EDGAR ALLAN POE HOP-FROG - Traduzione di Delfino Cinelli - Indice

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EDGAR ALLAN POE HOP-FROG - Traduzione di Delfino Cinelli - Indice
EDGAR ALLAN POE

                  HOP-FROG

         Traduzione di Delfino Cinelli

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EDGAR ALLAN POE HOP-FROG - Traduzione di Delfino Cinelli - Indice
Copyright

                                                     Hop-Frog

                                            di Edgar Allan Poe

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EDGAR ALLAN POE HOP-FROG - Traduzione di Delfino Cinelli - Indice
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  Il Racconto

  Hop-Frog – Versione Illustrata e annotata

  Anni 80: Il Decennio d'Oro del Cinema Horror

  Eloise e La Contessa Sanguinaria

  Il Mistero del Pastore d'Erma e della Lettera di Barnaba

  La Cimiteriale

  La storia del cinema horror dalle origini agli anni settanta

  Le Impudiche Vampire di Jean Rollin

  Venticinque film per sopravvivere ai morti viventi

  Mircalla, l’Amante Immortale

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EDGAR ALLAN POE HOP-FROG - Traduzione di Delfino Cinelli - Indice
Il Racconto

   Non ho conosciuto mai nessuno che più del re fosse portato alla beffa. Pareva non vivesse
che per scherzare. Il modo più sicuro per ottenere i suoi favori era di narrare una storia buffa e
raccontarla bene.

   Così avvenne che i suoi sette ministri si distinguevano tutti per i loro talenti di buffone, e
non erano da meno del re tanto nell’adiposa corpulenza del fisico quanto nell’attitudine
impareggiabile agli scherzi.

   Se la gente ingrassi con le buffonate, e se nel grasso sia qualcosa che predispone alla
buffonata, non sono mai riuscito a determinare; sta di fatto però che un buffone magro è “rara
avis in terris”.

   Delle finezze, di questi “spettri” dello spirito, come lui le chiamava, il re si dava poca cura.
Aveva una speciale ammirazione per la “larghezza” della facezia e per amore di questa digeriva
spesso anche la “lunghezza”.

   Le delicatezze lo annoiavano. Avrebbe preferito il Gargantua di Rabelais allo Zadig di
Voltaire; d’altra parte, meglio degli scherzi a parole, si addicevano al suo gusto le beffe in
azione.

   Al tempo di questo racconto i buffoni di professione non erano del tutto passati di moda alle
corti. Varie fra le grandi potenze del continente tenevano ancora di questi “buffoni” che
portavano livrea di toppe e il berretto a sonagli e dovevano esser sempre pronti con le loro
spiritosaggini a pagarsi le briciole largite dalla tavola reale.

   Il nostro re, naturalmente, aveva anche lui il suo buffone. Gli occorreva invero qualche cosa
di un po’ pazzesco che lo compensasse, se non altro, della pesante saggezza dei sette savi che
gli facevano da ministri, per non parlare poi della propria.

   Il suo buffone però non era soltanto un buffone; agli occhi del re il suo valore era triplicato
dal fatto che era anche nano e zoppo. Allora a corte i nani erano comuni quanto i buffoni, e
molti monarchi non avrebbero saputo come passare la loro giornata (le giornate son più lunghe
alla corte che altrove), senza un buffone per farli ridere e un nano per riderne.

   Ma, come ho già detto, novantanove volte su cento, i buffoni sono grossi, grassi e massicci,
di modo che non era piccolo motivo di soddisfazione per il nostro re di possedere in Hop-Frog
(ché così si chiamava il buffone), un triplice tesoro in una persona sola.

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EDGAR ALLAN POE HOP-FROG - Traduzione di Delfino Cinelli - Indice
Credo che il nome di Hop-Frog non fosse quello imposto al nano dai suoi padroni all’atto del
battesimo, ma che piuttosto gli fosse stato conferito all’unanimità dai sette ministri, perché
non poteva camminare come gli altri uomini.

  Effettivamente, Hop-Frog, non poteva muoversi che con una specie d’andatura a sbalzi –
qualcosa tra il salto e la giravolta – movimento che per il re era una ricreazione perpetua, e
anche una gran consolazione, perché (nonostante la pancia sporgente e un gonfiore
costituzionale della testa) agli occhi di tutta la corte il re aveva un gran bel personale.

  Ma quantunque Hop-Frog, a motivo delle gambe storte, non potesse muoversi che a gran
fatica per la via o su un pavimento, la prodigiosa forza muscolare delle braccia che la natura,
per compensare la deficienza dei suoi arti inferiori, gli aveva concesso, lo rendeva capace di
atti di meravigliosa destrezza quando si trattava di arrampicarsi sugli alberi, cordami o
qualunque altra cosa. In quegli esercizi, piuttosto che un ranocchio, pareva uno scoiattolo o
uno scimmiotto.

