlamento Europeo e
          dal Consiglio dell'Unione Europea in data 13 ottobre 2003, avendo le due
          istituzioni raggiunto una “posizione comune” a seguito di non pochi con-
          trasti verificatisi in prima lettura39. Il risultato di tre anni di consultazioni
          con i soggetti maggiormente coinvolti dal problema è la Direttiva
          2003/87/CE, la quale “istituisce un sistema per lo scambio di quote di
          emissioni di gas a effetto serra nella Comunità, al fine di promuovere la
          riduzione di dette emissioni secondo criteri di validità in termini di costi e
          di efficienza economica”40. Dietro queste parole è facile scorgere il timore
          nutrito dall'Unione di eventuali distorsioni della concorrenza causate dal
          funzionamento contemporaneo e mal coordinato di sistemi di emissions
          trading nazionali: in effetti, Danimarca e Regno unito si erano già dotate
          di un loro sistema “interno” di scambio di quote di emissione41. Quindi,
          l'ETS europeo nasce non solo per “farsi trovare pronti” alla scadenza dei

36    Tuttavia, non mancano gli studiosi che considerano il collegamento EU ETS - Protocollo di
      Kyoto a tratti un po' “forzato”, in quanto la disciplina europea tende a porsi su un piano di
      assoluta indipendenza da quest'ultimo. Infatti, l'efficacia del sistema ETS non è subordinata
      all'entrata in vigore del Protocollo ed il sistema è vincolante per gli Stati membri UE a
      prescindere dalla ratifica del Protocollo da un numero sufficiente di Stati firmatari. Cfr. a tal
      proposito F. L. GAMBARO, Emissions Trading tra aspetti pubblicistici e profili privatistici, in
      CeI Eur., 2005, 861.
37    COM (2001) 580.
38    COM (2001) 581.
39    Vedi B. POZZO, La nuova direttiva sullo scambio di quote di emissione: prime osservazioni,
      in Rivista giuridica dell'ambiente, 2004, 01, 11 (i contrasti ebbero ad oggetto principalmente
      l'ambito di applicazione della direttiva e il metodo da seguire per l'assegnazione delle quote).
40    Art. 1 Direttiva 2003/87/CE.
41    Cfr. supra cap. II.

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         periodi di adempimento previsti dal Protocollo di Kyoto (con particolar ri-
         guardo al periodo 2008-201242), ma anche per contenere al massimo co-
         sti ed oneri amministrativi, che lieviterebbero inesorabilmente in presenza
         di sistemi di emissions trading “domestici”. Lo scambio di quote istituito
         dalla Direttiva è obbligatorio a partire dal 1 Gennaio 2005, data a partire
         dalla quale ciascun impianto avrà bisogno di una specifica autorizzazione
         per emettere gas a effetto serra43. Tuttavia, probabilmente proprio in virtù
         di questa tempistica eccessivamente stringente imposta dall'Unione Eu-
         ropea44, l'ambito di applicazione del sistema è abbastanza limitato: lo
         schema si applica, infatti, solo alle emissioni di cui all'allegato II (biossido
         di carbonio, metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocar-
         buri, esafluoro di zolfo) provenienti dalle attività di cui all'Allegato I (atti-
         vità energetiche, produzione e trasformazione di metalli ferrosi, industria
         dei prodotti minerali, impianti destinati alla fabbricazione di pasta per car-
         ta e di carta e cartoni con capacità di produzione superiore alle venti ton-
         nellate al giorno45). La normativa sull'ETS si regge, come più volte detto
         in dottrina46, su due “pilastri”: le autorizzazioni e le quote di emissione.
         Quanto alle prime, abbiamo in parte anticipato che gli impianti coinvolti
         dal sistema i quali intendano operare successivamente al 1 Gennaio 2005
         devono munirsi, appunto, di specifiche autorizzazioni47, rilasciate dall'au-
         torità nazionale competente ai fini dell'attuazione della direttiva a seguito
         di domanda da parte del gestore dell'impianto48; il rilascio è subordinato
         all'accertamento da parte dell'autorità della capacità del gestore di con-
         trollare/comunicare le emissioni e l'autorizzazione in questione può valere
         anche per più impianti gestiti dallo stesso gestore e localizzati nello stes-
         so sito. Quanto alle seconde, esse incorporano il “diritto di emettere una
         tonnellata di “biossido di carbonio equivalente”49 per un periodo determi-
         nato, valido unicamente per rispettare le disposizioni della (…) direttiva e
         cedibile conformemente alla medesima”50; la questione relativa alla natura
         giuridica delle quote di emissione sarà successivamente oggetto di anali-
         si. Bisogna ora comprendere chi stabilisca il numero di quote da assegna-