  Di che paese fosse oriundo non so dire con precisione. Era però di qualche regione barbara,
di cui nessuno aveva mai sentito parlare, a grande distanza dalla corte del nostro re.

  Hop-Frog e una giovanetta appena meno nana di lui (ma squisitamente proporzionata e
ballerina eccellente) erano stati rapiti con la forza dalle loro case nelle provincie limitrofe e
mandati in regalo al re da uno dei suoi generali favoriti dalla vittoria.

  Date tali circostanze non c’è dunque da stupirsi se fra i due piccoli prigionieri si stringesse
una grande intimità. Ben presto divennero infatti amici per la vita. Hop-Frog, malgrado le sue
buffonate, era inviso alla gente, e quindi non poteva rendersi molto utile a Trippetta; ma lei,
con la sua grazia e la sua squisita bellezza di nana, era universalmente ammirata e benvoluta;
aveva quindi molta influenza e non mancava mai di servirsene, in ogni occasione, per giovare
all’amico.

  In occasione di una grande solennità – non ricordo quale – il re decise di dare un ballo in
maschera; e ogni volta che aveva luogo alla corte una mascherata o altra cosa del genere, non
si mancava di ricorrere al talento di Hop-Frog e di Trippetta.

  Hop-Frog, specialmente, era così ricco d’inventiva in materia di pompa, nel suggerire tipi
nuovi e nell’apparecchiare travestimenti per i balli in maschera, che pareva proprio non si
potesse far niente senza di lui.

  Era la notte designata per la festa. Una magnifica sala era stata decorata, sotto la direzione
di Trippetta, senza trascurare nessun artifizio che potesse dar lustro alla mascherata. Tutta la
corte era in preda alla febbre dell’attesa.

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In quanto ai costumi e ai travestimenti, come si può ben supporre, ognuno aveva già fatto
la sua scelta. Molti avevano deciso fin da una settimana e anche da un mese prima riguardo ai
rôles che dovevano assumersi; non c’era, insomma, più alcuna indecisione salvo che nel caso
del re e dei suoi sette ministri.

   Perché indugiassero costoro non saprei dire davvero, a meno che non fosse per fare uno
scherzo. Ma più probabilmente non riuscivano a decidersi per motivo della loro corpulenza.
Comunque, il tempo volava, e, per ultima risorsa, il re ordinò di chiamare Trippetta e Hop-
Frog.

   Quando i due piccoli amici obbedirono all’ordine del sovrano lo trovarono a tavola, a bere
vino coi sette ministri del consiglio; ma pareva di cattivo umore.

   Il re sapeva che a Hop-Frog non piaceva bere; infatti il vino eccitava il povero zoppo sino
alla follia, e la follia non è una condizione piacevole. Ma il re amava questo genere di scherzi e
se la godeva di obbligare Hop-Frog a bere, e, come lui diceva, “a essere allegro”.

   «Vieni qua, Hop-Frog,» fece il monarca appena vide entrar nella stanza il buffone con la sua
amica «manda giù questa coppa alla salute dei nostri amici assenti» qui Hop-Frog tirò un
sospiro «e dacci i lumi della tua immaginazione. Abbiamo bisogno di tipi, di caratteri, di
qualche cosa di nuovo, di straordinario. Siamo stanchi di questa eterna monotonia. Vieni, bevi!
Il vino rischiarerà il tuo genio.»

   Hop-Frog tentò, come al solito, di rispondere con una spiritosaggine alla proposta del re; ma
lo sforzo fu eccessivo. Per l’appunto era l’anniversario della nascita del povero nano, e l’ordine
di bere alla salute dei suoi amici assenti gli fece venire le lacrime agli occhi. Grosse gocce
amare caddero nella coppa ch’egli riceveva umilmente dalla mano del tiranno.

   «Ah! ah! ah!» ruggì quest’ultimo mentre il nano la vuotava con nausea. «Guarda quello che
può fare un bicchiere di vino! Guarda un po’, ti brillano gli occhi di già!»

   Disgraziato! I suoi grandi occhi, piuttosto che brillare, scintillavano: l’effetto del vino nel suo
cervello facilmente eccitabile era non meno sollecito che potente, e, posata nervosamente la
coppa sulla tavola, egli volse sugli astanti uno sguardo stravolto, da matto. Sembrava che lo
scherzo del re divertisse tutti quanto mai.

   «E adesso, al lavoro» disse il primo ministro, un uomo grassissimo.

   «Sì,» disse il re «avanti, Hop-Frog, aiutateci! Tipi, mio bravo ragazzo, caratteri! Abbiamo
bisogno di caratteri! Tutti ne abbiamo bisogno! ah! ah! ah!»

   E poiché questa voleva seriamente essere una spiritosaggine, tutti e sette i ministri fecero
eco alle risate reali. Anche Hop-Frog rise, ma d’un riso debole e distratto.

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«Avanti, dunque!» esclamò il re impazientito. «Non hai nulla da suggerire?»

   «Cerco qualche cosa di nuovo» rispose il nano con aria smarrita; il vino lo aveva
scombussolato del tutto.