42   Art. 3, par. 1, Kyoto Protocol.
43   Art. 4 Direttiva 2003/87/CE.
44   Le cui conseguenze saranno più avanti discusse ed analizzate.
45   Rimandiamo al medesimo Allegato I della direttiva 2003/87/CE per una descrizione
     maggiormente dettagliata delle attività rientranti nell'ambito di applicazione della stessa.
46   Cfr., tra gli altri, V. JACOMETTI, cit., 196ss.
47   Il cui contenuto in dettaglio è descritto dall' art. 6 Direttiva 2003/87/CE.
48   E' il “principio del divieto salvo autorizzazione”, cfr. M. CLARICH, cit., 228-229.
49   Per la definizione, vedi art. 3, lett. j), Direttiva 2003/87/CE.
50   Art. 3, lett a), Direttiva 2003/87/CE.

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         re agli impianti di ciascuno Stato membro e come tali quote vengono rila-
         sciate. A tal proposito, la Direttiva 2003/87/CE prevede che ciascuno
         Stato Membro debba predisporre un Piano Nazionale di Assegnazione
         (PNA) che “determina le quote totali di emissione che intenda assegnare
         per tale periodo...” (che costituirà il cosiddetto “cap”, ossia il tetto mas-
         simo generale di emissioni) “...e le modalità di tale assegnazione”51. I
         PNA dovranno poi essere notificati alla Commissione UE, la quale potrà
         respingerli nel caso di incompatibilità degli stessi con le norme relative al
         metodo di assegnazione delle quote o con i criteri di cui all'Allegato III52;
         non si potrà dunque procedere con l'assegnazione senza l'approvazione
         definitiva del PNA da parte della Commissione. E' doveroso qui specifica-
         re che la Direttiva 2009/29/CE, recante modifiche alla Direttiva
         2003/87/CE, prevede che dal 2013 sarà la Commissione Europea a stabi-
         lire il quantitativo di quote da rilasciare per tutta l'Unione53: dall'anno in
         corso, di conseguenza, gli Stati membri non dovranno più predisporre i
         Piani Nazionali di Assegnazione. Per quanto concerne il metodo di asse-
         gnazione, la Direttiva del 2003 prevede che per il triennio 2005-2007
         siano assegnate col metodo “grandfathering” almeno il 95% delle quote,
         mentre è stabilito che per il quinquennio successivo la percentuale dimi-
         nuisca al 90%54. Per ogni anno “l'autorità competente rilascia una parte
         delle quote totali di emissioni entro il 28 febbraio di tale anno”55. Ora,
         una volta assegnate le quote, può partire il mercato di scambio comunita-
         rio, le cui dinamiche di funzionamento possono essere ricondotte (al di là
         delle specifiche peculiarità dell'ETS europeo) a quelle descritte nel primo
         capitolo. La Direttiva 2003/87/CE prevede che le quote possano essere
         trasferite “tra persone all'interno della Comunità” o “tra persone all'inter-
         no della Comunità e persone nei paesi terzi, quando tali quote sono rico-
         nosciute conformemente alla procedura dell'articolo 25” e impone agli
         Stati membri di prevedere l'obbligo, in capo ai gestori, di restituire entro il
         30 aprile di ogni anno “un numero di quote di emissioni pari alle emissioni
         totali di tale impianto nel corso dell'anno civile precedente” e che tali
         quote “vengano successivamente cancellate”56. Già si è avuto modo di