   «Cerchi?!» esclamò furioso il tiranno. «Che vuoi dire? Ah! comprendo! Tu mi tieni il broncio,
vuoi dell’altro vino. Prendi, bevi anche questo!» e riempito un altro grande bicchiere lo porse
all’infelice che si contentò di guardarlo cercando il respiro.

   «Bevi, ti dico!» urlò il tiranno. «O per tutti i diavoli!...»

   Il nano esitava; il monarca diventava rosso dalla rabbia, i cortigiani ghignavano. Trippetta,
pallida come una morta, si avanzò sino al seggio del re, e, inginocchiataglisi dinanzi, lo
supplicò di risparmiare il suo amico.

   Il tiranno la guardò per alcuni momenti, stupito di tanto ardire. Pareva non sapesse che fare
o dire, in qual maniera manifestare la sua indignazione. Alla fine, senza dire una parola, la
respinse violentemente lanciandole in faccia il contenuto del bicchiere, che era colmo sino
all’orlo.

   La poveretta si rialzò come meglio poté, e, trattenendo il respiro, tornò al suo posto ai piedi
della tavola

   Per mezzo minuto regnò un silenzio di morte; si sarebbe udita cadere una piuma. Poi,
d’improvviso, si udì un suono sordo, rauco e lungo, che parve scaturire da tutti gli angoli
insieme della sala.

   «Che ti succede? Perché fai questo rumore?» domandò il sovrano, rivolgendosi furioso al
nano.

   Questi sembrava essersi in buona parte rimesso dalla sua ebrietà. Guardando fisso e calmo
in volto il tiranno, rispose semplicemente:

   «Io? Io? Come potrei essere stato io?»

   «Il suono sembrava venire dal di fuori,» osservò uno dei cortigiani «forse è il pappagallo che
si arrota il becco ai ferri della gabbia.»

   «È vero,» soggiunse il re, che parve sollevato dal suggerimento «ma in fede di cavaliere,
avrei giurato che questo mariolo digrignava i denti.»

   Il nano si mise a ridere (il re era troppo burlone per avere da obbiettare qualcosa sul riso di
qualcuno) e scoprì una fila di denti, grossi, forti e disgustosi. Per di più dichiarò di essere
pronto a bere quanto vino si voleva. Il re si calmò e Hop-Frog, bevuto un altro bicchiere senza
notevoli inconvenienti, entrò subito e calorosamente nel tema della mascherata.

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«Non riesco a capire» osservò tranquillamente come se non avesse mai bevuto vino in vita
sua «perché mi sia venuta questa associazione d’idee, ma ecco... appena la maestà vostra
ebbe colpito la piccola e le ebbe gettato il vino sul viso, voglio dire nel momento preciso in cui
il pappagallo faceva quello strano rumore fuori della finestra, mi si è presentato alla mente il
ricordo di un magnifico divertimento, un gioco che si fa al mio paese durante le mascherate;
ma che qui riuscirà assolutamente nuovo. Purtroppo però necessita una compagnia di otto
persone e...»

   «Eccoci!» esclamò il re ridendo della sua sottile scoperta. «Otto per l’appunto, io e i miei
ministri. Ebbene, cos’è questo divertimento?»

   «Noi lo chiamiamo» rispose il nano «gli Otto Orang-utang incatenati ed è proprio un bel
gioco quando riesce fatto bene.»

   «Lo faremo noi» disse il re mettendo fuori il petto e abbassando le palpebre.

   «La bellezza del gioco» continuò Hop-Frog «consiste nello spavento che mette alle signore.»

   «Benissimo!» urlarono in coro il sovrano e i suoi ministri.

   «Io vi vestirò da orang-utang,» continuò il nano «fidatevi completamente di me. La
somiglianza sarà tale, che tutte le maschere vi crederanno veri animali, e naturalmente il loro
spavento sarà pari alla meraviglia.»

   «Ah! che bello!» esclamò il re. «Hop-Frog, farò un uomo di te.»

   «Le catene servono ad aumentare la confusione e il rumore. Si suppone che siate fuggiti in
massa da un serraglio. La Maestà Vostra non si può figurare l’effetto prodotto in un ballo in
maschera dall’apparizione di otto orang-utang incatenati che, presi da quasi tutti i presenti per
bestie vere, si precipitino con urli selvaggi attraverso una folla di cavalieri e dame vestiti con
eleganza e ricchezza. Il contrasto è inimitabile.»

   «Per forza» disse il re, e la seduta si sciolse in fretta (poiché era già tardi) per mettere in
esecuzione il piano di Hop-Frog.

   Il suo modo di travestire gli otto personaggi da orang-utang fu semplicissimo, ma
rispondente agli scopi ch’egli si prefiggeva. All’epoca del mio racconto, animali di quella specie
se n’erano veduti di rado nel mondo civile; e poiché le imitazioni fatte dal nano riuscirono
sufficientemente bestiali e più orribili del necessario, la loro somiglianza col vero fu ritenuta
sufficiente.

   Il re e i suoi ministri indossarono prima di tutto camicie e calzoni di maglia aderenti, questi
vennero quindi cosparsi di catrame. Uno dei ministri suggerì allora di coprirsi di piume: ma il

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nano rigettò subito l’idea e non gli fu difficile convincere gli otto personaggi con una
dimostrazione oculare che il pelo dell’orang-utang riusciva meglio rappresentato col lino.

  Si prese dunque del lino e se ne cosparse, per uno spesso strato, il catrame. Procurata poi
una lunga catena la si passò dapprima e ribadì intorno alla vita del re, poi intorno alla vita di
un secondo personaggio e via di seguito per tutti gli altri, fino all’ultimo.

  Incatenati che furono gli otto personaggi si allontanarono per quanto era possibile l’uno
dall’altro, in modo da formare un circolo; e per rendere il gioco più verosimile Hop-Frog fece
passare il rimanente della catena attraverso il circolo in due diametri ad angolo retto, secondo
il metodo adottato a Borneo da coloro che catturano scimpanzè o altre grosse scimmie.

  L’enorme sala dove stava per aver luogo il ballo, era rotonda, molto alta, e riceveva la luce
del giorno da una sola finestra praticata nel soffitto. La notte (questa sala era stata costruita
appunto per la notte) veniva illuminata principalmente da una grande lumiera che, sospesa con
una catena al centro del soffitto, si alzava e abbassava per mezzo del solito contrappeso il
quale però, per motivi di estetica, passava fuori della cupola e, di là, sul tetto.

  L’addobbo della sala era stato affidato alla direzione di Trippetta; ma sembra che in qualche
particolare essa si fosse lasciata guidare dal giudizio più posato del suo amico, il nano. Fu
dietro suggerimento di quest’ultimo che, per quella occasione, venne tolta la lumiera.

  Le colature della cera (che si sarebbe inevitabilmente liquefatta nella calda atmosfera del
ballo) avrebbero gravemente danneggiato i ricchi costumi degli invitati, parte dei quali,
essendo la sala affollata, non avrebbero potuto evitare di trattenersi al centro, cioè sotto il
lampadario.

  Vennero installati altri candelabri in varii punti della sala, fuori del passo; e una torcia che
mandava un grato profumo, fu collocata nella destra di ognuna delle cariatidi, che stavano a
ridosso delle pareti, cinquanta o sessanta in tutto.

  Gli otto orang-utang, prendendo consiglio da Hop-Frog, aspettarono pazientemente che la
sala, con la mezzanotte, fosse completamente piena di maschere, per fare il loro ingresso.
Quando l’orologio ebbe finito di suonare l’ultimo tocco, essi si precipitarono, o piuttosto
rotolarono nella sala, perché l’impaccio delle catene li fece tutti inciampare e i più cadere nel
mentre varcavano la soglia.

  La sensazione fra le maschere fu prodigiosa e tale da riempire di contentezza il cuore del re.
Come supposto, non furono pochi fra gli invitati a prendere quegli esseri di così feroce aspetto
per bestie vere, se non proprio per orang-utang.

  Molte donne svennero dallo spavento; e se il re non avesse avuto la precauzione di proibire
tutte le armi, lui e la sua banda avrebbero potuto pagare col sangue lo scherzo. Insomma fu

  Indice
una corsa, un fuggi-fuggi generale verso le porte; ma il re aveva dato ordine di chiuderle
subito dopo il suo ingresso, e, secondo il suggerimento del nano, le chiavi erano state
consegnate a questi.

   Quando il tumulto fu giunto al culmine, mentre ogni maschera non pensava che alla propria
salvezza (e un pericolo c’era, in realtà, costituito dal premere della folla eccitata) si poté
vedere la catena che serviva a tener sospeso il lampadario, e che era stata ritirata anch’essa,
discendere gradatamente sinché la sua estremità, ricurva ad uncino, non fu arrivata a tre piedi
dal suolo.

   Poco dopo, il re e i suoi sette amici, avendo scorrazzato in tutte le direzioni per la sala, si
trovarono finalmente al centro e di conseguenza in contatto immediato colla catena. Allora il
nano, il quale era stato sempre loro dietro, incitandoli a mantenere viva la confusione, afferrò
la catena delle scimmie al punto d’incrocio delle due parti che tagliavano il circolo
diametralmente ad angolo retto, e, con la rapidità del pensiero, vi infilò l’uncino che serviva di
solito a sostenere il lampadario.

   In un istante, tirata da un agente invisibile, la catena del lampadario risalì abbastanza in
alto per metter l’uncino fuor di portata e naturalmente tirò gli orang-utang tutti insieme, gli
uni, faccia a faccia, contro gli altri.

   Intanto le maschere s’erano andate rimettendo dalla paura; e, incominciando a prender la
cosa per uno scherzo abilmente preparato, diedero in un grande scoppio di riso al vedere la
brutta posizione delle scimmie.