51   Art. 9, par. 1, Direttiva 2003/87/CE.
52   Art. 9, par. 3, Direttiva 2003/87/CE.
53   Art. 9, Direttiva 2009/29/CE.
54   Art. 10, Direttiva 2003/87/CE. Anche in merito al metodo di assegnazione, la Direttiva
     2009/29/CE prevede delle consistenti novità, che si traducono in un aumento delle quote
     assegnate mediante “auctioning”, fino alla graduale eliminazione dell'assegnazione a titolo
     gratuito. In merito, si vedano gli artt. 10 ss Direttiva 2009/29/CE.
55   Art. 11, par 4, Direttiva 2003/87/CE.
56   Art. 12, par. 1 e 3, Direttiva 2003/87/CE.

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         trattare l'argomento MRV (“Monitoring, Reporting and Verification”), che
         gioca nell'ETS europeo un ruolo particolarmente importante. Infatti, ben
         due Allegati57 sono dedicati all'argomento. Per quanto concerne il monito-
         raggio, la Direttiva prevede norme dettagliate in merito al calcolo delle
         emissioni e alle misurazioni. Quanto alle comunicazioni, sono elencate le
         informazioni che ciascuna comunicazione deve presentare, con la clauso-
         la che lascia spazio agli Stati membri per coordinare le disposizioni
         dell'Allegato IV con eventuali altre disposizioni esistenti in materia (al fine
         di ridurre al minimo gli oneri di comunicazione che le imprese dovranno
         sopportare). E' previsto che, a conclusione di ciascun anno solare, il ge-
         store dell'impianto notifichi le emissioni all'autorità competente. Infine, in
         merito alla verifica delle emissioni (corrispondenza tra dati dichiarati ed
         emissioni effettive), la Direttiva specifica che tale operazione debba esse-
         re svolta da una persona “indipendente rispetto al gestore” e che abbia
         conoscenza della normativa comunitaria ed interna, nonché di tutte le in-
         formazioni relative alle singole fonti di emissione dell'impianto; tale “per-
         sona” può essere un ispettore indipendente, ma anche la medesima auto-
         rità competente, in base a quanto deciderà lo Stato membro58. La verifica
         “deve riguardare l'affidabilità, la credibilità e la precisione dei sistemi di
         monitoraggio e dei dati e delle informazioni presentati” e prevede un'ana-
         lisi strategica, un'analisi dei processi, un'analisi dei rischi e un rapporto
         finale59. Se la comunicazione delle emissioni, sottoposta a verifica, non
         rispetta i criteri dell'Allegato V alla Direttiva 2003/87/CE, gli Stati membri
         provvedono affinché il gestore non possa trasferire altre quote fin quando
         la sua comunicazione non sarà considerata conforme60. Altro aspetto im-
         portante di ogni sistema di emissions trading è l'istituzione di registri che
         assicurino una corretta contabilizzazione dei “movimenti” delle quote di
         emissione (possesso, trasferimento, cancellazione...), in modo da garanti-
         re altresì il principio di trasparenza, che è esplicitamente alla base dei
         Piani Nazionali di Assegnazione, ad esempio61. La Direttiva del 2003 pre-
         vede che “gli Stati Membri provvedano ad istituire e conservare un regi-
         stro” e che “qualsiasi persona può possedere quote di emissione...il regi-

57   Allegato IV (principi in materia di controllo e comunicazione) e Allegato V (criteri applicabili
     alla verifica) alla Direttiva 2003/87/CE.
58   V. JACOMETTI, cit., 217.
59   Per i dettagli, si rinvia all'Allegato V alla Direttiva 2003/87/CE.
60   Art. 15 Direttiva 2003/87/CE, oggi modificata dalla Direttiva 2009/29/CE, che aggiunge
     all'articolo due paragrafi relativi all'adozione entro il 2011, da parte della Commissione, di un
     regolamento per la verifica delle comunicazioni delle emissioni e per l'accreditamento e la
     supervisione dei verificatori.
61   “...Il piano si fonda su criteri obiettivi e trasparenti...”, art. 9, par. 1, Direttiva 2003/87/CE.

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