   «Lasciateli a me!» gridò allora Hop-Frog, e la sua voce stridula dominava il tumulto.
«Lasciateli a me. Li conosco; li conosco. Se riesco ad osservarli bene, ve lo dirò io chi sono.»

   Aiutandosi con le mani e coi piedi, egli si trascinò sino a una parete, e afferrata una fiaccola
da una cariatide, ritornò nello stesso modo al centro della sala; saltò con l’agilità di una
scimmia sul capo del re, di lì si arrampicò qualche piede su per la catena, e abbassata la torcia
ad esaminare il gruppo degli orang-utang, gridava:

   «Lo scoprirò io chi sono!».

   D’improvviso allora, mentre tutti gli astanti (le scimmie comprese) si tenevano i fianchi dal
ridere, il buffone mandò un fischio acuto; la catena si alzò rapidamente d’una trentina di piedi,
traendo seco gli orang-utang spaventati, che si dibattevano, e lasciandoli così sospesi per aria,
a metà strada fra il pavimento e il soffitto.

   Hop-Frog, aggrappato alla catena, conservava la sua distanza dalle otto maschere e
continuava ad abbassare su di loro la torcia, come per cercare di vedere chi erano.

   Indice
Tanto fu lo stupore della folla a questa ascensione, che si produsse un silenzio mortale della
durata di circa un minuto. Il silenzio venne poi rotto da un suono sordo, rauco, stridente,
esattamente simile a quello che aveva attirato l’attenzione del re e dei consiglieri, quando fu
gettato il vino in faccia a Trippetta.

   Ma ora non era necessario cercare da dove quel suono partisse: usciva dalle zanne del
buffone che le stringeva e digrignava nella bocca schiumante mentre con gli occhi accesi di una
rabbia folle fissava le facce rivolte in su del re e dei suoi sette compagni.

   «Ah! Ah!» esclamò alla fine il buffone infuriato. «Ora comincio a vedere chi sono!»

   E col pretesto di esaminare il re da più vicino, toccò con la torcia il lino che lo ricopriva e che
d’un tratto fu tutto una fiamma. In meno di mezzo minuto gli otto scimmioni vennero avvolti
dalle fiamme furiose, tra le grida della folla che li guardava di sotto inorridita e impotente a
recar loro il minimo aiuto.

   Alzatesi poi ancora le fiamme con crescente violenza, il buffone fu obbligato ad arrampicarsi
più in alto sulla catena, fuori della loro portata; e nel mentre faceva questo movimento, la folla
ricadeva un attimo nel silenzio. Il nano colse l’occasione per parlare.

   «Ora» disse «vedo chiaramente che razza di gente sono queste maschere. Sono un gran re
e i suoi sette consiglieri privati; un re che non si fa scrupolo di colpire una ragazza senza
difesa, e i suoi sette ministri che lo assistono nell’oltraggio. Io, poi, sono semplicemente Hop-
Frog il buffone, e questa è la mia ultima buffonata!»

   Il nano aveva appena terminato il suo breve discorso che la vendetta, grazie alla grande
combustibilità del lino e del catrame al quale questo aderiva, era compiuta. Gli otto cadaveri
dondolavano dalla catena, in una orribile massa confusa, fetida e nera. Il nano scaraventò loro
addosso la torcia, si arrampicò piano piano sino al soffitto e disparve attraverso il lucernario.

   Si suppone che Trippetta, di guardia sul tetto della sala, sia stata complice del nano nella
sua selvaggia vendetta e che in seguito siano entrambi fuggiti al loro paese, poiché non furono
veduti mai più.

   Indice
Hop-Frog – Versione Illustrata e annotata

Sinossi
  Questo racconto è nel pubblico dominio ed allora perchè comprarlo? Prima ragione è
illustrato con splendide illustrazioni. Poi è commentato. Ed infine il prezzo irrisorio che invoglia
ad averlo sul proprio tablet.

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Dettagli prodotto
   Formato: Formato Kindle
   Dimensioni file: 647 KB
   Venduto da: Amazon Media EU S.à r.l.
   Lingua: Italiano
   ASIN: B00D9FPNPK

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Anni 80: Il Decennio d'Oro del Cinema Horror

  Descrizione prodotto

  Sinossi

  Un modo nuovo di concepire il libro elettronico. Speciale formattazione del testo,
massima interscambiabilità con il mondo esterno. Il presente libro nasce come
tentativo di sintetico catalogo ragionato del cinema horror degli anni 80 compiuto da
uno spettatore che nel 1980 aveva cinque anni e nel 1990 quindici, quindi uno spettatore
fortemente influenzabile e che, pertanto, risente, nei giudizi, delle proprie memorie di
giovane testimone, delle paure e delle inquietudini che le tematiche horror gli
trasmettevano. L'approccio ai film avviene pertanto su basi fortemente affettive e
nostalgiche. L'angolo di prospettiva seguito, è francamente unilaterale: non si è voluto
rifare qui una storia generale ed approfondita del cinema horror dal 1980 al 1990, ma
verificare l'influenza diretta delle varie tematiche sulla produzione internazionale, le
imitazioni del passato e gli indirizzi e le nuove mete indicate dai maestri quali Tobe
Hooper, Wes Craven, Kubrick, Carpenter, ect. ect.. Così analizzando le varie tematiche e
le piccole o grandi ideologie che esse trasmettono potremo ritrovare alcuni tratti tipici di
fortunatissimi filoni quali Halloween, Venerdì 13, solo per citare i più importanti. Il libro è
stato concepito per l’editoria elettronica è come tale ha delle peculiarità che il libro
cartaceo non ha. La principale è quella della interattività. Non indispensabile ma
opportuna. Disponendo di una connessione internet sul proprio lettore di ebook sarà

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possibile collegarsi direttamente tramite i links interni, ad esempio, a Wikipedia potendo
così consultare una scheda approfondita del film e del suo regista. Inoltre il libro viene
fornito in una nuova concezione di formattazione tipografica che pone in grassetto
tutte quelle parole di maggior rilievo ai fini della lettura facendo in modo che esse si
imprimano nella mente del lettore facilitandogli la comprensione della frase. Il libro è
suddiviso nei seguenti capitoli: L'Horror negli anni 80 - Narrazione e Stile Visivo
dell'Horror Movie - Introduzione ai Maestri - Case maledette, demoniache, infestate -
La Carne e Il Sangue - Killer Killer - Maniaci Omicidi - Fantahorror: Fantascienza e
Orrore - Zona King - Film Inclassificabili o quasi - Serialità e Teenagers!!

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Eloise e La Contessa Sanguinaria

  Descrizione prodotto

  Sinossi

  Il racconto che vi presentiamo è una storia d'amore e di morte che si svolge nel tetro
castello della Contessa Bathory, figura realmente esistita, la quale, nella convinzione che
facendo il bagno in una vasca piena di sangue di fanciulle vergini, ringiovanisse, uccise ben
650 fanciulle. E' la storia di Eloise che, innamoratasi della contessa e contraccambiata,
precipita in un abisso senza fine. Lo scritto è un libero adattamento del racconto La
Speranza (La torture par l’espérance) di Villiers de l’Isle-Adam, uno scrittore
romantico alla maniera retorica dei francesi e risente degli influssi di di H.P.Lovecraft e
di Alphonse Momas. Il libro è interattivo, riccamente illustrato e contiene al suo
interno la possibilità di scaricarsi gratuitamente ben quattro e-book: due all’inizio del
libro, scaricabili anche dall’anteprima di Amazon e gli altri due, solo per coloro che acquistano
l’e-book, alla fine del libro. Gli e-books sono: La Porta dei Sogni – Catalogo di
Letteratura Erotica, una valutazione del Portfolio Glamour – Le Attrici di Jean Rollin.
Il Portfolio Glamour – Le Attrici di Jean Rollin fa valutare l’acquisto dell’e-book Le
Impudiche Vampire di Jean Rollin. Alla fine dell’e-book è possibile scaricarsi due opere
complete: Erzsébet Bathory, Pdf di 55 pagine che illustra la vita di Erzsébet Bathory e
dei film girati sul suo personaggio. L’e-book è riccamente illustrato con tutte le scene

  Indice
proibite tratte dai film, film di cui si riporta anche Cast, Trama e Critica, nonché la
Filmografia sulla Contessa Sanguinaria. Altro e-book in omaggio: La Rose de Fer di
Jean Rollin, PDF di circa 20 pagine, analisi di uno dei film più erotici del regista
francese, riccamente illustrato. Al fine di far valutare lo stile di scrittura si riporta:

  L’Incipit del racconto:

  “Poco prima che Erzsébet l’avesse mandata a chiamare, aveva pensato che Dio
misericordioso, se esisteva, la doveva proteggere in quelle ore in cui né la forza della volontà,
né l’oblio delle droghe, la potevano tenere lontana dall'abisso della perdizione. Aveva sempre
saputo che la morte è generosa perché da essa non c'è ritorno, ma chi come lei, emergeva,
esangue e carica di memorie, dalle cavità della notte, dai meandri dei sotterranei gementi di
dolore, non avrebbe avuto più pace. Che stupida era stata a voler conoscere con tanta
incoscienza il piacere del dolore altrui e l’esplorazione di misteri che la mente umana non
avrebbe mai dovuto percepire! Che sciocca, che follia era stata seguire la sua amante in quei
terrori che ora sarebbero stati suoi.”

  E da un brano tratto dal secondo capitolo.

  “La nube che le velava gli occhi e le faceva vedere ogni cosa come attraverso una nebbia, si
dissipò d'incanto. La memoria le tornò, lucida, inesorabile, disperata, con la visione netta della
situazione immediata, con l'angoscia del vuoto immenso che si era aperto nel suo cuore.
Doveva implorare, doveva solo implorare, perché non aveva più nulla da perdere, perché tutto
era perduto.”

  E da un brano tratto dal quarto capitolo.

  “Ma, tra le molte sofferenze di quei giorni la più dolorosa era l'obbligo al silenzio. Più urlava,
più veniva suppliziata, per cui aveva imparato a reprimere le grida. Ciò che aveva visto e
imparato in quelle empie ore non poteva essere detto a parole, perché al suo linguaggio
mancavano termini e concetti di riferimento. La scoperta del dolore e della sua sopportazione
si basava su sensazioni indipendenti da quelle che il sistema nervoso umano era in grado di
ricevere normalmente: sensazioni che giocavano su aspetti paradossali del tempo e dello
spazio, che trovavano la loro ragione d’essere nella follia e che, in fondo, non possedevano
un'esistenza autonoma e definita. “

  Il libro si completa con una lunga nota introduttiva ove si illustra la vita di Erzsébet
Bathory, una filmografia vampirica e i film sulla contessa sanguinaria.

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Il Mistero del Pastore d'Erma e della Lettera di Barnaba

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  Sinossi

  Quale mistero avvolge i due testi di antica Letteratura Cristiana? Perché all’inizio
furono ritenuti come vangeli e poi ricusati? Contenevano forse dogmi non accettabili dalla
Chiesa di Roma? Perché il ricorrente tema del perdono urtava la suscettibilità dei preti di
allora? Questi ed altri temi affronta il presente libro.

  Il Pastore di Erma è un testo paleocristiano di genere apocalittico, composto nella
prima metà del II secolo. Prende il nome dal personaggio principale della Visione V,
l'Angelo della Penitenza, il quale si fa vedere da Erma nelle vesti di pastore. Sebbene non
sia inserito nel canone biblico, il Pastore di Erma ha goduto di un discreto successo tra i
cristiani del II secolo, tanto che alcuni Padri della Chiesa lo considerarono Sacra
Scrittura.

  È composto da cinque "Visioni", dodici "Comandamenti" e dieci "Similitudini".
Facendo uso di allegorie e dedicando speciale attenzione alla Chiesa, chiese ai fedeli di
pentirsi dei peccati che l'avevano danneggiata.

  Originariamente scritto a Roma in lingua greca, fu presto tradotto in latino; la versione
latina si è conservata per intero, mentre quella greca manca dell'ultimo quinto.

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La Lettera di Barnaba è una lettera anonima, composta in greco antico molto
probabilmente tra il 70 e il 132. Essa è stata solitamente attribuita a Barnaba,
collaboratore di Paolo di Tarso, tanto da essere nota con il suo nome, ma tale attribuzione
è molto dibattuta dagli studiosi.

  Fa parte della letteratura subapostolica, comprendente alcuni testi scritti in ambiente
cristiano antico (fine I secolo - inizio II) che ebbero notevole diffusione nella Chiesa dei
primi secoli.

  La Lettera di Barnaba è stata considerata fino al IV secolo come parte del Nuovo
Testamento e, come tale, inserita nel Catalogus Claromontanus; fu però esclusa dal
canone, e dunque è oggi considerata un apocrifo del Nuovo Testamento.

  E’ qui riportato un saggio sulla Letteratura Cristiana primitiva, in particolare le
relazioni fra il testo della Dottrina, il Pastore d'Erma e la Lettera di Barnaba e sull’età
e la composizione primitiva dell'antichissimo documento cristiano.

  Il saggio traccia un parallello tra i due argomenti cercando di trovare le relazioni che
intercorrono con la dottrina dei dodici apostoli.

  Il testo è di Alessandro Chiappelli e fu scritto nel lontano 1886. Le elaborazioni
grafiche di Paul Silvani arricchiscono il testo.

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La Cimiteriale

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  Sinossi

  Quando l'horror si sposa con l'erotismo. Il primo racconta ci cala in una società
dominata da un elevato numero di suicidi. Il secondo racconto, ad alto contenuto
erotico ed horror, ci porta in un cimitero dove.........Ancora una volta Eleanor LeJune ci
sorprende nella sua eclettica attività di adattamento di vecchi romanzi e racconti che sa
trasformare in qualcosa di nuovo e di piccante. Il suo è uno stile sobrio e pulito che non
casca mai nel volgare e nel trivio, come invece accade a molti autori che pretendono di
scrivere di erotismo.

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La storia del cinema horror dalle origini agli anni settanta

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  Sinossi

  Una veloce, ma approfondita, analisi dei film che dall'origine del cinema agli anni 80
hanno fatto la storia del Cinema Horror. L'autore ha già pubblicato su Amazon una
profonda analisi del periodo che va dal 1980 al 1990 con l'e-book:

  Anni 80: Il Decennio d'oro del Cinema Horror, uscito in contemporanea con la
pubblicazione negli Stati Uniti dell'e-book: 80's: The Gold Decade of The Horror Movie.
Il libro che veniamo a presentarvi è interattivo, ha una speciale formattazione del testo,
ed è riccamente illustrato.

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Le Impudiche Vampire di Jean Rollin

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  Sinossi

  Questo libro è un atto d’amore verso Jean Rollin e le sue bellissime attrici, simbolo
di un’epoca e di una rivoluzione sessuale. Quando ero giovane Jean Rollin, con le sue
impudiche (e nude) vampire, ha acceso la mia fantasia, mi ha condotto in un mondo
onirico e surreale, permeato da un sottile erotismo. Jean Rollin mi ha fatto amare le
donne, soprattutto mi ha insegnato a desiderarle. Il libro analizza il cinema di Jean Rollin
con riferimento al ciclo delle sue vampire. I film presi in esame sono: Le Viol du
Vampire (1968) - La Vampire Nue (1969) - Le Frisson des Vampires (1970) -
Requiem pour un Vampire (1971) - Lévres de Sang (1975) - Fascination (1979) - La
Morte Vivante (1982) - Les deux orphelines vampires (1997) - La fiancée du Dracula
(1999). Film che vengono analizzati sotto il profilo delle metafore ossessive che Jean
Rollin sottointende. Oltre i film vengono analizzate, sotto il profilo della bellezza, le sue
attrici. Donne che hanno fatto sognare una generazione: Agnès Jacquet, Agnès Petit,
Alexandra Pic, Anissa Berkani-Rohmer, Anita Berglund, Anne Duguël, Anne-Rose
Kurra, Annie Belle, Annie Merlin, Ariane Sapriel, Barbara Girard, Béatrice Harnois,
Brigitte Lahaie, Carina Barone, Caroline Cartier, Catherine Castel, Catherine Day,
Catherine Devil, Céline Clémentel, Céline Mauge, Claudine Beccarie, Cyrille Iste,

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Danièle Servais-Orth, Dominique, Dominique Toussaint, Évelyne Thomas, Fanny
Magier, Franca Maï, Françoise Blanchard, Hélène Maguin, Isabelle Teboul, Jacqueline
Sieger, Kuelan Herce, Louise Dhour, Ly Lestrong, Magalie Madison, Marianna
Palmieri, Marie-Laurence, Marie-Pierre Castel, Marina Pierro, Martine Grimaud,
Mélanie Karali, Mira Petri, Mireille Dargent, Muriel Montossé, Myriam Watteau,
Natalie Perrey, Nathalie Karsenti, Nicole Nancel, Nicole Romain, Sabine Lenoël,
Sandra Julien, Sandrine Thoquet, Solange Pradel, Sophie Noël, Sylvia Bourdon, Tina
Aumont, Ursule Pauly, Véronique Djaouti.

  Di loro, a parte, alla fine del libro (e quindi disponibile solo per coloro che hanno acquistato
l’e-book), per quelli che le volessero ammirare nel loro naturale splendore è possibile
prelevare un portfolio in formato Pdf che riporta tutte le foto riprese dalle scene dei
rispettivi film, in cui Jean Rollin le fa risplendere nel loro essere senza vestiti.
Completano le schede dei film i links esterni a youtube con circa cinque filmati per
film. Un libro di circa 130 pagine (+140 del Portfolio), imperdibile, riccamente
illustrato con locandine e scene da film (100 e passa immagini nel Portfolio),
interattivo, unico nel suo genere e unico in Italia ad omaggiare Jean Rollin. Dall’estratto
di Amazon è possibile scaricarsi un PDF per la valutazione del Portfolio allegato all’e-book.

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Venticinque film per sopravvivere ai morti viventi

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  Sinossi

  Piccolo manuale sui 25 film più interessanti che parlano di morti viventi.

  Si tratta di un volume composto da 25 schede ricche di note e con molti link diretti a
contributi visivi quali trailers, interviste e scene tratte dai film.

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Mircalla, l’Amante Immortale

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  Sinossi

  Questo e-book tratta del film Mircalla, l’Amante Immortale sotto il profilo erotico. In
più contiene un piccolo saggio sui i vampiri ed una racconto erotico di Vampirismo: La
Tombale, tratto dall’e-book La Cimiteriale di Eleanor LeJune.

  Gli argomenti trattati sono: L’analasi delle Locandine, Italiana e Inglese, la
biografia del regista e delle attrici del film: Barbara Jefford, Suzanna Leigh, Yutte
Stensgaard, Helen Christie, Pippa Steel, Caryl Little, Judy Matheson, Sue Longhurst e
Kirsten Lindholm.

  Di ciascuna è poi riportata la filmografia completa.

  Si passa poi alla trama del film e alle critiche.

  Il tutto è corredato da numerosissime immagini, a contenuto erotico, tratte dal film e
da links esterni che portano a recensioni ed ad altre immagini che, visto l’alto grado di
erotismo, si è evitato di includere nell’e-book, lasciando al lettore la scelta se visionarle o
meno.

  L’e-book è adatto ad un pubblico adulto.

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